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34| Il Primo Amore


𝕴𝖔 𝖓𝖔𝖓 𝖘𝖔 𝖓𝖊𝖒𝖒𝖊𝖓𝖔 𝖘𝖊 𝖍𝖔 𝖑𝖆 𝖈𝖆𝖕𝖆𝖈𝖎𝖙𝖆' 𝖉𝖎 𝖕𝖗𝖔𝖛𝖆𝖗𝖊 𝖔 𝖓𝖔 𝖊𝖒𝖔𝖟𝖎𝖔𝖓𝖎 𝖓𝖔𝖗𝖒𝖆𝖑𝖎, 𝖕𝖊𝖗𝖈𝖍𝖊' 𝖓𝖔𝖓 𝖍𝖔 𝖕𝖎𝖆𝖓𝖙𝖔 𝖕𝖊𝖗 𝖒𝖔𝖑𝖙𝖔 𝖙𝖊𝖒𝖕𝖔. 𝕷𝖎 𝖘𝖔𝖋𝖋𝖔𝖈𝖍𝖎 𝖕𝖊𝖗 𝖈𝖔𝖘𝖎' 𝖙𝖆𝖓𝖙𝖔 𝖙𝖊𝖒𝖕𝖔 𝖈𝖍𝖊 𝖋𝖔𝖗𝖘𝖊 𝖑𝖎 𝖕𝖊𝖗𝖉𝖎, 𝖆𝖑𝖒𝖊𝖓𝖔 𝖎𝖓 𝖕𝖆𝖗𝖙𝖊. 𝕹𝖔𝖓 𝖑𝖔 𝖘𝖔.
-Jeffrey Dahmer

IBLĪS, ETÀ: 15 ANNI

"Sai quale è l'unica cosa importante nella vita, Iblīs?"

Suo padre aveva accavalato le gambe mentre, seduto sul suo trono, guardava il vuoto.

I suoi occhi non riuscivano a registrare le immagini che lo circondavano; vedeva solo mostri.

Il fantasma della defunta moglie lo tormentava, seguendolo ovunque. Lo abbracciava quando si avvicinava alla nuova consorte e gli baciava la fronte prima di dormire.

Alle volte, poi, la vedeva accarezzare le guance del figlio con le dita lunghe, affusolate, a solleticargli i capelli.

Perché, perché toccava l'essere che le aveva tolto la vita? Non era forse colpa del marmocchio se aveva smesso di respirare?

Il Re era certo di avere tutte le ragioni per odiare il figlio, per detestarlo e usarlo come più voleva.

Non poteva ucciderlo, non ora che era destinato a ereditare il trono, ma poteva rendere la sua misera esistenza ancor più sofferente.

L'avrebbe usato come valvola di sfogo per la sua rabbia, la sua frustrazione e il suo fastidio.

Dopotutto era questo il compito di Iblīs: assorbire il dolore altrui e obbedire.

Testa bassa, quindi, e lingua legata al palato per non rispondergli mai. Non aveva il diritto di parlare, di vedere, di giudicare.

Per il padre, Iblīs non aveva il diritto di esistere.

Quindi si sarebbe premurato di ucciderlo ma oh, non fisicamente, quello mai. Lo avrebbe spogliato di ogni briciolo di autostima ed emozione che possedeva, trasformandolo in un guscio vuoto.

In quel modo e solo in quel modo, gli sarebbe assomigliato.

"No, Sire."

Sire, non padre.

Il Re si rifiutava di ricoprire e accettare un titolo tale; lui non era il genitore di quell'adolescente che ora, con le ginocchia premute contro il marmo, si chiedeva il perché suo padre non potesse agire come tale.

Iblīs si era morso le labbra, maledicendosi silenziosamente. Lui non ne sapeva nulla di genitori e forse, anzi: magari, l'uomo che torreggiava su di lui agiva come chiunque altro.

Da un lato sperava e dall'altro temeva che tutti i padri fossero come il suo.

Se così fosse stato, avrebbe significato che non era lui a esser sbagliato o diverso ma, al tempo stesso, questo gli avrebbe fatto provar pena verso ogni bambino mai esistito.

Prima di perdere tutto, prima ancora di trasformarsi in un guscio vuoto e scarno, Iblīs era stata una creatura empatica.

Per questo, forse, sperava di esser l'unico essere umano a subire un simile trattamento.

Sarebbe stato felice se qualcuno gli avesse detto che veniva trattato in quel modo per evitare che succedesse ad altri.

