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08| Il Cuore Del Gelo

𝕹𝖊𝖑 𝖈𝖔𝖗𝖕𝖔 𝖉𝖎 𝖚𝖓𝖆 𝖗𝖆𝖌𝖆𝖟𝖟𝖆 𝖗𝖎𝖒𝖆𝖓𝖊 𝖈𝖔𝖒𝖚𝖓𝖖𝖚𝖊 𝖒𝖔𝖑𝖙𝖔, 𝖆𝖓𝖈𝖍𝖊 𝖘𝖊 𝖘𝖊𝖓𝖟𝖆 𝖙𝖊𝖘𝖙𝖆. 𝕺𝖛𝖛𝖎𝖆𝖒𝖊𝖓𝖙𝖊 𝖑𝖆 𝖕𝖊𝖗𝖘𝖔𝖓𝖆𝖑𝖎𝖙𝖆' 𝖊' 𝖆𝖓𝖉𝖆𝖙𝖆.
-Edmund Kemper

La sala del trono era, come aspettatosi, abbastanza grande e luminosa da ospitare un centinaio di persone. Il perimetro era disseminato da finestre decorate da pezzi di vetro colorati che, se osservati attentamente, andavano a formare splendidi disegni.

Iblīs aveva passato i suoi anni di bambino ad analizzarli tutti con la speranza di estrapolare da quei disegni una meravigliosa storia. Non vi era, però, mai riuscito.

Da piccolo aveva pensato di voler divenire un racconta storie; voleva possedere il potere di creare un nuovo mondo accessibile a tutti coloro che nel loro s'erano persi.

Nonostante la sua caritatevole idea non era mai riuscito a mettere su carta ciò che nella sua mente aveva sempre vagato, così aveva iniziato a leggere abbandonando il sogno di divenire uno scrittore.

L'ironia stava nel fatto che ora aveva un mondo completamente suo, totalmente immaginario ma ahimè inaccessibile agli altri.

"Raccontami una storia," aveva bisbigliato il Re, sentendosi incredibilmente stanco e pesante mentre alzava il braccio destro verso Ehsan.

Quest ultimo aveva rivolto uno sguardo confuso ad Asteria: il suo compito non era forse far ridere il Re? Allora perché gli stava chiedendo una storia? Il dubbio che quello fosse un trabocchetto aveva iniziato a tormentarlo.

Nasser, che si trovava alla destra del Re, aveva ghignato con fare consapevole senza però divulgare alcuna informazione utile e Asteria, che invece non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo, si era inginocchiata per sedersi a terra, alla sinistra del Re.

Questo aveva attirato momentaneamente l'attenzione dei presenti, distogliendo lo sguardo violaceo del Re da Ehsan.

Si era accorta di quanto le mani del Re avessero preso a tremare mentre la guardava, di come i suoi occhi si fossero assottigliati per riempirsi d'un sentimento strano, tremolante e spaventoso.

Iblīs la guardava e si rivedeva in lei, rivedeva il bambino umiliato ai piedi del padre che era stato e che, alle volte, era ancora.

"No, no-tu non devi sederti lì." Aveva allungato le braccia verso di lei, afferrandola per le spalle come a volerla spostare di peso mentre Asteria aggrottava le sopracciglia, confusa.

La stava rimproverando? Non capiva cosa avrebbe dovuto fare per accontentarlo e quindi si era lentamente alzata.

Iblīs aveva continuato a tenerla per le spalle, strattonandola di tanto in tanto per farla muovere più velocemente.

La mano destra di Nasser era volata verso il fodero della sua spada quasi come se avesse vita propria, le ginocchia lievemente piegate e il busto che sporgeva in avanti.

Gli erano serviti un paio di secondi per rendersi conto di cosa stesse facendo, del fatto che il suo corpo s'era mosso per difendere una donna che conosceva da pochi, pochissimi, giorni.

Persino Iblīs s'era accorta dell'impercettibile movimento di Nasser ed ora si era quindi voltato ad osservarlo come se al suo fianco avesse un esemplare raro. Il Re si era leccato le labbra, lasciando andare la presa che aveva sulle spalle di Asteria per afferrarle il polso.

"Cosa, cosa-diamine cosa vuoi fare con quella spada, Nasser? Uccidermi?" Era esploso in una fragorosa risata che sapeva di scherno e di palese presa in giro.

Asteria e Nasser si erano scambiati un veloce sguardo mentre Ehsan arretrava di un passo, confuso e spaventato al tempo stesso. Iblīs rideva, singhiozzava mentre la presa sul polso di Asteria si faceva più forte e minacciosa.

Era sicura di aver sentito il suo osso muoversi in maniera dolorosa e innaturale ma era rimasta in silenzio, permettendo solo al suo viso di mostrare quanto le stesse facendo male.

"Non potrei mai, sire."

