L'Ultimo Saluto
Decisi che era giunto il momento di andare quando il tenue chiarore che preannunciava l'arrivo dell'alba si profilò sull'orizzonte.
Mi alzai dal ramo dell'albero su cui ero rimasto appollaiato per tutta la notte e mi stiracchiai i muscoli intorpiditi.
Sentivo gli occhi bruciarmi ancora per le lacrime che avevo silenziosamente versato e che non ero riuscito a trattenere.
Una volta uscito da quel locale avevo mutato il mio corpo in aria ed ero volato a rifugiarmi qui, sui rami di un albero abbastanza grosso e alto situato nella foresta appena fuori i confini di Bridgetown, poiché era il posto in cui ero certo di avere meno probabilità di essere trovato a causa della sua vastità del territorio e del numero infinito di nascondigli che avrei potuto scegliere in alternativa a questo.
E poi perché non c'era nessun muro a tenermi confinato.
Mi lasciai sfuggire un breve sospiro. «Okey Gab... abbiamo piagnucolato anche fin troppo. È ora di darsi da fare.» mormorai tra me e me reclinando il capo all'indietro mentre mi scrocchiavo la schiena e guardai le stelle che ancora si intravedevano tra le foglie verdi dell'albero.
Nella tasca dei pantaloncini avevo ancora il foglietto di carta con scritto le coordinate della sede dei Liberatori, assieme anche all'anello e al biglietto che mi aveva lasciato Shakoma.
Originariamente avevo pianificato di partire durante i festeggiamenti di stasera per l'arrivo dell'anno nuovo, per l'occasione veniva sempre organizzata alla villa una festa enorme che coinvolgeva tutti i presenti e che io avevo deciso di sfruttare per sparire senza farmi notare, ma mi sa che dovrò anticiparla per colpa del casino che avevo combinato al locale.
Cavoli... che idiota impulsivo sono stato.
Per poco non rischiavo di mandare a monte tutto.
Mah, pazienza.
Quel che è stato è stato.
È inutile rimuginarci sopra, non si può cambiare il passato. Si può soltanto lavorare sul presente.
Spero solo che la ferita di Elliot non sia troppo grave.
Certo, non lo sopportavo per non mi va lo stesso di ustionare la faccia di persone a caso soltanto perché mi erano antipatiche.
Riempirgli il letto di ragni o lumache era un conto, ma bruciargli la faccia proprio no.
Mi stiracchiai un'ultima volta piegando il braccio dietro la testa. «Bene, credo proprio che sia meglio andare ora.» dopodiché spostai il peso del mio corpo tutto all'indietro sbilanciandomi e mi lasciai cadere nel vuoto.
Questa volta non aspettai di essere quasi al suolo e tramutai il mio corpo in una corrente d'aria molto prima sollevandomi poi verso il cielo e dirigendomi ad ovest, dove si trovava la villa.
Mi aspettava una lunga traversata dell'oceano Atlantico prima di raggiungere i Liberatori, non potevo affrontarla senza un minimo di equipaggiamento.
Sarebbe stato da pazzi, oltre che da veri stupidi.
Fui in grado di vedere il tetto bianco e piatto dell'edificio, che sovrastava di diversi metri gli alberi della foresta, circa una manciata di minuti più tardi.
Trovare la finestra della camera del mio Blocco non fu difficile, avevo memorizzato la sua esatta posizione già da tempo. In più non era la prima volta che mi capitava di dover passare da lì per accedere in camera (una lunga storia).
Proprio come avevo immaginato, la trovai completamente spalancata con solo la tapparella tirata giù per tre quarti, con il caldo di questo periodo era impensabile dormire con la finestra chiusa.
Passando attraverso lo spazio lasciato dalla tapparella scura riuscii in questo modo ad entrare nella stanza senza fare rumore e annullai la mia abilità atterrando dolcemente sul pavimento.
Dentro la camera vi regnava il silenzio interrotto soltanto dai sottili sospiri dei miei compagni addormentati e dal forte russare di Paulo.
