Sogni di Natale
Gli Educatori stentavano a credere che quanto stessero vedendo fosse vero.
Normalmente Gabriele e Cecilia non stavano fermi neppure col sonnifero, specialmente il primo. Adesso invece se ne stavano tranquilli nel dormitorio delle femmine a leggere insieme ad Adriana.
L'orfanotrofio Campostrini era da qualche settimana in pieno periodo di varicella. Gli adulti avevano deciso di adottare un vecchio metodo, usato a loro volta dai propri genitori quando erano piccoli, lasciando che i bambini sani e malati giocassero comunque insieme in modo da passarsi la malattia e isolando invece gli orfani più piccoli a cui poteva risultare più pericolosa.
Gabri e Ceci ne erano già guariti circa sei giorni prima mentre Adri era stata tra gli ultimi a prenderla ed ora era costretta a stare quasi sempre a letto. Per evitare che la loro amica si annoiasse o si sentisse sola, gli altri due rimanevano spesso nel dormitorio femminile a farle compagnia. Si portavano spesso dietro dei giochi da fare assieme, in alternativa disegnavano oppure costruivano un fortino composto da cuscini e coperte.
Quel giorno però Dri voleva leggere, perciò si avrebbe letto. E così, mentre Ceci era sdraiata a pancia in giù vicino al fondo del letto tutta intenta a disegnare canticchiando un motivetto allegro, Adri e Gab erano dalla parte opposta della bimba intenti a leggere l'una di fianco all'altro.
La prima era seduta in maniera composta con la schiena appoggiata al muro e le gambe piegate in avanti in modo tale da sorreggere il libro, il secondo invece al contrario; schiena stesa sul letto mentre le gambe stese e poggiate contro la parete. Leggeva in silenzio e se ne stava buono così.
Ad un certo punto si lasciò cadere il volumetto aperto sulla faccia mugugnando stanco, Dri sollevò appena il libro dal suo viso in un muto messaggio di continuare a leggere. Con uno sbuffo, il bambino obbedì.
Per il resto rimase completamente tranquillo.
Una volta che se ne stava fermo a non combinare guai era veramente un peccato, per gli Educatori, distogliere i bambini da quella attività così tranquilla, ma quello era un giorno speciale. Tutti gli orfani sotto i dieci anni, non malati, dovevano svolgere tutte le loro attività nel salone per poter essere esaminati.
L'Educatrice Caterina si avvicinò ai tre «Gabriele, Cecilia. Venite su» li chiamò con dolcezza. Gab sollevò gli occhi in direzione della donna e Ceci smise di canticchiare. «Adriana deve riposarsi.»
La bimba alzò gli occhi dal libro con disappunto. «Ma io non sono stanca.»
Gabriele diede un'occhiata fuori dalle finestre, nonostante il cielo grigio carico di pioggia poteva vedere ancora la flebile luce del primo pomeriggio. «È presto. Molto presto» fece notare.
«Forza voi due monelli.» fece Marco entrando anche lui nel dormitorio «Date retta all'Educatrice Caterina e andate nel salone a giocare con gli altri bambini.» quando la nominò prese a fissare la donna con intensità.
Non appena notò che Dri e Gab lo stavano osservando distolse lo sguardo imbarazzato.
A quel punto furono i due bimbi a scambiarsi un'occhiata d'intesa. Gabri sorrise furbescamente mentre Adri si portò un dito alla bocca cercando di non sorridere anche lei.
Gabriele ripeté il gesto continuando a sogghignare perspicace. Aveva capito il messaggio.
Lui e Ceci seguirono Marco fuori dal dormitorio. Prima di uscire del tutto ci fu un altro scambio di sguardi tra i due migliori amici. Un muto saluto.
E infine due sorrisi sinceri percorsero i due visi da fanciulli.
Una volta in corridoio Gabriele dovette accelerare il passo per trovarsi a pari con l'Educatore. «C'è una visita medica a sorpresa?»
«No» gli rispose l'uomo. «Qualcosa che potrebbe piacervi.»
«Spettacolo di marionette?» insistette il bimbo.
La faccina di Cecilia si illuminò. «Sì ti prego! L'avevate promesso di farci vedere uno spettacolo di marionette un giorno.»
Marco cominciò a mordersi le unghie a disagio «Ehm... no. Per quello manca ancora un po'»
«Allora qualcuno ci vuole adottare.» decretó infine Gab.
L'Educatore non rispose. O almeno non subito.
Si decise a parlare solo una volta arrivati al salone.
«Sentite» si chinò davanti ai due bambini «Questa famiglia ha perso da pochi mesi il loro figlio minore, siate gentili. Il piccolo aveva la vostra età perciò le probabilità che possano adottarvi sono buone. Fate i bravi, forse potrebbero decidere di prendervi.» spiegò meglio che poteva «Perché voi la volete una famiglia, giusto?»
Ceci fu la prima a rispondere. «Sì!»
«Boh» fece invece Gab.
Marco fu parecchio spaesato dalla risposta del bambino «"Boh?"»
«Esatto, boh. Non lo so.»
L'uomo guardò in silenzio il piccoletto cercando di capire cosa dirgli. «Cecilia, te intanto vai.» la bimba ubbidì e quando si trovò a sufficienza distanza tra i due, finalmente Marco si decise a parlare «Perché "boh"?»
