Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

36| Occhio Per Occhio

𝕬𝖓𝖈𝖍𝖊 𝖆 𝕯𝖎𝖔 𝖉𝖊𝖛𝖊 𝖕𝖎𝖆𝖈𝖊𝖗𝖊 𝖚𝖈𝖈𝖎𝖉𝖊𝖗𝖊. 𝕷𝖔 𝖋𝖆 𝖎𝖓 𝖈𝖔𝖓𝖙𝖎𝖓𝖚𝖆𝖟𝖎𝖔𝖓𝖊. 𝕰 𝖓𝖔𝖎 𝖓𝖔𝖓 𝖘𝖎𝖆𝖒𝖔 𝖋𝖆𝖙𝖙𝖎 𝖆 𝖘𝖚𝖆 𝖎𝖒𝖒𝖆𝖌𝖎𝖓𝖊?
-Hannibal Lecter

La stanza dei quadri del Re era più cupa del solito. Delle spesse tende nere erano state tirate dinnanzi alle vetrate, bloccando ogni traccia di luce.

Ad Asteria era sembrata spaventosa, ma aveva comunque fatto un passo avanti, seguendo l'andatura oscillante di Iblīs.

Borbottava qualcosa sottovoce, qualche imprecazione appena sussurrata e poi diversi grugniti di fastidio.

La polvere si era alzata dalle tele e dalla mobilia non appena erano entrati, lasciando entrambi con un fastidioso senso di prurito al naso.

Era stato lui a chiederle di seguirlo e lei, obbediente, aveva acconsentito.

Dal modo in cui il Re si muoveva, comunque sia, pareva aver dimenticato la conversazione del giorno precedente.

Aveva tirato un sospiro di sollievo, sperando fosse realmente così. Nemmeno lei, in realtà, ci stava pensando più di tanto.

La sua mente era una turbina di pensieri sconnessi e di ragionamenti macabri e cupi tanto quanto la stanza dei dipinti. Aveva sognato d'essere uccisa da lui e poi una donna, la stessa di qualche giorno precedente.

Chi era e perché continuava a sognarla? Asteria si era seduta su una poltrona ricoperta di tessuto rosso, aspettando un qualsiasi ordine.

In realtà avrebbe preferito pulire l'intero palazzo da sola piuttosto che sostare lì, immobile, circondata da dipinti fatti col sangue.

Il sangue del Re.

Il solo pensiero le aveva messo i brividi.

"Cosa dovrei dipingere, oggi?" Aveva borbottato lui, parlando più a sé stesso che a lei.

Quel giorno aveva parzialmente perso il senso del tempo, forse a causa della mancanza di sonno, e ora era confuso e disorientato.

Per qualche secondo s'era persino dimenticato di aver portato Asteria con sé.

Perché, poi, aveva richiesto la sua compagnia? Era certo che lei non ne sapesse proprio niente di dipinti, quindi non le sarebbe stata utile, giusto?

Si era voltato a guardarla, captando la risposta che gli serviva: lei sarebbe stata la sua musa, l'idea dalla quale sarebbe scaturita un'opera d'arte con i fiocchi.

Se l'era figurata coperta di vernice verdastra, a tratti nera, e dalle sue labbra aveva visto sgorgare fiotti di liquido lilla.

Era la sua scatola di pittura e lui l'avrebbe consumata, pennellata dopo pennellata, per renderla vuota e pronta a esser riempita da lui.

Le aveva sorriso, girandosi verso la prima tela bianca disponibile. Quindi aveva afferrato il pugnale che teneva ancorato alla sua cintura, pronto a usare la sua personalissima pittura.

Asteria si era costretta a chiudere gli occhi, impedendo a sé stessa di osservare il lavoro del Re.

Quest'ultimo aveva fatto scorrere la lama sul suo addome, partendo dal fianco sinistro per giungere fino a quello destro.

La cute si era aperta come carta, lasciando che il sangue sgorgasse copioso dalla ferita.

Con le dita aveva allargato il taglio, guardando con aria sognante le vene scoppiare e contorcersi sotto le sue dita.

Aveva affondato le falangi in profondità, sfiorandosi lo stomaco, per poi strattonarle fuori e imbrattare la tela di sangue. Con la mano libera aveva tenuto la ferita aperta, sentendone il bruciore.

Il pennello poggiato a sinistra lo aveva fissato, come a chiedergli di essere usato, ma a Iblīs era appena venuta in mente una nuova idea.

"Avvicinati, Miel." La voce gli si era spezzata per il dolore che sentiva e che apprezzava in maniera distorta e anormale.

Asteria si era alzata in piedi, sentendo le ginocchia tremarle.

Aveva continuato a ripetersi che sarebbe andato tutto bene, che non aveva ragione d'esser spaventata, ma la bile le si stava arrampicando su per la gola, minacciando di piegarla in due e farle rigettare lo spoglio contenuto della sua colazione.

