48|| L'Empatia Di Un Dio
𝕮𝖔𝖓𝖙𝖗𝖔𝖑𝖑𝖆𝖛𝖔 𝖑𝖊 𝖛𝖎𝖙𝖊 𝖉𝖎 𝖆𝖑𝖙𝖗𝖊 𝖕𝖊𝖗𝖘𝖔𝖓𝖊, 𝖚𝖓 𝖕𝖔𝖙𝖊𝖗𝖊 𝖉𝖎 𝖛𝖎𝖙𝖆 𝖔 𝖉𝖎 𝖒𝖔𝖗𝖙𝖊. 𝕷𝖊 𝖆𝖛𝖊𝖛𝖔 𝖎𝖓 𝖕𝖚𝖌𝖓𝖔. 𝕼𝖚𝖆𝖓𝖉𝖔, 𝖉𝖔𝖕𝖔 𝖎 𝖕𝖗𝖎𝖒𝖎 𝖖𝖚𝖎𝖓𝖉𝖎𝖈𝖎 𝖔𝖒𝖎𝖈𝖎𝖉𝖎 𝖓𝖔𝖓 𝖛𝖊𝖓𝖓𝖎 𝖘𝖈𝖔𝖕𝖊𝖗𝖙𝖔, 𝖕𝖊𝖓𝖘𝖆𝖎 𝖈𝖍𝖊 𝖋𝖔𝖘𝖘𝖊 𝖒𝖎𝖔 𝖉𝖎𝖗𝖎𝖙𝖙𝖔. 𝕸𝖎 𝖓𝖔𝖒𝖎𝖓𝖆𝖎 𝖌𝖎𝖚𝖉𝖎𝖈𝖊, 𝖆𝖈𝖈𝖚𝖘𝖆𝖙𝖔𝖗𝖊 𝖊 𝖌𝖎𝖚𝖗𝖆𝖙𝖔. 𝕮𝖔𝖘ì 𝖉𝖎𝖛𝖊𝖓𝖓𝖎 𝕯𝖎𝖔
-Donald Harvey
Iblīs non era altro che un cadavere che si rifiutava di decomporsi.
Lo aveva realizzato molti anni prima, quando la vecchiaia aveva evitato la sua porta per andare a bussare a quella di tutti gli altri. Per qualche tempo, era stato felice della sua immortalità.
Cosa poteva desiderare di più? Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per fare tutte quelle cose che aveva sempre amato. Il problema, però, era che col tempo Iblīs aveva smesso di amare.
Il tempo gli era divenuto nemico, strappandogli dalle braccia ogni cosa. Aveva iniziato con gli hobby, le sue passioni più viscerali, rendendoli miseri e ormai noiosi; quindi si era accanito sui ricordi, quelli piacevoli e rassicuranti, accertandosi che Iblis rimanesse senza.
Più gli anni passavano, quindi, e più i Re si era ritrovato a studiare la propria condizione. Alle volte, quando l'insonnia ancora non l'aveva sconfitto, controllava che non vi fossero vermi appesi alle sue carni.
Adesso che era davvero nel mondo dei morti, ora che la bilancia di Osiride rifletteva il lilla dei suoi occhi, si sentiva stranamente irrequieto. Non era questo ciò che avevi sempre voluto? Si era domandato lui, facendo un passo avanti.
In realtà il Re conosceva perfettamente la risposta. Aveva avuto un piccolo assaggio di cosa significasse esser sani, tornare umani, e ora il pensiero di morire lo tormentava.
Con tutta onestà, Iblīs non ricordava come fosse finito lì. Rammentava la voce sottile del sacerdote, il sorrisetto soddisfatto di Uraeus e poi un paio di occhi inumani, cupi, che contenevano tutte le stelle del cielo.
Osiride era stata la prima figura che aveva visto, al suo risveglio.
Non gli aveva parlato, si era limitato a fissarlo come in attesa di qualcosa, di qualcuno. Iblīs, che negli dei aveva smesso di fare affidamento molto tempo prima, aveva deciso che non gli importava.
Forse la sua condanna sarebbe stata il rimanere lì per sempre, a fissare il volto di un dio che con molta probabilità gli aveva rovinato l'esistenza.