Se fosze stato l'unico ragazzo abusato e maltrattato al mondo, se la sua sofferenza avesse significato il bene altrui, allora avrebbe sorriso al Destino e lo avrebbe ringraziato.

Il Re aveva alzato un angolo delle labbra, ghignando.

"L'unica cosa ad avere importanza è il potere. Vedi, il mondo è diviso in due: c'è chi viene comandato e chi comanda.

Dimmi, mio piccolo assassino, a quale delle due fazioni pensi di appartenere?"

Aveva sentito il cuore raggrinzirsi nell'udire il nomignolo che il padre gli aveva affibbiato.

Mio piccolo assassino, assassino-era un assassino? Si era guardato le mani, cercando tracce di sangue.

No, non aveva mai fatto del male a nessuno, nemmeno a un animale. Quindi non era un assassino, giusto?

Chi aveva ucciso? Sua madre, forse, o magari suo padre. Aveva assassinato i suoi genitori?

Si era concentrato sulla domanda, analizzandola a dovere.

Lui non aveva mai comandato nessuno, nemmeno i membri della servitù, eppure aveva il potere di farlo.

Era un principe senza dovere, allo stesso livello di un domestico. Cos'era, quindi, Iblīs?

"Non lo so, Sire."

Aveva sentito la confusione montargli in gola mentre si strozzava con la sua stessa saliva.

Che schiocco, si era detto Iblīs, non sapeva nemmeno definirsi.

Il Re aveva ringhiato, una risata mista a un grugnito mentre lo afferrava per i capelli, trascinandolo davanti a lui.

Voleva che lo guardasse negli occhi, che vedesse il vuoto che soffocava il colore delle sue iridi.

"Nessuna delle due," aveva sussurrato l'uomo, improvvisamente all'erta, "non sei nessuno delle due. Non sei niente, capisci? Il grigio tra bianco e nero, il bozzolo tra bruco e farfalla, il buco tra terra e cielo: è questo ciò che sei."

Il ragazzo non aveva fatto in tempo a interrogarsi ulteriormente che il padre si era alzato, strattonandolo.

Ridotto a quattro zampe, Iblīs non aveva potuto far altro che gattonare per evitare di ritrovarsi con il viso premuto contro il terreno.

"Fatela entrare." Aveva urlato l'adulto, accovacciandosi improvvisamente vicino al figlio.

Qualcosa non andava. L'adolescente riusciva a percepire i segni di un'incombente disastro pesargli sulle spalle.

Aveva chiuso gli occhi, pregando.

Sperava che le sue preghiere raggiungessero il cielo e che qualcuno le accogliesse.

Ma non sempre gli dei prestano attenzione e così si erano voltati dall'altra parte, tappandosi le orecchie.

Nella stanza si erano fatte avanti due guardie che, con sguardo afflitto, stavano scortando una ragazzina.

I corti capelli castani erano scompigliati, arruffati, e le ricadevano su un lato del viso, ombreggiandoglielo.

Il naso, lungo e dritto, era completamente arrossato e gli occhi, di un profondo nero, parevano gonfi e doloranti.

Aveva pianto, la ragazza che era appena entrata nella stanza aveva pianto fino a danneggiarsi le corde vocali.

I polmoni le si espandevano con spasmi dolorosi, provocandole un lancinante fastidio al petto.

Iblīs l'aveva riconosciuta subito: la figlia della cuoca, forse l'unica ragazza alla quale aveva mai prestato attenzione.

Aveva gli occhi talmente spalancati e le pupille talmente piccole da sembrare sull'orlo di una crisi di nervi.

Forse ne aveva già avuta una.

"Vi prego," aveva pianto la ragazzina, "non ho fatto niente!"

Il Re aveva arricciato il naso in segno di disgusto mentre guardava la ragazza. Quegli schifosi insetti che chiamava servitù iniziavano a divenire, giorno dopo giorno, sempre più sfrontati.

Non ho fatto niente, all'uomo era quasi venuto da ridere.

Nessuno era senza peccato, non esistevano innocenti e lui, da bravo Sovrano, si sarebbe incaricato di ripulire lo sporco che daneggiava il mondo.

Lui stesso era un'entità lurida, se ne rendeva conto e faceva male.

Faceva male sapere di essere un mostro, un abusatore e un tiranno ma quello era il suo ruolo, no?

Quel giorno avrebbe insegnato una dura lezione al figlio.

