.2.
Erano appena usciti dall'obitorio quando John parlò. «Quindi cosa pensi che sia?» chiese, con tono curioso. Quello che avevano appena visto lì dentro non gli pareva arrivare a nessuna conclusione razionale. Le vittime non erano collegate, non si sapeva perché fossero morte tutte all'improvviso.
«Un ottimo caso.» rispose lui, con un sorriso compiaciuto stampato in faccia. L'amico sbuffò roteando gli occhi verso l'altro, che non fece caso al gesto. Sherlock si incupì all'improvviso, nella sua espressione usuale di serietà costante, per poi guardare il compagno. «John, devo controllare un paio di faccende con mio fratello riguardo questo caso, una cosa che vuole che rimanga tra me e lui, quindi-»
«Me ne vado, certo.» rispose in fretta lui, allontanandosi. Sapeva già che quando il collega voleva essere lasciato da solo, era molto meglio se lo era, non solo per lui, ma per tutti. Nessuno voleva un sociopatico stressato intorno, d'altronde. «Vado a fare compagnia alla signora Hudson, ti aspetto lì.»
Lui annuì, salutandolo con la mano sinistra. Si avviò poi verso un edificio, che ovviamente non era dove viveva il fratello. In realtà, doveva controllare un'ultima cosa riguardo quell'indagine, un piccolo particolare che doveva essergli sfuggito. Entrò, e salì le scale più che poté, finché non arrivò in cima. Quello era un magazzino abbandonato, ma quelli che non tutti sapevano era che lì dentro tutte le vittime avevano messo piede, prima di morire. Lì avrebbe trovato qualcosa che si potesse relazionare al suo caso, ne era sicuro.
Cominciò a rovistare nelle casse di legno, sui mobili, tra le cose sparse sul pavimento, ma con scarsi risultati. Allora provò a guardare sui muri e sul soffitto, nei cassetti e negli sportelli. La maggior parte contenevano un mucchio di oggetti comuni e inutili all'indagine, ma in una credenza trovò uno strano oggetto di forma cilindrica, con del liquido blu piuttosto denso al suo interno, intervallato da strutture di metallo e una piattaforma circolare che si alzava e si abbassava sempre alla stessa velocità. Sentì la tentazione di prenderlo fuori, ma sapeva che non era più solo.
«Hai qualcosa che mi serve.» disse la voce dietro di lui. Era maschile, profonda, e del tipo che sapeva bene di cosa stava parlando. Si girò lentamente, per notare un uomo più alto di lui, sai capelli corti e color biondo cenere e di aspetto robusto. Aveva una pistola in mano, puntata verso di lui, fermamente tenuta tra le sue mani. Ovviamente non era la prima volta che sparava.
Rimase fermo per qualche secondo, per poi fare un passo, notando che l'altro si era irrigidito. Si fermò, per poi cercare di comunicare con lui. «Anche tu.» rispose, causando nel biondo un sopracciglio inarcato. «Mi servono informazioni.» aggiunse, continuandolo a scrutare con attenzione. Si accorse che aveva gli occhi verdi, con alcune sfumature castane al dipendere della luce.
«Che tipo di informazioni?» chiese lui senza abbassare la guardia.
Sherlock sbuffò, fermandosi e mettendosi le mani nel cappotto blu. «Questo è il caso più strano a cui abbia mai lavorato, e tu sai molto più di me in proposito.» disse, guardandolo dritto negli occhi. Lui strinse i denti in un movimento impercettibile della mascella, per poi leccarsi le labbra, indeciso su cosa dire.
Alla fine, parlò. «Tu sei Sherlock Holmes.» disse, avvicinandosi di qualche passo, senza abbassare la pistola. L'uomo di fronte a lui annuì, sorridendogli. «Sei un personaggio dei libri di un tizio vissuto nell'ottocento. Come fai a essere reale?» chiese, probabilmente ragionando ad alta voce. Il diretto interessato non capì subito cosa stesse dicendo, tanto che non fece in tempo a dire nulla che lui aveva già aggiunto qualcos'altro. «Mio fratello ti adora.»
