36. Natale in famiglia
Annie era a terra, ricoperta di sangue, con dei fiotti che le fuoriuscivano dalla bocca, impedendole di parlare, mentre i suoi occhi si spegnevano piano piano. Mi chinai su di lei e i miei denti affondarono nella carne tenera e profumata del suo collo.
Mi svegliai di soprassalto per via del sobbalzo del carrello sull'asfalto della pista di atterraggio.
Una sensazione di impotenza e di disperazione mi attanagliò le budella.
Mentre cercavo di regolarizzare il mio respiro, corto e affannoso, alzai lo sguardo verso Annie e fu solo in quell'istante che i nostri occhi si incrociarono per la prima volta dopo il decollo.
Il suo sguardo era completamente smarrito. Le sopracciglia erano piegate verso il centro, diramandosi in una serie di linee oblique. Un canino bianco e lucente stava morsicando l'angolo del labbro inferiore.
Era preoccupata e sconvolta quanto me. Doveva aver visto il mio incubo tramite la connessione.
Eravamo atterrati a Los Angeles dopo circa quattro ore e mezza di volo in cui Annie aveva finto di dormire per tutto il tempo, rifiutando il pranzo offerto da Melanie ed evitando di incrociare il mio sguardo in quei brevi momenti in cui non si era nascosta dietro i suoi grandi occhiali scuri.
Io ero riuscito ad assopirmi solo verso la fine, per una manciata di minuti, sfinito dal whisky che Melanie mi aveva continuato a servire, ammiccante e speranzosa, come se la tensione che aveva percepito tra me e Annie, le regalasse qualche chance di essere sbattuta da me nella toilette di bordo.
Fregandomene delle procedure di sicurezza, mi alzai, mi diressi verso il bagno e avviai la chiamata.
«Clohè, che cavolo è stato? Dimmi che non era un sogno promonitore!»
«Purtroppo non posso farlo, ragazzo.»
«Quindi è così che succederà?»
Silenzio.
«Clohè, mi senti? Ci sei ancora?»
«Ci sono, ma non posso dirti altro, mi spiace.»
Chiusi la comunicazione, ringhiando per l'inutilità di quella conversazione. Uscendo dalla toilette, andai a sbattere contro Melanie. Un senso di irritazione mi travolse, portandomi sull'orlo della claustrofobia. Non ne potevo più di stare in quell'ammasso di ferraglia, con tanto di stalker alle calcagna. La scostai con un braccio, in modo poco gentile, al fine di mettere una volta per tutte in chiaro le mie intenzioni.
L'aereo, nel frattempo, aveva parcheggiato e dai finestrini scorsi una limousine che ci stava attendendo davanti alla scaletta dell'aereo che si stava agganciando al portellone.
Greg recuperò le nostre giacche pesanti e i bagagli e li caricò in un van parcheggiato poco dietro la limousine che ci avrebbe condotti dai nostri genitori.
Mi fermai all'altezza del sedile di Annie e le porsi una mano per aiutarla ad alzarsi. Quel gesto sanciva il mio cambio di atteggiamento. Da quel momento, non potevo più permettermi di sprecare energie dietro stupidi rancori e relative litigate. Dovevo solo cercare di ritardare il più possibile quel terribile momento che mi era apparso in sogno.
Lei guardò titubante il mio palmo e, sospirando, lo unì al suo. Si alzò, portandosi tremendamente vicina al mio volto.
«Non ti ho ancora perdonato, Liam,» si affrettò a precisare.
«Lo so. Ma per il momento è importante che tu mi permetta di starti vicino.»
Non intendevo proteggerla solo da qualche machiavellico piano di mio padre. Sapevo che la sua guerra era duplice. Annie doveva affrontare anche l'incontro con i suoi genitori, che non vedeva da svariati mesi.
Avevo percepito tutte le sue aspettative riguardo quell'incontro e sapevo bene che sarebbe bastata una parola sbagliata da parte dei suoi per gettarla nuovamente nel baratro.
Usciti dall'aeroporto, mi resi subito conto che il conducente non ci stava portando a Beverly Hills. Avevamo imboccato la Pacific Coast Highway. Ciò voleva dire solo una cosa: mio padre aveva riaperto la sua proprietà a Malibù per fare colpo su Annie e i suoi genitori.
Una risata amara emerse sulle mie labbra tese.
«Ci stanno portando a Malibù? Non ne sapevi niente, Liam?» mi chiese Marcus, sorpreso quanto me.
Scossi la testa.
«Cavolo, non andiamo in quella villa da almeno trent'anni!» aggiunse Steve, tutto eccitato.
«Wooooha! Finalmente si torna a surfare, fratello!» esclamò Lip, alzando la mano verso Steve in cerca di un cinque.
