04| Manipolare Un Uomo È Facile
𝕾𝖊𝖓𝖙𝖎 𝖚𝖓 𝖚𝖑𝖙𝖎𝖒𝖔 𝖗𝖊𝖘𝖕𝖎𝖗𝖔 𝖑𝖆𝖘𝖈𝖎𝖆𝖗𝖊 𝖎𝖑 𝖑𝖔𝖗𝖔 𝖈𝖔𝖗𝖕𝖔 𝖊 𝖑𝖎 𝖌𝖚𝖆𝖗𝖉𝖎 𝖓𝖊𝖌𝖑𝖎 𝖔𝖈𝖈𝖍𝖎. 𝕴𝖓 𝖖𝖚𝖊𝖑𝖑𝖆 𝖘𝖎𝖙𝖚𝖆𝖟𝖎𝖔𝖓𝖊 𝖘𝖊𝖎 𝕯𝖎𝖔.
-Ted Bundy
La resa era qualcosa che Asteria, nonostante ci provasse, non riusciva ad evitare. La sua vita le pareva un continuo annuire, un perenne accettare le scelte altrui e sottostarci come avrebbe fatto una brava ragazza dell'epoca.
Nascere femmina, in quel periodo, era considerata una sventura; nonostante i ruoli di uomo e donna fossero simili quest'ultime avevano addosso l'obbligo morale, come una regola non scritta ma da tutti conosciuta, di obbedire.
Le opinioni di una donna erano quindi nulle se non sostenute da un uomo ed ora, davanti all'uomo più influente d'Egitto quale il Re, non poteva che mordersi la lingua ed abbassare la testa.
Alisha aveva urlato il suo nome un paio di volte prima d'esser forzata sul cavallo da Azef il quale, con sguardo triste, aveva continuato a fissarla.
Non poteva fare nulla per andare contro al Re, nemmeno lui che era un uomo poteva opporsi.
L'idea di star abbandonando un'amica, la più preziosa che aveva, lo stava divorando dentro.
Se il senso di colpa avesse avuto una forma palpabile Azef ne sarebbe stato letteralmente schiacciato.
Aveva lasciato che i suoi occhi si scontrassero contro la nuca di Alisha, adirato.
E il sentimento più umano del mondo era traboccato dalle sue iridi scure: il risentimento, l'astio e l'insofferenza.
Era tutta colpa di Alisha, secondo lui, se Asteria si trovava in quella posizione. L'aveva sempre ritenuta immatura ma fuggire per recarsi al palazzo di Re Iblīs era troppo anche per una ragazzina sciocca come lei.
Una parte di lui pensava di odiarla, in quel momento, perché rappresentava fisicamente la causa di tutto quel problema.
"Portala via," Azef aveva visto le labbra di Asteria muoversi velocemente per parlargli prima che se ne andasse, "troverò un modo." Non aveva finito la frase, preoccupata di insospettire Iblīs.
E così Azef aveva stretto le braccia attorno al busto di Alisha per non permetterle di scendere dal cavallo, annuendo in direzione di Asteria con espressione colpevole.
I talloni di Azef erano andati a scontrarsi contro i fianchi dell'animale, incitandolo a trottare, mentre Alisha urlava un'ultima volta il suo nome.
I rumori erano quindi spariti attorno a lei, tutto pareva tremendamente silenzioso e irraggiungibile.
Cosa aveva fatto?
La consapevolezza d'esser bloccata lì, su una terra abbandonata persino da Dio, in compagnia di una delle persone-o esseri, più letali al mondo la stava divorando.
Si era sempre considerata una persona coraggiosa, leale, eppure adesso tremava dalla paura.
Ma paura di cosa? C'erano così tanti fattori a spaventarla, ad agitarla, così tante cose che potevano andare nel verso sbagliato e condurla alla morte.
La morte, che pensiero buffo.
Non aveva mai pensato molto alla morte, forse perché l'aveva sempre visto come un evento lontano. Dopotutto Asteria era giovane, giovanissima, e la morte non era qualcosa a cui avrebbe dovuto pensare.