Si era trattenuta, muovendo quattro piccoli passi verso di lui. Per farlo, però, aveva dovuto tenere gli occhi ben aperti.

Le sue pupille si erano ristrette nell'osservare il delirio del Re, unito alla profonda e nauseante ferita che aveva ora sul corpo.

Il sangue di Iblīs, aveva notato lei, non era di un rosso scuro, comune al suo o a quello di qualsiasi altro umano, ma bensì scuro e viscido, come fosse catrame.

Come poteva produrre sangue se era fisicamente morto? Non aveva un cuore a pompare liquido rosso nel corpo, quindi ciò che stava vedendo doveva esser falso.

Asteria si era portata una mano alle labbra, trattenendo l'ennesimo conato di vomito.

Le lacrime le aveva annebbiato la vista mentre mentalmente continuava a ripetere di voler tornare a casa.

"Sarai tu a dipingere." Le aveva rivelato Iblīs, ora impegnato a scegliere il pennello più adatto da darle.

No, no, no!

Le mani della ragazza erano state percorse da forti tremori mentre veniva gettata nell'ansia e nella disperazione più totale.

Aveva immaginato la sensazione degli organi interni del Re contro le punte delle dita, la consistenza viscida del suo sangue e l'odore ferroso che esso emanava.

Quindi aveva ripensato a quando, in preda a chissà quale follia, aveva poggiato bocca, lingua e denti contro il cuore di Iblīs.

Una cosa del genere non sarebbe ricapitata, lo aveva promesso a sé stessa, e per nulla al mondo avrebbe infilato le dita nella carne dilaniate del Re.

Era forse impazzito? Voleva vederla cadere a terra e sgretolarsi come un pezzo di vetro? Lo divertiva davvero così tanto vederla in un misero stato di ansia e paura?

"Perché?" Era uscito come un sussurro debole, quasi inudibile, ma Iblīs era stato in grado di sentirla a dovere.

Perché, gli chiedeva lei.

Perché no? Sarebbe stata la sua risposta.

Voleva condividere con lei una delle sue più grandi passioni, la pittura, eppure Asteria non faceva altro che fissarlo a occhi e labbra aperte, come fosse spaventata.

Iblīs non capiva: non l'aveva toccata o ferita in alcun modo, quindi come mai si comportava come se l'avesse fatto? Non aveva senso, non aveva alcun dannatissimo senso.

Pensava che lei gli assomigliasse o che, per lo meno, iniziasse a prendere le sue stesse sembianze, ma così non era. Non ancora.

Sarebbe stato paziente e avrebbe aspettato di vederla appassire, giorno dopo giorno, fino a ridursi come lui.

I simili, dopotutto, erano l'accoppiata migliore.

Nonostante questo, però, Iblīs s'era detto che se Asteria fosse cambiata completamente, forse ne sarebbe stato dispiaciuto.

"Perché tutto questo è tuo, ogni goccia di sangue che contengo è di tua proprietà, tua da usare, e voglio quindi che sia tu a farmi da pennello."

Le aveva accarezzato la guancia con la mano imbrattata di scarlatto, macchiandole la pelle morbida e tracciando l'ombra dei suoi zigomi.

Con il pollice aveva raccolto un'unica lacrima, strofinandola sul rosso per renderlo più liquido.

Un bel rosso sfumato di nero le dipingeva ora le guance.

"Non voglio."

Asteria non voleva esser simile a lui, non desiderava vedere il mondo con gli stessi occhi suoi ma, al tempo stesso, pensava di non aver mai bramato qualcosa tanto quanto bramava diventare una parte di lui.

Era quindi combattuta e nessuna delle due fazioni pareva esser sul punto di vincere sull'altra.

"Cos'è che non vuoi?"

"Non lo so."

Ammetterlo l'aveva distrutta. Le pareva di poter sentire la sua mente, la sua ragione, cadere a pezzi, uno dopo l'altro, facendola sprofondare in un buio completo.

Quell'oscurità, però, la condivideva con lui.

Non era sola e forse desiderava esserlo perché qualsiasi compagnia sarebbe stata più sana di quella di Iblīs.

Lui non era la sua luce, non costituiva un faro protettore e luminoso, ma piuttosto era la personificazione del più cupo dei mali.

Iblīs era il suo cancro, la sua malattia, e la stava contagiando completamente, espandendosi in ogni più piccola cellula del suo corpo.

Stava morendo e colui che la stava uccidendo era lui, il Re folle e insonne che per qualche tremendo scherzo del destino voleva esser suo.

E lei lo voleva? Desiderava davvero possedere ed essere posseduta da lui?

Forse era già così, forse doveva solo fare i conti con la piccola parte intatta di ragione che ancora aveva.

