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Un Nuovo Educatore

Gab guardava con tristezza il suo piatto di peperoni. Proprio non riusciva mangiarli, gli facevano uno schifo assoluto.

«Ehi Gabri! Non ti piacciono i peperoni?» gli chiese con la sua vocetta acuta una bambina dai capelli bruni che gli scendevano fino a torace in morbide onde. Si chiamava Cecilia, era arrivata all'Orfanotrofio Campostrini da solo un mese e appena aveva visto Gab gli si era fiondata addosso cercando in tutti i modi di diventare la sua migliore amica.

Dri si mise a ridere ricevendo un'occhiataccia dagli occhi celesti di Ceci.

«A lui fanno schifo i peperoni. Vero Gab?» gli disse ammiccando. L'amico ridacchiò.

Era già passato un anno da quando i due si erano conosciuti nel bagno dei maschi.

Gabriele si era adattato piuttosto velocemente alla vita lì nell'orfanotrofio riuscendo perfino a stringere nuove amicizie anche con altri bambini, seppur preferisse passare più tempo possibile con la sua migliore amica Dri.

I due erano diventati presto inseparabili; dove c'era uno c'era anche l'altra. Sempre.

Anche quando gli altri bambini andavano a dormire, talvolta gli Educatori li beccavano entrambi nel dormitorio femminile o in quello maschile insieme.

Inoltre gli adulti dovettero fare i conti con il carattere perennemente curioso e indomito del bambino.

Avevano da tempo ormai preso l'abitudine di togliere di mezzo qualsiasi oggetto possibilmente smontabile o fragile e prestare sempre attenzione alle prese. Una volta, curioso di capire come funzionasse l'elettricità, Gabriele aveva infilato un filo metallico trovato in giro nella presa elettrica più vicina facendo andare in blackout l'intero edificio.

Non era un bambino rumoroso o fastidioso ma aveva la tendenza di cacciarsi nei guai e, anche se riusciva a non farsi male (o almeno non in maniera grave), faceva venire fin troppo spesso i capelli bianchi agli Educatori.

Come quella volta che si era rampicato su un albero per poi lasciarsi cadere sopra al tappetino elastico che aveva posizionato, con fatica, precedentemente sotto il ramo su cui si trovava.

Aveva continuato a divertirsi saltando piuttosto in alto ripetutamente su quel tappetino per quasi cinque minuti prima che l'Educatrice Caterina lo potesse vedere prendendosi un colpo.

Adriana almeno riusciva calmare in parte la indole fin troppo vivace ed esuberante dell'amico.

Quel giorno però era stranamente tranquillo. Non aveva ancora combinato qualche strano ed inspiegabile pasticcio o scomparso in qualche punto nascosto dell'edificio facendo preoccupare così enormemente gli Educatori. Le volte in cui il piccoletto aveva cercato di superare il cancello dell'orfanotrofio non erano così poche.

Durante il pranzo entrò nella mensa un signore piuttosto avanti con gli anni. La pelle pallida era piene di rughe che parevano quasi dei sottili fili di una ragnatela e gli occhi dalla forma strana, a mandorla.

I capelli erano di un bianco simile alla neve e lo stesso anche per la barba lunga e sottile, la più lunga che Gabriele avesse mai visto.

Da sotto i vestiti larghi che indossava, il corpo dell'uomo sembrava talmente magro che il bimbo credette che potesse volare via con semplice soffio di vento.

«Ehi Gabriele! Ti assomiglia!» esclamò Cecilia «Almeno, gli occhi sono simili. È tuo nonno?»

Gab la ignorò, sapeva che non poteva essere suo nonno. Si ricordava fin troppo bene quello che gli aveva raccontato il signor Rossi; né suo nonno e né suo zio non lo volevano e non poteva neppure essere da parte di suo padre, chiunque fosse, perché la mamma era solita a raccontargli che una di quelle poche cose che sapeva sul suo conto è che i suoi genitori erano morti molti anni fa.

«Chi è?» chiese il piccolo.

«Non lo so.» rispose un bambino con gli occhiali azzurri seduto di fianco a Dri «Ma so che è venuto a sostituire Ilaria.»

«Perché la deve sostituire?» domandò Gab. Ilaria era una giovane Educatrice che già da un paio di mesi non si faceva più vedere all'orfanotrofio per qualche strano motivo.