Nonostante ciò ora la vedeva come un nemico nascosto nell'ombra, pronto a stringerla a sé per rubarle il suo ultimo respiro.
Sarebbe morta, di questo era certa, e forse anche troppo presto.
Iblīs, dal canto suo, era estasiato alla vista del corpo di Asteria che tremava, si spezzava e si ricomponeva con facilità a lui incomprensibile.
Se solo glielo avesse chiesto l'avrebbe spezzata lui stesso, ricostruendola come meglio credeva. L'avrebbe resa bellissima, eterna e non più debole.
Deboli, gli umani erano così dannatamente deboli ai suoi occhi. Ma Asteria sapeva cantare quindi non era debole, era un'artista e lui, oh lui amava l'arte!
"Non l'ho uccisa, perché tremi?"
Non le aveva, ecco non le aveva forse fatto un favore? Lui non l'aveva nemmeno toccata quell'insulsa ragazzina eppure Asteria lo guardava con astio, come se le avesse fatto qualcosa di male.
Le aveva fatto solo un favore, diamine!
Iblīs aveva smesso di sorridere, concentrando lo sguardo sulle sue mani.
Tremavano, intensi spasmi lungo le dita, i palmi ed i polsi che lo costringevano a scuoterle. Era sicuro di vedere una mano con lunghi artigli neri attorno ai suoi polsi che lo strattonavano.
Le sue mani non tremavano, no, qualche bestia gliele stava muovendo a forza! Si era sfregato convulsamente i polsi, tentando di scacciare gli invisibili artigli per poi sollevare lo sguardo su Asteria.
Li vedeva, li vedeva anche lei?
Ma Asteria non vedeva nulla, nessuno li vedeva eccetto lui.
Non era pazzo, non poteva esserlo. No: erano gli altri i pazzi, i ciechi che non vedevano i mostri, i morti, che si trascinavo attorno a lui.
"Mi sta-mi sta strattonando." Le aveva detto Iblīs, impaziente di spiegarle il perché stesse tremando a quel modo. Doveva farle capire cosa stava accadendo, convincerla che non era colpa sua.
Tremando le aveva mostrato i polsi, i suoi occhi percepivano quegli artigli inumani scavargli la carne per arrivare alle ossa.
Non gli facevano male, il dolore lo sentiva appena ormai; il suo corpo era un guscio vuoto e privo di sensibilità: non sentiva nulla.
Asteria aveva abbassato gli occhi sui suoi polsi, confusa. Chi lo stava strattonando? Riusciva a vedere solo i suoi polsi candidi, pallidi, tremare come foglie.
Nessuno lo stava toccando eppure lui era convinto del contrario, il suo Re era folle e lei non sapeva come aiutarlo.
Asteria aveva lanciato uno sguardo preoccupato a Nasser e poi di nuovo ad Iblīs, facendo un passo verso di lui.
Cosa poteva fare per aiutarlo? Ma sopratutto: perché mai avrebbe dovuto aiutarlo? Non era un suo amico, né qualcuno che le aveva fatto un favore; eppure appariva così spaventato e solo da farle pena.
Non immaginava come ci si sentisse a vedere, sentire e toccare cose che non erano realmente lì, a dubitare costantemente della realtà fino a perderla.
Iblīs era totalmente estraniato dal mondo, non poteva capire cosa fosse reale e cosa fosse solo una finzione e lei lo trovava triste, quasi pietoso.
Gli aveva afferrato lentamente i polsi, guardandolo.
"Qui?"
Era quello il punto in cui vedeva gli artigli mostruosi?
Un cenno di testa, si, e Asteria s'era affrettata a strofinargli i polsi, le dita e i palmi, come se stesse scacciando via un insetto.
Iblīs aveva visto le mani di lei toccare gli artigli neri e spostarli, scacciarli via per liberarlo dalla morsa fastidiosa del mostro.
Le mani inumane erano sparite, sostituite da quelle morbide di Asteria. Aveva scacciato il mostro senza nemmeno vederlo, senza averne paura.
Perché, perché, perché, perché?
Nasser aveva nascosto un sorriso, lanciando uno sguardo alla folla sbigottita.