Gabriele scrollò le spalle. «Non voglio stare in un posto dove nessuno mi amerà.»
«E chi ha detto questo?» chiese di nuovo l'Educatore.
In quel momento si avvicinò Shakoma alquanto imbronciato. «Questi Scommettitori... non li sopporto più!» borbottava «Sempre lì, addosso a qualsiasi essere vivente che dimostri di non essere ancora un adulto. Approfittatori, opportunisti e malati del denaro. Ecco cosa sono!» mormorò il vecchio «È già il quinto bambino che terrorizzano quest'oggi e stanno dentando sempre più appiccicosi.» quando vide i due sollevò un sopracciglio perplesso «Che succede qua?»
Marco lo liquidò con una mano «Niente, niente» ma a Gabri non importava se alla conversazione si unisse anche il vecchio, anzi, ancor meglio. Shakoma era il suo Educatore preferito, sempre pieno di enigmi e indovinelli da tenerlo occupato per settimane intere. Era l'unico tra gli adulti a capire effettivamente come funzionasse il suo cervello.
«Non voglio essere adottato.» dichiarò deciso.
Shakoma aggrottò le sopracciglia perplesso. «E perché no?»
L'altro Educatore si portò una mano sulla fronte sospirando stancamente. «Dice che non vuole stare in un posto in cui nessuno lo amerà.»
Ora anche Shakoma si era seduto davanti al bambino, fissandolo attentamente. «Qual è il motivo di quanto stai dicendo?» domandò interessato.
«Non si può amare il sostituto di quello che hai perso.» spiegò velocemente il bambino.
Quella risposta lasciò spiazzati i due adulti, i quali non seppero cosa rispondere a tale affermazione per nulla insensata.
Ma poi Shakoma prese a lisciarsi la lunga barba bianca pensieroso. Gli occhi, già molto sottili, divennero due fessure. «In parte devo dire che hai ragione, Gabriele-chan» aveva cominciato chiamarlo così circa un anno fa assieme ad altri sei bambini con cui l'anziano era solito a parlare o a giocare. «Ma per caso, queste tue parole, non saranno state dettate dalla tua paura di vederti ancora rifiutato l'amore?»
Per poco Gabri non perse l'equilibrio. Sentì di nuovo nella sua testa le parole che il signor Rossi aveva detto su suo nonno dopo la telefonata.
«Non vuole avere niente a che fare con lui. Ha detto che non sarebbe dovuto nemmeno esistere.»
«Ha disconosciuto il bambino anni fa...»
Serrò le labbra e strinse nervoso le maniche dell'enorme maglione beige che indossava. «Perché lo pensi?» ribatté chiudendosi a riccio
Il vecchio si rilassò e gli sorrise dolcemente, Marco invece ancora non riusciva a spiaccicare parola.
«Capisco...» mormorò Shakoma. «Dimmi, Gabriele-chan. A te piacerebbe volare un giorno, vero?» la domanda colse il bambino di sorpresa «Lo vedo come osservi gli uccelli e quando fai volare i tuoi aquiloni. Ti piacerebbe trovarti lassù nel cielo, senza peso...»
«Oh sì...» fece Gab senza riuscire a trattenere un sorriso al solo pensiero di poter, un giorno, volare. Era tra uno dei suoi più grandi desideri.
«Beh prendiamola così...» disse senza preavviso il vecchio Educatore strappando il bambino dai suoi sogni ad occhi aperti. «Se vuoi imparare a volare, prima devi avere il coraggio di saltare.»
Detto questo si alzò, si pulì per bene i vestiti dalla polvere del pavimento e se ne andò.
Così, senza dire più niente.
Marco guardò prima il collega che si allontanava e poi il bambino. «Te hai capito che cosa voleva dire?»
Gab scosse la testa, altrettanto confuso. «No»
«Bene, neanch'io.» fece infine l'uomo, anche lui si rimise in piedi. «Sti giapponesi e i loro detti pieni di saggezza... almeno li pronunciassero con chiarezza invece con sta specie d'indovinelli!» borbottò seccato, tornò poi a guardare l'orfano. «Su» gli fece cenno col capo «Va a giocare. E non combinare disastri.»
Gabriele, ancora un po' spaesato, ubbidì raggiungendo la sua amica Cecilia che lo attendeva vicino ai tavoli da disegno.
«Allora, che ti hanno detto?» domandò curiosa.
«Non ne ho idea.» rispose lui ancora frastornato, l'amica lo guardò senza capire ma prima ancora che potesse dire qualcosa Gab la precedette. «Cosa disegni?»
Ceci gli mostrò fiera il suo capolavoro semplicemente girando il foglio in modo che l'altro potesse vedere. Sopra vi era disegnato coi gessetti colorati i tre amici che ballavano allegri sotto la pioggia di novembre, tutti sporchi di fango.
Vi erano parecchi errori di proporzioni ma era comunque molto bello.
Gabriele si ricordava il momento raffigurato. Era stata una sua idea, ovviamente, ma gli Educatori non l'avevano presa molto bene quando li trovarono in cortile bagnati fradici con i rimasugli di fango su braccia, gambe, vestiti e perfino nel viso.
Li avevano rimproverati duramente (Potevate ammalarvi!) ma si erano divertiti un mondo tutti e tre.
Quando poi erano comparsi i fulmini, Gabri non aveva potuto fare a meno di osservarli incantato.