Gabri aveva provato più volte a chiederne il perché ai colleghi della donna ma questi evitavano sempre la domanda cercando di portare l'attenzione del bambino altrove.

Al piccoletto era chiaro che stavano cercando di nascondere qualcosa di spiacevole, solo che non capiva che cosa.

Il bimbo scrollò le spalle «Boh!»

Cecilia continuò a fissare il nuovo arrivato. «Secondo te come sarà?»

«Sembra una persona buona.» rispose Adriana.

«Come fai a saperlo?» domandò Ceci un po' stizzita.

Gabri alzò gli occhi al cielo «Lo sa e basta.» sbottò irritato.

Ormai lui si fidava ciecamente di Adriana e del suo giudizio. Ci prendeva sempre anche se non riusciva mai a capire come faceva.

Cecilia si voltò dall'altra parte offesa. Gabriele intanto si sporse verso la propria migliore amica.

«Ehi, dopo andiamo al fiume?» chiese a Dri sottovoce. Lei annuì sorridendo appena accennando ad un lieve sorriso.

L'orfanotrofio si trovava vicino a un piccolo boschetto, cresciuto negli ultimi cent'anni, dove veniva attraversato da un fiumiciattolo non molto grande e un pezzo di quel fiume si trovava nel confine dell'edificio.

Ai ragazzi e ai bambini era vietato andarci perché è considerato molto pericoloso ma Gab e Dri avevano scoperto un sentierino che partiva vicino alla biblioteca e portava poi al fiume.

La loro fortuna più grande era stata che nella biblioteca dell'orfanotrofio ci fosse anche la sezione con i libri illustrati e loro due, siccome non sapevano ancora leggere, usavano quella come scusa per non uscire con gli altri bambini e uscier di nascosto.

Non lo facevano spesso però, per evitare d'insospettire gli Educatori.

Il problema era Cecilia, la bambina non doveva sapere delle loro fughe non permesse ma stava sempre appiccicata a loro. Fortunatamente però, scoprirono che la bambina dopo pranzo adorava dormire per cui potevano mantenere la loro abitudine.

La parte più difficile rimaneva sempre il riuscire a convincere gli Educatori a lasciarli da soli in biblioteca, siccome non si fidavano molto di lasciare Gabriele da solo senza nessuno che lo badasse.

Alla fine però permettevano sempre a loro di andare poiché erano certi che Adriana sarebbe riuscita a tenere a freno il carattere ribelle del suo amico in modo da evitare che combinasse dei pasticci. Inoltre poi, in biblioteca non c'era niente di potenzialmente pericoloso o smontabile.

Perciò, alla fine, anche quel problema era risolto.

Appena gli Educatori ordinarono ai bambini di andare fuori a giocare nel giardino dell'orfanotrofio, dato che erano a inizio estate e cominciava già a fare un gran caldo, Gab andò da Marco a dirgli che lui e Dri sarebbero invece andati in biblioteca.

«Siete sicuri? Guardate che oggi fa molto caldo. Non potreste andarci in un altro giorno?» gli domandò l'uomo un po' preoccupato.

«In biblioteca non fa molto caldo.» ribatté con aria innocente Gabri.

Adri si fece avanti «Non distruggeremo niente. Promesso.»

L'uomo, li osservò poco convinto, ma infine sospirò cedevole «Se volete proprio andarci... va bene.» acconsentì «Ma se trovo anche una sola pagina strappata giuro che non ci andrete più da soli!» li avvisò con tono severo ma i due si erano già allontanati ridacchiando vivacemente tra loro.

Così i due bimbi di nascosto uscirono dalla biblioteca tramite una finestra lasciata aperta e si inoltrarono nel sentiero fino ad arrivare al fiume.

Una volta arrivati si tolsero i vestiti e si buttarono nudi in acqua.

Ancora troppo piccoli e innocenti per essere consapevoli del proprio corpo.

Il loro unico desiderio era divertirsi e basta.

A quell'età ancora non si sa cosa sia il pudore.

«Che stai facendo?» gli domandò, ad un certo punto, Dri curiosa osservando l'amico che chiudeva la mano come se fosse una ciotola al contrario per poi abbassarla lentamente verso l'acqua, immergendola.

Dopodiché, sempre senza fretta, voltò la mano col palmo rivolto verso la superfice. Da sotto ne fuoriuscì una bolla di medie dimensione.