«Suo fratello? L'agente Page è il fratello di un uomo chiamato "Bronham"?» chiese, con un semplice tono di curiosità. Sotto, però, si sentì un tono tagliente, sarcastico. Il biondo strinse ancora la mascella. Il più basso tirò fuori dalla tasca un oggetto, e lo allungò all'uomo. «Vi do' un consiglio: non usate cognomi falsi prendendoli da membri dei Nirvana.»
Il più alto mise giù la pistola e si avvicinò attentamente, strappando dalle mani dell'investigatore il badge finto del fratello e mettendoselo in tasca. Fatto quello, gli puntò di nuovo la pistola contro. «Nessuno l'ha mai notato.» disse velocemente, guardandolo dal basso all'alto, come per scrutarlo.
Lui sorrise. «Io non sono una persona comune.» rispose, alzando le spalle. In risposta, lui annuì leggermente. A quel punto, Sherlock sbuffò. «Potrebbe mettere giù quella pistola?» domandò, piegando leggermente la testa di lato. «Non voglio farle del male, gliel'ho già detto. Voglio solo informazioni.»
«Comincia con le domande.» ordinò, con lo sguardo fisso su di lui.
Alzò gli occhi al cielo, ma fece come gli aveva richiesto. «Cosa sta succedendo?» chiese infine.
«Non lo sappiamo, ma pensiamo che un demone abbia qualcosa a che fare con tutto questo.» rispose, allentando la presa sulla pistola. Cominciava a essere sicuro di potersi fidare di lui, cosa che poteva servire a entrambi.
Ma il senso di quella frase non raggiunse il detective. «Un demone?» chiese, con il suo solito tono scettico e cinico. Ovviamente non gli credeva, i demoni non esistevano, erano solo creature mitologiche appartenenti all'immaginario horror. Precedentemente erano presenti nella gerarchia delle creature mistiche della cristianità, poi vennero adottati anche nella letteratura, ma non avevano assolutamente nulla di reale. Non era minimamente possibile che quell'uomo avesse detto una cosa simile.
«è quello che ho detto.» Rispose lui, senza muovere un singolo muscolo. Ancora non si fidava di lui, per niente. Ancora non spostava la pistola, presumibilmente carica, dalla sua fronte. Ancora non credeva in lui completamente.
Però, queste cose a Sherlock non interessavano. Voleva soltanto sapere il motivo per cui un uomo che sembrava così aggrappato alla realtà e alla materialità credesse nei demoni, creature irreali. «I demoni non sono reali.» Disse quindi, determinato a ottenere informazioni a riguardo. «Sono soltanto creature irrealistiche create dalla religione, come gli angeli e il diavolo. Non esistono.»
A sua sorpresa, sul viso del biondo si formò un sorriso divertito. «Saresti sorpreso del grado di realtà di quelle "creature irrealistiche". Ognuna di loro esiste: angeli, demoni, arcangeli, tutti loro.» Spiegò, evidenziando ogni parola, in modo che non ci potessero essere equivoci di alcun tipo.
«Non è possibile.» Ripeté l'altro, ancora convinto della sua idea di visione del mondo. I demoni erano esseri di cui avevano paura i bambini, nessuno di loro ha una vita reale riscontrata da nessuna parte, così come i fantasmi, i vampiri o i lupi mannari. Erano solamente una storiella per spaventare le persone.
Il biondo abbassò infine la pistola metallica e la mise in una tasca interna della sua giacca. «Satana ha usato mio fratello per realizzare l'Apocalisse biblica. Nel suo corpo.» Disse, scansionando bene le parole con un tono quasi spezzato, come se quell'episodio riportasse alla sua mente ricordi largamente spiacevoli. «Fidati, sono reali come me e come te.»