Rivolsi a loro una rapida occhiata; a parte Fahed che dormiva beato sul suo letto con addosso il pigiama, Nick e Paulo invece portavano ancora gli abiti della sera prima, entrambi erano intenti a dormire spalla contro spalla con la schiena appoggiata contro la testiera in fondo del letto di Paulo. Dalla bocca aperta di Nick scendeva un rivolo di bava che andava a bagnare la canottiera grigia dell'altro.
Dovevano essersi addormentati mentre mi aspettavano, certi che io tornassi.
In circostanze normali una scena del genere l'avrei trovata esilarante ma adesso avvertivo soltanto il terribile senso di colpa che mi squarciava il petto affondandovi le sue radici all'interno ed espandendosi come una pianta velenosa che spargeva le sue spore tossiche nel terreno circostante, intossicandolo.
Chiusi gli occhi voltandomi dall'altra parte e mi diressi verso il mio letto dove tirai fuori da lì sotto lo zaino che usavo solitamente come valigia durante le missioni, già pieno per metà.
Non era certo questo il momento per lasciarsi prendere dallo sconforto.
Magari più tardi potrò piagnucolare quanto volevo, adesso però dovevo sbrigarmi.
Potevo già vedere i primi bagliori dell'alba attraverso le fessure della tapparella.
Per mia fortuna avevo già, previdentemente, preparato buona parte dei miei bagagli qualche giorno prima perciò non ci misi molto a completarli. Aggiunsi soltanto Bobby ancora spento assieme a qualche altro mio effetto personale al quale mi risultava piuttosto faticoso separarmene e mi cambiai indossando la mia uniforme da Ultra.
Ora ero quasi pronto a partire.
Mancava soltanto una cosa...
Lanciai un breve sguardo prima su Rosy, comodamente adagiata sul mio letto, spostandolo poi su Nick con la bava che continuava a colargli dalla bocca semi-aperta (per questo non gradivo molto dormire assieme a lui, finiva sempre per sbavarmi su tutto il cuscino), infine sospirai.
Non potevo andarmene e basta, gliel'avevo promesso.
Gettai un'occhiata alla finestra; i fasci di luce che passavano dalle fessure si erano fatto un poco più luminosi, segno che il sole stava già cominciando lentamente a comparire sull'orizzonte.
Forse...
Forse qualche secondo potevo comunque permettermelo.
Non era ancora così tardi per me; quindi mi giari verso la scrivania sedendomi a fianco scomposto e, strappando un foglio bianco dal mio quaderno di storia e prendendo una penna blu dall'astuccio più vicino, cominciai a scrivere velocemente una lettera cercando però di renderla il più leggibile possibile.
Una volta terminata, la piegai in quattro parti e, infilandola dentro la busta color lavanda di Mantèio che avevo conservato, la nascosi sotto il cuscino di Nick. Ovviamente dopo averci scribacchiato il suo nome nella parte del destinatario e cancellato il mio.
Rosy invece decisi di sistemargliela tra le gambe, incastrandola tra il braccio sinistro libero e il busto facendolo così sembrare come se la stesse coccolando.
«Prenditi cura tu di lei d'ora in poi, d'accordo?»
Nick si limitò a muovere appena la bocca pronunciando parole confuse. «...iacolashrealsh...»
«Lo prendo per un sì.»
Raccolsi dal mio letto lo zaino e la borsa che usavo una volta per le lezioni, adesso entrambi fungevano da mie valigie per il viaggio, più la custodia della mia naginata riuscendo in qualche modo a sistemarli tutti quanti sulle mie spalle e attraversai rapidamente la camera con passo felpato uscendo silenziosamente.
La porta si chiuse dietro di me con un sibilo una volta che la oltrepassai, lasciandomi alle spalle i miei amici immersi ancora nel mondo dei sogni.
E con loro anche tutti momenti belli e divertenti che avevamo vissuto insieme.
Un sorriso amaro si fece largo tra le mie labbra.