L'unico modo, secondo Nasser, di aiutare un pazzo era assecondarlo e Asteria pareva riuscirci divinamente.
"Ci sono ancora?" Aveva mormorato lei, senza guardarlo. Aveva toccato il Re senza il suo permesso e quello si che era un reato.
Ma Iblīs si era limitato ad annuire, estasiato dal tocco morbido.
Mani di femmina, da quanto non ne sentiva il calore? Sua madre, sua madre l'aveva mai toccato? No, no sua madre era morta.
Un ventre scarlatto, vuoto, marcio.
Magari anche lui, anche lui era nato morto.
Forse tutti erano vivi e ad esser morto era solo lui, questo avrebbe spiegato le sue visioni, i suoi deliri.
Sono morto?
Aveva stretto le dita contro quelle di Asteria, preoccupato.
No, lui la sentiva sotto la pelle, percepiva i suoi battiti, il sangue caldo che le circolava nel corpo. Un morto non poteva, non poteva, non poteva- cos'è che un morto non poteva fare?
Non ricordava; dopotutto lui non era morto quindi come poteva saperlo? Il pensiero l'aveva fatto sorridere.
Non sarebbe mai morto e, allo stesso tempo, non sarebbe mai stato vivo. Una maledizione, era maledetto, giusto?
Qualcosa gli sfuggiva, sfuggiva, s f u g g i v a via dalla sua memoria, dalle sue dita per correre lontano.
"Portala, portala lì, si tu sai, sai, lo sai?" Aveva lanciato uno sguardo a Nasser, cercando di capire se l'avesse compreso.
Era così difficile parlare, connettere le parole in un modo corretto e consono. Perché gli umani parlavano? Era stupida come cosa.
Ma Nasser l'aveva capito, degno servo di un degno folle, e aveva afferrato Asteria per il gomito.
Mossa sbagliata.
Iblīs lo aveva strattonato per la camicia, aggrottando gli occhi e avvicinando il viso al suo per intimidirlo.
"Piano." Aveva sibilato il Re, lasciandolo.
Piano, si era ripetuta Asteria, come se non avesse cercato di strangolarmi!
Nasser aveva chinato la testa in segno di sottomissione, toccando la schiena di Asteria per intimarle di muoversi.
"Si, sua Maestà."
**
La stanza in cui era stata scortata odorava di dolce, le finestre erano state sbarrate e le tende impedivano l'accesso della luce.
Ad illuminare la stanza vi erano dai candelabri che, seppur impercettibilmente, dondolavano avanti e indietro, spostando le ombre di tanto in tanto.
Era grande, più di quanto Asteria si sarebbe mai immaginata, con un letto a baldacchino relegato in un angolo ed un divano a forma di L al centro.
Davanti ad esso vi era un tavolino in vetro con sopra diverse pietanze e qualche calice con chissà quale bevanda. Non avrebbe toccato nulla, un po' per paura d'esser avvelenata e un po' perché il suo stomaco era totalmente chiuso.
Aveva sempre sentito la fame, seppur non ad alti livelli, e mai si sarebbe immaginata di rifiutare del cibo.
Iniziava a chiedersi se Azef e Alisha fossero arrivati a casa, come stessero e cosa stessero facendo. Era certa che Azef avrebbe sgridato Alisha e che quest'ultima avrebbe, con molta probabilità, pianto.
Ma non importava: non aveva intenzione di rimanere lì per molto tempo, se ne sarebbe andata presto.
"Ero sicuro che saresti venuta," le aveva detto Nasser, sedendo vicino a lei sul divano.
Era infastidita dalla sua presenza, dal suo modo di parlare e di atteggiarsi. Le sembrava d'esser presa in giro e la cosa la mandava fuori di testa.
"Speravo di non dover più vedere la tua faccia, e invece eccomi qui." Era stata la sua risposta.
Asteria aveva poggiato il gomito sul bracciolo del divano, sostenendosi la testa con il palmo della mano. Era annoiata e infastidita, questo Nasser l'aveva notato.
Sarebbe stato impossibile, anche perché, non farlo.
