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Shadows

«Continuo ad essere dell'opinione che sia un'ottima idea e che dovremmo farlo, al più presto anche» continuò a ripetere Kyle.

Quel ragazzo era la mia rovina.
Con i suoi occhi verdi e i folti capelli corvini che gli incorniciavano il viso mi faceva fare tutto quello che voleva, anche le cose più stupide, tipo quello che stavamo per fare.

Non stavamo insieme, purtroppo, ma avevo una terribile e soffocante cotta per lui da una vita mentre sembrava che il ragazzo non contraccambiasse, perciò dovetti accontentarmi della nomina di migliore amica, e nient'altro.

Non mi sorprendeva che non provasse niente per me, non ero certo rinomata per essere una bella ragazza. Non mi dispiaceva il mio aspetto, ma ero cosciente di quello che pensavano gli altri.

Io e Kyle eravamo a casa sua, sdraiati in maniera scomposta sul suo letto.
Mi alzai seduta, e diedi un'occhiata veloce allo specchio, situato dall'altra parte della stanza, vicino all'armadio color legno che conteneva i suoi abiti.
Mi sistemai velocemente i capelli, osservando il loro semplice color nocciola, erano lisci ma sulle punte un po' arrotolati.
La mia capigliatura incorniciava un viso normale, secondo i miei canoni, con occhi scuri e labbra sottili.

Distolsi lo sguardo dallo specchio e lo posai su Kyle, era sdraiato e guardava il soffitto, con le braccia sopra la testa. Quella posizione gli alzava di un paio di dita la felpa, lasciando intravedere uno spiraglio dei suoi addominali scolpiti.
Distolsi lo sguardo anche da lì prima di avvampare.

«E io, resto dell'idea che sia una sciocchezza, ci metteremo in guai seri» lo rimbeccai, assumendo il mio classico tono da persona terrorizzata dalle avventure.

Kyle alzò la testa, e mi squadrò divertito.
Per lui era tutto un gioco, un gioco semplice e di cui lui era sempre il vincitore.
Mi sorrise, scoprendo i denti bianchi.

Ancora non mi capacitavo di come uno come lui potesse essere amico di una come me, sicuramente c'entrava il fatto che i nostri genitori erano inseparabili.
Allontanai il pensiero con una scrollata di spalle.

«Sei troppo noiosa! Dai, andiamo!»
«Te lo scordi, io non mi muovo da qui»
«E io ti porto di peso».

Per quanto l'idea mi potesse sembrare allettante, fui costretta a rifiutare.

«Ah! Levatelo dalla testa, e poi i tuoi non ci lasceranno mai uscire» gli ricordai pensando ai suoi genitori al piano di sotto.

Andavo sempre a casa loro quando i miei partivano per lavoro.

«I miei non ci sono, andavano al ristorante e poi Dio solo sa dove»
«Come? Ci hanno lasciati soli? Senza nemmeno salutarci?»
«Ehi! Datti una calmata Psycho! Guarda che sopravviveremo lo stesso» rise.
«I miei genitori, se lo venissero a sapere, prima ucciderebbero me e poi te e la tua famiglia! Due quindicenni in una casa da soli? É impensabile per loro»
«Prima cosa, ho finalmente capito da chi hai preso, e seconda cosa, io ne ho quasi sedici»
«Allora scusa» dissi ruotando gli occhi, ma non potei fare a meno di farmi scappare un sorriso.

«Quindi è deciso! Si va!» urlò euforico, poi saltò giù dal letto per mettersi le scarpe e prendere la giacca.
«Aspetta! Cosa?» tentai di dirgli, ma le mie parole furono soffocate dai suoi boati di gioia.
«Kyle! Kyle!»
«Dimmi Psycho» mi chiese innocentemente.
«Odio quando mi chiami così, e poi, fermo! Io non vengo da nessuna parte»
«Okay okay, scusa Zoe» portò le mani avanti, in segno di resa «Adesso però andiamo»
«Guarda che non basta dire come mi chiamo per convincermi»

«Hai paura» iniziò a canzonarmi, saltellando per tutta la stanza.
Lo guardai impotente, consapevole che alla fine l'avrebbe avuta vinta lui.
Come sempre.

«E va bene! Dato che ci tieni tanto a farci finire nei guai, andiamo!» sbottai.
Lui esultò, e mi prese in braccio, ignorando deliberatamente le mie grida.

La nostra amicizia era strana, ma forse era proprio quello il motivo per cui funzionava.
Lui bello, divertente, spavaldo e sarcastico e io tutto il contrario.

