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01. Le tre Moire

Ed eccomi qui davanti alla Wellington Park High School di Moore Hills.

Un edificio fatto di mattoncini rossi, dal palese stile vittoriano, con finestre squadrate nelle ali laterali e ad arco nel corpo centrale. L'eleganza di queste ultime era enfatizzata dal cambio di altezza degli spioventi e da un grosso rosone centrale. Sotto di esso, dei bassorilievi in marmo incorniciavano la finestra, probabilmente della presidenza, e il portone di ingresso, da cui si diramavano due scale curve.

Davanti all'edificio, un rigoglioso parco, con tanto di fontana, donava un aspetto ancora più regale all'istituto.

Nell'aria potevo distinguere l'odore di croissant, proveniente probabilmente da qualche bar all'interno, l'odore di un costoso sapone liquido che sapeva di lime, menta e zenzero, che arrivava dai bagni dell'edificio, e quello dei toner della segreteria.

Sospirai di fronte a quell'altezzosa architettura che si ergeva con una tale arroganza che non faceva presagire nulla di buono riguardo a quello che avrei trovato al suo interno.

Non che negli altri istituti privati avessimo trovato ambienti più stimolanti, ma questo ostentava un carattere elitario già dalla sua struttura.

«Liam, cos'è quella faccia? Non stiamo mica andando a un funerale! Lo abbiamo fatto chissà quante volte!»

Marcus, entusiasta come sempre, mi incalzava tenendo sotto braccio Lara, la sua compagna.

«Avete presente quanti stereotipi di figli di papà ci saranno qui dentro? Sembra davvero peggio delle altre...»

«Beh, ma lo siamo anche noi, dopotutto, no?» Suo fratello Steve, il più giovane tra noi, gli diede manforte nella sua positività.

«Fratello, poi me lo hai insegnato tu! Più sono ricche, più sono audaci a letto in tenera età! Così potrai anche lasciare stare le milf!»

Lip, mio fratello minore, capace di pensare ad una cosa sola.

Avevo perso il conto di quante scuole superiori noi cinque avevamo dovuto cambiare negli ultimi vent'anni.

La stanzialità in giovane età non era ammissibile per la nostra specie. Vivevamo di media trecento cinquant'anni, di conseguenza, durante il periodo scolastico, eravamo costretti a continuare a spostarci ogni tre anni per non destare sospetti riguardo la mancanza di cambiamenti del nostro aspetto fisico.

Nessuno ci dava la caccia ormai da quasi un secolo, proprio perché avevamo imparato ad integrarci perfettamente con la vita degli umani. Ovviamente, lo facevamo con qualche espediente che non portasse l'attenzione sulla differenza della nostra longevità.

Durante la scuola primaria e secondaria, per ovvie ragioni, ci seguivano anche i nostri genitori. Ma, arrivati alle superiori e superati i sedici anni, ci organizzavamo in piccoli branchi in modo da permettere agli anziani un po' più di stabilità.

Le differenze in età adulta erano più camuffabili, o per lo meno riconducibili alla chirurgia plastica, che, negli ultimi cinquant'anni, aveva fatto davvero passi da gigante.

E così eccoci qui, a cambiare scuola proprio al mio ventesimo anno di liceo. Già, vent'anni. Un tempo interminabile. Praticamente sapevamo il programma scolastico canadese e statunitense a memoria. Avrei potuto sostituirmi tranquillamente ai professori, anche perché, il più delle volte, l'intera classe docente era addirittura più giovane di me e con meno anni di esperienza di vita.

Questo era proprio il punto dolente che ci aveva costretto a cambiare scuola proprio sul finire del periodo liceale mio, di Lara e di Marcus.

A volte era davvero difficile rispettare i ruoli, e di tanto in tanto mi ero concesso qualche piccolo scivolone.

Se per "piccolo scivolone" possiamo intendere farsi beccare dal preside a scoparsi la propria professoressa di musica, in modo molto teatrale, sul pianoforte a coda posto sul palco nell'aula magna, il giorno prima dello spettacolo di fine anno.

In passato era già successo di dover cambiare scuola improvvisamente, senza terminare il solito ciclo di tre anni.

Una volta avevamo avuto dei problemi di territorialità con un branco rivale. Gli scontri notturni erano stati un po' troppo frequenti e Marcus era stato avvistato in forma di lupo un paio di volte di troppo.

Un altro anno, mio fratello Lip si lasciò andare un po' troppo al ballo di fine anno, in balia dell'entusiasmo virginale della sua accompagnatrice, una ragazzina del terzo anno, non ancora maggiorenne. Le morse il collo durante delle effusioni un po' spinte nel parcheggio della scuola. Lei non la prese molto bene e nemmeno i suoi genitori.

Patrick, il legale della nostra famiglia da oltre cento ottanta anni, ci aiutò ad insabbiare la cosa, ma dovemmo ovviamente lasciare l'istituto e anche lo stato.

Lo stesso successe nel mio caso. Per evitare di rovinare la carriera di quella povera e giovanissima professoressa, dichiarai di averla costretta.

