Prologo.
Sarah's POV.
Il Natale. La festa in cui l'intera famiglia si riunisce in un gran cenone, dove si respira sempre un'aria di armonia e serenità. Noi avevamo tutte le carte in regola per trascorrere un Natale tradizionale. A noi non mancava nulla: eravamo una delle famiglie più ricche del paese, e finivamo spesso sul giornale con dei sorrisi a 360° stampati sul viso. Eravamo felici, ma era solo apparenza. Nessuno conosceva i segreti che si celavano dietro quelle maschere da attori Oscar. Quello che sapevamo fare meglio? Fingere, fingere, fingere. Io, modestamente, ero la regina della finzione. La mia vita era cambiata da quando avevo saputo dell'esistenza della mia gemella, Beth. Da quel momento, avrei fatto di tutto per cancellare solo il ricordo di una brutta copia di me stessa. Ero certa fosse uno stupido errore della natura, un rifiuto, uno scarto...tant'è che i miei genitori avevano deciso di abbandonarla appena nata. Inizialmente credevo non avessi avuto problemi a raggiungere il mio scopo, anche grazie all'aiuto di mia madre, ma pian piano si stava rivelando un gioco pericoloso, da combattere con le unghia e con i denti. Forse troppo pericoloso anche per me.
Quella mattina mi ero svegliata con un brutto presentimento, un pensiero che mi aveva perseguitato per ore ed ore. Non so come, ma ero convinta che quel giorno sarebbe stato definitivo.
''Un attimo di silenzio, per favore!'', si alzò mio padre, attirando l'attenzione dei presenti. ''Volevo ringraziare la mia famiglia per essere qui riunita, anche per questo Natale.'', aggiunse, accennando un leggero sorriso ad ognuno. ''Ringrazio te, papà, perché se adesso sono quello che sono, è solo grazie a te. Mi hai dato tutto ciò che mamma, purtroppo, non ha potuto darmi.'', si rivolse a Chris, pronunciando quelle parole quasi con fatica.
''Non ringraziarmi, figliolo.'', rispose, rimanendo con la stessa compostezza e serietà che lo contraddistingueva.
''Ringrazio le mie due bambine, perché sono la ragione per cui ogni mattina mi sveglio con il sorriso sulle labbra.'', spiegò, fissando intensamente me e Mila.
''Ti amiamo, papà!'', affermò Mila, dandogli un bacio volante. Io non proferii parola, mi limitai ad alzare gli occhi al cielo. Non credevo alle frasi fatte di un finto santarellino. Era riuscito ad imbambolare quella demente di mia sorella, ma non aveva ancora capito chi fossi io.
''Ringrazio mia moglie, perché mi hai regalato due gioie immense.'', le disse, con un sorriso talmente forzato che mia madre decise di non replicare, ma lo fulminò con gli occhi. Non capivo con che coraggio la guardava ancora in quel modo, dopo ciò che le stava facendo.
''Ringrazio Nick e Justin, per aver rubato le mie bambine.'', continuò ironico, interrompendo per un attimo quell'atmosfera di tensione che aveva creato.
''Figurati, è stato un piacere!'', commentò Nick, approfittando della situazione per avvicinarsi a me. Per me era un oggetto, mi divertivo ad usarlo quando mi pareva. Ma come tutti gli oggetti, dopo essersi consumati, bisognava buttarli.
''Ormai sono grandi e vaccinate!'', esclamò Justin con lo stesso tono che, tanto per cambiare, ricevette una marea di baci da mia sorella. Povera illusa, non era pronta ad accettare le proprie corna.
'' E infine te, Olivia..'', mormorò, girando più volte lo sguardo per non incrociare il suo. All'espressione da cagna bastonata di mia zia, cercai di trattenermi dal vomito. Era un peso troppo grande da sopportare, non avevo intenzione di assistere un minuto in più a quella scena patetica, dovevo farla finita per il bene di mia madre.
''D'accordo, basta con i ringraziamenti. Vado a prendere il dolce.'', alzai il tono di voce, dando un'occhiataccia ad Olivia prima di andare via.
''Buon Natale a tutti, parenti e non!'', concluse mio padre, regalando un brindisi generale.
Al diavolo il Natale, al diavolo la famiglia perfetta, al diavolo i discorsi ipocriti. Era il momento di scoprire la verità, la aspettavo da troppo tempo. Non sapevo cosa sarebbe successo, non volevo pensarci, l'idea che fosse ancora viva mi irritava. Non sopportavo che qualcuno prendesse il mio posto, io ero e sarei rimasta sempre l'unica.
Mi diressi verso lo studio di mio padre, e mi assicurai che la porta fosse ben serrata. La combinazione era semplice, vidi inserirla spesso, non potevo sbagliarmi. Appena si aprì, sfogliai i vari documenti, ma non riuscii a trovare ciò che mi serviva. Iniziai a perdere il controllo, ero sicura fosse lì. Mi girai parecchie volte in preda all'agitazione. Sentivo dei passi, dovevo sbrigarmi. Quando tutto sembrava perduto, notai un cassetto segreto. Era la chiave della verità. Inserii velocemente il contenuto nella borsa, e sistemai le varie cartacce. Tentai di lasciare lo studio in fretta e furia, ma appena spostai lo sguardo verso la finestra, scorsi un'ombra in lontananza. Vinse l'istinto: misi bene a fuoco. Era una donna e portava con sé un binocolo. Poteva essere chiunque, anche lei. Perché ci spiava? Che intenzioni aveva? In quell'istante mi frullava in mente solo una persona, Beth. Restai inerme nel momento in cui vidi la maniglia della porta abbassarsi lentamente. Spalancai gli occhi, cercando vie di scampo, ma era troppo tardi.
''Sarah, eccoti!'', affermò mia zia, mostrando un senso di liberazione.
''Che...che vuoi?'', balbettai confusa, nascondendo in qualche modo la borsa.
''Ti stavamo cercando, non venivi più.'', si giustificò, scrutandomi dalla testa ai piedi.
''Bene, mi hai trovata. Andiamo?'', domandai, fingendo un sorriso.
''Che ci facevi qui?'', replicò con un tono sospetto.
''E' casa mia, quando la smetterai di impicciarti in faccende che non ti riguardano?'', puntualizzai, facendo la voce grossa. Decisi di attaccarla in modo da sviare il discorso.
''Puoi calmarti, per favore?'', sussurrò con pacatezza.
''No, mi sono stancata di sopportare il tuo viso da gatta morta ogni maledetto giorno.'', controbattei, avvicinandomi sempre più. ''Non riuscirai a rovinare la mia famiglia!'', le urlai contro furiosa.
''Che succede? Si sentono le vostre urla da sotto!'', rimproverò mio padre, con un'espressione non molto sorpresa nel vederci discutere.
''Va tutto bene, stai tranquillo, papà.'', mormorai cambiando tono. ''Non è vero?'', fissai Olivia, emanandole un'aria negativa.
''Sì, ha ragione.'', confermò, abbassando gli occhi.
''Spero sia così. Adesso andiamo giù, aspettano il dolce.'', disse, facendo per recarsi in cucina.
''Voi scendete, io devo fare una cosa.'', avvisai spedita. ''Non aspettatemi!'', esclamai, incamminandomi con passo svelto in giardino. Non mi sarebbe scappata.
~~~
6 mesi prima...
Beth's POV.
Per più di vent'anni avevo vissuto nel segreto, nascosta nell'ombra. Sola al mondo, fino a quel momento. Avrei conosciuto tutto ciò che c'era da sapere sulla mia nascita, sulla mia vera famiglia. Ero stata abbandonata in un collegio a Manhattan. Ero stata riempita di menzogne. La mia vita era una bugia. La mia testa era colma di punti interrogativi.
Ero stata cresciuta dalle suore, che non mi hanno mai saputo dire la verità, nonostante io le assillassi continuamente di domande.
Mi chiamavo Elizabeth Manning. E quello sarebbe stato il giorno del mio riscatto.
''Ho bisogno di entrare nella camera della Superiora, è l'unico modo per conoscere qualcosa sulla mia vera famiglia.'', le spiegai con tono basso, già pianificandomi un possibile metodo in testa.
''E' rischioso, potresti metterti nei guai!'', mi avvertì Rachel, tenendo gli occhi ben aperti per accertarsi che non ci fosse nessuno nei dintorni.
''Lo aspetto da troppo tempo.'', confessai, con una tale sicurezza da convincere anche lei. Ero stufa di starmene con le mani in mano.
''Io ti capisco, ma stai attenta. Mi resti solo tu!'', sussurrò trattenendo le lacrime.
''Non ti preoccupare, non ci perderemo. Le somministrerò il sonnifero, e riuscirò a prendere il fascicolo della mia nascita.'', terminai, dopo averle stampato un bacio sulla guancia, per raggiungere la camera della Superiora.
Fino ad allora non aveva mai dimostrato la paura di perdermi. Legammo subito, la consideravo la parte migliore di me. Ero sempre stata diffidente, tant'è che in orfanotrofio mi sentivo ogni giorno sola. Rachel riuscì ad entrare subito nella mia vita, buttando giù la corazza che avevo costruito in tutti quegli anni. Entrambe abbandonate, sapevamo come si manifestasse la voglia di vendetta, la volontà di prenderci tutto ciò che ci apparteneva, ma solo adesso ne ero pienamente dentro.
Dopo aver riordinato i documenti sulla scrivania, fuggii verso la mia camera prima che la suora potesse svegliarsi.
Pierce e Julianne Childs. Erano loro i miei genitori. Ebbero me e la mia gemella, ma io fui abbandonata. Era l'unica informazione che riuscii a trovare. Sapevo esattamente cosa fare, e come agire. Dovevo riprendere ciò che era mio, a tutti i costi.
~~~
Oggi.
Era la fine. Tutti quei mesi passati ad osservarli, a conoscere ogni loro abitudine, non mi erano serviti a nulla. Dovevo scappare il più lontano possibile, non potevano sapere che ero viva.