Aaah diamine...
Mi mancheranno quegli idioti, questo è sicuro.
Sospirando sottilmente presi a camminare lungo il corridoio grigio e silenzioso del primo piano muovendomi in direzione delle scale.
Percorsi il tragitto che mi separava dal tetto della villa facendo soltanto una breve sosta al secondo piano dove, più che altro per un mio capriccio personale, appicciai sopra al quadrante che regolava l'apertura e la chiusura della porta della stanza di Suprem Dragon un post-it giallo in cui mandavo a quel paese, ovviamente in dialetto, il capo degli Eroi con disegnata accanto una faccina sorridente. Un piccolo pensierino da parte mia perché non si scordino tanto facilmente di me.
Infantile? Probabile.
Divertente? Assolutamente.
Chissà le loro facce, specialmente quella di Suprem, non appena lo vedranno.
Già anche il solo immaginarle era davvero esilarante.
Quando aprii la porta metallica che dava sul tetto, i miei occhi furono investiti dalla tiepida luce dorata dell'alba mentre una lieve brezza mattutina accarezzava dolcemente il mio viso.
Di fronte a me, il sole faceva capolino oltre gli alberi della foresta inondando il mondo della sua rinnovata luce dorata e rischiarando il cielo blu come una fenice che risorge, senza fretta, dalle sue ceneri.
Avanzai per qualche metro fino a trovarmi a pochi passi dalla ringhiera di ferro che fungeva da parapetto lungo tutto il perimetro del tetto.
«Notte insonne anche per te...» girai appena il capo sorridendo abilmente. «...Dri?»
Con la coda dell'occhio la vidi avanzare di qualche passo verso di me prima di fermarsi alle mie spalle. Sopra i vestiti della sera prima indossava la mia felpa grigia che avevo scordato nella camera delle ragazze qualche mese fa e che mi ero poi da allora dimenticato di riprendermela.
«Sapevo che non saresti tornato per restare.» esordì con tono piatto e incolore, lo stesso che usava quando cercava di tenere a freno le sue emozioni negative nl momento in cui esse diventavano troppo forti.
Mi voltai del tutto in modo da poterla guardare direttamente in faccia e, passandomi una mano sulla nuca, sospirai seccato. «Avevo davvero sperato di non trovarti qui» sbuffai scontento. «Sarebbe stato tutto più semplice.»
«Lo sarebbe stato se volevi andartene e basta.» replicò lei alterando leggermente la voce. «Tu... tu stai andando da loro.»
«Così pare» risposi con fare indifferente.
«Perché?» insistette Dri perdendo parte della sua calma composta che aveva cercato di ostentare fino a poco prima. «Perché loro?»
Scrollai le spalle con espressione affabile. «Chissà... forse perché i loro biscotti sono più buoni.»
Lo ammetto, mi stavo comportando da vero bastardo a risponderle così, ne ero pienamente consapevole, anche perché era ovvio che stava soffrendo. Però la sua presenza qui non mi stava rendendo le cose affatto facili e questo era l'unico modo in cui ero solito affrontare situazioni difficili dal punto di vista emotivo e sentimentale come questa.
Ad affrontare il dolore che mi stava dilaniando dentro al solo pensiero di lasciarla.
Per questo avrei preferito mille volte di non trovarla qui stamattina, mi avrebbe reso molto più semplice la partenza.
Adesso invece... volevo soltanto urlare la mia rabbia e il mio dolore su quanto fosse ingiusta la vita.
No, non ingiusta.
Semplicemente crudele.
Spietata.
Lei continuò a guardami con espressione affranta. «Gab...» mormorò con un lieve tremito nella voce. «Gli Oscuri non sono la tua unica scelta.»
Già...
Alla fine il vero problema, ciò che ci faceva soprattutto soffrire entrambi, era proprio quello.
Non tanto per il semplice fatto che o stessi lasciando gli Eroi ma, piuttosto, che lo stessi facendo per unirmi ai Liberatori. In questo modo, infatti, saremmo diventati nemici con il compito di ucciderci a vicenda.