Asteria aveva sentito le dita di Iblīs farsi strada sul suo viso, sporcandole ogni traccia di pelle scura che aveva per rimpiazzarla con un colore acre che sapeva di ferro.

Quindi aveva avvertito il suo pollice sfiorarle le labbra, tirandole indietro il labbro inferiore per scontrarsi con i suoi denti.

Senza riflettere aveva schiuso la bocca, avvolgendo il dito di Iblis tra la lingua e le labbra, sentendo le papille gustative esplodere per il sapore amaro del sangue.

Era arrabbiata, furiosa, e a tratti desiderava tirarlo verso di sé e scomporlo come un puzzle per ricostruirlo come meglio voleva.

Voleva, voleva...voleva ucciderlo e farlo tornare in vita, strangolarlo e baciargli la gola, il naso, e le labbra mentre gli trafiggeva lo stomaco.

Lo aveva spinto all'indietro, facendolo inciampare su resti di tele e pennelli scoloriti.

La schiena di Iblīs aveva incontrato il pavimento duro, facendolo inarcare verso l'alto per il dolore dell'impatto.

Non l'aveva nemmeno vista mentre si piegava su di lui, spingendolo a terra dalle spalle.

Asteria gli si era seduta sullo stomaco, sentendo il sangue imbrattarle la veste e bagnarle la carne, bloccandogli le mani con le ginocchia.

"Cosa fai, Miel?"

Il Re era tranquillo, placido mentre la guardava con infinità serenità. La stava forse canzonando?

Voleva cancellargli quell'espressione di pacatezza che le stava rivolgendo.

"Ti odio." Aveva mormorato lei, afferrando la gamba della scrivania per scuoterla.

Il tremore aveva fatto crollare un vaso che, come pastafrolla, s'era infranto contro il pavimento.

Asteria aveva stretto gli occhi, sbattendoli un paio di volte, per abituarsi il più velocemente possibile all'oscurità della stanza. Freneticamente aveva tastato il marmo, afferrando il coccio più grande.

Lo aveva osservato come fosse un fiore di meravigliosa bellezza, sorridendo tra le lacrime mentre si dava della pazza. Cosa stava facendo?

Era ancora in tempo per fermarsi e scappare nelle sue stanze, prendersi una pausa da tutto e ragionare a mente fresca e lucida.

Aveva lanciato uno sguardo al Re, beandosi nel colore sovrumano dei suoi occhi. Era bello, così dolorosamente bello, da sembrare irreale.

Ingiusto, Asteria trovava ingiusto che Iblīs possedesse un aspetto così piacevole da contrapporsi al buio e all'orrendo che gli infestava la mente.

Gli aveva pizzicato la guancia, accertandosi che fosse vero.

"Tu non mi odi," le aveva detto lui, sorridendole, "non mi odi affatto."

Era riuscito a liberarsi le braccia e con le mani le aveva quindi cinto i fianchi, spingendosela contro.

Asteria, a quel punto, aveva smesso di trattenersi e, pervasa da un'ira che non pensava di avere, aveva alzato la mano armata in alto, conficcando il coccio appuntito nella spalla del Re.

Il sangue le era schizzato sul viso e negli occhi, costringendola a chiudere le palpebre per qualche secondo.

Il respiro affannato di lui e il suo gemito di dolore l'avevano attivata, ecco, spronandola a provocargli più male possibile.

Occhio per occhio, dente per dente.

Con le unghie gli aveva graffiato la guancia, affondando fino a quando non aveva sentito i polpastrelli bagnarsi di sangue. Quindi si era piegata sulla ferita, poggiandovici le labbra sopra.

Il sangue di Iblīs sapeva di fiori e morte, di ghiaccio e sabbia.

Gli si era piegata sopra, spingendo le ginocchia all'indietro per sorreggersi meglio.

Era lei ad avere il potere, a decidere quanto e come farlo soffrire.

"Cosa stai-"

Non gli aveva dato il tempo di finire la frase, di esprimersi, proprio come lui aveva fatto con lei. Per farlo tacere gli si era spinta contro, premendo le labbra sulle sue.

Non lo amava e non lo odiava, ma sentirlo soffrire era qualcosa di ugualmente piacevole.

I rantoli di Iblīs si erano mischiati a dei sospiri leggeri, completamente diversi l'uno dall'altra, che le avevano occupato le orecchie.

Asteria lo aveva pugnalato ancora, questa volta al petto, sentendo il polmone di lui collassare sotto la lama.

Un'imprecazione rauca era sgusciata fuori dalle labbra di lui, costringendolo a interrompere il bacio. I suoi occhi, però, comunicavano tutto fuorché dolore.

Iblīs era meravigliato, a tratti eccitato, dalla versione di Asteria che si trovava davanti.