Altro motivo per il quale gli adulti si erano preoccupati quando li avevano visti fuori.
«È bellissimo.» commentò sinceramente il bambino restituendo il foglio. «Mi ricordo quel giorno, è stato fortissimo!»
Cecilia annuì completamente d'accordo. «Dovremmo rifarlo» poi lanciò un'occhiata scocciata all'Educatore più vicino «Peccato che ogni volta che piove gli Educatori ci tengono d'occhio.»
Gabri appoggiò il viso al braccio imbronciato. «Già e poi oggi in particolare.»
«Mi piacerebbe tanto che mi adottassero.» dichiarò la bimba prendendo un nuovo foglio e altri gessetti. Gabriele la guardò un poco, lei aveva raccontato a lui e a Dri che i suoi veri genitori non volevano darla via, nonostante fosse una figlia di troppo, e che avevano lottato con tutte le forze perché non la portassero lontana da loro.
Le mancava terribilmente avere una famiglia.
Dei genitori che l'amavano.
«Gabri! Ceci!» il bambino con gli occhiali che Gabriele aveva aiutato contro Francesco quasi due anni fa, Giovanni, si sedette accanto a loro col fiatone.
La pelle candida del viso aveva assunto una sfumatura decisamente più rossa per la corsa. «Mirco vuole giocare a "Eroi contro Oscuri" ma ci mancano degli Oscuri. Volete farli voi?» chiese.
Gabri fece le spallucce indifferente. «Va bene. Te Ceci ci stai?»
«Certo!» esclamò contenta la bambina. «Che Oscuri sono rimasti?»
«Bului, Uzas, Magnes e Warrior» elencò Giovanni.
Quelli erano gli Oscuri più cattivi, potenti e pericolosi tra tutti. Di solito nessuno voleva mai farli, anche perché per finire il gioco dovevano perdere tutti e ai bambini non piace fare la parte del perdente.
«Io faccio Warrior!» annunciò Cecilia saltando sulla sedia.
Giovannino, così lo chiamavano all'orfanotrofio, non era molto contento della scelta. «Sì ma ci serve il capo degli Oscuri per giocare e io ho già chiesto a tutti ma nessuno vuole farlo.»
«Allora lo farò io.» si propose Gabriele.
La faccia del bimbo si illuminò. «Sul serio?»
«Beh sì...»
Giovannino lo prese per il braccio trascinando lui e Cecilia dall'altra parte del salone. «Mirco sarà felicissimo!»
Mirco era un bambino di un anno più grande dal viso angelico e dalla pelle rosea e vellutata, boccoli d'oro come capelli e gli occhi color carbone. Anche lui, come Gabriele, non riusciva mai a stare fermo.
Questa era una delle poche somiglianze che tutti erano in grado di notare. Per il resto, i loro modo di rapportarsi con gli altri li rendeva praticamente opposti.
Mirco era estremamente socievole e aperto con tutti, si fidava ciecamente del prossimo e finiva spessi vittima di scherzi dei più pestiferi. Gabri invece era di carattere più sfuggente e con la tendenza di non esternare spesso le proprie vere emozioni al contrario di come faceva spesso Mirco, apparendo così molto più complesso da capire. Inoltre gli orfani si erano ormai rassegnato dal cercare di tirargli qualche scherzo poiché finiva sempre che si ritorcevano contro.
Nonostante queste divergenze i due riuscivano ad andare comunque molto d'accordo.
Il più grande era solito ad invitare i tre a giocare assieme a tutti gli altri bambini, il suo preferito era "Eroi contro Oscuri" (era ossessionato dagli Eroi, li venerava e il suo desiderio più grande era quello di diventare un Ultra e combattere contro gli Oscuri), in cambio il più piccolo, quando poteva, cercava di evitare che cadesse in fregature colossali a causa della sua ingenuità.
Giovanni si fermò proprio davanti a Mirco, il quale indossava un mantello rosso da cavaliere un po' malconcio. A quanto pareva lui avrebbe fatto Suprem Dragon.
Non appena li vide fece uno dei suoi ampi sorrisi ai nuovi arrivati. «Sei riuscito a trovare qualcuno! Grande Giovannino!» abbracciò forte il bambino.
Cercando di non soffocare, l'altro gli disse «Già... Gabriele ha detto che farà lui Bului.»
«Davvero? Ma è fantastico!» Mirco si staccò da Giovanni per passare da Gabri.
Quest'ultimo cercò di allontanarsi con poco successo. «Ehm sì. Dov'è il mantello di Bului?»
«Oh sì certo! Eccolo!» il bambino gli passò un mantello nero molto più ampio del suo a cui era cucito persino un cappuccio.
Gabriele lo indossò senza esitazione tirandosi giù anche il cappuccio.
Il tutto gli dava un'aria piena di mistero. Il bimbo decise che gli piaceva.
Il gioco "Eroi contro Oscuri" funzionava in questo modo:
Si svolgeva in una buona parte del salone e si utilizzava la fantasia. Bene o male tutti sapevano le abilità degli Ultra più famosi, bisognava solo fingere di usarli contro gli avversari. A decidere chi veniva battuto era un Educatore esterno che supervisionava il gioco in modo che nessuno si facesse male, o che barasse.
L'obbiettivo era battere il capo di uno delle due parti, distinguibili dal mantello, e quello doveva essere per forza Bulhuui. Sconfitto solitamente da Suprem Dragon.