Lo fulminai con lo sguardo. Non riuscivo a condividere il suo entusiasmo.
Avevo trascorso degli anni bellissimi a Malibù prima di staccarmi con il mio branco dal nostro di origine. Dopo la nostra partenza, mio padre aveva chiuso la villa senza più farci ritorno. Si era stabilito in quella di Beverly Hills per dedicarsi meglio agli affari e alla gestione del suo branco disseminato per la città di Los Angeles.
Ora aveva riaperto le porte di quella splendida proprietà probabilmente con la speranza di vederla presto riempita di nipotini. Ovviamente, nipotini davvero speciali e con una dote di suo vivo interesse.
L'idea di concepire un figlio con Annie durante il suo primo calore mi surriscaldò all'istante. Mi voltai verso di lei e sbarrai gli occhi, accorgendomi che si stava sfilando le autoreggenti davanti agli sguardi increduli di Lip e Steve, mentre Marcus era impegnato a descrivere la villa di Malibù a Lara.
Ringhiai rumorosamente e i due distolsero lo sguardo, mentre iniziai di guardare Annie con rimprovero.
«Che c'è? Fa un caldo infernale!»
Alzai gli occhi al cielo e, in tutta risposta, Annie si sfilò anche il cardigan, rimanendo in canottiera. Estrasse una camicia morbida e bianca dalla borsa e la indossò, annodandosela in vita. Infine, si sciolse i capelli. In pochi istanti, aveva adattato il suo outfit al clima più mite della nostra destinazione, tutto senza perdere un briciolo di eleganza.
Era bellissima e io avrei voluto essere solo con lei e fermare l'auto, come avevamo fatto durante il viaggio di andata verso l'aeroporto.
Quando la limousine varcò i cancelli della villa, il sole brillava alto e il cielo era di un azzurro intenso. Tuttavia, il nervosismo avvolse me e Annie come una tempesta in arrivo, oscura e impetuosa, capace di agitare le acque tranquille della mia mente. I motivi delle nostre preoccupazioni erano di diversa natura, ma il nostro stato era identico, amalgamato perfettamente dalla nostra connessione.
Tra le esclamazioni di stupore di Lara e quelle di clamore dei ragazzi, scendemmo dall'auto.
Sulla scalinata dell'ingresso sul retro ci attendevano mio padre, il padre di Marcus e Steve e, infine, i genitori di Annie.
La abbracciarono in modo molto formale per poi spostare lo sguardo su di me. Da quando eravamo scesi dall'auto, non mi ero allontanato da lei di più di mezzo metro.
«Tu devi essere Liam!» esclamarono entrambi all'unisono.
Allungai la mano verso quella del padre di Annie e presi ad analizzarlo. Era una situazione davvero ironica. Non mi sentivo assolutamente io quello sotto esame, come avrebbe dovuto essere per qualsiasi ragazzo che incontra per la prima volta i genitori della propria compagna. Sinceramente, non me ne fregava un cazzo di cosa Jacques e Isabelle Lagarde pensassero di me. Ero più preoccupato che potessero ferire per l'ennesima volta i sentimenti di Annie.
Sua madre mi porse la mano, aspettando che la baciassi. La presi con entrambe le mani e mi limitai a darle un colpetto sul dorso.
«È davvero un piacere conoscervi! Non voglio distogliervi da vostra figlia. So che non vi vedete da tanto e avrete sicuramente tante cose da chiederle!»
Belle Lagarde emise una risata cristallina. «Oh, ma sappiamo già tutto. Tuo padre ci ha raccontato che praticamente siete inseparabili!»
«È vero che Annie si è trasferita a casa tua?» La domanda del padre di Annie non nascondeva nessuna minaccia o gelosia paterna. Non gli importava che io stessi con sua figlia tutte le notti. Tuttavia, uno sbalzo di tono nella sua voce aveva tradito un pizzico di curiosità che non ero ancora riuscito a decifrare.
Lo osservai ancora per qualche istante.
«Forse sono domande che dovrebbe rivolgere a sua figlia,» risposi, sforzandomi di rimanere il più educato possibile.
Jacques si voltò verso Annie, impaziente di ricevere una risposta.
Annie annuì, intimorita, e mi guardò con la coda dell'occhio, supplicando la mia complicità in quella bugia.
Emisi un leggero sospiro, infastidito dalla sua continua ricerca di approvazione in quelle due figure malsane.
«È fantastico! Congratulazioni, ragazzi. Più tardi parleremo della vendita della casa allora. Non ha senso tenerla. Presto andrete al college e noi non torniamo a Moore Hill praticamente mai. Anche Clohè sarà contenta di andare finalmente in pensione.»
Senso di abbandono. Smarrimento. Delusione profonda.