Gabri sorrise, vispo, alla bambina «Ora guarda» unì le proprie mani tra loro creando così una specie di sfera usando le dita e il dorso. Infine le immerse nuovamente in acqua.

«Guarda che cosa?» fece Adriana senza capire. Gab le rivolse nuovamente un sorrisetto scaltro, a quel punto prese a muovere avanti e indietro un pollice.

Ogni volta che questo si staccava appena dalla mano, fuoriusciva una piccola bollicina che saliva fin in superficie, per poi scoppiare.

«Visto?» disse il bimbo entusiasta «Era l'aria rimasta incastrata tra le mie mani. Non è forte?»

Adriana guardava prima l'acqua e poi il suo migliore amico, sorridendogli affascinata. Poi, senza alcun preavviso, con un movimento agile schizzò l'acqua in faccia a Gab.

«Ehi!» protestò il bambino tra le risate dell'amica. Quando si asciugò gli occhi le rivolse un sorriso furbo e prese anche lui a spruzzarle addosso l'acqua.

Giocarono per un bel po', poi Gab salì su una roccia e, tenendo in mano un bastoncino, dichiarò «Io sono il Signore dei Boschi, gli alberi e gli animali sono sotto il mio comando.» dichiarò solenne «Tremate davanti a me!»

Anche Dri si alzò rimanendo però dentro l'acqua, che le arrivava fino alla vita, e annunciò «Io invece sono la Regina dei Fiumi e non puoi liberarti di me.» spalancò le braccia «Perché la mia acqua nutre il tuo regno!»

Gabriele le sorrise ed entrò nuovamente in acqua rimanendo sulla riva e si sedette. «Allora chiedo, mia Regina, di essere mia alleata.»

Adriana lo raggiunse sedendosi anche lei «Accetto l'alleanza. I nostri regni saranno uniti per sempre!»

Gabri la guardò in viso e incrociò gli occhi di lei, lasciandosi cullare da quel mare argentato, e l'abbraccio forte.

Successivamente, totalmente a caso, cominciarono a ridere insieme riprendendo nuovamente a giocare.

Quando ritennero che fosse diventato piuttosto tardi, decisero che era il caso di tornare all'orfanotrofio. Meglio non insospettire gli Educatori.

Continuarono a scherzare sulla via di ritorno, facendo a gare su chi arrivasse primo alla biblioteca (Gabri vinse la sfida) ma una volta usciti nel cortile, dove qualche orfano stava ancora giocando nella luce del tramonto, trovarono Francesco con il suo gruppetto intenti a maltrattare il bambino con gli occhiali che si era seduto vicino a Dri durante il pranzo.

A quanto sembrava, il bimbo non aveva voluto lasciare l'altalena, sulla quale si stava dondolando, quando Francesco gliel'aveva ordinato la prima volta, perciò ora si sarebbe divertito a dondolare appeso all'albero per le mutande.

Non si poteva dire che Francesco non possedesse un minimo di senso dell'umorismo, anche se era molto da revisionare.

Il piccoletto non faceva che piagnucolare chiedendo scusa e implorando a quelli più grandi di farlo scendere.

«Vi prego!» pianse «Non lo farò più! Promesso.»

A Gabri gli ricordò in qualche modo sé stesso di solo un anno fa e avvertì formarsi dentro di sé un forte sentimento di rivalsa.

Non poteva lasciare che quel bullo l'avesse sempre vinta.

Decise perciò di fare qualcosa di molto idiota «Ehi stupido!» gridò a pieni polmoni.

«Gab!» lo richiamò Dri preoccupata.

Gab ottenne l'attenzione di Francesco, il che non era seppe se era un bene o un male.

Molto probabilmente un male ma preferì continuare, se il suo piano avesse funzionato forse sarebbe riuscito a uscirne quasi indenne.

«A chi stai dicendo, mammoletta?» sibilò il bambino grande.

«A te! Palla di ciccia!» rispose il piccoletto «Quando ti muovi, rotoli o cammini? Sei così grosso...» si abbassò di poco allargando le braccia fino a formare un cerchio e fece un'imitazione grottesca di Francesco.

Tutti i bambini quando lo videro risero di gusto, compresa Adri seppur non fosse ancora molto tranquilla.

Il faccione di Francesco assunse una sfumatura rossastra. Si alzò dall'altalena e fissò minaccioso il bambino più piccolo. «Ti conviene stare zitto se non vuoi farti male, stupida mammoletta.»

