Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Gioco d'Inganni pt2

«Spiegami di nuovo per quale motivo dobbiamo girare in città, oggi.» domandò per la decima volta Fahed superando una bancarella piena di datteri profumati.

«Te l'ho detto» rispose Gabriele guardando i strani frutti esposti da un'altra bancarella. «Raccolta d'informazioni.» poco distante da lui, Yen era rimasta rapita da degli abiti esposti di un banco e Nick osservava tutto quanto lo circondava con grande meraviglia tenendo in mano la sua macchina fotografica.

«E su chi?» insistette il marocchino tentando di allontanare il compagno dalla bancarella delle spezie e dei profumi.

«Principalmente su Hadda e Hasson.» gli disse l'orfano addentrandosi sempre più in mezzo al mercato «Su come la popolazione li vede realmente, su come si muovono, la loro propaganda, cose così insomma. Che possono darci un quadro completo su come dobbiamo muoverci.»

Adri lo affiancò con un'espressione dubbiosa in volto, al collo portava un foulard color lavanda prestatagli da Audrey. «Secondo me la vera domanda dovrebbe essere: come sei riuscito a convincere Mille Volti?»

In tutta sincerità Gabri non era molto certo neppure lui di come sia stato in grado di lasciar a loro una giornata in città.

Dopo che era uscito in corridoio con Andrea, gli aveva esposto la sua idea assieme ai motivi per il quale aveva perfettamente senso adoperarla. Finita la spiegazione, il suo Tutore non ne era molto convinto lasciarli andare temendo che potessero mettersi nei guai a causa della loro inesperienza.

Poi, tutto d'un tratto, durante il loro turno di guardia quella notte, l'Eroe italiano aveva dichiarato che forse poteva rivelarsi un'occasione utile per il loro Blocco.

Saper raccogliere informazioni senza farsi notare sarebbe stata una capacità che potrebbe rivelarsi molto utile in moltissime missioni.

Perciò eccoli lì, a metà mattinata, a girare per il centro di Rabat, vestiti solo con un paio di pantaloncini che arrivavano al ginocchio ed una maglietta slabrata a mezze maniche, ammirandone così la città ed eseguendo ciò per cui era stata miracolosamente concessa quella piccola gita.

Era stato Nick ha trovare le prima bancarelle variopinte che poi sfociavano nella Medina, un complesso intreccio di stradine dalla quale si aveva acceso passando oltre una Porta semi distrutta a causa di un bombardamento avvenuto nel 2205.

O almeno era quello che aveva raccontato Fahed.

Siccome era l'unico originario di quel posto, Nick e Yen insistevano perché facesse da guida a loro, cosa che il ragazzino faceva con piacere, seppur ci fosse qualcosa che lo bloccava.

«Se devo essere sincero, non lo so bene neppure io» ammise Gabri alla domanda di prima di Adriana. «Però sono felice che ci abbia permesso di andare. Questa è la seconda città di cui ho l'occasione di visitare» disse osservando estasiato le case e le bancarelle che li circondavano con i loro colori e odori. «È qualcosa d'incredibile poter vedere tanti modi di vivere così differenti tra loro.»

Fahed si guardò attorno con espressione incerta. «Okey, Rabat è magnifica, certo» affermò «Però non sarebbe un po'... contro le regole?»

Gabriele si fermò voltandosi a guardarlo «Che cosa? Girare per il centro di una città facendo solo qualche domanda innocente su Hadda e Hasson? Non stiamo mica facendo qualcosa di male, o sbaglio?»

Paulo diede una gran pacca alla spalla del marocchino. «Per una volta sono d'accordo con Folletto» dichiarò visibilmente più rilassato rispetto al giorno prima. «Non è mica illegale farsi un innocuo giretto per Rabat. E poi non eri tu quello che non vedeva l'ora di mostrarcene ogni suo angolo?»

Fahed si mordicchiò il dito imbarazzato. «Ehm... sì»

«Allora piantale di rompere e fai la guida turistica. Non affatto voglia di perdermi io.» lo spronò l'argentino spingendolo in avanti buttandolo "casualmente" tra le braccia di Nguyen, poi si voltò di scatto verso Gabriele. «Vuoi delle informazioni su Hasson e Hadda, eh Folletto?»

«Piantala di chiamarmi Folletto» disse l'Italiano impassibile, l'altro non lo ascoltò.

«Beh, sappi che entrambi ci sono nati nella Classe Alfa» lo informò Paulo.

Gab si accigliò perplesso. «E tu come fai a saperlo?»

Il ragazzino più robusto ghignò. «Semplice, sono sette le Classi fisse. Quattro tra quelle più inferiori e tre tra le più agiate. Quelle tre sono Alfa, Beta e Gamma. Politici, nobili e imprenditori.» gli spiegò con poche parole «Per essere un Alfa ci devi nascere Alfa. È così in tutto il mondo.»

All'orfano non piacque molto questo modo di organizzare le varie Classi tra loro, in quel modo tagliava fuori coloro che potevano avere ottime doti nel primo e terzo campo ma che avevano avuto la sfortuna di nascere in una Classe più bassa o semplicemente sbagliata.

Ma quella era pur sempre un'informazione che poteva rivelarsi comunque molto utile in futuro.

Decisero di trascrivere qualsiasi notizia particolare su di un taccuino che si era portato Fahed e che in quel momento si trovava al sicuro dentro lo zainetto di quest'ultimo.

Trascorsero la giornata in maniera piacevole tra le viuzze della Medina per poi rientrare nuovamente nel centro di Rabat, sia compiendo il loro dovere che vivendo con allegria quelle preziose ore assieme.

Fahed si dimostrò un'ottima guida della città portandoli nei posti più importanti della propria città, da come ne parlava si vedeva che ne era profondamente affezionato.

Mostrò ai suoi amici la torre di Hassan, qui Gabri notò nel l'estrema somiglianza con il cognome Hasson, spiegando di come questa e le colonne circostanti facessero parte di un'antica moschea distrutta poi da un terremoto del lontano 1755. Ammirarono anche degli stupendi edifici costruiti nel 2469 per sostituire quelli distrutti da una battaglia durante la Quarta Guerra, era tutti composti da eleganti arci e da colori tiepidi.

Ritornarono poi nella Medina, dov'era più facile raccogliere informazioni riguardanti i due politici.

Scoprirono che Jafaar aveva la padre proveniente dalla Classe Alfa, proprio come aveva affermato Paulo, mentre la madre aveva origini in una delle famiglie nobili più influente della classe Beta.

Aveva ereditato il proprio lavoro grazie a suo padre e la notorietà, oltre alla passione per il lusso sfrenato, da sua madre.

Secondo un commerciante dalla parlantina facile che vendeva bigiotteria e tappetti, Hadda era solito a tenere un festino a casa sua almeno una volta al mese. E che festino, aveva commentato.

Il venditore raccontò ai ragazzini di come una volta aveva avuto modo di poter assisterne ad uno poiché aveva dovuto consegnare un tappeto lavorato a mano a Jafaar durante uno di quei festini.

L'uomo di quel bazar era una vera e propria miniera d'informazioni che necessitava soltanto qualcuno con cui parlare.

«Spesso le persone vanno così di fretta, sono pochi quelli che hanno tempo per fare due chiacchere.» aveva detto.