Non era molto complicato alla fine.
Mentre tutti fingevano di combattere, Gabriele sentiva spesso i nomi dei bambini, associati a quello degli Ultra che stavano rappresentando, chiamati tra le file degli sconfitti.
La maggior parte erano dei suoi.
Luca-Uzhas e Cecilia-Warrior erano già stati battuti entrambi da Mirco-Suprem Dragon.
Come il gioco doveva essere.
Improvvisamente risentì nuovamente un sentimento di ribellione crescergli dentro.
Perché doveva sempre essere la stessa parte a perdere?
Non era affatto giusto.
Esaminò i giocatori rimanenti. Gli era rimasto Magnes e pochi altri mentre Mirco continuava a girare con le braccia spalancate, segno che stava volando.
Quest'ultimo, assieme a quello che impersonava Mille Volti, era l'Ultra più fastidioso da sconfiggere, ma a Gab venne un'idea.
«Magnes! Lancia dei proiettili contro Suprem!» ordinò «Mira alle ali!»
Il bimbo che impersonificava l'Oscuro, Simone si chiamava, obbedì e cominciò a tirare piccole palline di carta accartocciata all'avversario. Mirco, che non se l'aspettava, non riuscì a reagire e fu colpito al polso da una di esse.
«Suprem Dragon è stato colpito alle ali, non può più volare!» gridò sorpreso l'Educatore che li teneva d'occhio, Lorenzo.
Fino ad ora a nessuno era venuto in mente un'idea del genere ma il piccolo capo degli Oscuri aveva appena iniziato.
Successivamente ordinò a Simone-Magnes ed a Luana-El, l'Oscuro che questa bambina impersonava poteva far inabissare nella terra i propri avversari, di legare e far sprofondare nel terreno Mirco-Suprem Dragon, immobilizzandolo.
Ora non rimaneva d'aspettare che l'altra spina nel fianco si mostrasse.
Non dovette aspettare molto che sentì una mano premergli contro le spalle.
«Ti ho colpito Bului. Hai perso!» gli sussurrò Giovannino all'orecchio.
L'Educatore Lorenzo gettò un'occhiata nervosa dietro di sé mentre gridava «Gabriele-Bulhuui è stato sconfitto da Giovanni-Mille Volti. Gli Eroi hanno vinto.» disse «Bene bambini, perché non facciamo un altro gioco?» sembrò implorare. Gli orfani non l'avevano ancora notato ma la coppia venuta ad adottarli era già arrivata e stava fissando la scena con sgomento.
«No.» ribatté calmo Gabri. «Non mi ha sconfitto. Il potere di Bului è l'immortalità, lui non può morire.» diede un'occhiata a Luana «Fallo sprofondare fino alle spalle.» la bimba ubbidì con espressione incerta.
Per la prima volta, quello che impersonava il capo degli Eroi si trovava bloccato e legato come un salame, alla mercé degli avversari.
«Anche se ritorni umano le catene di Magnes ti incateneranno comunque.» lo avvisò Gabriele camminandogli incontro fino a quando non si trovò a un palmo dal viso, si fa per dire visto che non era molto alto, di Mirco.
Il cappuccio gli copriva buona parte del viso, nascondendogli la sua espressione.
Mirco invece era allibito, confuso e incredulo. Finora non aveva mai perso. «Ma gli Oscuri non vincono mai...»
«Perché?» chiese il finto Bulhuui con sincera curiosità.
«Perché gli Oscuri sono i cattivi.» ribatté il più grande, un poco incerto.
Gabri piegò la testa da un lato. «Perché i cattivi devono perdere sempre?»
Mirco non sapeva esattamente come rispondere. «Perché... perché... perché sì!»
L'altro si tolse il cappuccio, scoprendo il suo viso, fissando l'amico non molto convinto. Poi sospirò «Non ho più voglia di giocare alla guerra. Non mi piace.» sciolse i nodi, abbastanza orrendi, della corda liberando Mirco. «Cambiamo gioco ti prego.»
Il più grande stava ancora cercando di riprendersi dallo smacco che aveva subito. Alla fine sorrise debolmente. «Va bene calcio?» uno degli altri giochi a cui gli orfani piaceva un sacco.
Stavolta toccò a Gabriele sorridere e lo fece in maniera sincera. «Okay! Io faccio il telecronista, come sempre.» rispose «Forza Angiolino, l'ultima volta Scarpetta ti ha stracciato!»
La serenità tornò sul viso di Mirco. «Tranquillo, io e la mia squadra vinceremo stavolta!» esclamò stringendo la mano a pugno. «Dovrai stare attento a tenerci d'occhio perché saremo velocissimi» Gab gli fece la linguaccia. «Vedremo.»
L'Educatore Lorenzo, visibilmente sollevato che i bimbi avessero deciso di cambiare attività in una più normale di quella precedente, fece «Perfetto! Chi vuole fare la ballerina pon-pon?»
Giovannino, Luana e un'altra decina di bambine, più qualche maschietto, alzarono la mano allegri.
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La partita finì sei a tre per la squadra di Scarpetta, il soprannome che Gabriele aveva dato a Simone durante le partite per via della sua abitudine di lanciare via per sbaglio la scarpa quando calciava il pallone.