"Sono curioso," aveva sibilato Osiride, stringendo gli occhi in due piccole, aguzze, fessure. La voce incorporea del dio era parsa più simile al boato di un tuono che a un rumore umano. Iblīs aveva sentito i peli sulle braccia drizzarsi mentre il suo senso senso, forse l'unico rimastogli intatto, faceva suonare campanelli d'allarme.
"Desideri la morte? Quando chiudi gli occhi, preghi di esser mandato nei campi Aaru?" Aveva inclinato la testa di lato, facendo tremare l'atmosfera che lo circondava. Il Re non aveva la minima idea di come il trono sul quale il dio sedeva riuscisse a reggere il peso di un corpo tanto grande.
Dopotutto, però, non si trovava di certo davanti a un prodotto umano.
Iblīs si era leccato le labbra secche, screpolate, aggrottando le sopracciglia.
"Ha importanza?" Aveva mostrato le due file bianchissime di denti, sorridendo come solo lui faceva. Due piccole fossette gli avevano incavato le guance, facendolo sembrare ancor più scarno.
"Tutto ha importanza e nulla ha peso, siete voi umani a decidere."
"Se dicessi di no, mi lasceresti vivere? Ho pregato per anni di morire, eppure mai sono stato ascoltato. Ciò che voglio non importa, non è mai importato. Non ti è mai importato. Domande simili sembrano solo una grande presa in giro."
Osiride lo aveva lasciato parlare, l'espressione imperturbabile nonostante un umano, o quel che un tempo lo era stato, gli parlava informalmente.
"Tu mi disprezzi." Non era stata una domanda, ma una semplice constatazione. Non serviva essere una divinità per sentire la lacerante rabbia che Iblis covava in petto.
"Tu mi hai disprezzato per primo," aveva sputato a terra, se terra era, scuotendo maniacalmente la testa, "mi hai odiato quando mi hai donato l'immortalità, e mi odi ora, togliendomela."
Mentire non avrebbe avuto senso, giusto? Non ora che ormai la sua situazione era irrecuperabile. Ma lo era davvero? Osiride aveva sorriso, lui che tutto sapeva e tutto poteva, nel prevedere gli eventi futuri.
"Se non avessi incontrato l'umana, ora non vorresti vivere."
Iblīs si era sentito mancare alla menzione di Asteria. Si era leccato nuovamente le labbra, cercando di trovare una qualche sua traccia. Quando era stata l'ultima volta che l'aveva baciata? Il non riuscire a ricordare lo aveva abbattuto.
La sua memoria, ora più fragile di prima, gli presentava una Asteria sfumata, opaca, che sfuggiva ai sensi. Non ricordava tutti quei dettagli cromatici che era sicuro avessero i suoi occhi, così come faceva difficoltà nel figurarsi il suo sorriso.
Aveva avvicinato le ginocchia al petto, stringendole tra le braccia mentre si dondolava lentamente. L'ombra di un sorriso gli aveva incupito il volto mentre piangeva.
"Se non mi avessi reso immortale, ora non vorrei morire."
Con la mano aveva cercato di toccarsi il petto, alla ricerca del cuore, trovando solo un'orrenda cicatrice. Dov'era finito il suo organo più prezioso? Confuso, aveva voltato lo sguardo accusatorio verso il dio.
Forse era stato lui a rubarglielo, così da poterlo comparare con l'infausta piuma. Sapeva che non sarebbe finito in paradiso, quindi perché non risparmiargli la scena?
"Sta arrivando." Aveva mormorato la divinità, senza prestargli attenzione.
"Cosa?" Aveva sentito la pelle formicolare e la testa pulsargli mentre il petto gli doleva.
Osiride aveva sorriso, sfoderando un ammasso di denti deformi e appuntiti.
"Il tuo cuore."
**
Asteria si era svegliata con la sensazione di star dormendo, di trovarsi in un reame estraneo alla Terra.
Sotto di lei, migliaia di granelli bianchi di sabbia la circondavano. Erano caldi contro le caviglie nude nonostante non vi fosse sole.
Tutto era bianco, candido, proprio come i libri descrivevano la neve. Al contrario di quest'ultima, però, l'ambiente era caldo.