Lui lo squadrò assottigliando gli occhi, con uno sguardo leggermente confuso. L'uomo si leccò le labbra, che stavano diventando enormemente secche. Era spesso in situazioni simili, ma di certo non con un personaggio come Sherlock Holmes. «Perché dovrei fidarmi di lei?» chiese, con un tono di genuina curiosità.
Incrociò le braccia, piegando leggermente la testa verso sinistra, per poi sospirare e lasciando andare gli arti superiori lungo i fianchi. «Perché non hai altra scelta.» Rispose, alzando le spalle. In quel comportamento, Sherlock riuscì a intravedere un comportamento di indifferenza a riguardo, come se non avesse nient'altro da perdere. Quell'uomo aveva recentemente perso qualcuno di importante ed era in lutto da allora. Ma non gli chiese nulla, non era quello che voleva sapere.
«Sa qualcosa su questo demone?» chiese, cercando di non ascoltarsi mentre diceva delle affermazioni del genere. Non gli piaceva parlare in quel modo di creature inesistenti, voleva solamente andarsene e usare la ragione per risolvere quello strano caso in cui si era imbattuto, ma quell'uomo sembrava sapere molto più di chiunque altro. Doveva dare una possibilità anche a quell'ipotesi, per quanto gli sembrasse impossibile.
Si grattò il retro del capo, chiedendosi se poteva dirgli tutto. Non sapeva se era umano, né se era il vero Sherlock Holmes. Non aveva ragioni di fidarsi di lui, ma, d'altronde, nemmeno lui aveva ragioni di fidarsi. «Penso che sia il Re dell'Inferno, ma io e mio fratello ci stiamo ancora lavorando.» Disse infine, mentre sospirava.
Lo guardò con un'espressione accigliata. «Il Re dell'Inferno?» chiese, ovviamente confuso. Non sapeva nemmeno dell'esistenza di un monarca di quella dimensione, o della realtà di quel mondo. Pensava che fosse solo una dimensione irreale in cui andavano le persone che non avevano rispettato le leggi di Dio, ma, a quanto pare, non era così.
«Sì.» Rispose semplicemente lui, per poi spiegare meglio. «Lo conosciamo, era-» si interruppe bruscamente, «è un nostro alleato. Era morto, ma adesso sembra che sia tornato da qualche giorno in uno strano modo, e siamo venuti qui per investigare.»
«Perché qui?» chiese il più basso, volenteroso di scoprire di più sul comportamento di quel loro avversario. Perché adesso era solo questione di tempo, prima che potessero collaborare per risolvere quel caso, se lo sentiva in ogni fibra del suo corpo.
«La sua tomba è in Scozia.» spiegò lui, sospirando. Ovviamente non gli piaceva condividere informazioni di quel calibro con uno sconosciuto. «Abbiamo cominciato là, poi abbiamo sentito del tuo caso e abbiamo deciso di venire qui per saperne di più a riguardo.»
«Perché si sta fidando tanto di me?» chiese non appena l'altro ebbe finito la spiegazione. Aveva ascoltato, ma prima voleva sapere perché stava facendo così tanti sforzi per lui, visto quello che provava nei suoi confronti. Non si fidava per nulla di lui, eppure gli stava illustrando ogni particolare del lavoro suo e di suo fratello.
Lui sembrò leggermente confuso dalla domanda improvvisa del detective, che certamente non si riferiva al caso che stavano trattando. «Mi scusi?» chiese, assottigliando gli occhi per far capire ancora di più che doveva spiegarsi.
Sherlock sospirò leggermente, ma rispose alla domanda. «Queste sono informazioni importanti. Perché le sta condividendo con un completo sconosciuto?» si spiegò meglio, sperando che stavolta l'agente avrebbe capito.
«Sei Sherlock Holmes.» fu tutto quello che rispose, lasciando spiazzato l'investigatore. Non sapeva cosa volesse dire, ma non fece in tempo a parlare che l'altro aggiunse una frase. «So di potermi fidare di un detective come te.»