Per quanto ci provasse, Mirco era una vera schiappa a calcio ma non si arrendeva mai. Appena gli Educatori ne decretarono la fine, causa cena, subito richiese la rivincita all'avversario, sicuro di riuscire a vincere la volta dopo.
Gabri invece si divertiva troppo a fare il telecronista e gli piaceva vedere gli altri che ridacchiavano per quello che diceva.
Cecilia invece era morta.
Se ne stava lì sdraiata in mezzo al "campo", stremata da quanto aveva giocato.
«Dobbiamo andare.» la incitò Gabri tentando di rimetterla in piedi inutilmente, la bimba continuava a voler rimanere per terra.
«Sono stanca. Ho le braccia stanche. Le gambe stanche. I piedi stanchi.» mormorò appena «Mi porti qui la cena?»
«No.»
Visto che non accennava a muoversi, Gab decise di prenderla per le gambe e cominciò a trascinarla ma, a causa della sua corporatura mingherlina, riuscì a spostarla solo di pochi centimetri.
In suo aiuto venne Mirco, che prese una gamba della bambina e cominciò a tirare anche lui.
Cecilia intanto era impegnata a cantare svogliatamente. «Brilla brilla la stellina...»
«Grazie.» gli disse riconoscente Gabriele all'altro.
Mirco continuò a sorridere. «Di niente.» fece solare «Volevo chiederti perché non vuoi mai giocare a calcio» l'anno scorso, durante le olimpiadi scolastiche, molti erano rimasti stupiti dall'agilità inaspettata che Gab possedeva aiutandolo così a vincere alcune gare di velocità e pure qualche round di lotta greco-romana contro altri bimbi dalla corporatura molto più robusta (ma alla fine si beccava l'avversario il quale, ormai stufato dal suo continuo fuggire, lo prendesse di peso scaraventandolo fuori dal cerchio).
Da allora il biondino boccoloso tentava di convincere Gabri a giocare con lui a calcio, fallendo ogni misera volta.
«Non mi piace molto il calcio.» rispose con un'alzata di spalle. «Preferisco di più commentare. Diverte anche voi, lo so.»
Arrivarono fino alla sala da pranzo ed entrambi mollarono le gambe di Cecilia. Mirco osservò il più piccolo di sottecchi. «Sei uno strano bambino, Gabri.»
L'altro gli sorrise vivace. «Grazie!» poi andò a cercare il suo posto a tavola lasciando lì il più grande insieme a Ceci che si era messa a fare le bollicine con la saliva «Brlbrlbrlbrlbrlbrlbrlbrl...» era il verso che faceva.
Mirco la guardò per qualche secondo. «Forza Ceci, alzati.»
La cena di quel giorno consisteva in pizza, uno dei cibi amati nell'orfanotrofio assieme al pandoro. Gli orfani la divorarono con gusto tanto che gli Educatori non facevano in tempo a portarla in tavola che già era finita. Con tutti quei giochi movimentati era naturale che avessero tutti una gran fame.
Gabriele prese tre fette di pizza margherita e le avvolse in un tovagliolo nascondendole infine dentro la felpa per darle successivamente a Dri, nel caso le avessero dato da mangiare soltanto della schifosa pastina col brodo di pollo.
Si guardò attorno cercando di vedere la coppia di adulti da qualche parte, probabilmente erano andati a mangiare nell'ufficio di Marco dato che mancava pure lui.
Li aveva intravisti di sfuggita solo una volta, poco prima che iniziasse la partita di calcio.
Ad una prima occhiata gli erano parsi di bell'aspetto, molto curati e con vestiti eleganti. Sembravano dei ricconi e stonavano parecchio in mezzo a quella marmaglia di bambini urlanti, tutti con dei vestiti di seconda mano sformati a causa dei loro vecchi predecessori.
Di solito le coppie che andavano lì per adottare dei bambini erano vestite in maniera più semplice e modesta, talvolta quasi anonima.
Un tratto che però tutti gli adulti avevano in comune, compresi gli Educatori, erano degli strani segni neri che portavano sul dorso della mano destra. Quelli dei visitatori però erano diversi dallo strano rettangolo senza uno dei due lati corti che invece tutti gli Educatori avevano.
Ma ancora più diverso era Shakoma che invece il simbolo ce l'aveva sul dorso sinistro mentre il destro era sempre coperto da un guanto.
Gab aveva spesso chiesto agli adulti cosa significassero quei simboli che portavano, compreso quello che sentiva ogni volta che si passava la mano dietro al collo, ma nessuno aveva mai voluto rispondergli, cosa che tendeva ad infastidirlo non poco.
Detestava quando gli adulti si rifiutavano di rispondere alle sue domande.
Perché dovevano ogni volta tenerlo all'oscuro di tutto quanto?
Una volta che ebbero tutti quanti finito di mangiare, gli orfani si recarono nel salone per l'ora della storia, tradizione che ormai si teneva ormai due volte a settimana.
Siccome si trovavano in periodo natalizio, Shakoma spostò la sua poltrona accanto all'albero di natale pieno di lucine e decorazioni realizzate a mano dai bambini. Così decorato aveva un aspetto allegro, caldo e familiare; i piccoli orfani amavano ammirare i risultati dei loro lavoretti appesi sui rami.
Ogni anno Dri, Gab e Ceci decidevano di cooperare assieme. La prima decideva cosa rappresentare, il secondo lo realizzava mentre l'ultima lo colorava. Il draghetto delle nevi costruito con sughero, fil di ferro e cotone era in quel momento illuminato da una lucina blu che lo rendeva un po' spettrale ma anche abbastanza carino.