Asteria aveva dovuto prendere un respiro profondo per calmarsi. L'aria stessa era bollente e a ogni respiro sentiva i polmoni andare in fiamme.
Sulle sue labbra aleggiava il sapore di cenere.
Aveva sbattuto velocemente le palpebre mentre si alzava, nauseata, premendosi una mano contro la gabbia toracica. Per qualche secondo, Asteria non era riuscita a sollevare la testa. Con lo sguardo forzatamente puntato sulla sabbia, si era lasciata percorrere da un lungo brivido.
Stretti artigli laccati di nero le avevano sfiorato i capelli, districandole i nodi e intrecciandoli in una treccia sbrigativa. Nonostante la forza di volontà, la ragazza non era stata in grado di voltarsi.
Inconsciamente, però, era certa di sapere chi vi fosse dietro di lei.
"Cosa mi succede?" Riusciva a percepirsi in una maniera quasi astratta, come se si trovasse al di fuori del proprio corpo. Sentiva i propri organi lavorare, ma con sempre più fatica e rassegnazione.
"Stai morendo." Seth glielo aveva sussurrato all'orecchio, quasi come fosse un segreto intimo.
Per qualche motivo, Asteria non ne era rimasta impaurita. Forse era per la presenza del dio, o magari perché, in fondo, lo aveva capito anche da sola. C'era un qualcosa di rassicurante nel sapere di star morendo.
Non sarebbe stata in grado di spiegarlo con razionalità, ma era così che si sentiva: serena.
"Devi andare," le aveva spostato la treccia sulla spalla sinistra, "non hai molto tempo."
Ma andare dove? Davanti a lei non vi era altro che sabbia. Non sapeva quanto avrebbe dovuto camminare, né se sarebbe riuscita a trovare Iblis.
Questa volta aveva volontariamente tenuto gli occhi bassi, improvvisamente rattristata. Avrebbe voluto sentirsi più coraggiosa, pervasa persino dall'ansia, perché quello l'avrebbe aiutata. Piangersi addosso non le avrebbe di certo mostrato la strada.
Aveva fatto qualche timido passo in avanti, ignara dell'ora di tempo che aveva, sentendo la presenza divina di Seth seguirla. Più passi faceva, comunque sia, e più la sabbia iniziava a muoversi e a tremare sotto i suoi piedi.
Per qualche lungo attimo, Asteria aveva temuto di essere ingoiata dai granelli fini.
"Perché mi state aiutando?" L'aveva mormorato a voce bassa, allungando il passo nella speranza di vedere il Re sbucare da dietro l'orizzonte.
"Perché è intrattenente."
Gli umani, alla fin fine, non erano altro che pedine. Gli dei si divertivano a giocare con loro, muovendoli come più volevano; e sebbene il destino non fosse altro che una favola per bambini, gli dei avevano il potere di influenzarlo.
Non importava quanto le divinità fossero forti, perché gli umani erano sempre, e sempre lo sarebbero stati, in grado di cambiare il loro fato.
Quindi si, Seth poteva dirsi soddisfatto della sua partecipazione in quel teatrino. Aveva annusato l'aria, sentendo avvicinarsi l'odore di suo fratello.
Un tempo avevano condiviso un forte legame, prima che lui decidesse di smembrarlo, ovviamente. Dopo la resurrezione di Osiride, questo aveva iniziato a emanare un forte odore di decomposizione misto al dolce del papiro.
"E' intrattenente la sofferenza altrui?"
Era arrabbiata, furiosa che qualcuno trovasse ilare una simile situazione. Si era dovuta mordere la lingua per non dire altro, spaventata che il dio potesse lasciarla sola a se stessa.
Seth aveva quindi annuito, senza dare troppo peso all'espressione sdegnata di lei.
"Non capiresti perché qui," e le aveva sfiorato le clavicole, scendendo verso il petto, "nascondi la tua umanità. Noi dei ne siamo sprovvisti e quindi possiamo percepire gioia, divertimento ed eccitazione da cose talmente macabre da distruggere la psiche umana."
Si era fermato un attimo, leccandosi le labbra. Ora l'odore di Osiride era abbastanza forte da fargli contorcere le budella.