Quando si decise a rimettermi a terra, mi misi le scarpe e presi la giacca, tra i miei sbuffi divertiti e le sue frecciatine fastidiose.

Scendemmo le scale e raggiungemmo la cucina, dove Kyle prese un paio di torce elettriche.

Il suo grande piano consisteva nel intrufolarsi a scuola, e dato che era notte fonda era chiusa da un bel po', e probabilmente fare un po' di casino. Ma non era una novità, gli venivano in mente idee stupide e folli come quella circa ogni settimana.
C'era  stata l'intrusione al cimitero, in una vecchia casa abbandonata, e chi più ne ha più ne metta!

Ovviamente tutto di notte, quel ragazzo aveva una fissa per la notte.

Fatto sta, che nel suo brillante piano, c'era una falla e anche bella grossa.

«Kyle? Scusa, ma tu vorresti intrufolarti a scuola, come facciamo ad entrare? Sarà chiusa con l'allarme» gli feci notare.
«Ti sei dimenticata per caso dove andiamo a scuola? É già tanto se c'è un cancello che la chiude» rise.
«Che vuoi dire?»
«Voglio dire che la nostra scuola cade a pezzi, niente telecamere e niente allarme. Un gioco da ragazzi, fidati»
«Fidarmi di te? Sono caduta proprio in basso» provai a scherzare.
«Non fare la difficile, e ora andiamo».

Varcò la porta e io, titubante, lo seguii.

*


Fu doloroso per il mio orgoglio ammettere che aveva ragione.
L'unica cosa che impediva a delinquenti, malintenzionati e vandali di entrare nella nostra scuola era un vecchio cancello alto poco più di me.
Fu semplice scavalcarlo e altrettanto facile fu entrare all'interno.

Kyle ebbe la strabiliante idea di non accendere le luci, in effetti non era male come idea, sarebbe stato meno probabile che ci scoprissero così, però, vagare nella nostra scuola immersa nel buio, con la sola luce delle torce, ci regalava uno scenario abbastanza inquietante.

«Adesso che siamo dentro...cosa dovremmo fare?» chiesi nervosa guardandomi intorno.

Notando che da parte del ragazzo non mi giungeva alcuna risposta, mi girai verso quella che credevo essere la sua posizione.
Ma di lui non c'era nessuna traccia.

Un paio di mani forti mi afferrarono per i fianchi, e una voce dannatamente familiare mi urlò nelle orecchie.
Strillai con quanto più fiato avevo in gola, e quando notai che era stato Kyle, iniziai a picchiarlo con la torcia.

«Razza di idiota! Sei impazzito? Ah! Non dovevo venire!» continuai a ripetere urlando.
«Zoe! Okay okay scusa! Smettila di colpirmi!» mi urlò di rimando, cercando inutilmente di coprirsi gli organi vitali.

Smisi di colpirlo per guardarlo in cagnesco e lui mi scoppiò a ridere in faccia.

«Che cosa facciamo?» chiesi.
«Un giro e poi...».

Non riuscì a terminare la frase, perché un boato, come di un qualcosa di pesante che cade a terra, sopraggiunse da destra.
Mi girai di scatto, e mi si gelò il sangue nelle vene.

«Kyle! Non è divertente! Smettila di farmi questi maledetti scherzi!» sbottai agitata.
«Ma se sono qui vicino a te! Non sono stato io, datti una calmata Psycho, vedrai che è solo caduto qualcosa»

«No..no, no, no, andiamo via! Andiamo via per favore!» iniziai a mugolare mentre il terrore mi si insinuava nelle viscere, divorandomi.
«Zoe, andiamo! Non c'è da aver paura» tentò di consolarmi, prendendomi le spalle con le mani.

Mi calmai un poco ma ero ancora terrorizzata.
Puntai la torcia verso dove era provenuto il rumore e Kyle mi imitò.
C'era solo una porta aperta.
Guardai il ragazzo, che ruotò gli occhi e mi prese per un polso, conducendomi contro la mia volontà verso quella stanza che, se la memoria non mi ingannava, era la sala professori.

All'interno era vuota, solo un tavolo, dei documenti e vari scaffali.

«Te l'ho detto che non c'era nulla di cui aver paura. Vedi? È quello che è caduto» disse illuminando uno scatolone a terra, pieno di fogli.
«D'accordo. Ora andiamo via?»
«Che noia! Prima facciamo un giro».