La sentivo avvicinarsi sempre di più, quindi accelerai il passo con le lacrime agli occhi, mentre la sua voce mi intimava di fermarmi. Ero giunta quasi alla mia auto, pian piano le mie gambe iniziarono a crollare. Corsi più velocemente, ma ad un passo dal cancello inciampai in un sasso, precipitando per terra.
"Chi cazzo sei? Fatti vedere, brutta stronza!", minacciò Sarah con aria di sfida, agitandomi dalle spalle. Non avevo altre alternative, dovevo mostrarmi a lei.
"Ciao Sarah.", decisi di voltarmi, scoprendo il mio viso.
Rimase in stato di shock, notando l'evidente somiglianza che ci accomunava. ''Non è possibile..'', farfugliò, mettendosi le mani tra i capelli. ''Mi sono sempre convinta del fatto che tu fossi soltanto un brutto incubo, non può essere vero, cazzo!'', imprecò, girandosi attorno disperata.
La afferrai dalle braccia, obbligandola a fissarmi. ''Ma guardaci, siamo uguali. Siamo l'una la copia esatta dell'altra. Tu sei me, e io sono te.'', mormorai, accennandole un lieve sorriso. Era un groppo in gola difficile da ingoiare.
Cercai di tranquillizzarla, ma sapevo dentro me che non si sarebbe mai convinta davvero della mia esistenza.
''Tu non sei mia sorella, non sei la mia famiglia!'', mi sbraitò contro, rivelando la sua cattiveria.
''Ma non capisci che abbiamo lo stesso sangue? Non c'è nulla che ci divida.'', replicai con tono rassicurante. '' Mettiti nei miei panni. Cosa avresti fatto se i tuoi genitori ti avessero abbandonata alla nascita? Come ti sentiresti se avessi vissuto 30 anni completamente sola, senza un punto di riferimento, senza affetto, senza un cazzo di niente?'', mi sgolai, sperando inutilmente di sciogliere quel cuore di ghiaccio.
''Stai zitta, stupida!'', controbatté con un'espressione piena di disprezzo. ''Tu non sarai mai una Childs, loro non ti accetteranno mai come hanno fatto con me. Ti hanno dimenticata, tu sei morta. Hai capito? Non esisti, non sei nessuno!'', continuò, con due occhi che fuoriuscivano dalle orbite.
Sentii il sangue salirmi al cervello. Le sue parole rimbombavano nella mia testa. Per loro ero morta, mi avevano rimossa. Non poteva essere così crudele la realtà. Mentre io riuscivo lentamente a sollevarmi da terra, probabilmente lei stava continuando a sputare altro veleno su di me, ma non facevo caso alle sue parole. Una valanga di lacrime iniziarono a rigare il mio viso, annebbiandomi la vista. Anni di silenzio stavano annientando l'ultimo briciolo di innocenza che mi era rimasto. Avevo voglia di vendetta, era arrivato il momento della mia rivincita. D'improvviso portai le mani sulle sue spalle e la spinsi, non accorgendomi dei numerosi sassi che vi erano a terra. Sbatté la testa su di essi, cominciando a perdere una cascata di sangue. Mi immobilizzai davanti a quel corpo giacente. Istintivamente feci per chinarmi, portai un braccio sotto la sua nuca e l'altro sotto le gambe. La sollevai da terra e corsi velocemente verso la macchina, in preda al panico. Cosa mi era venuto in mente? Non sarei dovuta arrivare a quel punto. Colpendola, avevo fatto contemporaneamente del male a me stessa.
Tornai a casa, con mille pensieri che mi ripercorrevano in testa. Avvertii Rachel, senza giungere ai dettagli, e in un lampo scese. Le feci senno di salire in auto, e sussultò sbalordita nel vedere quel corpo senza vita sul sedile posteriore.
''Non so cosa ho fatto, l'ho uccisa! Ha iniziato a dirmi quanto fossi uno sbaglio. Mi hanno dimenticata tutti, non sono più nessuno per loro...o forse non lo sono mai stata!'', borbottai agitata, cercando di spiegarle a sommi capi il fatto.
''Non dire una parola di più, lascia fare a me!'', mi interruppe, dimostrando di avere un maggior controllo emotivo ciao
''Cosa pensi che possa fare adesso? Dovrò andare al commissariato a confessare tutto?'', le domandai visibilmente nervosa.
''Ma sei pazza? Non se ne parla. La soluzione te l'ha servita in un piatto d'argento. E' chiaro, no?'', disse, come se avessi la capacità di entrare nella sua testa. ''Pensaci: siete identiche. Sono sei mesi che la spii, conosci ogni suo movimento, il suo modo di fare. Si può dire che sai tutto di lei, ormai.'', spiegò con un'espressione che non prometteva nulla di buono.
''Dove vuoi arrivare?'' le chiesi, quasi preoccupata di una sua possibile risposta.
''Devi prendere il suo posto, Beth!'', esclamò. ''Sei tu la parte forte di noi due, ricordi? Non mollare così. Non hai fatto nulla volontariamente, ti ha solo portata a somigliarle per un istante. Andremo a sotterrarla da qualche parte, e finalmente potrai vivere la vita che hai sempre sognato.'', aggiunse, portando una mano sulla mia. ''Adesso sta a te comandare il gioco!''
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