"Le guerre sono la nostra barzelletta preferita. Ma non fraintendermi: alle volte vi aiutiamo a vincere, a masticare i vostri nemici fino a permettervi di ingoiarvi. Prima di farlo, però, ridiamo dei vostri volti e beviamo il vostro sangue."
"Sembrate dei mostri."
"Forse lo siamo," per niente offeso, Seth si era sporto sulla spalla di lei, mostrandole i denti appuntiti, "eppure voi vi inginocchiate e pregate questi mostri. Quindi dimmi, mia dolce umana, chi tra noi è il vero pazzo?"
Asteria si era fermata, sentendo i polmoni andarle in ebollizione. Quando aveva finito di immagazzinare il secondo respiro, trattenendolo in gola e spingendolo verso i suoi due organi respiratori, aveva guardato il dio.
Negli occhi spiritati del dio era finalmente riuscita a vedere ciò che il sacerdote aveva percepito: discordia, caos, distruzione.
Forse erano davvero gli umani a esser tutti pazzi, perché nessuna persona sana di mente sarebbe mai andata a chiedere aiuto al proprio carnefice.
"Portami da lui, ti prego."
Aveva abbandonato le onorificenze, sentendo il sudore imperlarle la fronte e incollarle i capelli alla nuca. E Seth aveva annuito, solare e sorridente come un bambino in festa, superandola per mostrarle la strada.
Con i piedi nudi contro la sabbia, Asteria aveva trattenuto un gemito di dolore. Era bollente e ogni qual volto guardava giù, notava il colorito rossastro delle due estremità. Era strano, però, perché più il calore aumentava e più il suo corpo iniziava a farsi freddo.
"Riusciresti a vivere senza di lui?"
Anche gli dei aveva mogli e mariti, ma la loro concezione di amore era lontana da quella umana. Seth stesso amava suo fratello, eppure lo aveva ucciso, spargendone i pezzi per l'Egitto.
"Si," alla risposta di Asteria, il dio aveva aggrottato le sopracciglia, "ricomincerei da capo e un giorno tornerei a esser felice, ma mai completa. Mi sentirei mancante per il resto dei miei giorni. Sarebbe come prendere un costante respiro profondo, perché non si è in grado di respirare normalmente. E non importa quanti respiri prenderei, perché i miei polmoni continuerebbero a sentirsi poveri."
Non le aveva chiesto altro, limitandosi a camminare con costanza. Non aveva mai compreso l'amore, un sentimento a detta di tutti profondo, ma inconsistente e superficiale per lui.
Non gli era necessario, forse gli sarebbe piaciuto provarlo ma solo come emozione ornamentale, decorativa, e quindi di poco conto.
Seth aveva aggrottato le sopracciglia nel sentire un nuovo odore. Il problema era che questo proveniva sia da Asteria che da qualcun altro. Profumo di papavero. Di morte imminente.
Si era voltato leggermente verso di lei, abbastanza per non farglielo notare, e l'aveva trovata pallida, il volto decisamente più scavato di prima. Gli occhi infossati e le labbra violacee le avevano dato un'aria regale che solo i morti potevano sfoggiare.
Non mancava molto.
Se Asteria fosse morta, Seth l'avrebbe presa con sé.
Un po' perché si sentiva responsabile e un po' perché la trovava divertente.
"Cos'è quello?" La ragazza aveva sbarrato gli occhi, colpita. Riusciva a scorgere il profilo di un essere enorme, dieci volte più grande di lei, che regalmente sedeva su un trono dorato. Riusciva a contare tutti e dieci gli artigli dell'essere nonostante fosse ancora lontano.
"Mio fratello."
Il dio aveva arricciato il naso, lasciando che Asteria lo sorpassasse. Non poteva di certo rimanere nella sua forma umana, no signore! Doveva fronteggiare suo fratello con la medesima stazza che aveva adottato lui.
Quindi aveva chiuso gli occhi, mutando il proprio corpo. Aveva percepito i propri arti allungarsi e aveva ringraziato di non possedere organi.
Quelli si che sarebbero stati dolorosi da espandere.
Aveva sempre trovato la statura umana più utile, quasi di conforto; nonostante questo, però, Seth era consapevole che un metro e ottanta di altezza non avrebbe impressionato suo fratello. Era sempre stata una gara, per lui.