Parlò a loro della campagna elettorale di Hadda su come fosse intenzionato di voler drasticamente ridurre di numero la popolazione Omèga ritenendoli la causa di furti e omicidi, ciò che più sporcavano quello splendido stato del Marocco (cosa che irritò particolarmente Gabriele).

Disse molte cose anche su Shareef Hasson, figlio anche lui di un Alfa e di una Gamma. Si dice che il suo attaccamento al denaro fosse dovuto dall'influenza di sua madre e di come quest'ultima possa aver sposate suo marito soltanto per i soldi.

Narrò che i problemi di Hasson nacquero nel momento stesso in cui aveva deciso di sposarsi una donna Omicron, di ben quattordici Classi più in basso, e di come questa scelta fosse stata enormemente criticata dalle Classi più agiate.

Diversi anni prima, Shareef era stato accusato di aver abusato il suo ruolo di Ministro dell'Entrate rubando diverse centinaia di dirham, la moneta locale.

Il periodo coincideva con l'improvvisa malattia della moglie al fegato, Hasson era riuscito a farsi assolvere le accuse ma la donna era morta a causa di un mancato intervento.

Adesso l'uomo viveva in una villa nella periferia di Rabat, dall'altra parte della città, assieme al figlio maggiore e al suo nipotino di pochi anni.

«E come mai lui e Hadda sono avversari?» domandò Gabriele come un allievo al proprio insegnante, era la prima volta nella sua vita che trovava qualcuno così ben disposto a rispondere a tutte le sue domande, non poteva assolutamente farsi scappare una simile occasione.

Poco distante da lui, Yen girovagava affascinata per il bazar ammirandone i gioielli esposti al suo interno trascinando con sé Fahed, Adri e Nick invece si erano assentati per qualche minuto alla ricerca di un po' d'acqua fresca, visto che avevano finito quella che si trovava nelle che si trovava nelle loro bottigliette che si erano portati dietro.

Solo Paulo era rimasto con lui ad ascoltare tutto quello che il signor Ma'n, così aveva detto di chiamarsi il proprietario del bazar, aveva da dire sui due politici in questione.

«In realtà i loro obbiettivi delle loro campagne elettorali sono gli stessi, perciò non è su questo punto in cui si trovano in contrasto» precisò Ma'n «Entrambi vogliono ridurre il numero di Omèga presenti in Marocco, solo con modi diversi.»

«E cioè?» insistette Gab.

«Beh, Hadda è più per i metodi all'antica. Vorrebbe mandarli tutti in prigione e lasciarli lì a marcire per il resto dei loro giorni, ritiene che questa sia l'unica soluzione per gente come loro. Hasson invece crede nella seconda possibilità, che tutti possano redimersi se si offrono gli strumenti adatti per cambiare» spiegò il venditore.

L'orfano assottigliò lo sguardo inclinando il viso da un lato. «E te invece come la pensi?»

Ma'n fece un grosso sospiro intanto che andava a sistemare un tappeto dai colori sgargianti che aveva tenuto in mano per tutto quel tempo. «Io credo piuttosto che siano le radici stesse del sistema da cambiare...» a quanto pare non era quello che avrebbe dovuto dire perché l'istante successivo tappò immediatamente la bocca, anche Paulo fece una faccia strana nell'udire quelle parole. «Accidenti, fate finta che io non vi abbia detto niente, ragazzi.» si raccomandò agitato «Io sono soltanto dell'opinione di Hasson e fine. Vi ho già parlato fin troppo, ora basta»

Da quel momento il venditore si zittì e si rifiutò di rispondere a qualsiasi altra curiosità che i ragazzini gli ponevano.

Per evitare di risultare troppo indiscreti, il gruppo decise di lasciar perdere, d'altronde avevano già raccolto un sacco d'informazioni grazie a lui.

Ringraziarono l'uomo per la sua disponibilità comperandogli tre gioielli poco costosi e di fattura molto semplice per le ragazze, più uno come ricordino per Ada, e un tappeto dai colori del mare con decorazioni dorate per la stanza dei ragazzi.

Riuscirono a distogliere Nick dall'intento di farsi fotografare con il venditore, dato che questo non era più dell'umore giusto.

Per pranzo presero, su consiglio di Fahed, del kebab tipico del Marocco, spiedini di carne d'agnello aromatizzato con delle spezie, più dei msmmen col miele. In modo da poter mangiare per strada.

Durante una partita di scacchi tra Gabriele ed un vecchietto incontrato in una caffetteria, scoprirono anche che un altro punto sul quale Hadda e Hasson si trovavano in tale disaccordo riguardavano gli Eroi.

Il primo ne era un grande sostenitore di essi mentre l'altro non li sopportava molto, che potesse effettivamente significare un possibile intervento degli Oscuri?

Nessuno di loro poteva saperlo con certezza.

Nel pomeriggio, uscirono dalla caotica, rumorosa e colorata Medina addentrandosi invece nella più tranquilla e pacifica Kasbah passando oltre la Porta spettacolare di Bab Oudaia. Fu sempre Fahed ad aver consigliato di andarci.

Tale quartiere si trovava proprio in cima alla scogliera con una stupenda vista sull'oceano. Decisero di comune accordo di fermarsi in un bar lì vicino prendendosi una granita ciascuno utilizzando i soldi che Gabriele aveva vinto ad un gioco esposto ad una bancarella (semplicemente indovinare il numero esatto di biglie contenenti in un enorme barattolo di vetro), più la vincita ad una partita di poker fortuita da parte di Paulo.

Con quei soldi, Nguyen era riuscita a convincere gli amici a lasciarsi prendere un vestito, trovato in un bazar veramente carino, affermando che doveva sostituire quello che aveva perso il giorno prima.

Convinti dopo una mezz'oretta di pura discussione unicamente per un vestito.

Adesso tale abito si trovava dentro lo zainetto di Fahed assieme al taccuino quasi pieno ed il tappeto comprato dal negoziante gentile.

Si sistemarono in un tavolino fuori dove potevano finire le loro granite nella pace più assoluta con, di fronte a loro, l'oceano.

«Certo che Rabat è proprio bella!» commentò estasiato Nick mentre controllava le batterie della sua macchina fotografica. «Ho fatto delle foto magnifiche. Non vedo l'ora di farvele vedere quando torneremo alla Villa.»

Paulo gli diede una leggera gomitata al ragazzino intanto che sorseggiava la propria granita al pompelmo «Basta che tra i tuoi soggetti non ci sia sempre e soltanto Adriana. Avrai fatto chissà quante foto solo a lei.»

Di colpo Nick prese ad arrossire violentemente insistendo a non sollevare in viso dalla sua Sally. «Che ci devo fare? È molto fotogenica.» ribattè in imbarazzo «E le ho fatte a tutti voi, le foto intendo.»

La diretta interessata in quel momento era occupata a rubare vari giornali dai tavolini accanto a loro, perciò non poté sentir molto di quanto gli altri due stessero dicendo.

Fahed e Yen invece erano impegnati a parlarsi di chissà che cosa mentre Gabri era totalmente perso a guardare la distesa blu-azzurro-verde oltre le basse mura.

Il rumore di qualcosa buttato sul tavolo riportò la sua mente al presente, interrompendo quel suo breve viaggio mentale.