Ignorando i dolori addominali si era dato una spinta con il fianco, gettandola a terra e invertendo le loro posizioni.

Voleva giocare? E allora avrebbe giocato anche lui e oh, avrebbe vinto.

Dalle mani le aveva strappato il coccio, strattonandolo con talmente tanta forza da dilaniarle la pelle. Si era quindi reciso un pezzo di maglia, avvolgendolo attorno al palmo che le aveva ferito.

Se avesse stretto abbastanza, avrebbe fermato il suo flusso di sangue e la mano le sarebbe andata in cancrena, colorandosi di blu e poi nero.

Quindi gliela avrebbe amputata, lasciandola storpia e desolata.

Asteria, comunque sia, ancora non si era arresa e con forza aveva iniziato ad agitare le gambe, colpendolo successivamente alla mascella con un pugno ben ponderato.

"Sposami."

Iblīs glielo aveva sussurrato all'orecchio, poggiando la lama contro il fianco caldo di lei.

L'aveva sentita trattenere il respiro, forse impaurita, mentre lui ripensava a quanto felice fosse la sua espressione mentre, qualche minuto prima, lo pugnalava alla spalla e poi al petto.

"Fottiti!"

Gli aveva sputato in viso, sorridendogli con talmente tanta isteria da parere completamente pazza e Iblīs, ah, lui amava quella visione.

Aveva portato due dita sotto il mento di lei, spingendole la testa verso il pavimento per avere libero accesso sia alle sue labbra che al suo collo.

Le avrebbe potuto recidere la giugulare, abbeverandosi del suo sangue.

Il Re aveva fatto scattare la mano contro il fianco di Asteria, tagliandole la pelle con un'unica mossa precisa.

Non era andato in profondità per non farle troppo male ma il sangue, rosso e brillante, sarebbe uscito lo stesso.

Il segno di quella giornata le sarebbe rimasto impresso per sempre e questo era un pensiero assurdamente allettante per lui. Quel marchio, quella ferita che lui aveva aperto, sarebbe stato il segno che lei era sua.

Sua da distruggere, sua da scomporre e annientare.

Sua da ricostruire, sua da amare e perseguitare.

Asteria aveva chiuso ermeticamente gli occhi in un tentativo disperato di calmarsi.

Non sapeva che pensare di sé stessa e di quello che aveva appena fatto. Una parte di lei ringraziava di esser stata distratta dall'improvviso dolore al fianco.

Aveva sollevato le palpebre solo quando aveva sentito Iblīs calare sul suo corpo, scivolando con il viso verso il suo stomaco.

Le aveva sollevato la veste, osservando da vicino il danno che le aveva imposto.

Era bella e danneggiata.

"Fa male." Asteria non aveva idea del perché l'avesse detto, forse per capacitarsene o semplicemente per dire qualcosa.

Non era doloroso, non nel modo in cui chiunque altro lo avrebbe percepito. Sentiva bruciore, fastidio, ma il male era ancora lontano.

Era talmente piena di adrenalina che non sentiva granché se non il batitto del cuore risalirle su per le orecchie.

Come avrebbe fatto a guarire? Non era nemmeno certa di starsi riferendo alla ferita che portava sul fianco.

Iblīs, comunque sia, aveva preso un profondo respiro dal naso, lanciandole un unico sguardo.

Quindi le aveva lambito la pelle ferita con la lingua, inumidendole la cute con la propria saliva.

A quel punto era arrivato il dolore.

Asteria aveva gridato, tentando di spingerlo via da sé, ma a nulla erano serviti i suoi sforzi.

Più Iblīs approfondiva il contatto, succhiando e mordendole il derma lacerato, e più lei avvertiva il tessuto ricomporsi.

Le cellule tiravano e strattonavano l'una verso l'estremità dell'altra, aggrovigliandosi e fondendosi nuovamente assieme.

Il Re aveva alzato la testa per un singola istante, le labbra e il mento sporchi di sangue, osservando il risultato del suo lavoro.

La ferita di Asteria era completamente guarita, con una cicatrice di media grandezza a ricordarle che c'era stata, che quel taglio era avvenuto davvero e non se l'era immaginato.

Come era riuscito a fare una cosa simile? Si era tastata il fianco, stupefatta, scoppiando a ridere con il respiro bloccato in gola.

Era così assurdo da sembrare ironico. Si era portata una mano al viso, spingendo le ginocchia contro al petto per isolarsi completamente dal Re.

Era pazza o, per lo meno, lo era stata appena qualche minuto prima.

Doveva far qualcosa, aveva pensato lei, per tornare a come era prima.

Doveva far qualcosa, aveva pensato lui, per mantenerla come era stata quel giorno.

Dovevano- dovevano fare qualcosa e al più presto possibile.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro