13 • A chi sussurra
"Let me die first,
or I Will die twice."
Atticus
Song: Haunted - the band Camino
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Premetti le mani tremanti contro chiunque mi avesse afferrato, cercando di graffiare la pelle che non mi apparteneva.
Sentivo il battito del mio stesso cuore pulsarmi nelle orecchie, rapido, e un secondo battito premuto contro la schiena, a separarci solo dei tessuti sottili.
Il respiro faceva fatica ad uscirmi dal corpo, invischiato in un miscuglio di nausea e paura. «E sta' calma», mi intimò la voce alle mie spalle.
Vedevo poco nei corridoi bui dell'Accademia, ma non riuscii a riconoscere niente che avessimo visto poco prima, andando verso le camere.
Quando mi poggiarono finalmente a terra, per poco persi l'equilibrio. Mi concentrai per cercare di afferrare più dettagli possibili sull'ambiente circostante. «Questa non si sa divertire», aveva riso una seconda voce, più profonda.
Sbattei rapidamente le palpebre, cercando di far abituare i miei occhi al buio.
«Un invito cortese sarebbe bastato.»
Tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi la voce di Nora sgridare i due ragazzi, che ora per la prima volta si presentarono davanti a me.
«Cosa sta succedendo?», domandai spazzolandomi la maglietta per togliermi di dosso la sensazione di un altro corpo sul mio.
«Principessina», rispose uno dei ragazzi più grandi. «Questa è la festa di benvenuto per voi matricole. Ci piace fare le cose in grande.»
L'arredo della stanza iniziò a prendere forma.
«Mi avete svegliato per una festa?», sbuffò Nora innervosita, pestando un piede a terra, dove qualche scintilla danzò turbata.
Nathan, d'altro canto, sembrava trepidante; le gambe non smettevano di ciondolare da una all'altra, e un sorriso a trentadue denti faceva capolino timido dalle labbra rosate.
Una voce squillante alle mie spalle mi fece sussultare.
«Elia!»
Era Claudia, che si gettò correndo tra le braccia del fratello.
Lui la tirò su, facendole fare due giri su se stessa, come una coppia di ballerini.
«Vogliamo entrare?», propose l'amico di Elia indicando una pesante porta di legno. Non si discostava molto dall'arredo del resto dell'Accademia, ma quest'ala dell'edificio pareva in disuso da anni. Alcune parti dell'intonaco lottavano per non staccarsi dalle pareti, e qualche ragnatela decorava gli angoli del soffitto come un lavoro all'uncinetto fatto da mani esperte.
Quando il ragazzo aprì la porta, uno spesso strato di legno, ci fece cenno di entrare rapidamente, quasi spingendoci.
«Su, su, non fate i vecchietti.»
La musica mi travolse le orecchie, facendomi perdere nuovamente l'equilibrio. La testa mi girava, dovevo concentrarmi per mantenermi salda a terra.
«Come diamine fanno a non sentirla?», domandò Nora riferendosi a Vivienne e Alastair. Indossava una canottiera e un pantaloncino leggero, che lasciava scoperti i muscoli delle gambe solcate da cicatrici sbiadite.
Elia fece un cenno con il capo verso una ragazza con i capelli corvini dall'altra parte della stanza, intenta ad accarezzare i capelli di due ragazzi che le pendevano dalle labbra come se fosse nettare.
Con le lunghe gambe accavallate che si muovevano a ritmo della musica, ci sorrise.
«Seraphine è la Guaritrice della nostra squadra», spiegò Elia. «E, in questo caso, colei che riesce a schermare lo spazio esterno la sala dal suono.»
La stanza era buia, illuminata da poche luci ad elettro appese al soffitto come stelle cadenti, ma concentrandomi notai il leggero bagliore che un sottile strato d'acqua proiettava tutto attorno alle pareti. Eravamo in una sorta di scatola isolante.
Il pavimento era composto da assi sconnesse, di tonalità diverse, mentre il resto della stanza era gremito di tavolini tondi e sedie sparse; probabilmente era adibita a ripostiglio, oltre che a feste clandestine.
Alla sinistra di Seraphine, un bancone esponeva tanti bicchieri quante bottiglie, contenenti liquidi di mille colori. Papà ne aveva qualcuna simile nella credenza della cucina, ma non avevo mai provato ad assaggiare il loro contenuto.
Passai lo sguardo su tutti i presenti, per lo più intenti a ballare o bere, e capii subito che erano tutti studenti più grandi, anche di più del fratello di Claudia, che al petto portava lo stemma di un gufo con una piccola stella centrale.
Evidentemente, tutti e tre gli anni dell'Accademia erano presenti in quel posto da cui sarei voluta scappare.
«Beh, divertitevi», si congedò Elia tirandosi dietro la sorella, che saltellava dalla gioia.
Mi abituai lentamente al rumore, che iniziò a diventare una litania di sottofondo, riempiendo di archi e note sconnesse la stanza.
«Ho una strana sensazione», confessai grattandomi compulsivamente la clavicola, che si tinse di un cremisi frastagliato dalle mie unghiate. La collana con la fiala rimbalzò delicatamente sul mio petto, sotto la barriera della maglietta.
Nora tirò per i vestiti me e Nathan, costringendoci – me, lui meno – a sederci sulle sedie alte del bancone.
«Sarai stanca», sorvolò Nora spostandosi i capelli dietro le orecchie facendo svolazzare la mano.
Una ragazza ci allungò tre bicchieri riempiti di un denso liquido arancione e, quando li bevemmo, fui l'unica a tossire per il calore che mi si era espanso in gola.
Nathan rise, nascondendosi la bocca con la mano bendata. Mi domandai se gli facesse ancora male, ma sembrava non rendersene nemmeno conto. Appoggiai il bicchiere sul bancone prima di farlo cadere, mentre Nora agguantò un secondo e poi un terzo bicchiere di liquido amaro.
Le sue guance cominciarono a tingersi di rosso mentre alcune gocce della bevanda le rimanevano intrappolate sulle labbra.
«Oh guarda, c'è anche il bignè alla crema», urlò poi salutando Quinlan sventolando la mano in aria. Lui, di rimando, mostrò un ghigno scontento alla ragazza che lo stava puntando.
I suoi capelli viola si mossero di scatto, come un'onda, quando si alzò per andargli in contro sinuosa in mezzo alla stanza, dove altri ragazzi stavano ballando.
«È pazza», disse Nathan mandando giù l'ultimo sorso di alcol che rimaneva nel bicchiere sbeccato, mentre osservavamo Quinlan fare passi indietro, messo all'angolo.
«Completamente andata», confermai.
«Ma se non lo gestisce lei, non so chi potrebbe essere in grado di farlo», constatò lui tirando su col naso, un gesto che gli avevo già visto fare altre volte.
Annuii spostando lo sguardo sulle mie mani, che sembravano un po' il bicchiere di Nathan: pallide, con le unghie rovinate, piene di lividi ambrati.
La sedia di Nathan traballava scoordinata rispetto alla musica, ma quel lento dondolio mi ricordò l'altalena che mio padre mi aveva costruito da piccola nel giardino di casa.
«Vuoi ballare?», domandò Nathan senza guardarmi.
«Uh?», replicai alzando le sopracciglia. Non ero sicura di aver capito bene. Tutto attorno a me era un miscuglio di luci e suoni, e io mi ero rintanata in qualche angolo della mia mente senza scomodarmi di comprendere la situazione.
«A scuola ballavi sempre con Lauren, pensavo ti piacesse», rispose giocherellando con il bordo del del suo maglione costellato di piccole toppe colorate. «Non sentirti in obbligo se...»
«No», disse titubante la mia voce prima che la mia testa potesse fermarla, «Mi... mi piacerebbe.»
Lauren era sempre stata precisa nei suoi movimenti e aveva tentato di insegnarmi, ma la mia altezza mi rendeva altamente scoordinata e goffa, nonostante io mi impegnassi per evitarlo.
Ci dirigemmo lentamente al centro della stanza schivando le altre persone; dove passava Nathan, si apriva un piccolo varco per farmi passare senza urtare contro nessuno.
Non mi era chiaro quanto lui sapesse della mia storia con Treece – probabilmente poco – quindi presupposi fosse solo il suo intuito o la sua estrema gentilezza.
Anche quando iniziammo a ballare, lui mantenne sempre una debita distanza, ridotta solo dai suoi occhi puntati sui miei.
Intorno a noi due era come se si fosse formata una piccola bolla, un angolo di mondo protetto dal resto.
Lasciati andare. Era una cosa che mai mi ero detta prima, un ordine auto-impartito che mi faceva troppa paura per portarlo a compimento.
Lasciarmi andare voleva dire tremare, voleva dire perdere appiglio sulla realtà e ritrovarmi nella mia testa senza via di fuga.
La musica vibrava attraverso il mio corpo, riscaldato da un tepore che non avevo mai provato prima, un calore il cui merito attribuii al nettare alcolico, che sicuramente su di me stava avendo più effetto che sui miei amici.
Improvvisamente sentii l'impulso di confessare quello che avevo tenuto sommessamente represso in me per tutta la giornata.
«Avevi ragione!» urlai verso la chioma ondeggiante di Nathan.
«Cosa?» I suoi occhi sembravano aver raddoppiato le dimensioni, diventando due vortici.
Mi avvicinai lentamente al suo orecchio, adattandomi ai suoi movimenti per non urtarlo, per cercare di sovrastare la musica.
Talmente poca era la distanza che ci separava, che pensai di poter sentire il suo cuore martellargli nel petto. Un tempo percepivo i cuori di tutti. Mi mancava analizzare le persone come mappe geografiche, le cui coordinate si piegavano a me senza sforzo.
«Avevi ragione, ti chiedo scusa», ammisi finalmente quando fui sicura che mi avrebbe sentita. «Sono arrabbiata con le Grandi Madri e mi sono sfogata su di te. Scusami.»
Una scintilla gli attraversò gli occhi mentre rispondeva: «Non fa niente, Dani. Lo so.»
«No», implorai. «A volte non controllo la rabbia, lo so. E... e mi dispiace, Nathan.»
Avvertii il suo calore irradiarsi fino a me, era come se le mie labbra stessero prendendo fuoco contro il suo orecchio, anche se tra noi c'erano almeno sette centimetri a separarci.
Tuttavia, era una sensazione diversa dal solito, non sentivo più quel contrasto vertiginoso tra le nostre temperature, era più un leggero dondolio, come scaldare il viso al sole.
«Sai che avrei voluto fare l'inventore, dopo il Rituale», mi confessò piegandosi verso di me.
«Credevo volessi continuare l'attività dei tuoi.»
«Sì, beh... lo credevano anche loro», disse mesto, «e per un po' l'ho creduto anche io.»
Gli feci cenno con la testa di continuare. «Ma penso di essere più portato per altro», sorrise mentre le guance gli si tingevano di rosso cremisi.
«Fammi vedere qualche invenzione, allora.»
Lui sollevò leggermente le spalle verso l'alto, guardando le mie mani che si muovevano prive di un vero criterio in aria.
«Un giorno ne farò una per te.»Sentii una leggera scossa lungo la schiena ma, prima che potessi replicare, avvertii una folata di vento gelida arrivare nella nostra direzione.
«Ohi!», sentii urlare dietro di me una voce femminile sconosciuta.
Una ragazza mi venne addosso, sbattendo la sua spalla contro il mio braccio.
«Tu sei quella che è svenuta al Rituale», disse ridendo, accompagnata da altri tre ragazzi alle sue spalle. Portavano ancora addosso la divisa viola, che lei teneva stretta in vita grazie ad cinturino scuro.
«Come prego?», domandai.
«Che c'è? Non sai stare al mondo fuori dal tuo paesino?»
Nathan mi diede due colpetti tirando leggermente la mia maglietta. «Dani, andiamo. Sono ubriachi.»
La ragazza sputò fuori una risata gutturale. «Sono capace di parlare sopra l'alcol, ragazzino», sibilò alzando il mento.
«Non ho chiesto io né di essere scelta dall'Elettro, né di venire qui. Quindi, se non ti spiace, ora vorrei andarmene.»
Feci un passo nella direzione opposta alla sua, ma lei mi mise una mano sul petto, premendo con il suo peso contro di me. La periferia del mio campo visivo iniziò a sfarfallare, diventando nera.
«Togli la mano, per favore», sussurrai mentre le parole faticavano a prendere forma nella mia voce.
Come Nora aveva definito Quinlan un "conservatore", questa ragazza doveva avere la sua stessa linea di pensiero: chiunque cambiasse elemento, durante il Rituale, era considerato un debole, un reietto, per loro.
Levati.
Levati.
Levati.
«Ti ha detto di togliere la mano», le intimò Nathan riducendo gli occhi ambrati a due fessure.
Staccati.
Staccati.
Lei lo ignorò, parlandogli sopra: «Pensa che reazione avrai quando vi diranno perché siete qui.» Rise di nuovo, ma non riuscivo a vedere niente se non l'oscura luce che le illuminava gli occhi.
Da dietro, arrivò il fratello di Claudia, legandosi i capelli in uno chignon sopra la testa.
«Sylvia, smettila», le intimò Elia separandola da me. Le vene sulle sua braccia stavano pulsando sotto pelle, quasi chiedendo pietà per avere calma.
«Qui la gente scompare, noi scompariamo», urlò lei sopra la musica. Il suo respiro era alcolico. «E ci mandano novellini che nemmeno sanno com'è stare nell'Elettro.»
Nora stava prendendo a spallate alcuni ragazzi per avvicinarsi, nonostante fosse evidente che traballasse, con Quinlan dietro a seguirla.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Troppe persone. Ci sono troppe persone.
La fronte iniziò a riempirmisi di perline di sudore freddo.
«Non è colpa loro, Sylvia. Sono dei ragazzini», continuò a rimproverarla Elia, tenendole ferme lungo i fianchi le mani cosparse da saette. L'aria si fece pesante, sentii il profumo della magia della ragazza permeare la stanza.
«Anche mio fratello era un ragazzino quando è stato preso dalla Tessitrice, tre settimane fa», ringhiò lei mostrando i denti bianchi. Le lacrime cominciarono a solcarle il viso, senza che lei facesse niente per levarsele di dosso.
«È stato preso da una... leggenda?», domandai facendomi scappare le parole dalla mente. La Tessitrice era la donna di cui mi narrava mio padre da piccola, una storia della buonanotte più macabra che altro, ma mi sentii incredibilmente stupida nel dire quella frase.
Sylvia scoppiò a ridere, lasciandosi cadere accucciata a terra, sorretta da Elia che chiedeva a sua sorella di andare a prendere un bicchiere d'acqua.
«Vorresti che quella donna fosse una leggenda», sputò la ragazza raddrizzando la schiena. «Peccato vi abbiano sciacquato via la memoria come fosse polvere.»
Un dolore lancinante mi perforò la testa, feci due passi precari all'indietro e mi appoggiai traballante a un tavolino tondo posto contro il muro. Un suono gracchiante si espanse nell'aria quando il legno sbatté contro la parete.
Non vedevo niente, mi sembrava di avere una patina spessa sugli occhi, forse il sudore.
«Ariadne», disse Nora avvicinandosi di corsa, allungando le braccia in avanti.
Tutto intorno a me si fece soffuso, come se qualcuno avesse spento l'interruttore della mia testa.
«Ti ho quasi trovata», bisbigliò una voce che stava rimbombando in tutti gli angoli di quella stanza soffocante. Era una voce che conoscevo fin troppo bene, che come al solito mi sussurrava crudele da un mare lontano, creando un'eco fastidiosa a solleticarmi le orecchie.
«Chi sei?», urlai afferrando il bordo del tavolo per sorreggermi. Sentii il sangue scorrermi viscido sui polpastrelli, dove le schegge del legno mi stavano perforando la carne.
«Dani, con chi stai parlando?», domandò Nathan da una realtà parallela alla quale non stavo più appartenendo. Mi sentivo leggera, non ancorata da nessuna parte.
«Seraphine!», urlò Elia facendo spostare il gruppo di ragazzi per liberare lo spazio davanti a me.
«C'è tanta energia in questo posto, ma troverò la tua», continuò la voce raschiandomi i timpani con quella minaccia.
«Falla smettere», implorai nessuno in particolare, lasciandomi cadere definitivamente a terra, mentre il sangue continuava a impregnarmi le braccia. Lo sentii sgusciare via anche dal naso. «Falla smettere, falla smettere, falla smettere.»
Mi sembrava di soffocare nel mio stesso respiro. Elia stava accarezzando i capelli di Sylvia, mentre lei gli si era avvinghiata alle gambe, nascondendo la testa fra i suoi pantaloni.
«Sono piena di sangue», urlai con una voce che non riuscii ad associare a me stessa.
Avevo già visto tante volte il sangue, ci lavoravo. Era rosso, viscoso, a volte scuro.
Sangue.
Ho addosso del sangue, il mio.
«Toglilo, toglilo», implorai di nuovo.
La voce melliflua di Seraphine mi arrivò all'orecchio come una ninna nanna agognata da tempo: «Non ti farò male, puoi dormire adesso.»
Con quelle parole, poggiò il palmo gelato della sua mano sulla mia fronte, spostandomi la frangia. Era come essere tornata alla cerimonia del Rituale, con Alba Laras che attutiva la mia caduta mentre mio padre gridava il mio nome in lontananza. Le trecce della Guaritrice dondolavano sopra la mia testa come un ciondolo per bambini.
Le voci di sottofondo diventarono un contorto supplizio, mentre io non appartenevo più a nessuna realtà.
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Nello scorso capitolo su Ari ho esagerato, era per creare suspance ahah.
In questo capitolo abbiamo avuto una sorta di rivelazione🫢 Mi scuso per il capitolo lungo ma non trovavo un punto sensato in cui smezzarlo.
Spero il capitolo vi sia piaciuto, a mercoledì prossimo! 🤍
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