"Come si chiama?"

Aveva domandato a Iblīs, senza mai guardarlo. Era così simile alla madre, alla defunta Regina, da risultare fastidioso alla vista.

"Eris, si chiama Eris."

Aveva visto gli occhi della ragazzina saettare verso di lui come a volerlo fulminare.

Lo odiava? Ma non ne capiva il motivo: aveva solo annunciato il suo nome.

Magari avrebbe dovuto aspettare il suo permesso per parlare. Ma era lui il Principe, non lei, e quindi a cosa gli serviva il permesso di una serva?

No, lui non era nulla, suo padre si era premurato di dirglielo appena qualche secondo fa.

"Eris," aveva ripetuto il padre, alzando un sopracciglio con aria divertita, "un bel nome per una bella ladra."

Iblīs aveva sentito il cuore sprofondargli nel petto e la gola seccarglisi. Sapeva cosa sarebbe successo, la morte di Dahlia era ancora fresca nella sua memoria, ma non voleva crederci.

Quindi aveva stretto le palpebre, tremando. Suo padre, invece, aveva avvertito una potente sensazione di godimento nel vedere il tormento del figlio.

Sapeva cosa gli avrebbe chiesto di fare: lo aveva addestrato a dovere.

"Non avrai creduto davvero che questa piccola volpe ti si fosse avvicinata per amore, vero?"

La lingua del padre si era scontrata contro il palato, producendo un rumore di divertimento e derisione al tempo stesso.

Povero stupido.

Eris aveva abbassato lo sguardo, in preda ai sensi di colpa. Non sapeva se sentirsi dispiaciuta o arrabbiata verso Iblīs.

Certo, era stata lei ad avvicinarsi a lui, ma solo per poter entrare nelle sue stanze e trafugare.

Lo aveva illuso, questo è ciò che avrebbe pensato il principe. La realtà, però, era che Iblīs si era illuso da solo.

Quel maledetto ragazzino avrebbe accettato qualsiasi forma di contatto, proprio come aveva fatto con lei, solo per non sentirsi solo.

Penoso.

"Vi prego, Sire, io-" era stata interrotta nuovamente, ricevendo uno spintone dalla guardia.

Sentiva le gambe che le tremavano mentre osservava il Re giocare con il pugnale che aveva al fianco.

"Hai rubato a mio figlio, perché mai dovrei perdonarti? Gli insetti come te non hanno altro posto che sotto la mia scarpa."

A mio figlio; sia Iblīs che Eris erano rimasti senza fiato. Da quando lo considerava come tale?

Il principe si era quindi fatto ancor più silenzioso, tormentato dal significato di quella frase.

Oh, ma Eris sapeva bene cosa stava accadendo e ah, quanto era ironico tutto ciò.

Presa dell'isteria aveva ghignato, esplodendo in un fiotto di risate sguiate.

Manipolare era la parola chiave e il Re stava facendo proprio quello. Sapeva benissimo che non considerava Iblīs come un figlio, ma dargli speranza lo avrebbe legato a lui.

Obbedienza, quindi, era la seconda parola.

Sperava che Iblīs non fosse tanto stupido da credergli eppure, mentre lo guardava pensare, aveva capito che ciò che temeva era divenuto realtà.

Di quanto amore era stato privato per aggrapparsi a quel modo a due semplici parole?

Il Re aveva tampurellato il braccio del figlio con la punta del pugnale, attento a non sfilarsi la maschera di padre benevole, e quindi glielo aveva porto.

"Come puniamo i ladri, Iblīs?"

Era la prima volta che lo chiamava per nome, la prima volta che il suo tono non era intriso di rabbia e astio.

E lui c'era cascato, come un pesce che abbocca all'amo, senza pensarci due volte.

"Con la morte, padre."

Era stato spinto con leggerezza in avanti, vicino a Eris che, in preda al panico, aveva iniziato a urlare e scalciare come una furia.

Non voleva morire, non voleva che finisse a quel modo!

Rubare un gioiello non poteva esser punito con la morte; dio, erano tutti pazzi, il padre aveva passato quel gene al figlio e ora sarebbe morta per mano di un pazzo!

Il Re aveva sorriso, inclinando la testa di lato.

"Rendimi fiero di te, Iblīs."

E il pugnale era calato.

**

P R E S E N T E

No, si.

Asteria non riusciva a pensare, a capire quale fosse la risposta migliore da adottare.