In breve, il peggior scenario possibile che entrambi potessimo sopportare.
Ecco perché lei era in assoluto l'ultima persona che avrei voluto vedere prima di partire.
Piegai un poco il capo fissandola affabile. «Lo so benissimo» affermai sorridendo scaltro. «Ma loro sono l'opzione migliore per raggiungere il mio obbiettivo.»
«E quale sarebbe?»
La scrutai sottilmente mantenendo la stessa espressione di prima. «Lo vuoi davvero sapere?»
Dri ricambiò il mio sguardo con uno deciso e risoluto. «Sì.» fece senza alcuna esitazione.
Sollevai un angolo delle labbra in un sorriso acuto. «La libertà.» risposi apposta enigmatico, non era ancora il momento che sapesse tutta la verità, poi alzai appena le spalle socchiudendo gli occhi in un'espressione leggera. «O distruzione, dipende dai punti di vista.»
Riaprii gli occhi smettendo di sorridere.
Volevo davvero lasciarla per passare dalla parte nemica?
Non stare più con lei?
Diventare suo nemico?
«Perché non vieni con me?» mi scappò fuori all'improvviso.
Adri drizzò il capo sbattendo le palpebre un paio di volte confusa, molto probabilmente non aspettandosi una simile proposta così repentina.
Se posso dirlo, ne ero rimasto sorpreso anch'io ma, a ben pensarci, come idea non era poi così male.
«Cosa?»
«Puoi venire con me» ripetei. «Così non saremo costretti a dirci addio. A soffrire.»
Sollevai una mano verso di lei porgendogliela. «Vieni con me...»
Tu mi piaci.
Era ciò che stavo per dirle ma riuscii a fermarmi in tempo.
Quello che le avevo proposto era già di per sé una scelta piuttosto ardua, io poi ne sapevo qualcosa, non aveva senso complicargliela maggiormente con una dichiarazione a sproposito. Avrei soltanto reso le cose più difficili di quanto non lo siano già rischiando addirittura d'influenzare la sua decisione, cosa che io volevo evitare assolutamente.
Adri alternò lo sguardo prima sulla mano che le offrivo e poi su di me, fissandomi incerta. Il suo respiro prese a farsi più veloce. «I-Io non...»
Dietro di me avvertivo il calore del sole divenire più presente man mano che proseguiva inesorabile il suo eterno cammino verso l'alto, staccandosi dalla linea dell'orizzonte che separava la terra dal cielo.
Non mi restava più molto tempo.
«Dri...»
Lei mi rivolse un'ultima occhiata mentre cercava ancora disperatamente di decidere cosa scegliere. Poi chiuse gli occhi chinando appena il capo.
Gradualmente il suo respiro tornò a farsi regolare e la sua fronte si distese.
Una volta che si fu calmata, risollevò il viso riaprendo nello stesso momento anche gli occhi.
Le iridi argentate brillavano decise.
Aveva scelto.
E fece un passo indietro.
Una pugnalata al cuore avrebbe fatto meno male.
Sì certo, avevo immaginato che avrebbe scelto questo però... mi sentivo comunque come se l'interno del mio corpo fosse crollato simultaneamente tutto insieme e che venisse poi inghiottito da una gigantesca voragine lasciandosi dietro di sé solo un'orribile sensazione di vuoto e d'immenso dolore.
Un dolore così forte da togliermi il respiro e che mi rendeva impossibile parlare.
Cercando di arginare il più possibile quel vortice di sofferenza dentro di me, ritrassi la mano girandomi dall'altra parte sotto lo sguardo penetrante di Adriana.
Dopo essere salito in piedi sulla ringhiera del tetto, mi trasformai in una corrente d'aria e volai verso l'alba.
Senza mai voltarmi indietro.
Accompagnato soltanto dal rumore di tutte le nostre promesse, fatte negli anni, che si frantumavano in un solo singolo istante.
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