«Come scusi?» chiese, alzando un sopracciglio. Sapeva di essere "famoso" ma non di certo in quel modo, e sicuramente non oltreoceano. Qualcosa riguardo quell'uomo gli puzzava, ma non disse nulla. Sapeva che non era un poliziotto o un agente dell'FBI, soprattutto a causa dei segni sul suo corpo. Erano stati causati da arnesi comuni, di certo non quelli all'avanguardia che l'agenzia segreta metteva a disposizione a tutti gli agenti. Inoltre, le occhiaie sotto i suoi occhi verdi sottolineavano il fatto che dormiva poche ore, cosa che i capi di un'organizzazione grossa e severa come l'FBI non avrebbe mai permesso.
«So che vuoi risolvere questo caso per il bene di tutti,» lo interruppe dai suoi pensieri, «non vuoi uccidermi. In caso contrario, sarei già morto.» constatò, avvicinandosi di più al detective. Ovviamente nessuno dei due si fidava dell'altro, ma in quel momento non avevano davvero molta scelta.
«I libri raccontano anche questo?» domandò, con tono curioso. Intanto, osservò anche i suoi vestiti. Non era più in divisa, aveva un paio di strati di vestiti con una giacca di pelle sopra di essi, consumata e leggermente larga per lui. Probabilmente apparteneva a suo padre e lui l'aveva tenuta per ricordarlo, o per assomigliargli.
Lui sorrise. «Dicono che sei un brav'uomo.» rispose. Poco dopo, piegò la testa di lato inclinandola di pochi gradi verso destra. «Con un carattere particolare, ma un brav'uomo.» aggiunse, quasi con un tono divertito.
«è stato suo fratello a dirle come quei libri narrano le mie vicende?» chiese quindi, quasi sorpreso dal fatto che lo conoscesse così bene. Voleva nascondere, forse, che lui avesse letto quei libri, ma si vergognava di parlarne. «Sembra che lei mi conosca già molto bene.» aggiunse, incrociando le braccia sul petto.
Lui ridacchiò, gettando un veloce sguardo dietro di lui. «Beh, ne ho letti un paio.» rispose, in mezzo a un sospiro. Quell'azione stava quasi a voler dire che fosse a disagio in quella situazione, addirittura provato, da qualcosa che non riusciva a capire.
Detto quello, lui alzò lo sguardo verso la finestra, e si sbrigò ad avviarsi verso la porta, ma Sherlock lo fermò. «Chi è lei?» domandò, condendo la domanda con immensa perplessità. Poteva aver capito diverse cose di lui, ma non il suo vero nome. «Sa tutto di me, l'unica cosa che io so di lei è che combatte dei demoni e ha un fratello che è stato posseduto dal Diavolo.» si spiegò una volta che ebbe catturato l'attenzione di quegli occhi verdi. «Cosa siete voi veramente?»
Gli rivolse un mezzo ghigno. «Sono Dean Winchester.» disse dopo una lunga attesa, probabilmente a causa della scelta accurata delle possibili opzioni che poteva usare. «Il nome di mio fratello è Sam. Siamo cacciatori.»
«Cacciatori di demoni?» chiese, organizzando tutte le informazioni che aveva raccolto in quella strana conversazione. Non avrebbe mai pensato di poter credere in una cosa di quel tipo, non era mai stato il tipo per farlo.
«Fantasmi, demoni, spiriti, ogni tipo di essere soprannaturale.» spiegò, alzando le spalle, come se lo stesse spiegando per l'ennesima volta e, forse, era davvero così. Si chiese se una persona come lui poteva aver avuto così tanti incontri.
«Ovviamente.» sussurrò, tenendo gli occhi fissi su di lui, anche mentre se ne stava andando. «Ci vedremo presto, Dean Winchester.» disse tra sé e sé, una volta che l'uomo biondo chiuse la porta. Dopotutto, forse, gli americani non erano così male.