Era una domanda trabocchetto o intendeva davvero far di lei la sua Regina? E se si: perché?

La ragazza non si autosottovalutava, certo, ma non credeva di avere le doti necessarie per affiancare un Re che, inoltre, era irrimediabilmente pazzo.

Non possedeva la tipica bellezza elegante, reale, che contraddistingueva i membri dell'alta società e tanto meno si preoccupava di averla.

Era certamente colta, una ragazza studiosa, ma mai al pari di coloro a cui era stata offerta un'istruzione senza pari.

Aveva dovuto imoarare tutto da sola, lei con i suoi libri e le sue pergamene, e in molte materie era latente.

Non era una stratega e tanto meno una matematica: come avrebbe fatto a ricoprire un simile titolo?

Asteria aveva affondato le unghie nel braccio di Iblīs senza nemmeno rendersene conto.
Era agitata e sovraccaricata di informazioni e domande.

Possibile che l'uomo davanti a lei non volesse altro che una statuina da tenere al suo fianco? Una bella bambola di porcellaba indistruttibile oh meglio: una marionetta da gestire e muovere a suo piacimento.

Il suo sguardo si era indurito per qualche secondo.

Non era sciocca e sapeva perfettamente che Iblīs non era una persona buona di cuore ma forse, ecco forse lo era stato.

Una parte di lei desiderava poter tornare indietro nel tempo, a quando il Re non era un Re ma un semplice bambino inamato.

Magari avrebbe potuto cambisre il corso della storia e salvarlo da ciò che gli era stato fatto. Ma poteva davvero salvare un essere come Iblīs?

Aveva pensato al suo negozio in fiamme, ai libbri anneriti e ridotti in cenere e, in fine, al viso stanco ma speranzoso di Azef.

La stava pensando? Lei avrebbe certamente avuto bisogno di lui, in un momento simile.

Come avrebbe reagito nel saperla Regina? Si era immaginata l'espressione sconvolta e pallida dell'amico, le suppliche della gente mentre la imploravano di rifiutare.

Rifiutare-cosa doveva rifiutare? Per gli dei, Iblīs le aveva appena chiesto di sposarlo!

Aveva scosso lentamente la testa, sconvolta dai suoi stessi pensieri. Sposarlo avrebbe significato guadagnare il dono, o la maledizione, di un'immortalità non voluta.

Se fosse rimasta a palazzo, sarebbe certamente finita con l'impazzire.

Il suo pensiero era quindi corso a Nasser: avrebbe dovuto avvisarlo? Magari le avrebbe consigliato la frase giusta da dire per tirarsi fuori da quella situazione indesiderata.

"Perché?" Era uscito come un bisbiglio duro nonostante il tono debole. In vita sua non era mai stata così scossa.

Iblīs aveva premuto il naso contro la sua guancia, inspirando profondamente per avvertire l'odore dolce della pelle di lei.

Sembrava a tutti gli effetti un predatore intendo ad annusare la propria vittima. E proprio come un animale ne aveva captato la paura.

Non capiva il perché fosse spaventata: dopotutto era certo di averle offerto un ruolo importante, se non il più influente, e di conseguenza una posizione sociale più che invidiabile.

Avrebbe vissuto nel lusso per il resto della sua vita e mai più si sarebbe dovuta preoccupare delle tasse e di quell'inutile negozio che, a quanto pareva, aveva gestito per anni.

Grazie agli occhi di Basil era riuscito a vederlo bruciare e cadere al suolo come fosse un'inutile foglia.

Si era disperata, l'aveva vista perfettamente, e poi si era fatta da parte per lasciare che il suo villaggio aggredisse l'incendiario.

Uno sciame inferocito di persone si erano riversate sull'uomo, aizzati dal pianto della sua Miel.

Ma non era stata l'unica cosa che aveva notato.

Lo sguardo di Asteria, il sollevarsi leggero di un solo angolo di labbra e l'inclinarsi parziale della sua testa lo aveva affascinato.

La ragazza, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, aveva goduto nell'osservare il massacro dell'uomo.

Per non parlare poi di ciò che aveva fatto con il suo cuore.

Al solo pensiero si era sentito rabbrividire; ma non era disgusto o astio, piuttosto piacere e ammirazione.

Gli assomigliava, in un certo senso, e questo era uno dei motivi per i quali la voleva al suo fianco.

Ma non glielo avrebbe detto: non voleva rischiare di vedere il suo viso tingersi di sdegno e stupore.