«Ho raccolto un po' di giornali, magari possono fornirci qualche informazione che fino ad adesso abbiamo ignorato.» spiegò Adri mettendosi a sedere tra Gab e Nick, quest'ultimo riprese nuovamente ad arrossire.

Prontamente, Nguyen afferrò una rivista dai colori caldi con sopra raffigurata una ragazza vestita in maniera strana. «Uuuh una rivista di moda!» fece lei «Questa la guardo io!»

«Okey Yen, magari non l'hai capito perciò cercherò di essere il più chiaro possibile» disse Paulo congiungendo assieme i propri palmi e portandoseli alle labbra. «Stiamo cercando qualche informazione su Hadda e Hasson, due Alfa che si sono proposti entrambi nel ruolo di Governatore di questo paese. Ora, tu pensi che tu possa trovare quello che cerchiamo in una volgare giornaletto sulla moda, per quanto sia all'ultimo grido?»

«Certo!» rispose la vietnamita tutta tranquilla sfogliando il giornale che teneva in mano.

L'argentino non se l'aspettava tale risposta. «Ma hai capito quello che ho detto?»

«Certamente» affermò Nguyen senza minimamente scomporsi. «Infatti di solito, in questi volgari giornaletti o come li chiami tu, contengono sempre una parte completamente dedicata a del gossip succulento che coinvolge i personaggi più noti dello stato. Se avessi letto qualche rivista di moda lo sapresti.»

Gab e Nick sghignazzarono tra loro a bassa voce per non farsi sentire da Paulo, il quale stava diventando completamente rosso dall'imbarazzo di essere stato messo all'angolo in quella maniera.

«Se sento ancora una risatina provenire dalle vostre sventurate bocche vi toglierò i denti uno ad uno.» li avvisò con basso sibilo il ragazzino più corpulento.

Nick dovette tapparsi la bocca con le mani per riuscire a trattenersi, invece Gabri sorrise beffardo «Ti rode essere stato zittito così da un volgare giornaletto di moda?» lo provocò divertito appoggiandosi al tavolino.

«Gabri» lo ammonì Dri semplicemente nominando il suo nome mentre era intenta ad esaminare un giornale dal colorito giallognolo.

Il ragazzino rimise seduto per bene senza però smettere di sorridere e prese anche lui un quotidiano, Liberatiòn si chiamava.

Strano, sembrava terribilmente francese quella parola.

Al suo interno non vi scoprì nulla a parte quello che già sapeva.

Informava dell'elezioni ormai prossime per scegliere il proprio Governatore, alcuni discorsi politici di altri Alfa che sosteneva l'uno o l'altro partito e su come casi di omicidio, furto e prostituzione stessero aumentando sempre di più ritenendo che fosse giunto il momento di far qualcosa.

In una pagina c'era un piccolo diagramma a torta, grazie ad esso Gabri potè constatare che buona parte delle Classi sociali (dall'Alfa alla Xi, fatta eccezione della Mu) appoggiavano il pensiero di Hadda mentre Hasson trovava consenso nella maggioranza delle persone, le quali però si trovavano nelle Classi più in basso.

Una cosa che però trovò molto interessante fu l'intervista fatta a Shareef Hasson per quanto riguardava la sua opinione sugli Eroi e sul proprio avversario politico.

L'Alfa aveva parlato di Hadda affermando di come in realtà essi non erano affatto nemici per via dei loro scopi, che poi tra l'altro era pure gli stessi, ma per il modo che volevano utilizzare per raggiungerli e definì gli Eroi come un branco di cani pronti prostrarsi alla prima chiamata di un Governatori che si mostrava dalla loro parte.

Yen invece, su quella rivista, trovò parecchi articoli sulle conquiste, una dietro l'altra, di Hadda.

Paulo lo giudicò come "Uno a cui piace divertirsi", sue testuali parole.

Dal giornale che aveva scelto Nick emerse un'altra divergenza tra i due politici: Hadda era a favore della guerra al contrario di Hasson che invece la giudicava come la rovina del loro paese se mai dovessero entrarci.

Nient'altro.

Per tutto il resto si trattava di nuovi Eta New-Wave uscenti, di partite di calcio e rugby, di un possibile annullamento Olimpiadi causa possibile guerra, di nuovi film in uscita o di ricette culinarie.

Tutte cose che al momento a loro non interessava affatto.

Perciò misero via i giornali e terminarono le loro granite oramai sciolte prendendosi qualche minuto di riposo.

Gabri, dando un ultimo sorso con la cannuccia, si sporse un poco per poter vedere le ore segnate dall'orologio che si trovava dentro il bar. Segnava appena le quattro e mezza del pomeriggio e a loro era stato detto di rientrare alle sette poiché dovevano prepararsi, ma soprattutto organizzarsi per quella sera in vista del ricevimento, avevano ancora circa due ore e mezza da passare ancora in giro. Osservando i propri amici l'obbiettivo di quella uscita era stato raggiunto: erano tutti molto più sereni e allegri rispetto al giorno prima e avevano adempito al loro compito promesso ad Andrea. E soprattutto non si erano messi nei guai.

Era stata una giornata fantastica, avrebbero dovuto farne di spesso così.

Rimanevano soltanto da coprire due ore buche, perciò Gab si voltò verso Fahed, il quale stava trascrivendo le loro ultime scoperte sul loro taccuino cercando di proteggerlo dai pezzettini di ghiaccio che si stavano lanciando Paulo e Nick.

«Non vuoi vederla?»

Il marocchino sollevò il capo confuso dal taccuino continuando però a tenere la penna in mano. «Vedere chi?»

«La tua famiglia» chiarì Gabriele come se fosse ovvio.

Di colpo, senza alcun motivo apparente, il silenzio calò sul gruppo ed il viso di Fahed perse una buona parte del suo colorito.

Gab li guardò senza capire il motivo di tale reazione. Mica aveva proposto di rubare un aereo e di svignarsela andando alla scoperta del mondo, anche se come idea non era affatto male. «Che ho detto di sbagliato? Non viene da Rabat tu? Quindi la tua famiglia vive ancora qui.»

«Non so se ti ricordi, ma restare in contatto con la propria famiglia è contro il regolamento degli Eroi.» disse Paulo riappoggiando sul tavolino il bicchiere che una volta conteneva la sua granita, ora invece soltanto dei pezzettini di ghiaccio mezzi sciolti.

«Sì lo so, mi ricordo il discorso di ieri ma...» l'orfano non spostava lo sguardo da Fahed osservando ogni sua minima reazione. «Perché deve essere vietato parlare con le proprie famiglie di origine?»

I compagni presero a guardarsi tra loro senza dare una concreta risposta.

«Ecco, io... non lo so» ammise Fahed abbassando il capo.

Di nuovo.

Un'altra regola che coinvolgeva strettamente le loro vite senza sapere il motivo dell'esistenza di tale regola.

A partire dal semplice fatto del motivo dell'esistenza degli Eroi, stavolta l'aveva chiesta a Shui ma neppure lui aveva dato veramente una risposta concreta.

"Aiutare le persone?" era stata la sua risposta. Col punto di domanda.

Col punto di domanda!

Voleva dire che neppure lui sapeva il motivo per il quale gli Eroi erano stati creati, o almeno non era certo.