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Non era da molto che Sam era tornato nella camera del motel che avevano intenzione di prenotare per un paio di giorni. Era rimasto fino ad allora con la signora Hudson, che gli aveva raccontato come si stava comportando recentemente il presunto signor Holmes. Se davvero l'uomo che gli aveva rubato il distintivo era Sherlock Holmes, se lo immaginava differentemente, ma era molto probabile che la sua immagine fosse distorta dall'idea di eroe che aveva di lui. Si era ispirato a lui, sin da quando aveva quindici anni. A quell'età, già doveva imparare ad analizzare le prove che si trovavano su una scena del crimine, e leggere dei romanzi gialli di quella portata lo aiutarono immensamente. Quello che gli venne detto dalla donna, però, lo disturbarono notevolmente. Quell'uomo era un drogato, tossicodipendente e ritenuto pazzo da più gente. Nonostante tutto, però, nella voce della Hudson si notò una dolcezza caratteristica di una madre. Ovviamente erano incredibilmente legati, ma sembrava che l'uomo non si curasse molto di questo fatto.
Il moro si sedette sulla sedia di fronte al tavolo, lanciando con cura sul tavolo i documenti che doveva riassumere e analizzare. Era sempre stato compito suo, che dovesse farlo sul computer o su carta. Gli piaceva però, gli ricordava i tempi passati all'università di legge, che ora sembravano così lontani. Sorrise mentre prese fuori le prime testimonianze delle persone che avevano interrogato riguardo le uccisioni, per poi sentire all'improvviso la porta chiudersi.
Alzò lo sguardo di colpo, per vedere la figura robusta del fratello che si stagliava sulla porta. Gli rivolse uno sguardo rassicurante, mettendo la mano nella tasca della giacca, tirando fuori il distintivo rubato e lanciandolo sul tavolo. «Il tuo falso distintivo è salvo.» Disse, avanzando verso la sedia di fianco a lui, sedendosi e mettendo le gambe sul tavolo, cercando di rilassarsi.
«L'hai trovato?» chiese il fratello, alzando un sopracciglio. Sapeva che non era un bene parlargli in quei giorni, soprattutto da quando avevano scoperto che Asmodeus aveva catturato Castiel e Lucifero, ma aveva bisogno di sapere che non si fosse cacciato di nuovo nei guai.
Lui sbuffò. «Sì." Rispose, tra un sospiro e l'altro. «Ho trovato Sherlock Holmes." Fece una breve pausa, cercando di spiegare quello che era successo. Sapeva già che il fratello non l'avrebbe presa bene. «E gli ho spiegato cosa sta succedendo. Non so se ci crederà o accetterà di aiutarci, ma spero che lo faccia.»
Il più piccolo lo guardò con gli occhi assottigliati. «Cos'hai fatto?»
«Gli ho spiegato cosa sta succedendo.» Rispose il biondo, come se fosse una domanda semplice a cui rispondere. «Ora sa tutto riguardo demoni, Crowley e il motivo per cui siamo qui.» Concluse, incrociando le braccia sul petto e continuando ad osservare il fratello, il quale era sbalordito.
Chiuse gli occhi per pochi secondi, gesticolando velocemente con le braccia. «Aspetta un momento.» Richiese, per poi allungare la mano verso di lui, come per capire quello che aveva appena detto. «Tu hai fatto una chiacchierata con Sherlock Holmes – quello descritto nei libri di Arthur Conan Doyle – riguardo il nostro lavoro e questo caso in particolare?»
«è quello che ho detto, sì.» Confermò lui, con tono sarcastico. Ovviamente, per lui non era un grande problema, ma Sam la vedeva in maniera completamente diversa. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, però, il fratello più grande lo bloccò. «Sammy, ascoltami. Crowley è disperso, Castiel è prigioniero di Asmodeus all'Inferno con Lucifero, Jack è chissà dove ricercato da Paradiso e Inferno e non siamo nemmeno in America. Non sappiamo nemmeno da dove cominciare su questo caso, okay? Abbiamo bisogno di aiuto, e al momento lui è uno dei pochi che è in grado di farlo.»