Due minuti, cazzo! Non avevamo nemmeno ancora varcato la soglia di casa che avevano già fatto a pezzi la figlia nel peggior modo possibile. Sbattuta fuori di casa alla prima occasione. Privata dell'unico luogo in cui poteva rifugiarsi e dell'amore dell'unica persona, tralasciando il fatto che fosse in realtà una divinità, che si era davvero presa cura di lei da quando era bambina.
La casa di Annie a Moore Hills rappresentava l'ultimo barlume di radici che potesse avere.
Le passai un braccio attorno alle spalle per aiutarla a tenere assieme i frantumi del suo cuore. La sentivo talmente in preda al dolore per quel colpo inflitto che decisi di replicare io al suo posto.
«Credo che anche di questo dovreste parlarne con calma con Annie.»
Nonostante mi fossi sforzato di trattenermi, la mia voce era risultata carica di astio.
Annie sussultò e un silenzio imbarazzante calò tra tutti noi. Anche Steve e Marcus avevano interrotto i saluti con i loro genitori, percependo la tensione nell'aria.
Fu quello stratega di mio padre che dissipò quel spiacevole momento.
«Annie, è un piacere averti qui! Spero davvero che ti piaccia la mia casa. Ho pensato che qui sul mare sarebbe stata ancora più una vacanza, lontano da tutta quella distesa di neve che avete in Canada!»
Prese la mano di Annie e la baciò con finta galanteria, per poi darmi una pacca sulla spalla.
«Figliolo, ben tornato a casa! Entriamo, forza. Ho fatto preparare un piccolo rinfresco in terrazza, in attesa della cena di stasera.»
Annie mi guardò esitante. Sentivo il suo bisogno di rimanere sola, di avere un momento per incassare il colpo.
«Papà, sarebbe meglio sistemarci un attimo nelle nostre stanze prima,» suggerii, cercando di darle lo spazio di cui aveva bisogno.
«Certo, William. Con il benestare di Jacques e Belle, ho messo te e Annie nella camera degli ospiti, quella con la terrazza a est. Marcus e Lara sono in quella che dà sul giardino. Philip nella sua solita camera e Steve in quella dove stavi tu da piccolo. Greg ha già portato su le vostre valigie.»
Vidi Annie sussultare e percepì la sua sorpresa. Considerate le dimensioni maestose della villa, forse non si aspettava di dover condividere la stanza con me, ma non protestò, sempre per l'assurda idea che stare con me potesse in qualche modo avvicinarla ai suoi genitori.
Mi rivolse un altro sguardo di supplica e io annuii per rassicurarla.
«Andiamo, principessa, seguimi.»
Mentre invitavo Annie ad entrare in casa con una leggera spinta alla base della schiena, colsi con la vista periferica un ghigno denso di soddisfazione sul volto di mio padre. Doveva essere stato informato dalle sue sentinelle di quanto fossimo ai ferri corti ed era palesemente felice che il suo piano stesse funzionando.
Pochi minuti dopo ero alle spalle di Annie nella nostra camera. Lei stava fissando esterrefatta il letto matrimoniale queen size.
«Dormirai per terra?»
«No, non lo farò.»
Sbuffò esasperata.
«Ma se ora hai bisogno di qualche minuto, posso lasciarti da sola. Se è quello che vuoi. Se invece vuoi parlare, sono qui.»
Mi guardò titubante e fui inondato dalla sua indecisione. Poi distolse lo sguardo senza dire una parola e si diresse fuori in terrazza. Si appoggiò alla ringhiera e prese a fissare le onde del mare che si infrangevano sulla spiaggia. Il loro rumore sembrò cullare il dolore di Annie, come a lenirlo.
La raggiunsi lentamente, portandomi nuovamente alle sue spalle.
«Annie, dimmi come posso farti stare meglio e lo farò.»
«Non lo so, Liam. Non so più niente. Non ci capisco più niente.»
Una ondata della sua disperazione mi colpì in pieno e, con una rapida falcata, mi lanciai ad abbracciarla, stringendola forte per contenere tutte le sue brutte sensazioni.
L'accompagnai verso il lettino doppio da esterno e l'adagiai sul cuscineria. Mi sdraiai accanto a lei e l'avvolsi nuovamente tra le braccia. Rimanemmo lì fermi, immobili, ad ascoltare lo sciabordio dolce del mare. Tra le lacrime silenziose, Annie si addormentò e io le baciai la nuca.
Non so voi, Pelosoni,
Ma io sono sfinita per Annie. Vorrei addormenti anche io su quel lettino.
Menomale che Liam sembra davvero aver deposto le armi e ha tutta l'intenzione di proteggerla.
Annie è forte ma c'è un limite a tutto!
Riguardo al capitolo, Anche se non è Natale, siate buoni e regalatemi una stellina e/o un commento!
Baci
BEA
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