Sulla carta, la responsabilità era sua in quanto docente e adulta. Ma sapevo che la mia stazza avrebbe potuto ribaltare la prospettiva. Il mio aspetto e la mia indole non erano proprio quelli del ragazzino facilmente raggirabile.

Ovviamente, era stata lei a saltarmi addosso, ma mi ero sentito responsabile comunque. Dopotutto, anche se lei non lo sapeva, ero io il più anziano dei due.

Patrick patteggiò privatamente con la scuola. Non ci fu nessuna denuncia. Sapevamo che quello schifoso del preside era più interessato a mantenere pulito il nome dell'istituto che a tutelare i diritti di una sua dipendente, ipoteticamente abusata da uno studente. Così si accontentò solamente del fatto che non avremmo finito il percorso di studi lì.

Tendenzialmente, dall'alto dei nostri settant'anni circa, eravamo ragazzi abbastanza maturi e coscienziosi, ma rimanevano comunque dei grossi ed oggettivi problemi di adattamento sociale e, possiamo dire, in qualche modo "culturale".

Non era molto semplice passare le giornate immersi nel continuo richiamo di feromoni impazziti delle liceali e allo stesso tempo non essere mai stimolati intellettualmente da nessuno, nemmeno dai professori più in gamba.

La cosa si era tradotta nel cacciarsi ogni tanto nei guai, allungando così la nostra lunga lista di licei frequentati.

Undici! Pensai. Quello doveva essere l'undicesimo liceo.

Mi soffermai ancora per un lungo istante ad osservare la fontana davanti alla scuola. Sembrava raffigurare le tre Moire, che tessevano le fila del destino.

Le incisioni ai piedi delle loro vesti, "Atropo", "Cloto" e "Lachesi", mi confermarono la mia intuizione.

Tuttavia, non riuscivo a comprendere come mai non avessero raffigurato il filato delle loro tessiture.

Marcus emise un fischio e mi lanciò una monetina, che afferrai al volo.

«Se sei così preoccupato per l'anno scolastico, perché non la lanci nell'acqua ed esprimi un desiderio?»

Presi a ridere. Per qualche ragione non riuscivo a condividere il buon umore del mio branco quella mattina, ma Marcus riusciva a strapparmi un sorriso in ogni occasione.

Per lui era facile essere felice. Il suo destino si era già compiuto. Durante i primi anni di liceo, quando ancora vivevamo negli Stati Uniti, si imbatté in Lara durante una corsa nel bosco. Lara, oltre ad essere un raro licantropo di genere femminile, era anche una solitaria. Non aveva mai amato la vita da branco, ma in seguito alla loro connessione, cambiò inevitabilmente opinione e si unì, per forza di cose, al nostro.

La connessione, o anche detta liaison, era come una sorta di colpo di fulmine per gli umani, solo che era infinitamente più potente, coinvolgente e soprattutto categoricamente indissolubile. Era qualcosa contro cui il libero arbitrio non poteva nulla. Anche perché si stabiliva una connessione potentissima tra la coppia di lupi che permetteva di sentire le emozioni e le sensazioni reciproche, rendendo qualsiasi altra relazione sentimentale priva di alcun interesse. Questo, assieme al fatto che le donne licantropo fossero sempre meno, rendeva Marcus oggetto di una sana invidia da parte mia, di mio fratello e di Steve.

In passato mi ero scontrato molto con Lara, in quanto non era molto avvezza a qualsiasi forma di autorità. Qualsiasi altro alpha avrebbe allontanato sia lei, e di conseguenza anche Marcus, ma la mia perseveranza aveva portato buoni frutti.

Con il tempo si era abituata. Dopotutto, mi ero sempre sforzato di mantenere una leadership sana, a differenza di mio padre che usava metodi più cruenti.

Se io ero l'alpha, Marcus poteva definirsi il mio braccio destro, quindi il mio beta. Era sempre stato leale nei miei confronti fin da bambino, ma ora lo era ancora di più, essendomi immensamente grato di essere stato paziente con Lara.

Accettai quindi la provocazione e, giusto per scherzo, lanciai la monetina nella fontana senza pensare in realtà a nessun desiderio.

Non appena la monetina toccò il fondale, si accesero un centinaio di zampilli sottili che partivano dalle mani delle Moire e si intersecavano tra di loro, formando una fitta rete di filamenti brillanti. Le fila del destino.

Un brivido mi percorse l'intera colonna vertebrale, dove avevo tatuato le otto fasi lunari.

Qualcosa stava cambiando e avevo la netta sensazione che quello che era appena successo non fosse un buon presagio.


Eccoci qui al primo capitole al primo angolo dell'autrice!

Come vi sembra questo primo capitolo?

Il nostro Liam ci ha introdotto già qualche personaggio e quale storiella piccante del passato. Avete già qualche preferenza tra i componenti del branco?

Sarà una caso l'accensione della fontana secondo voi?

Se l'inizio di questa storia vi è piaciuto non dimenticatevi di lasciare una stellina e vi ricordo che qualsiasi commento vi passi per la testa è super gradito!

Baci e a presto!

Bea

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