Mentre parlava Gabri gli faceva il verso con le mani scatenando così ancora una volta le risa negli altri bambini. Poi guardò il più grande sorridendo di sfida «Io non sto zitto e tu non mi dai ordini.»

Ora aveva passato il limite per Francesco.

Con violenza, quest'ultimo prese Gabriele per il colletto della maglia e lo spinse con forza contro il tronco dell'albero più vicino, quello su cui stava appeso l'altro bambino.

Gab gemette un poco per il dolore.

«Vediamo se hai ancora voglia di scherzare dopo che ti avrò rotto il naso.» gli disse con un sibilo Francesco.

Ma il piccolo Gabriele ridacchió sommessamente, divertito. «Certo che scherzerò ancora, perché tu ora verrai punito.» gli sussurrò sorridendo scaltro.

Negli occhi del bulletto vi si lesse prima la confusione e infine una lieve sfumatura di paura.

«Francesco Montalcini! Cosa stai facendo?» si sentì gridare dietro di loro.

La folla di bambini accalcata attorno all'altalena aveva attirato la curiosità di altri orfani e, dove si trovavano la maggior parte dei bambini, c'erano sicuramente minimo tre Educatori per tenerli a bada nel caso fosse successo qualcosa.

In quel momento ne stavano venendo incontro almeno quattro ed erano tutti piuttosto arrabbiati. Con loro c'era anche quello nuovo.

Immediatamente Francesco lasciò andare Gabriele, che rovinò col sedere a terra, assumendo l'espressione più innocente e sorpresa possibile.

«Io non ho fatto niente!» provò a difendersi «È stato questa mamm- Gabriele che mi ha provocato!»

Questo si stava nel frattempo rialzando dolorante ma senza perdere il suo sorriso di prima.

Marco fissò severo e arrabbiato Francesco «E tu cos'hai fatto France? Non mi sembra che Giovanni sia in grado di volare e farsi appendere da solo in un ramo con le mutande.»

«I-Io...» il povero Francesco non seppe più cosa dire, conscio di essere stati colto con le mani nel sacco e di non potersi più difendere. Si voltò verso Gabriele guardandolo pieno d'odio e gli urlò furioso «Questa me la pagh-AHI!» Caterina l'aveva preso per un orecchio e lo trascinò verso l'edificio ignorando le lamentele del bambino.

L'uomo invece aiutò il piccoletto con gli occhiali, Giovanni, a scendere e si assicurò che stesse bene. Aveva solo un piccolo taglio al palmo ed un pesto sul braccio ma per il resto era fortunatamente in ottima salute. Marco si rivolse agli altri due Educatori. «Shakoma e Maria, occupatevi voi dei bambini. State attenti che non si facciano del male o che non mangino l'erba. Io porto Gio in infermeria per disinfettargli il taglio.»

I due adulti annuirono.

Non appena Marco si allontanò, tutti i bimbi cominciarono a gridare stringendo forte dalla felicità il piccolo Gabriele, complimentandosi con lui.

«Sei stato fortissimo!»

«Hai tenuto testa a Francesco!»

«Viva Gabriele!»

«Sei forte amico»

Gab cominciò ad arrossire dall'imbarazzo di trovarsi all'improvviso così al centro dell'attenzione di tutti. Intanto notò, con la coda dell'occhio, il nuovo Educatore che l'osservava interessato.

Cecilia, comparsa poco prima, non faceva altro che ripetergli quanto era fantastico. Poi si avvicinò Dri con un'espressione severa in volto.

Gli diede una botta in testa. «Mi hai fatta preoccupare!» lo rimproverò furente, poi lo abbracciò forte affondando la faccia nella sua spalla.

«Ma sei stato fantastico.» mormorò la bambina sottovoce. Gabri, con un mezzo sorriso, ricambiò l'abbraccio.

«Non farlo più!» gli intimò lei infine fissandolo severamente staccandosi dalle braccia dell'amico. Questo ridacchiò.

«Forse.» rispose sorridendole abile.

L'Educatrice Maria aspettò che i bimbi finissero di festeggiare. A quel punto si fece avanti, le mani poggiate sui fianchi. «Bene, che ne dite se adesso mi raccontate cos'è successo qui prima?»

~~•~~

A cena finalmente Gabri ebbe un po' di pace.

