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Hush

Silenzio.

Credo che solo questa parola possa essere adatta a descrivere i giorni successivi alla lettura di quel maledetto giornale.

Lui iniziò a non sorridere più, a non scherzare più, a non parlare più.

Se ne stava semplicemente lì, seduto su una piccola sediolina davanti al letto di quella ragazza.
A volte quasi non si capiva se stesse guardando lei o se invece i suoi occhi fossero semplicemente persi nel vuoto.

A volte si creava una situazione davvero bizzarra, con lui che fissava Megumi, io che fissavo lui, Sumire che fissava me con le braccia incrociate al petto e un'espressione da "ma fai sul serio?" e poi i tre bambini che invece osservavano tutti noi con il capo leggermente inclinato, forse chiedendosi cosa diamine stessimo facendo.

Fatto sta' che il peggio non era ancora arrivato.

Perché se la situazione fosse semplicemente rimasta così, allora forse un giorno, prima o poi, lui sarebbe riuscito a riprendersi e a quel punto tutto sarebbe tornato alla normalità.

Ma ci fu un fatto che ci impedì, per ora e per sempre, di tornare a quella che noi chiamavamo "normalità".

La morte di nostro padre.

La notizia arrivò un pomeriggio come tanti altri.
Non di notte nel bel mezzo di un temporale, magari anche con il rombo di un tuono e un fulmine a illuminare l'ingresso nel momento in cui il telefono prese a squillare.
No, era semplicemente un caldo pomeriggio d'estate come tanti altri.

Nostro padre era uscito per fare la spesa dato che quel giorno, essendo domenica,non doveva lavorare.
Lo aspettammo per quattro ore, poi, quando ci eravamo decisi a provare a chiamarlo per chiedergli il motivo di tutto quel ritardo, squillò il telefono.

Subito io e Sumire pensammo che dovesse essere lui, ma quando raggiungemmo l'ingresso, il Dodo aveva già alzato la cornetta.

Il suo sguardo era vacuo, vuoto, come se ormai dentro quel corpo non fosse rimasto più nulla del ragazzo che era fino a solo poche settimane prima.

E quando terminò la chiamata non disse una parola al poliziotto che aveva parlato con lui per tutto quel tempo, semplicemente alzò lo sguardo verso di noi e ci porse la cornetta del telefono.

"Vostro padre è stato coinvolto in un'incidente stradale."

Le parole di quell'uomo furono incredibilmente fredde e professionali, come se fosse seccato di dover fare una cosa del genere e sperasse solo che tutto finisse al più presto.
Forse se fosse ci avesse fatto le condoglianze o avesse mostrato anche solo un briciolo di emozione, sarebbe stato meno doloroso.

Il funerale ci fu quella settimana stessa.
Partecipammo tutti, anche il Dodo, ma lui non disse niente, dalle sue labbra non uscì nulla, neanche una parola di addio per nostro padre.
Sumire si infuriò, dicendo che fosse un ipocrita e che non si fosse meritato tutto ciò che noi abbiamo fatto per lui, io invece pensai che, al contrario, tra tutti noi, lui doveva essere quello più triste, sopratutto considerando ciò che aveva passato quando era piccolo e quello che stava passando tutt'ora a causa di quello stupido articolo di giornale.

Certo, quell'uomo non era davvero suo padre e aveva passato con lui solo gli ultimi sei anni, ma gli voleva bene, davvero bene, e il fatto che al suo funerale non avesse versato una sola lacrima non dimostra nulla.
Perché io non l'avevo mai visto piangere in tutti questi anni e, nonostante probabilmente non riuscirò mai a capire fino in fondo come si debba essere sentito quel giorno, posso immaginare il senso di sconforto e depressione che deve aver provato nell'avere dentro di sé tante lacrime, tanta tristezza, e il non riuscire a liberarsene dandovi sfogo.

Sumire si lamenta sempre dicendo di essere troppo emotiva e che vorrebbe smetterla di scoppiare in lacrime per ogni cosa, ma allora io mi chiedo quanta debba essere invece la frustrazione di chi vorrebbe piangere, ma non ci riesce, ed è così costretto a portarsi tutto dentro per sempre.

- Ci manderanno in un orfanotrofio. - Ci annunciò Sumire il giorno dopo.

Papà non aveva fratelli e i suoi genitori erano morti diverso tempo prima, così non avevamo altri familiari da cui stare.

- Non possono farlo! - Esclamai incredulo.

Però ovviamente lo sapevo che potevano benissimo.

Sumire aveva diciassette anni, quindi ci sarebbe rimasta per poco tempo.
Io e il Dodo per un po' di più, ma comunque non molto.
Però non riuscivo a smettere di pensare ai tre fratellini, loro erano usciti da un orfanotrofio solo due anni prima e ora sarebbero stati costretti a tornarci per tanti altri lunghi anni.
Non era giusto.
Tutto ciò non era affatto giusto.

Sarebbero venuti a prenderci dopo dieci giorno, per darci così il tempo di fare le valige con calma e sistemare gli scatoloni, mentre loro concludevano le pratiche e preparavano le camere.

Mancavano ancora sei giorni quando vidi il Dodo fermo davanti alla credenza nella quale papà teneva tutti i farmaci.

- Ti senti male? - Gli chiesi.

Lui scosse leggermente il capo.

All'inizio non diedi peso alla cosa, ma quando quella sera lo rividi sempre lì iniziai seriamente a preoccuparmi.

- Ehi, che succede? - Gli chiesi posando a terra nel corridoio lo scatolone che stavo portando all'ingresso e avvicinandomi a lui.

Lui semplicemente alzò l'indice indicando i farmaci posti nello scaffale più alto.

- Che vuoi farci con quelli? - Chiesi corrugando la fronte. - Sono solo sonniferi e farmaci ipnotici, si usano per anestetizzare. -

Vidi i suoi occhi sgranarsi leggermente e il fantasma di un sorriso comparire sul suo viso.

In quel momento ricordo che pensai che non c'è cosa peggiore della pazzia generata dalla tristezza e dalla disperazione.
Perché è l'unico tipo di pazzia dal quale difficilmente si riesce ad uscire.
Perché più assecondi quel bisogno di causare dolore e sofferenza, più ne senti il bisogno, più diventa difficile smettere, come una droga.
E la cosa peggiore è che sembra tutto giusto, tutto incredibilmente giusto.

- Non puoi prenderli. - Dissi pur non avendo ancora capito capito cos'avesse avuto intenzione di farci. - Sono pericolosi, se ne usi anche solo un briciolo di troppo rischi di farti seriamente male. Possono portare alla morte, o come minimo al coma. -

E con queste parole pensai di essere finalmente riuscito a dissuaderlo da qualsiasi fosse stato il suo intento.

Capii di aver fatto un errore madornale quando lui alzò nuovamente gli angoli delle labbra, in quello che forse un tempo si sarebbe potuto definire "sorriso"...

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