Nervoso, Gab cominciò a giocherellare con la cannuccia del suo bicchiere. «Non vi siete mai accorti di quante regole o divieti di cui non sappiamo il motivo della loro esistenza ma ai quali noi siamo costretti ad ubbidire? È semplicemente assurdo!»

Adri alzò gli occhi verso l'amico, turbata. «Magari a te sembrerà assurdo, Gabri, ma in realtà in passato dovevano aver avuto un motivo più che valido per crearle, che però tu non puoi sapere.» gli disse cercando di calmarlo.

Ma egli era irremovibile «Nel passato quando? Nel 2340, forse, quando si formarono gli Eroi?» fece con ironia, incapace di contenere tutta la sua frustrazione e irritazione. «Okey, magari a quel tempo avevano i loro motivi, ma sono ormai passati più di duecento anni d'allora. Le cose cambiano, non possiamo aspettarci che tutto rimanga perfettamente uguale a come le conosciamo. Fa parte della natura stessa cambiare.»

Il resto dei compagni spostava il viso tra i due ragazzini come se stessero seguendo una partita di ping-pong e che ora erano curiosi di assistere alla prossima battuta, la quale, però, non arrivò.

Gabriele si voltò nuovamente verso Fahed, senza più l'ombra di un sorriso o d'ironia. «Senti, io sapevo che ci tenevi fare a loro un ultimo saluto, ma alla fine sta a te scegliere se farlo o meno. Accetterò qualsiasi tua risposta, a me non cambia nulla, quello che deciderai di fare alla fine» gli disse con franchezza, dopodiché si alzò dal tavolo e si avviò verso il muretto che dava sull'oceano.

«E adesso dove vai?» fece Yen con la voce ad un volume medio alto.

«A schiarirmi meglio le idee» fu la indifferente risposta del ragazzino sedendosi sulle mura che circondavano la scogliera di Rabat, lasciando le gambe a penzoloni nel vuoto.

Almeno nessuno dei suoi amici prese a infastidirlo facendogli notare quanto fosse pericoloso stare seduto lì.

Aveva bisogno di qualche attimo di pace per poter cacciare via la propria frustrazione. Ancora una volta la propria abilità gli implorava di lasciarla sfogare cercando di ammaliarlo con la possibilità di perdersi tra le nuvole o di unirsi alle correnti marine dell'oceano.

Era veramente dura resistere a quel costante richiamo, così forte e affascinante.

Di mollare qualsiasi preoccupazione mondana e di divenire tutt'uno con la natura stessa.

In più, il fatto che provava qualsiasi cosa in maniera più amplificata rispetto al normale non lo aiutavano affatto, perciò talvolta aveva davvero bisogno di isolarsi per poter riappacificare quella costante tempesta di emozioni e sentimenti che viveva in lui.

E la lunga distesa d'acqua di fronte a lui era estremamente efficace per tale obbiettivo.

Con i propri compagni che parlavano a voce abbastanza bassa perché l'orfano non potesse sentire, Gabri aveva le orecchie piene dello stridio dei gabbiani e delle onde che si infrangevano sulla roccia mentre l'odore del mare gli arrivava fino al naso grazie ad una lieve raffica di vento che scompigliava ancor di più i suoi capelli perennemente spettinati.

Il ragazzino chiuse gli occhi per poter lasciarsi colmare da tutte quelle sensazioni esterne e un sorriso sereno gli si dipinse sul volto ancora infantile, pieno di lentiggini, mentre dentro di lui si riempiva di una tale pace.

Era tutto così rilassante.

Tutto quello che si trovava intorno sembrava sparito. Erano soltanto lui, i gabbiani, il muro sui cui stava seduto, l'oceano e il vento.

E bastava solamente quello.

Poi però, il tocco tenero di una mano sulla sua lo fece riportare alla realtà.

«Gab?» al suono dolce di quella voce si aggiunsero anche quelle di un leggero brusio e a quello delle sedie che strisciano su di un pavimento fatto da quelli che sembravano san pietrini.

Un po' riluttante, Gabri aprì gli occhi e l'incrociò con quello di Adriana, appoggiata con le braccia al muretto. «Sì? Che c'è?» domandò con una voce incredibilmente rilassata da sorprendere persino sé stesso.

A quanto pare la stessa cosa era per Dri, la quale distolse lo sguardo leggermente rossa in viso. «Ehm io... cioè... ecco tu stavi...»

Gabriele inclinò appena la testa non riuscendo ad afferrare le parole che stava farfugliando la sua migliore amica. «Io stavo cosa?» chiese con totale innocenza.

Lei prese a lisciarsi la propria treccia castana, completamente imbarazzata. «Beh ecco... era bello vederti così rilassato» finalmente ammise sorridendo timidamente e dando una breve occhiata al suo amico prima di voltarsi velocemente ad indicare i loro amici, questi ultimi erano completamente presi a discutere su se fosse il formaggio spalmabile fosse più buono col pane normale oppure quello nero. «Fahed ha deciso di farci conoscere la sua famiglia.»

Quindi aveva deciso per la prima volta di andar contro le regole, a quanto pare doveva tenere veramente molto alla sua famiglia.

Gab lanciò un veloce sguardo al sole che si stava abbassando sempre più, probabilmente dovevano già essere le quattro e tre quarti del pomeriggio. «Bene, sarà meglio avviarci subito se vogliamo tornare alla villa di Hadda in orario.»

Tramite un piccolo autobus, Fahed li condusse in periferia di Rabat, nella sua zona industriale.

Il quartiere era diverso dal resto della città che i ragazzini erano riusciti a visitare, molto più povero con le case di un colore marroncino piene di graffiti.

Alcune sembravano addirittura abbandonate, qua e là si vedevano cocci di bottiglie di vetro rotte e mozziconi di sigaretta.

«Non preoccupatevi delle bottiglie rotte» li rassicurò vivacemente Fahed «Sono soltanto reduci di una partita a bowling dove la palla era un sasso piuttosto grande e le bottiglie erano i birilli.» spiegò ai suoi amici «In effetti come strumenti per giocare a bowling non erano molto efficienti.»

«Ma non mi dire» commentò Paulo al suo solito.

«Quando torniamo alla Villa facciamo una vera partita a bowling.» gli promise Gabriele osservando l'ambiente circostante, chi viveva lì non doveva cavarsela molto bene economicamente. «Con delle vere palle dei veri birilli ovviamente. Mi piacerebbe imparare a giocarci.»

Yen, per nulla rassicurata si aggrappò al braccio di Fahed, quest'ultimo a quel gesto prese ad arrossire vistosamente.

«Secondo me se ti saliva in braccio avremmo potuto cuocere le uova sulla tua faccia da quanto sta andando in fiamme.» lo derise beffardo Paulo mentre il marocchino lo fulminò con lo sguardo, Nguyen invece nascose il proprio viso contro il braccio del ragazzino per non mostrare quanto fosse arrossita anche lei.

«Che quartiere così rustico.» commentò Nick in qualche modo affascinato scattando qualche foto al paesaggio e ai propri compagni. «Quali Classi vi abitano qui?»

Fahed fu particolarmente contento di poter cambiare discorso. «Qui ci vivono principalmente famiglie Upsilon, ma vi possono esserci anche qualche Rho caduto in povertà o degli Sigma alla ricerca d'ispirazione. Secondo mia madre alcune delle case abbandonate vi si nascondono quale gang Omèga. Di Phi ne abbiamo veramente pochi, tutti vicini al porto.»

Adri si mise tra lui e Nick con espressione curiosa «E quali persone appartengono queste classi?»

«Gli Upsilon sono gli operai, infatti questo quartiere si trova nella zona industriale della città, mentre i Rho sarebbero gli artigiani mentre i Sigma gli artisti e i Phi i pescatori.» rispose perfettamente tranquillo Paulo «Per gli Omèga credo che non abbiate bisogno di spiegazioni.» non appena finì di pronunciare tali parole, l'argentino si tappò immediatamente la bocca pentendosi di tali parole.

Tutti volsero lo sguardo verso Gabriele, il quale si limitò solamente a scrollarsi le spalle con aria tranquilla. «Beh? Che problema c'è? Ha ragione» disse con noncuranza «Io e Dri effettivamente non abbiamo bisogno di alcuna spiegazione. Sappiamo perfettamente chi sono gli Omèga.» spiegò spigliato. «Quindi perché prendersela? Piuttosto, a quanto pare Paulo ci sta dimostrando di tenere a noi» aggiunse poi con un sorrisetto perspicace. «Tranquillo Paulo, sappiamo che ci vuoi bene e che in realtà non volevi offenderci.»

Il ragazzino voltò il viso dall'altra parte mettendosi le mani in tasca «Certe volte mi chiedo quali scempiaggini osano passare per quella tua testolina bacata.»

«Magari tu le chiamerai scie... sie... scimp... idiozie» non riuscendo a pronunciare correttamente la parola usata dall'argentino, Gabri la sostituì con un'altra più semplice da un significato piuttosto simile, scatenando così qualche risolino dai suoi amici.

Adriana cercò di reprimere la sua risata e si avvicinò al suo migliore amico per potergli insegnare a pronunciare tale parola battendo le mani per scandirgli ogni sillaba, un trucchetto che aveva scoperto Shakoma verso la fine del secondo anno di elementari. Era molto utile e Gab la usava spesso su parole particolarmente difficili come "acido derosossiribonucleico" (ancora in testa tra le parole più complicate da pronunciare).

Nonostante quella tecnica molto efficace, la "scie" di scempiaggine gli dava un po' di difficoltà.

Ad un certo punto, prima ancora che l'orfano riuscisse a pronunciare correttamente la parola "scempiaggine", Fahed si fermò davanti ad una porta un tempo dipinta di azzurro, ora la tempera era stata in buona parte scorticata via, da un lato era stato pastrocchiato con un pennello il numero 567 e sotto "Famiglia Bidar".

Il marocchino sembrò particolarmente imbarazzato quando vide che Gabri aveva notato quel dettaglio. «Ehm, una volta ci hanno rubato la nostra targhetta con sopra il nostro numero civico. Siccome quella che avrebbe dovuto sostituirla non arrivava ci siamo dovuti arrangiare per conto nostro.» spiegò impacciato, poi picchiettò con le nocche quattro volte veloce ma piano alternate ed una un po' più forte.

Tum-tum. Tum-tum. Tuum!

La porta si aprì incerta con un lieve cigolio e dalla piccola fessura che si era creata fece capolino la testa di una ragazza.

Non doveva avere più di diciannove anni. Lunghissimi capelli neri erano legati in una coda bassa che le arrivava fino alla fine della schiena, la carnagione che pareva leggermente abbronzata e gli occhi scuri. Gli stessi di Fahed.

La ragazza li guardò uno ad uno tra un misto di sorpresa e incredulità. «Ma cosa...» pronunciò poco più di un sussurro soffermandosi alla fine solamente sul marocchino. «Fahed, sei davvero tu?»

Il ragazzino sorrise sollevato «Sì, sono io» alla fine non riuscì più a trattenersi e strinse la sorella maggiore in un forte abbraccio. «Mi sei mancata tanto» sospirò.

La ragazza rimase ancora allibita da quanto stava accadendo. «Che ci fai qui?»

«Sono venuto a salutarti.» le rispose Fahed commosso «Dov'è la mamma? È in casa?»

Da dentro la casa fuoriuscì la voce decisamente femminile piuttosto rugosa, come se avesse passato buona parte della sua vita ad urlare ogni singolo istante. «Allora? Chi è Njiya? Spero che sia il tecnico della radio. L'avrò chiamato quattro mesi fa ma quello smidollato non vuole saperne di venire!» gridò ad un volume spropositato.

«Deduco che sia in ottima forma» ridacchiò Fahed.

Stavolta anche la sorella, Najiya, si permise di sorridere, sembrava che stesse per scoppiare da un momento all'altro. L'incertezza era se dalla gioia o dal pianto. «Altroché!» ridacchiò nervosamente, si rivolse poi ai compagni del fratello. «Loro sono...»

«I suoi compagni di Blocco!» intervenne Nick in maniera un po' troppo esuberante.

Najiya si accigliò non capendo «Blocco?»

«Sono amici» chiarì Fahed lanciando un'occhiataccia all'australiano.

«Allora? Najiya?» urlò di nuovo la voce di prima ad un'intensità maggiore.

La ragazza lanciò una breve occhiata dentro la casa, poi fece gesto ai ragazzini di seguirla. «Su venite» l'invitò.

L'interno non era molto grande, neppure per una casa normale, ma era grazioso e particolarmente profumato. Gabri non riusciva ad identificare l'odore ma gli piacque molto.

Era pungente ma dolce allo stesso tempo.

L'abitazione era composta unicamente da quattro stanza; due camere da letto (una grande e una piccola), il bagno ed il salotto con la cucina annessa. L'ultima era formata soltanto da tre sedie di legno e un tavolo che cominciava a dare i segni dell'età.

A definire la parte del salotto ci stava un divano una volta di un bel verde muschio ma che adesso era diventato verde chiaro con qualche sfumatura giallognola, un comodino che stava fra la poltrona dello stesso verde del divano e la finestra che illuminava la stanza ed un comò lungo un metro la cui grandezza era direttamente proporzionale agli anni che doveva avere.

Al centro sul pavimento era stato posto un semplice tappeto color lavanda mentre in un angolo era stata posta una lampada piuttosto malconcia.

Sulle pareti vi erano appese alcune foto in bianco e nero che rappresentavano alcuni membri della famiglia, protette da delle semplici cornici in legno.

Accanto al comò si trovava una donna che sembrava andare sulla cinquantina sulla sedia rotelle.

Non era molto magra e aveva la pelle delle mani tutta rovinata, piena d macchie scure e abrasioni. I capelli erano un cespuglio di nodi di un nero spento. Pareva che avessero perso la sua lucentezza molti anni fa.

La donna continuava ad agitare inutilmente una radio scassata girandone le manopole nel tentativo di farla ripartire, ma questa si ostinava a gracchiare senza ricevere alcun segnale.

«Dannata radio» borbottò quella che doveva essere la madre di Fahed. «Mai una volta che funzioni come dovrebbe.»

Najiya tossì appena per richiamare l'attenzione della donna e finalmente quella sollevò il capo da quella povera radio.

Non appena lo fece, sgranò gli occhi e spalancò gli occhi, incredula a quanto stava vedendo «Sia adorato Allah...» sussultò come si fa quando ti vedi realizzato uno dei più tuoi grandi desideri e quasi non credi che sia veramente accaduto, tanto è la gioia. Lasciò cadere a terra la radio, perdendone qualsiasi interesse da quell'inutile aggeggio. «Fahed, figlio mio, sei davvero tu?»

Gabriele notò gli occhi dell'amico farsi lucidi dall'emozione. «Sì mamma» rispose il figlio «Sono io.»

Con le lacrime che quasi strabordavano dagli occhi della madre, questa allargò le braccia. «Vieni, qui piccolo mio...»

Fahed non si fece assolutamente pregare e si buttò a capofitto tra le braccia della sua mamma, imitato poi dalla sorella.

Tutti e tre cominciarono a piangere, tanto quant'era forte l'emozione che loro provavano in quella breve ricongiunzione.

Neppure gli altri ragazzini furono immuni davanti a quella scena.

Ognuno di loro provò una forte nostalgia di ciò che aveva lasciato a casa, quella vera.

Della propria famiglia che non vedeva da ormai un anno.

Gabriele dovette distogliere lo sguardo, incapace di poter sopportarne la vista. Quella vista gli faceva troppo male.

Gli ricordava quello che aveva perso e che non avrebbe mai più riavuto indietro.

Si chiese se mai qualcuno avrebbe mai potuto abbracciarlo in quel modo.

Sarebbe stato bello se un adulto lo abbracciasse così, uno scudo di solo affetto contro i tutti mali del mondo.

Qualcuno che gli dicesse che non era solo contro il mondo, che lo avrebbe per sempre sostenuto e guidato.

Che ci sarebbe per sempre stato.

Spostando lo sguardo alla sinistra vide Dri, anche lei avvolta nelle sue stesse emozioni.

D'istinto allungò la propria mano stringendola con forza quella dell'amica.

Lei lo guardò riconoscente.

Almeno nessuno di loro due era completamente solo finché c'era l'altra.

Con sua grande sorpresa si accorse che era stato preceduto da Nick, il quale sussurrò qualcosa all'orecchio di Adriana, a quanto pare doveva essere una domanda perché la ragazzina gli rispose annuendo incerta.

Per qualche arcano motivo, Gab si sentì in qualche modo ferito ma non riusciva a capacitarsi del perché.

Dopo quelle che sembrarono ore, la piccola famigliola si sciolse dal proprio abbraccio e Fahed si unì ai propri amici, esattamente al fianco di Yen.

La madre di Fahed si asciugò le lacrime col dorso della mano e guardò verso i cinque estranei. «Voi dovete essere i compagni di Fahed, giusto?»

«A quanto pare» borbottò Paulo incrociando le braccia al petto.

Lo sguardo della ragazza passò su ognuno di loro nello stesso modo in cui un colibrì volava da un fiore all'altro «Quindi voi siete tutti...»

«Ultra? Sì lo siamo» rispose Gabri lasciando andare la mano di Adri, con Nick così vicino alla sua migliore amica lo faceva sentire di troppo. E questo gli era completamente strano e spiacevole.

«Oh» fece Najiya senza più saper che cosa dire «Wow»

Il momentaneo interesse che la donna aveva mostrato per gli altri ragazzini era già scomparso rivolgendosi di nuovo al figlio «Oh piccolo mio, sono veramente così felice di vederti» gli disse con la voce che traboccava d'amore, gli prese entrambe le mani e sembrava che non lo volesse più lasciarlo andare «Ci avevano detto che non avremmo potuto più vederti, che non potevamo neppure mandarti una lettera piccola piccola. Ci hanno addirittura consigliato di dimenticarti, come se una madre potesse mai dimenticare il proprio figlio.» riprese a parlare con sofferenza «Che tutto ciò era contro le leggi.»

«Lo so mamma» le disse Fahed. «Ma qualcuno qui è un po' allergico alle regole e mi ha convinto ad infrangerle.» pronunciò le ultime parole guardando Gabriele, che nel frattempo si era seduto per terra a riparare la radio con l'aiuto di un cacciavite che si era legato alla cintura (perché ogni normale ragazzino di undici anni si porta dietro un cacciavite legato alla cinta).

«Non è esatto» precisò l'italiano armeggiando con sapienza l'apparecchio, aveva aggiustato innumerevoli volte quella di Audrey e di Nick perciò sapeva già dove guardare. «Sei stato tu, alla fine, a scegliere di venire, io ti ho solo consigliato questa possibilità. È diversa la cosa, molto.»

La madre di Fahed fissò l'orfano storcendo un poco la bocca nella familiare smorfia di scontento che i ragazzini erano abituati a vedere sul viso del figlio. «Questo tuo amico dovrebbe invece impararle a seguirle, le regole intendo. Senza di esse la società cadrebbe nel caos più completo.»

«Ecco da chi ha preso lo Spilungone» scherzò Paulo, a voce sufficientemente bassa da essere sentito solo dall'italiano, dando lieve colpo di piede al fondoschiena di Gabri. «È tutto sua madre.»

Per sua fortuna nessun'altro lo udì, o poteva essere facilmente frainteso.

Gab non rimase al gioco dell'argentino e rispose alla donna «Sarà, mai se io non avessi questa cosiddetta "allergia alle regole" non avresti mai potuto riabbracciare tuo figlio, cosa che invece le ha fatto un gran piacere o sbaglio?» sistemò per bene l'ultimo filo di rame e riavvitò le viti che tenevano su uno dei lati della radio, a quel punto guardò la Upsilon dritto in faccia sorridendole scaltro. «Come vedi, non sempre il "non rispettare le regole" viene per nuocere» si alzò da terra passandole l'apparecchio «Ho riparato la vostra radio. Si era solamente staccato un filo, nulla d'importante.»

La donna spostò lo sguardo dalla radio a quel ragazzino impertinente. «Qual è il tuo potere?»

Gabriele si rigirò abilmente il cacciavite tra le dita prima di rimetterlo via. «Diventare qualsiasi elemento io voglia» rispose brevemente con fare noncurante.

Già però alla donna non interessò più e notò solo allora una caratteristica particolare, tipica unicamente del loro Blocco, mentre lo sguardo si riempiva di paura nel divenire consapevole delle conseguenze di tale diversità «Siete in sei...» a quella frase, la figlia assunse la sua identica espressione.

«No guarda, siamo in sette» rispose seccato Paulo.

Con un'espressione impassibile, Dri, poco distante da lui, gli pestò con sufficiente forza il piede zittendolo.

L'argentino mugolò da dolore saltellando un poco per allontanarsi da lei.

Di colpo l'orologio a cucù, posto in alto tra le porte che portavano alle due camere da letto, fece scattare l'uccellino di legno che prese a uscire e rientrare ripetutamente cinguettando un paio di volte mentre la lancetta corta delle ore segnava le sei del pomeriggio.

Madre e figlia si scambiarono uno sguardo complice, quest'ultima si alzò come una molla dirigendosi in cucina per prendere un velo nero con il quale prese a avvolgerlo attorno alla testa e al viso facendo sì che si potessero vedere soltanto gli occhi scuri.

Fahed guardò frastornato tutta la scena. «Najiya, dove stai andando?»

La ragazza si fermò sulla porta continuando a dare le spalle a suo fratello, la madre aveva abbassato il viso sulle sue gambe e non osò più rialzarlo. «A lavorare» gli disse semplicemente.

Il ragazzino sembrò ancora più confuso di prima «Ma sono soltanto le sei» le fece notare indicando l'orologio che ancora non aveva finito di cinguettare «Le fabbriche chiudono solo fra un'ora e mezza»

«Io non lavoro in fabbrica. Non più» esordì con durezza la sorella «Mi hanno licenziata. Esattamente tre mesi dopo che te ne sei andato»

Quella era ovviamente una pessima notizia, ma Fahed la prese ancor più male di quanto i suoi amici si aspettassero «Che cosa...» fece con un filo di voce, gli occhi ricominciavano a ricoprirsi di lacrima, ma stavolta non di gioia. Sembrava che l'intero mondo gli stesse crollando addosso «No... Najiya io...»

Lei ancora continuava a dargli le spalle. «Senti Fahed, vederti mi ha fatto molto piacere. Davvero» sospirò appena «Ma hai fatto male a venire. Non saresti dovuto tornare. Io e te facciamo ora parte di due mondi completamente differenti che mai si potranno incontrare, ed è per questo che io non voglio più vederti.» voltò appena il viso lasciando intravedere un suo occhio in mezzo a tutto quel velo nero «Non tornare mai più qui. Non sei più il benvenuto, vattene via. Per sempre.»

Fahed si avvinò di più alla sorella allungando la mano per poterle afferrare il lungo abito scuro «Najiya, sorella...»

La ragazza lo prese per il braccio e lo strattonò via, aprendo la porta lo portò con rabbia fuori «Vattene via! Tu non sei più mio fratello. Vattene! Fatti la tua vita e non tornare più qui!» gli urlò in faccia «Questo non è più il tuo posto, non è più la tua casa. Vattene a crearla un'altra! Tu puoi farlo, al contrario di me. Ma qui tu non ci entrerai mai più» infine si voltò verso gli altri ragazzini rimasti ancora dentro «E anche voi uscite» ordinò «Subito!»

Adriana prese per il polso un Gabriele piuttosto scioccato a quanto aveva appena assistito ed uscì assieme agli altri tre amici.

Non appena varcarono l'uscio, Najiya sbatté forte la porta lasciandoli fuori di casa. «E non tornate mai più»

Fahed continuava a fissare l'entrata della dimora dove fino ad un anno fa aveva vissuto con la madre e la sorella.

«Najiya...» mormorò soltanto. Cominciò poi a tempestare, prima disperato e poi con rabbia, i pugni sul battente continuando a urlare a squarciagola il nome della sorella. «Najiya! Fammi entrare! Sono tuo fratello! Ti prego!»

La porta non si aprì più e lui rimase a gridare senza smettere colpire.

La scena era veramente straziante ma i suoi compagni non poterono fare nulla, con il dolore che annebbiava la ragione del loro amico.

Si sedettero a terra, gli uni distanti dagli altri, con lo sguardo basso ad aspettare che il marocchino si calmasse.

Il sole era ormai completamente sceso dal cielo e le ombre si stavano fondendo tra loro, annunciando l'arrivo imminente della sera, quando finalmente Fahed si lasciò cadere in ginocchio, sfinito, poggiando i palmi sul terriccio polveroso.

«Najiya... perché...?»

Adriana si rimise in piedi e gli si avvicinò, con dolcezza gli toccò la spalla. «Fahed, è ora di andare» gli disse «Si è fatto tardi»

La ragazzina lo aiutò a rimettersi in piedi sulle sue gambe incerte, ma appena il marocchino assunse una postura dritta lanciò uno sguardo di fuoco verso Gabriele, seduto a un metro di distanza.

«È tutta colpa tua!» gli gridò raggiungendolo con grosse falcate e spingendolo violentemente a terra.

Gab non abbe la forza di reagire davanti a tanto dolore, sebbene percepiva in sé la propria abilità pronta a scagliarsi contro il marocchino.

«Non dovevo darti retta!» continuava ad urlargli.

Prima che la cosa degenerasse, Dri si mise prontamente in mezzo tra i due con le braccia spalancate «Non è stata colpa di nessuno, Fahed. Men che meno sua!» gli disse con voce ferma e severa. «Lui ti ha solo proposto una cosa a cui tu tenevi molto, ma sei tu che alla fine hai scelto di venire perché desideravi veramente poter rivedere la tua famiglia un'ultima volta. Nessuno ti ha obbligato a farlo.» i due continuarono a fissarsi pericolosamente «Non mentirmi, lo sai che è così.»

A quanto pare Fahed non resse più e crollò a terra seduto cominciando a piangere senza alcuna vergogna.

Adri fece segno a Yen di raggiungere il marocchino con calma «Restagli accanto» le bisbigliò prima di rivolgersi a Gabri.

L'orfano era rimasto a guardare sbalordito la propria amica che lo difendeva, un'altra volta. Ma quando questa gli allungò la mano per aiutarlo, la rifiutò rannicchiandosi su sé stesso.

Si sentiva in parte responsabile per l'immensa sofferenza che stava provando il loro compagno.

Certo, lui gli aveva lasciato la libertà di scelta, ma se non glielo avesse proposto tutto questo sarebbe mai accaduto?

Gab aveva voluto solamente aiutarlo. Aveva visto quanto Fahed ci teneva a rivedere sua madre e pensava che sarebbe stato felice se questo fosse accaduto, ma non aveva affatto previsto che la situazione prendesse una svolta così drammatica.

E dire che era stata una così bella giornata e si erano divertiti tutti e sei insieme.

Gli dispiaceva che fosse stata rovinata così.

Voleva soltanto aiutare.

Che tutti fossero più sereni e spensierati.

Ma invece era accaduto tutto l'opposto.

Era stato tutto un disastro.

E in parte, la colpa era tutta sua.

~~•~~

Arrivarono alla villa di Hadda con un quarto d'ora di ritardo rispetto al coprifuoco originale.

I tutori non ne erano affatto contenti, li ripresero tutti severamente ma si mostrarono soddisfatti quando i ragazzini mostrarono il loro lavoro di quella giornata.

Pagine e pagine di appunti sulla vita sia su Hadda che su Hasson scritti in una calligrafia ben ordinata e curata nel quadernino di Fahed.

Gli Eroi dichiararono che essi erano molto utili per la missione, avrebbero dato modo di capire, e magari anche prevedere, le possibili mosse dei due avversari politici.

Nessuno degli adulti si soffermò troppo sugli sguardi cupi e sul morale basso dei ragazzini, erano troppo presi dai preparativi per il ricevimento di quella sera.

Shui, Meduza e Bariyas sarebbero rimasti in divisa mentre i ragazzini più Audrey avrebbero portato addosso degli ologrammi particolari che li avrebbero mostrati agli occhi degli invitati come dei semplici mocciosi vestiti in maniera elegante e raffinata, nascondendo così le loro divise.

Dalla squadra "Travestimento da Agente Segreto", così l'aveva soprannominata Nick, sarebbe rimasto fuori Fahed che si sarebbe limitato a supervisionare la sala da ballo assieme agli altri Eroi restando però invisibile.