L'altro si appoggiò allo schienale della sedia, guardando in alto e strofinandosi la faccia con la mano destra. «Quindi la tua migliore idea è coinvolgere Sherlock Holmes e farci aiutare da lui?» chiese, cercando di non impazzire. Per di sé, non era una cattiva idea coinvolgere uno dei detective migliori mai esistiti, ma avrebbe preferito essere consultato prima.
«Hai un'idea migliore?» chiese il fratello, alzando un sopracciglio. Sam non fiatò. «Come pensavo.» Disse lui, alzandosi e avviandosi verso la porta, tirando fuori dall'interno della giacca un plico di fogli. «Adesso vieni con me e aiutami, ho delle novità.»
Il moro si sbrigò e lo raggiunse velocemente. «Cosa sono?» chiese, prima di leggerli.
«Ho trovato questi all'obitorio.» Spiegò lui pazientemente. "Holmes stava cercando una connessione tra le sette vittime uccise la scorsa notte." Disse, mentre Sam stava osservando con attenzione alcuni fogli che il fratello gli aveva allungato.
«Ha trovato nulla?» chiese, mentre leggeva ogni documentazione di ogni cadavere, cercando delle connessioni, ma senza troppo successo.
«Non molto.» ripeté brevemente, sedendosi sul divano. «I cadaveri sono perfetti: niente tagli, o ferite da armi da fuoco, o malattie di qualsiasi genere.» Spiegò, allungando una mano sulla fronte. Quel caso lo stava davvero esaurendo a livello spirituale.
«Proprio nulla?" chiese ancora il moro, guardando il fratello.
Lui scosse la testa. «Così sembra.» Rispose, ricambiando lo sguardo poco dopo. «Tu hai scoperto qualcosa con la signora?»
«Non molto.» Disse, sospirando. «Conosceva un paio di persone, ma erano ottimi cittadini. Non avevano commesso nemmeno un crimine, erano persone normali.» Spiegò con attenzione, raggiungendo il fratello vicino al divano, sedendosi sulla sedia di fronte a lui.
Dean sbuffò. «Non abbiamo nulla.»
Sembrava scocciato, e ne aveva tutto il diritto. Stava succedendo un casino nelle loro vite, più del solito, e un caso complicato come quello di certo non aiutava. «Solo per ora, Dean. Forse dobbiamo solo scavare più in fondo e scopriremo qualcosa.» Cercò di calmarlo il più piccolo, vedendo che si stava abbattendo esageratamente.
«Va bene, concentriamoci su questo.» Disse, scuotendo la tesa e allungando una mano davanti a lui, con il palmo verso il basso. «Sette persone morte a Londra, tutte nello stesso istante subito dopo che noi veniamo qui a cercare Crowley. Non può essere una coincidenza.»
«E hai parlato con Sherlock Holmes.» Aggiunse il più piccolo, incrociando le braccia e connettendo tutte le informazioni.
Il biondo piegò leggermente la testa di lato. «Sì, anche quello.» Concordò. «Scommetto tutto quello che vuoi che qui c'è un altro giocatore.» Aggiunse, unendo le mani e mettendole tra le ginocchia.
Ci pensarono leggermente su, poi Sam parlò. «Moriarty?» azzardò, causando un'espressione confusa sul viso del fratello maggiore. «L'antagonista principale di Sherlock Holmes.» Spiegò, roteando gli occhi e sospirando.
«Potrebbe essere lui.» Ammise lui, pensandoci leggermente su. Non sarebbe certo una novità se il nemico principale di Sherlock Holmes avesse deciso di uccidere sette persone. Avrebbe dovuto fare un patto con un demone, però.
«Crowley lo sta aiutando, forse.» ipotizzò il moro, per poi correggersi. «Insomma, non può fare tutto questo da solo, è molto oltre le sue capacità. C'è qualcuno o qualcosa che lo sta aiutando sicuramente.» spiegò, cercando di mantenere gli occhi fissi sul fratello, che intanto si era alzato e aveva cominciato a camminare avanti e indietro.