Voleva esser temuto, desiderava che Osiride sapesse esattamente contro chi si era messo.
Quando aveva riaperto gli occhi, la sabbia attorno a lui aveva iniziato a fluttuare in aria. Un vortice bianco aveva iniziato a prendere forma a qualche passo da Asteria, minacciando di inghiottirla in un unico, fluido, movimento.
L'aveva vista indietreggiare, pallida e scavata come un morente alimentato solo dalla propria anima, e l'aveva chiamata.
"Lasciati inglobare," la voce era suonata come un alito di vento mentre le parole parevano poter esser percepite solo dalla parte più assonnata della sua psiche, "lasciati prendere."
Non l'aveva visto, gli occhi arrossati e gonfi a causa dei continui attacchi della sabbia, ma l'aveva immagginato dietro di lei. Perché condurla fino a lì, se poi voleva ucciderla? Non aveva senso, quindi tanto valeva ascoltarlo.
Asteria aveva tossito aspramente, sentendo i granelli insinuarsi nel naso e nella trachea, mentre alcuni scendevano lascivi verso i polmoni. Aveva deciso di non guardare mentre la spirale la circondava, facendole girare la testa e mettendo a dura prova il suo senso dell'equilibrio.
Se fosse morta, non avrebbe incolpato nessuno.
Il rumore di sottofondo si era fatto assordante, facendole fischiare le orecchie e costringendola a rannicchiarsi su sé stessa. S'era abbracciata le ginocchia al petto, trovando la propria pelle più diafana e fine.
Per un attimo si era vista come una bambola di porcellana, pronta a esser disintegrata.
Ma non era successo.
Quando i capelli le erano ricaduti sulle spalle, quando gli occhi erano stati in grado di sollevarsi e le orecchie si erano rimesse in moto, Asteria aveva sentito gridare il suo nome.
Era caduta a terra, quindi, distrutta dallo sforzo di reggersi in piedi fino a quel momento, e l'aveva visto.
Un viola così innaturale brillava nelle iridi di Iblis, un colore che non si sarebbe mai aspettata di amare. Forse qualcuno gli aveva piantato qualche fiore di glicine negli occhi, facendolo assomigliare a un fiore.
Un fiore, dopotutto, restava tale anche dopo che era appassito.
"Ti ho trovato." Gli aveva sorriso flebilmente, strisciando le ginocchia contro il pavimento incolore e insolido per raggiungerlo. Aveva sentito la sua colonna cedere, quasi spezzata, costringendola a premere le mani a terra per sorreggersi.
Priva di imbarazzo, Asteria aveva tentato di gattonare verso di lui. La sua andata non era durata molto, forse era riuscita a fare solo un metro, perché il Re l'aveva raggiunta prima.
Lo aveva sentito freddo contro la pelle, ma lui lo era sempre stato, no? Ora, però, era lei a non potergli tener caldo. Iblīs non aveva affatto l'aspetto di uno pronto a morire, e forse era perché lui aveva già sperimentato la morte.
Se la era stretta al petto, costringendole la testa tra le sue braccia mentre le baciava l'attacccatura dei capelli. Con la mano glieli aveva districati, impaziente di ricordare al suo corpo come ci si sentisse a tocccarla.
Le falangi, comunque sia, avevano iniziato a tremargli talmente tanto-più per la sorpresa che per il resto- da impedirgli di scioglierle i nodi che portava sulla chioma.
Quando aveva allontanato la mano, pronto a portarla verso il viso di lei, l'aveva trovata gremita di quei mossi filmenti scuri che di Asteria tanto amava. Inorridito dalla colossale perdita di capelli, le aveva guardato il viso.
Era certo che le mancasse qualche ciglia e che quel colorito, così grigiastro da far invidia all'argento, fosse sintomo di un qualcosa che a lui non piaceva affatto.
Aveva volto lo sguardo verso Seth, squadrandolo con aria confusa mentre tornava a fissare Osiride. I due dei, ora l'uno davanti all'altro, non avevano fatto altro che studiarsi.
Erano anni che non interferivano con i piani dell'altro, forse per preservare quell'idea di pace che tanto avevano ostentato per anni.