La frase di Nasser nascondeva due significati: il primo voleva far intendere che mai avrebbe fatto qualcosa per mettere in pericolo la vita del Re ed il secondo che non poteva fisicamente uccidere Iblīs.

Anche se avesse voluto, anche se ci avesse provato, non sarebbe mai riuscito ad assassinare il Re immortale e questo Iblis lo sapeva bene; non era uno stupido né tanto meno un illuso: era consapevole che se Nasser avesse potuto l'avrebbe già ucciso.

Non che gli importasse, chiaramente.

Era nella natura umana puntare alla distruzione dell'altro e chi era lui per impedire tale sentimento? Nasser non era, secondo Iblīs, leale a lui ma lo era al suo incarico.

Così aveva voltato il busto verso Nasser, sorridendogli come se avesse avuto davanti un bambino mentre con la mano libera lo afferrava per il colletto della camicia.

"Vi prego di riflettere, sire. Non pensa di aver lasciato abbastanza segni sul corpo della ragazza?" Nasser aveva sentito lo sguardo di Asteria bruciargli la fronte e il viso come a pregarlo silenziosamente di stare zitto.

Ma lui conosceva abbastanza bene il Re da conoscere il limite che non poteva superare ed era quindi sicuro di non aver fatto, non ancora per lo meno, un passo falso. Iblīs aveva infatti risposto come si aspettava: aggrottando le sopracciglia per guardarlo con confusione e incredulità.

Si era repentinamente voltato verso Asteria per assicurarsi delle parole di Nasser, senza però credergli.

"Io non le ho fatto nulla."

L'aveva borbottato a mezza voce, dubitando di se stesso mentre lasciava vagare lo sguardo sul collo e sulle clavicole di Asteria notando il modo in cui le grandi chiazze violacee e a tratti nere coprivano il suo incarnato scuro.

Nasser aveva sorriso, consapevole.

Il Re non ricordava.

"Mi permetto di dissentire, sire. Forse non ricorda ma a procurarle quei lividi siete stato voi stesso."

Iblīs si era sentit rabbrividire mentre scansava Nasser con uno strattone, avvicinando invece Asteria per ordinarle di piegarsi verso di lui.

No, non poteva essere, lui non avrebbe mai fatto del male a nessuno, lui non avrebbe mai fatto del male ad una donna.

Eppure le macchie violacee non accennavano a sparire, non importava quanto le guardasse perché non volevano sapere di lasciare la pelle della donna. Era stato davvero lui? Non ricordava, tentava di cercare nei cassetti della sua memoria cenni di ciò che era successo ma non trovava nulla.

Nulla se non strascichi di confusi avvenimenti.

Mani, ricordava delle mani, le sue mani, strette attorno qualcosa di soffice ma nient altro.

Mani, c'erano così tante mani nella sua memoria ad afferrarlo e a strattonarlo, gli imprimevano addosso vergogna come a volerlo permanentemente marchiare.

Asteria aveva deglutito, innalzando la mano libera per toccare il viso paralizzato dalla paura di Iblīs. Ehsan e Nasser avevano trattenuto un respiro, entrambi scontenti dalle azioni di lei ma troppo assorti per dire qualcosa a riguardo.

Gli aveva quindi accarezzato la mascella nel tentativo di rendere la propria presenza palese al Re e riportarlo alla realtà. Aveva, contro ogni aspettativa di Ehsan e Nasser, funzionato.

"Questi te li ho fatti io, Miel?" Iblīs le aveva sfiorato il collo e le clavicole, analizzando come meglio poteva le increspature della pelle di Asteria, i punti in cui i lividi erano talmente intensi da poter esser sentiti tramite il tocco.

Quei lembi di pelle erano, infatti, gonfi e tumefatti.

"Si." Non avrebbe avuto senso mentirgli, giusto? E di certo non aveva intenzione di far passare il Re come un innocente ma nemmeno di mortificarlo, per questo non aveva aggiunto altro.

Si era chiesta se non ricordasse nemmeno di aver ucciso i suoi precedenti servi, se ci fossero ricordi stabili nella sua memoria.

"Fanno male?" Aveva premuto l'indice contro uno dei lividi, avvicinando il viso per soffiarvici sopra come se potesse lenire il male.

Asteria aveva sentito la schiena esserle percorso da qualche piccolo brivido mentre scuoteva la testa mormorando un "solo un po'."

Iblīs aveva quindi annuito, sorridendo come se la risposta l'avesse lievemente rassicurato mentre andava a poggiare le labbra su ogni livido.

Ricordava essere un'azione normale per Dahlia la quale baciava ogni suo livido, quando ancora era un bambino, promettendogli che il dolore sarebbe poi passato.