Si fermò all'improvviso. «Non è il modo di lavorare di Crowley.» sussurrò, forte abbastanza perché il fratello lo potesse sentire.
Sbuffò, corrucciando la fronte. «Non abbiamo una pista migliore, Dean.» gli ricordò, sperando che potessero finire presto di lavorare su questo caso, che gli stava già bruciando il cervello. Non aveva più senso nulla di quello che gli stava succedendo intorno.
A quel punto, il biondo guardò il più piccolo negli occhi. «Ne troveremo una, Sammy, come abbiamo sempre fatto.» disse, con tono quasi dolce. A volte aveva questi attacchi per cui cominciava a essere più tenero del solito, soprattutto con il fratello minore e Castiel. «Per qualsiasi ragione Crowley sia qui, non è per fare squadra con Moriarty o come cazzo si chiami, fidati.»
Lui sospirò, battendo le mani per pochi microsecondi, per poi alzare di nuovo lo sguardo verso il più grande. «Perfetto.» disse, muovendo la testa a sinistra portandola poi alla sua posizione originale dopo pochi secondi. «Hai qualche idea?»
Lui sorrise. E quando Dean Winchester sorride, può accadere una cosa estremamente positiva o una catastrofe a livello apocalittico. «Una, a dire la verità.» Dopo averlo detto, si avviò verso la porta, e aspettò che il fratello lo seguisse. Con sua sorpresa, Sam non si mosse. Rimase lì a guardare il tavolo, con aria stanca. Era da un po' che aveva quell'espressione, ma non poteva biasimarlo. Quand'è stata l'ultima volta che avevano dormito per più di un'ora di fila, dopotutto?
Quando il moro si accorse delle aspettative del più grande, lo guardò e gli sorrise. «Tu vai.» disse, capendo che tutta la faccenda dell'allearsi con Sherlock gli stava molto a cuore. «Io cercherò di capire un paio di cose tra quelle che le persone ci hanno raccontato. Inoltre, sono troppo stanco per fare qualsiasi cosa tu abbia in mente.» spiegò, sorridendogli debolmente. In quei giorni, faceva fatica a fare persino quello. Aveva un immenso bisogno di dormire, ed era nei suoi piani non appena finito con le ricerche. «Ti sarei solo d'intralcio.»
Lui annuì, comprensivo. «Okay, ci vediamo stasera, allora.» disse soltanto, prendendo successivamente la giacca e chiudendo rumorosamente la porta dietro di lui. Il fratello lo osservò finché la sua figura non scomparve e i suoi passi non causarono più rumore, pensando a quanto fosse forte a sopportare tutto questo peso da solo. Lo aveva sempre fatto e continuerà a farlo, ma per lui desiderava soltanto che, una volta nella sua vita, fosse felice. Lo aveva visto così quando Castiel era tornato: felice. Sospettava da tempo che tra i due ci fosse qualcosa di più dell'amicizia, e ne ebbe la prova quel giorno. Però, testardo come era il fratello, non avrebbe mai ammesso di provare sentimenti per il suo migliore amico.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del cellulare. Guardò il numero, non registrato. Si chiese chi poteva mai essere. «Pronto?» rispose, aspettando che l'altra persona gli potesse dire chi fosse.
Sentì una piccola e flebile risata, che gli congelò il sangue nelle vene. Non poteva essere lui, non ancora. «Hey, Sammy.» disse, confermando tutti i timori dell'uomo. Non voleva avere a che fare con lui un'altra volta, era già successo troppo spesso, e nessun tentativo era andato a buon fine. Però, cercò di raccogliere il coraggio per rispondere.
«Lucifero.»
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AN: yEeEeEeEeE si sono incontrati I'm happyee OuO
Also ho tutto pianificato fino tipo al quinto capitolo and beyond adoro programmare tutto sotto forma di dialoghi colorati pyango ryp.
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