"Perché..." aveva ripetuto lui, dubbioso su cosa dire, "...ti serve una motivazione? Non puoi-non potresti semplicemente accettare?"

Asteria aveva battuto le palpebre tre volte, stupita. Certo che avrebbe potuto, ma chi mai avrebbe accettato una proposta tanto pesante senza ricevere nemmeno una spiegazione?

Non le stava chiedendo di cantare per lui ma bensì di sposarlo e di divenire sua Regina.

"Hai idea di cosa mi stai chiedendo?"

Non riusciva a capire se quello dell'uomo fosse un semplice momento di debolezza o un atto di profonda sincerità.

Iblīs aveva annuito, mordendole la guancia, per poi alzare lo sguardo su di lei.

Pensava che stesse farneticando?

Con le dita aveva giocato con qualche ciocca scura di Asteria, tirando e lasciando a ripetizione la presa.

Si sentiva infastidito, quasi arrabbiato, ma non glielo avrebbe mai rivelato.

No, Miel non pensava che fosse pazzo, giusto? Voleva credere che fosse semplicemente confusa dalla domanda inaspettato.

"Non vuoi?" Aveva inclinato la testa di lato, spalancando gli occhi per l'incredulità.

Qualsiasi donna d'Egitto avrebbe accettato, anche se non per amore.

Sapeva perfettamente di non essere oggetto di affetto per il suo popolo, ma pensava che l'opportunità di ricoprire il ruolo di Regina avrebbe allettato chiunque.

Quindi perché non gli stava rispondendo? Perché, seppur indirettamente, gli diceva di no?

Iblīs aveva iniziato a pensare che Asteria non volesse convivere con lui per il resto della sua vita. Magari la disgustata, la infastidiva e l'agitava.

Se così fosse stato, le avrebbe promesso di non avvicinarsi mai più a lei. L'avrebbe guardata da lontano, come un'ombra in cerca insegue il suo proprietario ma senza mai toccarlo.

La ragazza aveva chiuso per un attimo gli occhi, meditando sul da farsi.

"E' una decisione troppo difficile da prendere, non puoi pensare di ricevere una risposta sul momento."

Aveva aggrottato le sopracciglia, rivolgendogli un sorriso tirato.

Sperava di non vederlo perdere le staffe, che non si offendesse e non si agitasse.

Non avrebbe, comunque sia, acconsentito a una richiesta simile anche se a proporgliela era il Re.

Le serviva tempo per pensare e, magari, Iblīs stesso si sarebbe ravveduto.

Lo aveva visto far saettare gli occhi da una parte all'altra della stanza, forse in preda all'imbarazzo o a una qualche allucinazione.

In fine aveva annuito, distendendosi vicino a lei, di lato, per far sparire il viso nell'incavo del suo collo.

Le avrebbe dato tempo, dopotutto lui ne aveva molto, ma non sapeva quanto.

Riusciva a sentire il ticchettio di un orologio rimbombargli nella testa, scandendo ogni secondo passato.

Pian piano aveva iniziato a pensare che più tempo passava e più desiderava ricevere un 'si' per risposta.

Si era quindi chiesto come avrebbe reagito nel sentirsi dire di no.

La seconda domanda che s'era fatto era che emozioni avrebbe provato.

A malapena riusciva a riconoscerle e a gestirle, quindi la risposta sarebbe stata difficile da trovare.

Se non fosse divenuta la sua Regina, sarebbe rimasta come dama da compagnia?

Iblīs aveva sentito l'esplodere di una canzone nella sua mente, riconoscendolo come il riaffiorare di un ricordo.

Era stata Asteria a cantargliela? Non rammentava né il contesto né la modalità con la quale si era svolto il ricordo ma era certo che derivasse da lei.

Anche perché, durante il corso della sua vita, solo due donne avevano avuto la bontà e la pazienza di cantare per lui; la prima, Dahlia, era morta.

O meglio: l'avevano uccisa, suo padre ne era stato l'artefice, e ora non ricordava più che suono avesse la sua voce.

Inconsciamente la riconosceva come morbida e soave, come la caduta di una piuma, ma la tonalità, l'accento e il timbro di voce non erano più presenti tra le sue memorie.

Iblīs aveva sollevato di poco il mento, guardando la ragazza. Sarebbe morta anche lei?

No, più tempo passava a palazzo e più la possibilità di divenire immortale si faceva vicina.

Nonostante questo, però, era quasi sicuro che Asteria non avrebbe mai desiderato perdere il dono della morte.