Nessuno che lo acclamava, che gli dicesse quant'era stato coraggioso o incredibile.

Lui non voleva mettersi in mostra, voleva soltanto aiutare Giovanni e soprattutto farla pagare a Francesco.

Un anno che era lì e aveva smesso già da mesi di sopportarlo.

Quella sera i posti di Francesco e del suo gruppo erano vuoti. Si vociferava in giro che per punizione quella sera sarebbero rimasti senza cena e che per una settimana avrebbero mangiato solo sbobba.

Inoltre, secondo alcuni, pareva che avrebbero dovuto anche eseguire dei lavoretti per l'orfanotrofio come la pulizia delle stanze e dei bagni.

Chissà se finalmente abbasseranno un po' la cresta.

Ma ormai l'entusiasmo su quanto era successo tra Francesco e Gabriele era scemato da un pezzo, al suo posto ora tutti non facevano che parlare sulla notizia del giorno.

A quanto pare gli Oscuri avevano trovato il nuovo Ultra dalla parte europea precedendo gli Eroi, si diceva che si trattava di una ragazzina croata con un nome piuttosto complicato. A parere di molti, se ci avevano messo così tanto tempo a trovarla da quando ha preso la Cura, non doveva avere un'abilità così forte.

Ma neanche gli altri suoi coetanei erano stati individuati facilmente.

Gli Eroi avevano dovuto lottare per evitare che finissero nelle mani degli Oscuri la maggior parte di essi, ma si pensava che non fossero molto soddisfatti del risultato. Come annata sembrava molto fiacca.

I bambini più grandi continuavano a chiaccherare sull'argomento Ultra sperando che un giorno ci potesse essere un altro Eroe che rappresentasse l'Italia oltre al grandissimo Mille Volte, l'Eroe preferito di moltissimi ragazzini.

Gabri trovava affascinante come gli Ultra possedessero delle abilità così straordinarie che li rendeva così unici, ma di certo non voleva diventare uno di loro.

Essere un'Ultra significava che saresti poi reclutato a forza o dagli Eroi o dagli Oscuri e che poi avresti poi un giorno dovuto uccidere i nemici.

No grazie.

Gab non aveva alcuna intenzione togliere la vita a nessuno. Per niente.

Ma invece scoprire l'origine di ciò che rendeva dei ragazzini Normali in Ultra, sì. Quello proprio sì.

«Cosa pensi?» gli domandò Dri guardandolo con la coda dell'occhio.

Gabriele mise in bocca un pezzo di formaggio «Agli Ultra.»

«Sono fortissimi vero?» intervenne Cecilia con talmente tanto entusiasmo che fece prendere un colpo a Gabri rischiando di farlo soffocare col pezzo di formaggio. «Oh scusa scusa!» fece la bambina.

Dri e Ceci presero scuotere e a battere con insistenza sulla schiena dell'amico finché il pezzettino di cibo non gli uscì dalla gola.

«Stai bene?» fece Cecilia preoccupatissima, il bambino annuì appena.

«Più o meno.»

In quel momento gli Educatori richiamarono l'attenzione di tutti gli orfani presenti nella mensa, a parlare fu Marco. «Ascoltatemi; quando avrete finito tutti di mangiare mettete piatti, forchette e bicchieri sui vassoi qui sul tavolo grande, li prenderemo poi noi Educatori. Infine andate nel salone con l'Educatore Shakoma.» e indicò l'anziano affianco a sé.

Il terzetto riuscì sentire il capo degli Educatori sussurrare al nuovo «Ora tocca a te. Dimostrami che ci sai fare coi bambini.»

Una volta che tutti ebbero finito la cena e sparecchiato, l'anziano volle che andassero a lavarsi i denti e indossato il proprio pigiama prima di tornare nel salone.

I bambini si guardarono tra loro pieni di domande, mentre ubbidivano riluttanti agli ordini del nuovo Educatore.

«Secondo te cosa vuole fare?» domandò Gabri a Dri, lei scosse la testa con la stessa espressione confusa di tutti.

Quando entrarono nel salone videro che il pavimento era stato coperto da tantissimi cuscini colorati.

Gab, Dri e Ceci si misero seduti l'uno accanto all'altra tra le prime file. Davanti a loro si trovava Shakoma su una poltrona molto semplice, probabilmente presa dalla sala degli Educatori, mentre sfogliava un libro enorme.