Osiride aveva inclinato la testa di lato, sorridendo maniacalmente prima al fratello e poi alla ragazza. "E' questo il tuo piano? Pensi che portandomi un'umana, lascerò andare l'anima di quest'uomo?"
Si era aspettato di vederlo sgranare gli occhi, magari sorpreso, ma non era successo. Perché non era quello il suo piano e quindi si trovava un passo avanti a lui.
Era frustrante vedere il proprio assassino aprirsi in un ghigno di soddisfazione.
"Rimandala indietro." Aveva boccheggiato Iblīs, stanco di vedere il confronto tra i due. Aveva sentito le palpebre tremargli in preda a un tic nervoso mentre Osiride riportava gli enormi occhi su di lui.
Asteria, però, aveva flebilmente scosso la testa. Non poteva nascondere la mano dopo aver tirato il sasso, così come si rifiutava di tornare a mani vuote. Avrebbe significato che aveva perso, che nonostante tutti quegli sforzi, il suo tentativo era stato vano.
Il suo villaggio era andato a fuoco a causa di Uraeus, e con esso era caduto il trono di Iblīs. Se fosse tornata, era certa che l'avrebbe uccisa. E a quel punto cosa ne sarebbe stato dei suoi concittadini? Nemmeno Nasser avrebbe più potuto godere della vista dell'indomani.
Sarebbe finito tutto. Uraeus avrebbe riscritto un nuovo inizio e Asteria era certa che la nuova storia, così come la precedente, non avrebbe avuto un lieto fine.
Si era aggrappata alla maglia di Iblīs mentre con le dita sfiorava la propria tracolla. Era bastato quello a darle una scossa di adrenalina. Aveva ancora il cuore di Iblis, con sé.
"Vi prego," le parole le avevano raschiato la gola, facendole talmente male da farle versare qualche lacrima, "vi prego, fate uno scambio."
Per tutta la durataa della sua camminata verso Iblis, Asteria aveva riflettuto su cosa dire al dio. Forse non avrebbe funzionato, forse l'avrebbe semplicemente finita, ma tanto valeva provarci.
"Uno scambio," aveva ripetuto il dio, facendole eco. Entrambi avevano captato la nota di ilarità e scarno nascosta tra le sillabe. "Uno scambio con chi?"
Osiride non era mai stato un dio stupido, persino l'ingenuità era stata da lui abbandonata. Dopotutto era stato ucciso proprio a causa di quest'ultima.
Sapeva, quindi, che Asteria non aveva la minima intenzione di sacrificarsi al posto di Iblīs. Sarebbe stato onerevole, certo, ma inutile.
Che senso avrebbe avuto arrivare fino a lì, se poi non fosse stata in grado di tornare a casa con le mani piene? Osiride aveva sorriso, intrigato.
"Siete stato tradito," aveva quindi iniziato lei, gemendo dal dolore mentre si costringeva a guardarlo negli occhi, "pugalato alle spalle dal sangue del vostro sangue. Da vostro fratello."
Seth aveva premuto l'arcata dentaria superiore contro quella inferiore, frastornato dal discorso della ragazza. Perché tirare in ballo una simile storia? Era sicuro che non avrebbe fatto altro che adirare Osiride.
Ma si sbagliava.
Gli occhi del dio avevano preso a scintillare di ricordi e Asteria si era messa a contarle, delirante. Vedeva in lui ciò che spesso aveva visto in Iblis: tristezza, abbandono, tradimento.
Non erano poi così diversi.
"Non permettere che succeda a qualcun altro," aveva abbandonato il tono e la parlata formale, speranzosa che questo avrebbe portato a un certo senso di vicinanza e solidarietà con il dio. "Sono certa- sono certa che tu abbia fantasticato almeno una volta di poter fare a cambio di ruoli, di uccidere tuo fratello per dimostrargli come ci si sente quanto qualcuno che ami così profondamente ti tradisce."
Iblīs non l'aveva fermata, ascoltandola anche lui in trance.
Poi, un pensiero: avrebbe funzionato.
"Prendi Uraeus, mostragli come ci si sente a stare dall'altra parte, e sii misericordioso con Iblīs, perché è ciò che avresti meritato anche tu."
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