Quella sera, Gabriele cercò di accantonare tutte le domande che lo avrebbero distratto e di ascoltare tranquillo la storia di quella sera.
Stavolta parlava di un ragazzo arabo, un poveraccio, che era riuscito a trovare una lampada magica dal quale fuoriusciva un tizio blu, alquanto divertente, che si faceva chiamare "Genio".
Questo genio a quanto pareva aveva il poter di far esaudire ben tre desideri del suo nuovo proprietario. Da qui in poi iniziarono le nuove peripezie del protagonista (il poveraccio) nel tentativo di conquistare la principessa amata, affrontando uno stregone malvagio bramoso di potere, aiutato dal Genio idiota ed un tappeto volante.
Gab trovò la storia molto carina, simpatica. Adorava il Genio.
Seppure con qualche difficoltà, riuscì a seguire bene o male tutto il racconto senza distrarsi troppo. Fu fiero di sé stesso.
Una volta terminata la storia, tutti gli orfani si alzarono per andare a dormire mentre parlavano tra loro delle parti che li aveva divertiti maggiormente.
Gabri invece si diresse verso Shakoma, con delle domande che gli pesavano nel petto. «Educatore Shakoma»
Il vecchio si girò con calma salutando il bimbo con un caldo sorriso. «Che c'è Gabri-chan?»
«Perché gli Oscuri sono cattivi?»
Shakoma si accarezzò la barba. «Beh... ecco, perché hanno ucciso un sacco di persone»
«Perché?»
«Perché davano a loro fastidio, a quanto pare.»
«Perché?»
Il vecchio sollevò i palmi. «Ah, questo non devi chiederlo a me ma a loro.»
Gabri rimase in silenzio per un po', poi riprese «Educatrice Maria dice che si sono ribellati agli Eroi. Perché?»
Shakoma sospirò, senza sapere che cosa rispondere stavolta. «Senti... perché non vai a letto? Sarai stanco dopo tutto quel giocare»
Il bambino non era contento. «Non sono stanco. Io voglio sapere.»
«Beh, saprai tutto quando sarai più grande. Forse...» lo zittì Shakoma massaggiandosi le tempie. Gabriele odiava quella risposta. "Quando sarai più grande" gli rispondevano continuamente, non ne poteva più.
Mise le mani in tasca imbronciato. «Ogni volta è sempre così...» borbottò piano, sollevò di nuovo il viso «Almeno posso sapere perché avete chiamato Anita?»
Gli Educatori avevano richiamato la bimba dai capelli castani dorati, amante delle bambole e dei pony, subito appena terminata la cena e ancora non si era fatta vedere.
Gabri qualche sospetto ce l'aveva però voleva avere conferme.
Shakoma sorrise impercettibilmente. «È andata a conoscere meglio la sua nuova famiglia.»
«Quindi alla fine quella coppia ha deciso chi adottare» fece il bimbo «Meglio così, non mi stava simpatica.»
«Gabriele!» lo rimproverò severo il vecchio Educatore.
«Ma è vero!» ribatté Gabriele «Ci guarda sempre male, urla quando per sbaglio le bagnamo i suoi vestiti, non vuole che qualcuno tocchi le bambole anche se non sono sue e ha sempre qualcosa da dire contro di me e le mie amiche. A me non sta per niente simpatica.»
«Okey, ho capito. Forse potresti avere un poco ragione.» lo bloccò Shakoma prima che il piccolo orfano decidesse di continuare con l'elenco. Gli sorrise paterno. «Su, va a dormire Gabriele.»
Stavolta il bambino obbedì e si avviò verso i dormitori ma, anziché in quello maschile si diresse verso quello femminile dove stavano le sue amiche.
Quando vi entrò le bambine al suo interno si erano già infilate il pigiama ed erano ora impegnate a pettinare i capelli delle bambole o a giocare con dei pupazzetti.
«Ehi! C'è Gabri!» esclamò una loro coetanea dai capelli rossicci smettendo far rimbalzare la pallina di gomma che aveva in mano. Tutte le bambine presenti sollevarono i loro visini infantili verso il nuovo arrivato.
«Ciao Zoe.» la salutò sbrigativo camminando verso il letto di Dri. Appena lo vide gli fece un ampio sorriso che riuscì a contagiare il bambino.
«Gab!» gridò lei al settimo cielo, aveva la voce un po' rauca a causa del mal di gola. «Alla fine sei venuto!»
Gabri salì sul suo letto. «Ovvio, perché ne dubitavi?» disse sorridendole abile «Come stai?»
Adri si grattò un fianco. «Adesso meglio. A cena avevo un po' di febbre»
L'amico tirò fuori dalla sua felpa il pacchetto che le aveva preparato, aprendolo. «Ti ho portato un po' di pizza.»
Poco distante da loro, Zoe si mise a ridere beffardamente. «Gliel'hanno già portata, stupido!» anche le altre bambine si unirono a lei. Ceci si nascose la bocca con una mano per non farsi vedere.
Gab le fece la linguaccia come risposta, ma in realtà si sentiva in imbarazzo e le sue guance stavano diventando leggermente più rosse.
Dri gli scoccò un bacio sulla guancia. «Grazie! Sei troppo gentile.» gli sussurrò.