Chi mai l'avrebbe voluto?

Lui stesso desiderava morire, ormai stanco di quella vita immortale.

"Hai mai amato qualcuno?" Gli aveva sussurrato Asteria, curiosa. Forse aveva confuso un sentimento amoroso con una semplice sensazione di momentaneo piacere.

Aveva osservato il modo in cui le ciglia lunghe e nere dell'uomo si alzavano e s'abbassavano ritmicamente, senza tradire alcuna sorpresa. Si aspettava una domanda simile?

Iblīs si era morso il labbro, alla ricerca di una risposta.

Non era sicuro di cosa fosse l'amore, quindi rispondere sarebbe stato complicato.

Sapeva, però, cosa non fosse.

"Credo di sì, ma è successo molto tempo fa." Il suo sguardo si era incupito nel ricordare.

Non pensava di essere in grado di poter ricordare il sentimento vero e proprio, ovvero cosa avesse e cosa non avesse provato, eppure rammentava di averlo pensato.

La memoria era offuscata, confusa, ma Iblīs era sicuro che, in un certo momento della sua vita, avesse provato una sensazione simile all'amore.

Asteria aveva annuito lentamente, quasi sorpresa. Era talmente abituata a pensare al Re come un essere diverso, anormale, che crederlo capace di emozioni umane era strano.

Doveva ricordare a sé stessa che Iblīs era stato un umano proprio come lei, in grado di soffrire e gioire come chiunque altro.

Sarebbe stato possibile farlo tornare a ciò che era? Ridargli una porzione di sanità mentale e di stabilità sarebbe stato un traguardo enorme.

In qualsiasi caso, però, non era certa che ci sarebbe riuscita.

"E tu?" Iblīs le aveva afferrato la mano, strofinando il pollice sul dorso e poi sul palmo per tracciarne le linee.

Le dita di lei erano calde contro quelle fredde di lui; non era quindi riuscito a impedire che un lungo brivido gli percorresse la schiena.

Asteria era tornata indietro con gli anni, al tempo in cui aveva avuto la sua prima esperienza amorosa.

Non era altro che un'adolescente sprovveduta e l'amore, l'avrebbe capito solo dopo, non era un campo riservato a lei.

"Amo i miei amici, il mio negozio, la tutrice che mi ha cresciuta. E ho amato qualcuno, qualche anno fa, ma non ne adoravo la persona: mi innamorai dell'idea che avevo di lui."

Il Re aveva aggrottato le sopracciglia, stringendo leggermente la presa sulla mano di lei.

Inconsciamente sperava di essere il primo uomo che Asteria avesse mai guardato, baciato, abbracciato o con cui avesse dormito assieme.

Il pensiero che avesse cantato per un altro si era infilato nel suo subconscio, tormentandolo.

Aveva voglia di dipingerle di nuovo sulla pelle, di lasciarle addosso un segno indelebile, un marchio che dicesse a tutti che era sua.

Ma non lo era, Asteria non era sua e se ne doveva fare una ragione.

Oppure, aveva pensato il Re con un piccolo sorriso in volto, avrebbe potuto farle cambiare idea.

Il corso degli eventi era mutevole, no? Non tutto era scritto nelle stelle o sul libro del Destino.

"Come è andata a finire con la ragazza che amavi?"

Iblīs si era leccato le labbra, facendo scontrare per errore la lingua contro il collo di lei.

Sapeva di dolce, di miele, e per un attimo aveva completamente dimenticato la domanda che gli aveva posto.

La mora si era mossa di poco, scossa da un piccolo brivido, per mettere un minimo di distanza tra loro due: non voleva distrarsi.

Come è andata? La ragazza era morta, vittima del suo stesso inganno, e lui ne era rimasto traumatizzato. No, non era morta: l'aveva uccisa.

O glielo avevano fatto fare.

La questione era la stessa, in entrambi i casi era stato lui a stroncare la vita della ragazza, volente o nolente.

Ma non avrebbe mai ucciso Asteria, non era nelle sue intenzioni farlo e tanto meno gli avrebbe portato qualche beneficio.

Se le avesse rivelato cosa era successo, cosa aveva fatto, sicuramente se ne sarebbe sentita disgustata.

Lo avrebbe odiato, magari, oppure avrebbe temuto di essere la sua prossima vittima.

Quindi aveva sorriso, dandosi un'aria pensosa.

"Ha scelto un altro, tutto qui."

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