Mi trascinò fuori, e poi per i corridoi.
Sembrava davvero una scena da film horror.
Finché i miei dubbi non divennero reali.
Un rumore, come di un cane ferito che ruggisce, giunse alle nostre spalle.
Prima di poter emettere suono mi aggrappai, facendo cadere la torcia, al busto del ragazzo, facendo una perfetta imitazione di un koala e rischiando di far morire Kyle di asfissia.
Lui, coraggioso come sempre, si girò nella direzione del rumore, illuminando il corridoio ma, purtroppo, non c'era nulla.

«Kyle. Non siamo soli, ti prego andiamo via» piagnucolai contro il suo petto.
Lui deglutì rumorosamente.
«Zoe...» iniziò.
Ma non finì la frase, anticipai le sue volontà e mi girai verso dove stava guardando.
Dove un paio di secondi prima non c'era nessuno, adesso sostava un uomo, abbigliato con vestiti logori e senza scarpe.
Guardai, come paralizzata, il suo viso.
I suoi occhi erano gialli, e brillavano al buio, dalla sua bocca, imbevuta di sangue, spuntavano delle zanne da animale, persino le sue dita, che terminavano in artigli affilati, sembrano essere state immerse in una tinozza di sangue scuro.

Urlai, urlai così forte da ferirmi la gola. Non sapevo nemmeno di essere in grado di emettere quel tipo di suono.
Sul mio viso si dipinse l'espressione del terrore, mentre, come una bestia che brama di uscire dalla sua gabbia, la paura mi dilaniava le interiora.

Kyle, senza scomporsi, mi prese un braccio e mi esortò a scappare.
Correva velocissimo, per me fu un sacrificio cercare di stargli dietro, ma grazie a quell'uomo che ci stava alle calcagna e grazie alla mano rassicurante del ragazzo che mi esortava alla corsa, riuscii a tenergli testa, più o meno.

La torcia di Kyle si spense, a causa delle batterie, ed entrambi sprofondammo nel buio più totale.
Mi lasciò il polso, forse per guardare la torcia, ma dato che non riuscivo a vedermi nemmeno le mani, mi sentii spaesata.

«Kyle...» lo chiamai con voce tremante.

Nessuna risposta.

«Kyle!» provai più forte.

Ma ancora nessuna risposta.

Sentii il rumore di un corpo cadere a terra.

«Kyle!» ormai stavo gridando con quanto più fiato avevo in gola.

Feci qualche passo avanti, nella direzione dove credevo che fosse il ragazzo ma inciampai in una gamba e caddi a terra.
Boccheggiando, tastai il pavimento finché non trovai il ragazzo.
Lo conoscevo abbastanza bene da poterne riconoscere il corpo.
Lo scrollai, continuando a ripetere il suo nome ad alta voce, ma da lui, nessuna risposta.

Continuai a tastare il suo corpo, finché non giunsi al viso.

Ormai avevo compreso che il ragazzo non respirava, ma prima di lasciarmi andare ai singhiozzi più disperati, toccai la sua gola.

Era straziata e imbevuta di sangue  che mi imbrattò le mani e che continuava a sgorgare senza ritegno.

Urlai ancora, allontanandomi con un balzo dal corpo senza vita del mio migliore amico.

Mi alzai in piedi, le gambe mi tremavano terribilmente e i miei singhiozzi risuonavano nel silenzio della notte.

Un paio di mani mi agguantarono le spalle, penetrandomi la carne con le unghie.
Urlai ancora, più per il dolore che per la paura, mentre cercavo invano di liberarmi.

I miei occhi si erano abituati all'oscurità e ora riuscivo a distinguere qualche ombra, come il corpo inerme di Kyle ai miei piedi.
Sentivo la presenza di quell'uomo alle mie spalle ma più mi muovevo e più le sue mani entravano in profondità, facendomi digrignare i denti per il dolore.

«Lasciami andare!» urlai tra i singhiozzi.

Ma l'uomo pareva non sentire.

«Ti prego...» tentai disperata.

Sentii un dolore accecante alla gola, la accerchiai con le mani e il sangue già presente del ragazzo si mischiò al mio.
Caddi a terra, prima sulle ginocchia e poi sdraiandomi su un fianco.

Emisi l'ultimo singhiozzo, mentre decine di puntini neri mi danzavano davanti agli occhi, mentre mi mancava l'aria e mentre morivo soffocata nel mio stesso sangue.

Trovai la forza di girarmi.
Vidi l'uomo con i suoi occhi brillanti, girarsi e andare via.
L'oscurità tornò nella mia visuale.

Vidi tutto nero per poi non vedere più niente.

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