Il bambino la fissò stupito «Ma se te l'hanno già portata...»
«Fa lo stesso.» ridacchiò Adri prendendo una fetta di pizza, ormai fredda. «La mangiamo insieme?» propose porgendo l'altra all'amico, Gabri la prese portandosela alle labbra.
«Fono venuto pefché volevo raccontarti la ftovia di oggi.» le spiegò con la bocca piena «Fei pfonta?»
Adriana annuì energicamente. «Sì! Prontissima!» allora Gabri cominciò a raccontare.
Cercò di metterci molta enfasi nei discorsi e arricchì la trama con i suoi commenti sulle azioni dei personaggi o su ciò che pensava di loro.
Aggiunse qualche parola in più nei dialoghi con un pizzico di umorismo in più, ad un certo punto cominciò ad usare le bambole e i pupazzi nella storia storpiando i nomi dei personaggi.
C'era la scimmia della coscienza, il tizio blu un po' matto, stregone con la passione dei serpenti e tutto di più. Anche le altre bambine lo ascoltarono attente e rotolarono dalle risate quando lui imitava in maniera molto grossolana il poveraccio e il genio.
Storpiò un po' la fine, del tipo che la principessa e il poveraccio trasformarono lo stregone cattivo in un pappagallo e che decisero di viaggiare per il mondo a bordo del tappeto volante accompagnati dal genio che faceva a loro da guida.
Nessuna lo rimproverò per la modifica e, quando il racconto terminò, erano ancora lì a ridere. Compresa Dri.
«Fantastico!» disse tra una risata e l'altra la sua migliore amica. «Sei veramente bravo a raccontare storie.»
«Tu dici?» fece Gabriele ancora sorridente, lei annuì.
«Potresti raccontare tu le storie.» gli propose.
«Come lavoro potresti fare il cantastorie!» parlò Cecilia.
«Esatto! Potresti girare per le città a raccontare storie e in cambio ti danno i soldi.» concordò Zoe.
Gab finse di pensarci su. «Uhm... nah! Io da grande voglio fare lo scienziato!» spalancò le braccia verso l'alto per mostrarne la grandezza di quel sogno.
Zoe fece un verso di scherno. «Tu? Uno scienziato? Ma dai!» mise le mani sui fianchi «Ma se fai fatica ad andare bene a scuola!»
Dri abbracciò forte Gabri, cogliendolo di sorpresa. «Io invece so che ce la farà. È geniale!» il bambino fu contento di avere il viso nascosto tra i capelli della bambina, perché la sua carnagione olivastra non sarebbe bastata a nascondere il rossore.
Si staccò, gentilmente, dalla stretta e guardò Dri negli occhi. Il viso della bambina, inizialmente sereno, si oscurò preoccupata. «Gab, che c'è?» il bimbo abbassò lo sguardo, aveva voglia di parlarle ma non davanti a tutte.
Ceci ebbe l'accortezza di capire la situazione. «Via! Via! Sciò! Andate via!» fece alle proprie compagne di stanza. «Andate nei vostri letti. Su da brave.»
Zoe si accigliò offesa. «Non siamo mica dei cani, Ceci.»
Questa si avvicinò e sussurrò ai due amici «Voi andate, vi copro io.»
All'improvviso la porta si spalancò lasciando entrare Anita con espressione fiera «Sono stata adottata!» urlò felicissima. «Ma non piangete amiche mie, lo so che vi mancherò. Vi prometto che non vi dimenticherò mai, forse.» i suoi occhi color nocciola percorsero tutte le bambine, alquanto incredule, presenti nel dormitorio fino a soffermarsi su quelle dorate di Gab, il quale la stava osservando con certo fastidio.
«E lui che ci fa qui?» domandò disgustata.
~~•~~
Dopo che Ceci e le altre bambine riuscirono a tenere buona Anita, Dri e Gab corsero a nascondersi nel bagno più vicino, stavolta quello femminile.
Adri aveva intuito il bisogno che aveva l'amico di parlarle e sapeva che non ci sarebbe mai riuscito con tutte le altre lì intorno.
«Allora? Come mai sei triste Gab?» gli chiese sedendosi sulla tavoletta del water, Gabriele fece lo stesso con uno lì a fianco.
«Niente di particolare... le stesse domande senza risposta.» boffocchiò incerto. «Oggi abbiamo giocato a "Eroi contro Oscuri".» iniziò a raccontarle tenendo lo sguardo fisso sulle piastrelle rosa del pavimento. «Io ho fatto Bului.»
Adri se ne stava zitta, paziente, ad ascoltarlo. Attendeva che finisse di spiegare ciò di cui aveva bisogno di dirle.
«Per la prima volta abbiamo vinto noi Oscuri...» mormorò, rendendosi conto ora pure lui di quanto era stato in grado di fare qualche ora prima. «Grazie a me. Sono riuscito a trovare un modo per battere gli Eroi...»
«Ti sei stupito della freddezza che usavi per dare gli ordini?» provò ad indovinare Adriana portandosi le gambe al petto ma senza mai distogliere lo sguardo dal suo migliore amico.