Appena vide i tre bambini si alzò e si diresse verso di loro.

Aveva un sorriso caldo e piacevole.

Si fermò davanti Gabri, chinandosi in modo da guardarlo in faccia. «Tu devi essere il piccolo Gabriele, giusto?»

Il bambino lo fissò sospettoso. «Perché?»

Il vecchio non rispose subito, si limitò a tirare fuori da una delle immense tasche del suo maglione uno strano cubo con un colore diverso su ogni lato. «Mi hanno detto che perdi facilmente l'attenzione. Ho pensato che se tieni la mente impegnata su qualcosa, forse così riuscirai ad ascoltare senza distrarti.» prese a girare i vari lati tra loro fino a che ogni lato del cubo fosse composto dai sei colori che lo formavano solo che in maniera completamente confusionaria. «Se riuscirai a rimetterlo a posto com'era prima questo gioco sarà tuo.»

Gabriele afferrò il cubo esaminandolo attentamente, anche Dri e Ceci lo guardavano curiose non avendo mai visto un oggetto simile. Infine il piccolo fece uno dei suoi soliti sorrisetti scaltri. «Ci riuscirò.»

Shakoma annuì, come se anche lui fosse convinto che ce l'avrebbe fatta, e tornò a sedersi in attesa che il salone si riempisse.

Una volta che furono arrivati tutti si presentò «Piacere di conoscervi. Io sono Shakoma, il vostro nuovo Educatore. Per il momento non vi sto a chiedere i vostri nomi, siete veramente tanti che non riuscirei a memorizzarvi subito tutti. Vi conoscerò col tempo.» i bambini rimasero zitti, erano curiosi di scoprire il motivo per il quale avevano dovuto mettersi subito il pigiama e lavarsi i denti. Dopotutto era ancora troppo presto per andare a letto. «Essendo molto vecchio certi giochi mi stancano molto facilmente perciò, quello che volevo fare con voi stasera è quello di raccontarvi una storia. Per adesso ne ho scelto una carina e semplice, un classico. Spero possa piacervi, s'intitola "I Musicanti di Brema"...»

Quando il vecchio disse la parola "storia", Gabri sentì Adri trattenere il respiro. Sorrise tra sé e sé.

Sapeva quanto la sua amica amava le storie. Era solita a raccogliere dalla biblioteca un libro che le interessava per poi importunare una povera Educatrice (di solito Caterina) finché non si metteva a leggerglielo.

Dri in quei momenti ci teneva che Gab le facesse compagnia, ma il bambino non era in grado a stare completamente fermo per più di cinque minuti, perciò di solito si ritrovava a smontare giocattoli, a fare smorfie, giocherellare con la sua collana o a fare altro finendo poi per infastidire la povera Educatrice che stava provando a leggere.

Anche quella volta non fu da meno.

Ci provò seriamente a stare attento, ma finiva sempre per guardare altrove o a muoversi per trovare la posizione giusta. Allora provò a risolvere quello strano cubo che gli aveva dato quel tipo, Shakoma.

Non era per niente semplice, ogni volta che riusciva a fare almeno una fila corretta scopriva che doveva rifare tutto ma, anziché scoraggiarlo, questo non fece che incentivarlo a trovare la soluzione.

Ci doveva essere per forza! Quello che lui doveva fare soltanto era individuarla.

In qualche modo riuscì però a sentire il racconto di Shakoma. Si ritrovò a ridacchiare quando i musicanti (altro non erano che quattro animali) riuscirono a scacciare i briganti dalla loro casetta. O a come questi ultimi non riuscivano a capire chi mai si fosse impossessato del rifugio e dove avevano nascosto la loro refurtiva.

E quando la storia finì, Gab era riuscito a ricomporre un intero lato del cubo.

«Sarà per la prossima volta.» lo rassicurò Shakoma quando il bambino, deluso per aver fallito, gli porse il cubo.

Il vecchio però non se lo riprese indietro. «Puoi provarci tutte le volte che vuoi.» gli disse ammiccando.

Gabriele lo guardò allontanarsi, poi osservò nuovamente il suo nuovo giocattolo. Un sorriso gli dipinse il volto.

Il cubo rimase fermo sulla sua mano, silenzioso. Come se lo stesse sfidando a risolverlo.

Un tipo di sfida che il bimbo amava accettare.

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