Non lo guardava e anzi sporgeva il corpo il più lontano possibile dal suo, creando una specie di barriera invisibile tra loro due.
La cosa lo divertiva, avrebbe mentito se avesse detto il contrario.
"Ed io che pensavo fossimo già amici!" Si era quindi versato del vino in uno dei tanti calici, mandandone giù un sorso abbondante.
Era abituato all'ostilità e quella che Asteria gli stava mostrando era misera rispetto a quella degli altri. Un altro abitante, uno qualsiasi, lo avrebbe volentieri accoltellato.
Non che li biasimasse, certo.
Dopotutto interpretava la parte del cane del Re, un servo fedele senza coscienza, era così che lo vedevano gli altri.
"Un amico mi avrebbe già versato da bere," aveva puntato l'indice verso i calici e le brocche, rivolgendogli un piccolo ghigno.
Non aveva senso ignorarlo o urlargli contro: aveva bisogno di un alleato e Nasser faceva al caso suo, dopotutto era la persona più influente, dopo il Re, in quel posto desolato.
Se fosse riuscita a convincerlo ad aiutarla magari sarebbe stata in grado di andarsene prima della fine della settimana.
Nasser aveva ridacchiato, afferrando la brocca di vino per versarle da bere. Aveva abbondato un po' con le dosi, senza però darci troppo peso.
"Non pensavo bevessi."
"Non pensavo fossero affari tuoi."
Si erano rivolti un sorriso, lui divertito e lei calcolatrice. Ingannare un uomo era relativamente facile, Asteria lo sapeva bene.
Ma Nasser non era un uomo comune, ci sarebbe voluto molto di più per manipolarlo quanto bastava per farsi aiutare.
Le aveva passato il calice, osservandola mentre mandava giù un piccolo sorso. Asteria aveva inclinato leggermente la coppa, lasciando che un sottilissimo rivolo di vino le sfuggisse, percorrendole il lato delle labbra per cadere verso il mento, sul collo per poi svanire sotto il suo abito, nello spazio tra i seni.
Nasser aveva osservato il percorso che aveva compiuto quel po' di vino, guardandole le labbra rosse, il collo violaceo a causa di Iblīs e la scollatura.
Si, si era ripetuta Asteria, ingannare un uomo era facile.
Aveva sorriso leggermente, senza farsi notare, per poi asciugarsi le labbra con il dorso della mano.
"Ed io che pensavo d'aver imparato a tenere un calice in mano," gli aveva rivolto un sorriso fintamente imbarazzato, "sono proprio una frana."
Nasser aveva sorriso di rimando, poggiando la schiena contro il divano per darsi un po' di sollievo.
A che diamine stava pensando?!
"Non preoccuparti, può capitare. Ti serve un fazzoletto per-sai, per asciugarti lì."
Cambiare discorso era stato più complicato del previsto, forse perché non sapeva esattamente come
distrarre i pensieri.
Asteria aveva sorriso, scuotendo la testa.
"Ho le mani piene, vuoi aiutarmi tu?" Asteria aveva preso un altro sorso, soddisfatta e disgustata di se stessa allo stesso tempo.
Aveva osservato Nasser sgranare gli occhi e fissarla con le labbra schiuse, probabilmente incredulo.
Prima si attacca e poi ci si ritira, era un gioco che funzionava spesso.
"Sto scherzando, non essere così rigido." Aveva ammorbidito il proprio sorriso, inclinando la testa di lato per dargli l'impressione che stesse realmente fingendo.
"Si, si lo aveva capito." Si era lasciato andare ad una risatina nervosa, distogliendo quindi lo sguardo da lei.
Asteria aveva quindi deciso che per quel giorno sarebbe stato abbastanza, non aveva nessuna intenzione di sembrargli una escort: avrebbe abbassato la considerazione che aveva di lei.
Si sarebbe limitata a giocare un po' con lui, il che era forse peggiore di risultare una prostituta.
Era una persona cattiva, a farlo? Non lo sapeva, voleva solamente tornare a casa e avrebbe fatto di tutto pur di raggiungere il suo obbiettivo.