Ad Asteria si era formato un groppo in gola mentre sentiva le labbra fredde di Iblīs premute contro la sua gola e quindi aveva alzato lo sguardo verso Nasser, confusa e a tratti spaventata.

"Meglio?" Aveva interrotto il contatto con il collo di Asteria per rivolgere uno sguardo inquisitore; avrebbe potuto continuare e la cosa non gli avrebbe arrecato nessun fastidio.

Si era detto che il motivo fosse l'odore della sua pelle: dolce e a malapena percettibile ma decisamente migliore di quello che impestava il suo palazzo.

"Si, decisamente. Vi ringrazio, sire." Si era quindi mossa all'indietro per mettere un po' di distanza tra lei e il Re rendendosi dolorosamente conto di quanto la sua pelle sembrasse bruciare dopo il contatto con Iblīs.

Il Re aveva sorriso, più a se stesso che a lei, mentre si voltava verso Ehsan.

"Raccontami una storia."

Considerava la conversazione chiusa e il problema risolto, non vi era motivo di insistere sullo stesso argomento.

Ehsan si era schiarito la gola, facendo sì di ritrovare un po' del contegno che aveva perso mentre nella sua testa si affollavano miriadi di storie. Da dove cominciare? Con lo sguardo basso aveva deciso di narrare la fiaba che meglio ricordava, sperando che al Re sarebbe andata bene.

"C'era una volta un'anziana signora la quale aveva una figlia ed una figliastra, nata dal precedente matrimonio di suo marito. Qualsiasi cosa facesse la legittima figlia, che fosse giusta o sbagliata, l'anziana la lodava regalandole parole d'amore.

Ma lo stesso non valeva per la figliastra la quale era sempre vittima di parole di scherno, qualsiasi cosa facesse era motivo di astio e fastidio per l'anziana.

Così, un giorno, l'anziana donna decise che si sarebbe dovuta liberare della figliastra. Chiamò il marito e gli disse che avrebbe dovuto portare la ragazza nel bosco e abbandonarla lì, al freddo, senza fornirle alcunché.

Il marito, un uomo succube e debole di spirito, pianse ma acconsentì alla richiesta della moglie. Mise quindi la ragazza sulla slitta e senza fornirle nemmeno una pelliccia la condusse nel bosco per lasciarla su un cumulo di neve.

Le disse addio, lasciandola sola per non vederla morire.

La povera ragazza, ormai sola e sull'orlo dell'ipotermia, iniziò quindi a pregare mentre i denti battevano l'uno contro l'altro per il freddo. L'incarnato della poverina si fece blu ed il suo respirò rallentò la sua corsa fino a quando davanti a lei non si palesò il Gelo, demone del freddo e responsabile della morte per ipotermia degli umani.

-Ragazza, ragazza, io sono il Gelo e son venuto qui per te!- Il demone le aveva sorriso, saltellandole attorno per osservarla meglio. Era davvero una bella ragazza, sarebbe stato un peccato ucciderla, eppure era il suo compito!

-Salute a te, Gelo. Sono sicura che sia stato il destino a mandarvi da me, fa di me ciò che egli vuole.-

La ragazza pianse un po' al pensiero della sua morte, consolandosi alla consapevolezza che presto sarebbe tornata dal padre eterno. Ma il Gelo, commosso e compassionevole, incrociò le braccia al petto e le portò una pelliccia decidendo che per quel giorno l'avrebbe risparmiata.

Con la pelliccia la ragazza si coprì il corpo tremante, addormentandosi. Il giorno dopo il Gelo si presentò di nuovo dinnanzi a lei, ancor più sorridente del giorno prima.

-Ragazza, ragazza, io sono il Gelo ed oggi torno per portarti via con me!- Il demone aveva battuto le mani, estasiato, mentre la giovane gli sorrideva stretta alla pelliccia.

-Salute a te, Gelo. Ti ringrazio della pelliccia e della gentilezza che mi hai mostrato, fa di me ciò che vuoi.-

Questa volta la ragazza non pianse e anzi sorrise dolcemente al demone, poggiando la guancia contro la morbida e calda pelliccia per sentirne un'ultima volta il profumo.

Il Gelo, che pareva esser fuori di sé, sorrise di rimando mentre si sedeva davanti alla ragazza. Come poteva una così bella fanciulla accettare la morte in maniera tanto calma ed amorevole?

Aveva quindi scosso la testa, accarezzandole i capelli con la mano ghiacciata. Dalla manica del Gelo comparve un capello rosso come il suo naso ed una graziosa sciarpa verde che diede in dono alla ragazza.

-Per ancora un giorno ti lascerò vivere ma domani, domani dovrai venire con me!- E così si dileguò.

La matrigna della ragazza, venuta a sapere di ciò che era avvenuto nel bosco, spedì la figlia prediletta nella radura sperando che il Gelo se la prendesse in sposa. Ma il demone, scontento e adirato, fece morire assiderata la ragazza spedendo le sue ossa all'anziana donna.