«Sono stato distaccato anche quando cercavo un piano per batterli» aggiunse Gabri «Come se Mirco, gli "eroi" e quelli che erano in squadra con me fossero soltanto delle pedine da muovere.» fissava ostinatamente la piastrella rosea del bagno che aveva sotto di sè, riusciva ormai a distinguerne la sporcizia che vi si era incastrata nelle fessure che la collegavano con le altre piastrelle. «Inizialmente mi sono sentito forte, imbattibile. Ma poi ho visto gli occhi di Mirco e degli altri, anche l'Educatore Lorenzo. Mi hanno fatto sentire come se fossi veramente io il cattivo. E non mi è piaciuto per niente. Non voglio essere cattivo.» le ultime parole uscirono fuori tremanti.
Adriana si sporse un poco e, spostando appena la testa di Gabriele, fece toccare la sua fronte con quella dell'amico.
Entrambi non seppero bene quando era successo, ma col passare del tempo quello era diventato il loro più grande gesto d'affetto.
Quando uno dei due era particolarmente tormentato, l'altro faceva toccare le loro fronti fino a quando non si calmavano.
Era un muto messaggio che diceva "Stai tranquillo, ci sono io con te. Ti sarò sempre accanto perché ti voglio bene. Non ti lascerò mai solo. Non sei solo. Non avere paura. Ti voglio bene".
«Tu non sei cattivo Gab.» gli sussurrò con un filo di voce Dri. «Tu sei uno dei bambini più buoni che conosca.» Gabri sentì la sua lieve risata sulla guancia «Solo oggi mi hai portato la pizza, hai ascoltato la storia per potermela poi raccontare. E so che spesso proteggi Mirco da France e da possibili truffe. Tu non sei cattivo, tu sei un amico tenerissimo. E io ti voglio bene.»
I due si staccarono, tornando com'erano prima. Ognuno sul proprio water.
Il respiro di Gabriele si era un po' calmato. «Shakoma sa della mia paura. Quella sulle famiglie.»
La bimba non si mostrò sorpresa di questa notizia «Gli adulti parlano troppo tra loro.» protestò.
Gab annuì. «Giusto»
«Non ha detto più nulla?»
«Solo una frase, cos'è che diceva?» Gabriele si sforzò di rimembrare «Qualcosa su "Se vuoi imparare a volare, prima devi avere il coraggio di saltare". Una cosa simile»
Dri ridacchiò quando sentì il bimbo imitare in maniera piuttosto grossolana la voce di Shakoma.
Lei era stata la prima a scoprire della paura del suo amico, anche prima di Gabri stesso. Gliel'aveva detto dopo un paio di volte che aveva osservato il comportamento del bambino quando venivano delle persone per adottare uno degli orfani.
La sera quando gliele fece notare lui li era limitato soltanto a boffocchiare che forse poteva avere ragione, la mattina dopo era andato sul letto dell'amica confermandogli che aveva perfettamente ragione. Era terrorizzato di subire di nuovo un altro rifiuto da un adulto.
«Tu hai capito che significa la frase?» gli domandò Dri.
Gab scosse la testa. «Per niente.» rispose «Ehi senti, mentre Shakoma raccontava la storia, pensavo quanto sarebbe stato forte se un giorno trovassi una lampada con un genio dentro. Potrei esprimere tre desideri tutti miei!»
«E tu che desideri vorresti esprimere?» chiese Adriana mettendosi a gambe incrociate.
Il bambino ci pensò sù «Credo che prima di tutto chiederei di riavere la mamma»
Dri inclinò il capo di lato. «Ti manca ancora molto.»
«Quest'anno sono tre anni.» fu il modo di confermare la domanda dell'amica mentre giocherellava con la targhetta che potava al collo. «Poi chiederei una macchinina telecomandata, di quelle grosse. Così posso smontarla e capire come funziona.»
«Faresti soltanto una grandissima confusione!» rise Adri prendendolo in giro.
«Non è vero. Sarei bravissimo!» protestò Gab fingendosi offeso, ma si tradì con un leggero sorriso divertito «E infine gli ordinerei di costruire il castello giusto per me, il Signore dei Boschi, e la fortissima alleata, Regina dei Fiumi.» Adriana, nel sentire l'ultimo desiderio arrossì leggermente.
Gabri guardò l'amica «Invece te? Cosa gli chiederesti?»
La bimba tirò fuori il suo medaglione-carillon. «Beh, io vorrei conoscere i miei genitori...» Gabriele le prese la mano più vicina, stringendola delicatamente. «Gli chiederei poi di avere un gatto»
«Un gatto?» scherzò il bambino ridacchiando divertito.
«Sì un gatto, sono così carini. Fammi finire però!» lo riprese Adriana «E infine vorrei...»
Gab non potè mai sentire l'ultimo desiderio di Dri poiché, proprio in quel momento, la porta del bagno si spalancò mostrando due figure grandi davanti a loro. i due bimbi dallo scatto si presero un colpo.
«Che cosa ci fate voi due qui ancora in piedi?» fece Caterina con le mani sui fianchi fissandoli con severità, Marco di fianco a lei aveva incrociato le braccia sul petto e stava guardando i bambini nella stessa maniera della sua collega.
«Ehm...» cominciò Gab guardandosi nervosamente intorno. «Mi scappava la pipì!»
L'Educatrice sollevò un sopracciglio, senza credergli minimamente, mentre Dri si portò una mano sulla fronte.
Gabri sarà stato anche un bambino incredibilmente acuto per la sua età, ma quanto a raccontare bugie non era certamente il suo forte.
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