"Parlami del Re," riusciva a sentire il calore del vino infiammarle le guance e rilassarla, per quanto poteva.
Aveva bisogno di conoscere tutto ciò che poteva sul Re per sopravvivere, principalmente, ma anche per saziare la sua curiosità.
Si chiedeva come avesse fatto a ridursi così o se, magari, ci fosse nato.
"Nemmeno io conosco molto, so che sua madre è morta dandolo alla luce e che suo padre era un uomo piuttosto violento." L'alcol pareva sciogliere la lingua di Nasser, invogliandolo a parlare.
In circostanze normali non avrebbe detto nemmeno una parola ma, dopotutto, che male poteva fare un'innocua femmina?
Che uomo ingenuo, che era.
O forse lo erano tutti: sottovalutare una donna, grave errore.
Asteria aveva annuito, sporgendosi verso di lui ed invogliandolo a continuare.
Di più, aveva bisogno di più.
"Ha delle visioni; vede e sente creature mostruose. Non ha un senso della realtà e spesso dimentica tutto, non ricorda cosa voleva dire e non sa come esprimerlo. Bisogna interpretare le sue parole e prega di farlo bene."
Si era chiesta ancora una volta come potesse un Re così fragile e perso risultare così letale.
"Hai qualcosa qui..." aveva borbottato Asteria, strofinando il pollice contro l'angolo delle labbra di Nasser, "e dimmi: è vero che non può morire?"
Nasser non era riuscito a concentrarsi su altro se non sul dito di lei contro l'angolo delle labbra, completamente sorpreso e senza parole.
Involontariamente aveva annuito, dandole ragione, muovendo la testa verso la sua mano per avere di più.
Anche lui non ricordava cosa si provasse a ricevere del contatto fisico, servire il Re l'aveva limitato da quel punto di vista.
Asteria aveva sorriso, leggermente impietosita e allo stesso tempo intenerita dal ragazzo. Le pareva un bambino in cerca d'affetto, di contatto umano.
Si sentiva però parzialmente in colpa: lo stavo deviando, tentando di confonderlo per ricevere risposte e quello si che era meschino.
"Qualcuno è in cerca d'affetto, mh?"
Era una frase calcolata, quella.
In base alla risposta si sarebbe scansata o, al contrario, avrebbe approfondito.
Tecnicamente era suonata come una domanda ironica, una sorta di presa in giro e Nasser l'aveva presa proprio in quel modo.
Ma non gli importava, voleva sentire, ricordare cosa significasse esser toccati gentilmente. E così aveva inarcato un sopracciglio, mordendosi l'interno guancia con aria di sfida.
"E se anche fosse?" Aveva aspettato di vederla scansare la mano, ma così non era stato.
Asteria aveva invece aperto completamente il palmo, poggiandoglielo sulla guancia e strofinando il pollice contro di essa in una silenziosa carezza.
Nasser aveva una pelle inaspettatamente morbida, calda nonostante il clima freddo del posto. A lui pareva che il suo tocco lo bruciasse, che lo consumasse.
Andava bene farsi toccare a quel modo?
E così Asteria aveva messo in atto la sua seconda mossa calcolata: togliere la mano.
La reazione che aveva ricevuto era stata quella
che si aspettava. Nasser le aveva infatti afferrato il polso, trattenendole la mano sulla sua guancia come ad intimarle di non muoverla.
E lei aveva sorriso, consapevole d'aver vinto una piccola guerra.
Nasser si era sporto verso di lei fino al punto in cui aveva sentito il respiro di lui sull'orecchio.
Voleva dirle qualcosa, ma cosa?
Per qualche secondo era rimasto in silenzio, solo con lei ed il suo fragile profumo.
"So cosa vuoi fare," aveva stretto la presa contro il suo polso, bloccandola, "e che io sia dannato se ti lascio vincere."
L'aveva scoperta ma nonostante ciò Asteria era rilassata, tranquilla mentre continuava ad accarezzargli la guancia.
Si era sporta anche lei verso di lui, poggiando un lato del viso sulla sua spalla per poi rivolgergli un sorriso.
"Eppure a me sembra di aver già vinto."
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