La notte divenne giorno e così si recò nuovamente dalla bella fanciulla che addormentata giaceva sulla pelliccia.

-Ragazza, ragazza, io sono il Gelo ed oggi sono qui per portarti via con me!- Si sdraiò vicino a lei e le pizzicò il naso rosso per il freddo, osservandola mentre ricambiava il sorriso.

-Salute a te, Gelo. Ti ringrazio dei doni che mi hai concesso, ma ora portami via con te.-

Il Gelo, stupefatto, si mise a sedere per osservarla meglio. Non capiva come avesse fatto il padre della fanciulla ad abbandonarla e come, ancora peggio, la matrigna potesse odiarla a tal modo.

-Ti offro il mio terzo dono, dolce ragazza, a te la scelta se accertarlo o meno.-

-Di quale dono parli, Gelo?-

-Diventa mia moglie e regna con me.- Il Gelo le offrì la sua mano, invitandola ad accettarla.
La ragazza, confusa e sconvolta al tempo stesso, osservò per diversi secondi la mano del demone chiedendosi quale fosse la scelta giusta.

-Ma Gelo, io non ho nulla da offrirvi! Come moglie non sarei all'altezza.-

Ma al demone non importava e così le prese la mano, accarezzandole il palmo con il pollice.

-Ma come, dolce fanciulla, tu mi hai donato il battito!-

-Il battito?-

-Certo! Il battito ad un cuore troppo infreddolito per fremere, non vi è dono migliore.-"

La sala del trono era sprofondata in un profondo silenzio spezzato solo dal respiro irregolare di Ehsan.

La lingua gli si era seccata a causa del tanto parlare ed ora aspettava pazientemente di una risposta.

Dallo sguardo addolcito di Asteria aveva intuito che la storia le fosse piaciuta mentre Nasser-lui sembrava seccato e disgustato al tempo stesso.

Ah, la dolcezza! Che emozione sconosciuta al consigliere reale.

Ma Ehsan era soddisfatto: ad Asteria la fiaba era piaciuta ed il Re era stranamente in silenzio.

"Non capisco." Aveva mormorato Iblīs, massaggiando il polso di Asteria quasi inconsciamente.

La morbidezza della sua pelle lo rassicurava, in un certo senso, ed era quindi uno pseudo-modo di distrarsi.

"Cosa non capite?" Ehsan aveva sgranato gli occhi, senza riuscire a impedire la smania di parlare, di chiarire ogni dubbio che il suo sovrano aveva.

"Perché mai un demone, il Gelo, dovrebbe volere che il suo cuore batta? Se la ragazza è in grado di farlo battere allora sarà certamente capace di stoppare il suo ritmo."

Nasser aveva scosso la testa, sorridendo al pensiero di quanto il Re riuscisse ad aver dubbi su ogni cosa.

Ehsan si era grattato la nuca, pensando alla risposta da dare mentre Asteria si girava lentamente verso il Re.

"Per amore, sire."

Il Re aveva riso, portandosi una mano davanti alla bocca per camuffare il tutto.
Ad Asteria, in quel momento, era sembrato quasi affascinante ma oh quanto poco ci voleva a virare i propri pensieri! E così era tornata a pensare alla bella storia, sorridendo al pensiero del Gelo e della fanciulla.

"L'amore non è altro che una debolezza; una stupida fiaba inventata dagli uomini per giustificare un sentimento di possessione."

Aveva quindi poggiato la guancia sul palmo della mano, usando l'altra per strattonare Asteria vicino a sé facendola quasi inciampare.

"Che ne pensi, Miel? Cosa pensa la tua testolina dell'amore?" Era curioso, speranzoso di sentirsi dar ragione da lei e, allo stesso tempo, d'esser contradetto.

"Credo che sia un'arma," aveva scandito ogni sillaba senza mai distogliere lo sguardo da quello curioso di Iblīs il quale sorrideva, sorrideva come se gli avesse appena dato ragione, "può ferirti così come può proteggerti. Un uomo senza amore è solo un contenitore vuoto, sire."

Ehsan aveva trattenuto il fiato, chiedendosi se fosse sicuro per lei parlare così al Re.

L'aveva apertamente contradetto nonostante avesse usato un tono di voce neutro e non offensivo.

Iblīs le aveva afferrato il mento, voltandole il viso un paio di volte solo per il gusto di vederla confusa e impaurita.

Si, l'amore era certamente un'arma e lui se ne intendeva di armi, ma non di quella.

"Pensi che potresti mai amare me, Miel?"

A T T E N Z I O N E
Cosa pensate di Iblīs?
La storia del gelo è ispirata alla fiaba russa di Nonno Gelo, l'ho cambiata per metà quindi potrebbe suonarvi familiare :)

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