«Se le persone vedono solamente tre Eroi non starà a preoccuparsi troppo e penserà che siamo stati chiamati solamente per presenziare all'elezioni.» aveva spiegato Khadeer, già nei panni dell'Eroe Bariyas, distribuendo i dischetti degli ologrammi ai ragazzini. «Le armi più vistose è meglio se le affidiate a Fahed, quelle gli ologrammi hanno più difficoltà da nascondere. Stessa cosa per le maschere, occhialini, cappucci e mantelli.»

Mille Volti, invece, era già entrato in azione diverse ore prima, senza aspettare il rientro degli allievi, andando a mescolarsi tra la servitù di Jafaar utilizzando la propria abilità di mutaforma.

Gli invitati arrivarono in un'ondata unica con le loro limousine troppo lunghe e lucide, annunciati uno ad uno da un uomo posizionato da Hadda all'entrata della sala da ballo con un elegante bastone che picchiava a terra ogni volta che gridava ad alta voce il nome e la Classe del nuovo arrivato quando questo entrava.

Vi era una maggioranza di Alfa e Beta, diversi Gamma, qualche Epsilon e Zeta, pochi Eta, due o tre Theta e due Kappa del massimo grado.

Gabri si chiese a quale tipo di incarico o lavoro fosse associato a quelle Classi, Paulo aveva scritto su dei foglietti le descrizioni in breve di tutte le Classi presenti nella società ma l'Orfano riusciva a ricordarsi solamente quelle più povere fino alla Omicron, quasi nessuna di quelle più ricche.

L'argentino, poi, aveva a loro elencato le regole basi da adottare per apparire dei perfettissimi figli di Classe Gamma o Epsilon.

«Mi raccomando, anche se avrete fame e il buffet vi sembra terribilmente invitante voi non potrete comunque mangiarlo almeno fino a quando il padrone di casa non decide che si può cominciare a mangiare, prima che inizino le danze maschi e femmine devono stare rigorosamente divisi tra loro.» aveva spiegato cercando di essere il più chiaro possibile «Questo è per le ragazze: se un uomo vi invita a ballare voi non potrete per nulla al mondo rifiutare, sarebbe irrispettoso nei suoi confronti. Sono sempre i maschi ad invitare in un ballo, mai le femmine. Quasi nessuno sa cucinare qui dentro né riparare cose perciò Gabri e Yen cercate di evitare discorsi simili. Inoltre quasi nessuno di loro ama leggere, quindi Adri ti sconsiglio di discuterne. Se volete discutere con loro potete usare i programmi televisivi di ultima tendenza, di vestiti o macchino all'ultimo grido sempre però in maniera superficiale. Anzi, forse è meglio che non cerchiate di parlare affatto e sforzatevi a cercare di essere il più normali possibile.»

L'ultima raccomandazione l'aveva detto guardando Gabriele quasi implorante.

Lì per lì l'orfano ci era rimasto un po' male. Cosa voleva dire con "sforzatevi ad essere il più normale possibile"?

La normalità era soltanto un fattore relativa che cambiava da persona a persona.

Fingersi ad essere interessato a cose di cui non gli importava affatto o a sembrare ciò che in realtà non era, quello non era affatto normale per lui.

Quando vidi gli invitati capì cosa Paulo volesse realmente intendere.

Nonostante i colori diversi degli abiti delle donne o dei turbanti degli uomini, in realtà tutti seguivano lo stesso e identico schema di vita.

Gli stessi abiti, gli stessi discorsi vuoti, le stesse identiche passioni e le stesse identiche idee politiche.

Persino i computer possedevano un minimo di personalità in più rispetto a quelle persone lì, ricordavano molto quelli di un romanzo rosa di cui Yen aveva parlato in biblioteca a tutti loro.

I personaggi di quel racconto erano soltanto dei nomi senza un minimo di carattere. A Gab non era piaciuto per nulla.

Almeno, nota positiva della serata, Jafaar aveva dato finalmente il via libera al buffet ma questo si era rivelato essere tremendamente scarso e, anche se pochi tra gli adulti degnasse di qualche sguardo il cibo, non ci si poteva mica abbuffare come poveri affamati (cosa che in realtà poi erano).

E poi diciamocelo, chi mai si sfamerebbe con gambi di sedano e carote?

Gabriele e Nick no di sicuro.

Anche tutti gli altri alimenti presenti erano a base di verdure e se c'era qualcosa con la carne questa aveva un sapore veramente strano (solo qualche ora dopo scoprirono di come in realtà si trattasse di tofu).

Così i due ragazzini più vivaci del gruppo erano tornati al punto di partenza: la noia.

Dovettero aspettare qualche altro minuto prima che si potesse dare inizio alle danze, dando un po' più di energia al ricevimento.

Con Paulo intento a discorrere allegramente con un Zeta, i due si avvicinarono alle loro amiche.

Entrambe, grazie agli ologrammi, sembravano indossare degli eleganti abiti in stile arabo dalle sfumature scure. In più Yen, a differenza di Adriana, portava un velo violetto che le copriva i capelli scuri.

«Ehilà ragazze! Vi state divertendo? Noi per nulla.» le salutò allegramente Nick raggiungendole.

«Oh salve» fece la vietnamita li vide. «Da noi potrebbe quasi andare un po' meglio ma non più di tanto. A voi come va?»

«Se uno di quei granchi del buffet si scoprisse ancora vivo e che cominciasse a pinzettare le persone qui dentro renderebbe di certo questo ricevimento molto più interessante.» fu il commento di Gabriele passandosi con insistenza una mano fra i capelli.

Dri ridacchiò sorridendogli comprensiva «Vi state annoiando.»

«Terribilmente» confermò Gab continuando a scompigliarsi la chioma corvina con insistenza. Mara prima ci aveva versato quintali di gel nel tentativo di pettinarglieli e dargli un'aria più ordinata.

Quel robo freddo e appiccicoso dava un gran fastidio all'orfano, si sentiva i capelli odiosamente pesanti e sudici, non vedeva l'ora di mettersi sotto un getto d'acqua per farli tornare normali.

Meduza aveva addirittura cercato di nascondergli le lentiggini, diceva che nell'alta società venivano considerate come un errore della pelle, stessa cosa i possibili nei o voglie nel derma.

Secondo quelle persone la pelle doveva essere completamente pulita e uniforme per tutto il corpo.

Che idiozia!

«Immagino» disse Dri osservando divertita l'amico, da come si scuoteva ossessivamente i capelli sembrava che avesse i pidocchi. «Non posso darvi torto. Anche senza usare la mia abilità riesco comunque a percepire quanto siano vuote le loro anime.» fece dando una breve occhiata al gruppo di donne poco lontano da loro, erano tutte in attesa che qualche uomo le invitasse a ballare come accadeva nei libri di fiabe. «È veramente incredibile. La maggior parte di loro sono completamente prive di personalità o anche un minimo di carattere, non è affatto una cosa normale.»

«E poi dicono a me che sono strano» borbottò Gabri dandosi un'occhiata ad uno specchio vicino.

Perfetto, ora sembrava che avesse un riccio completamente nero al posto dei capelli. «Odio il gel. Non obbligatemi più a metterlo.»

Yen sollevò un labbro pieno di lucido in una smorfia di scherno. «Tu sei un ragazzino strano, Gabriele» gli disse guardandolo beffarda «Ficcatelo bene in testa.»

D' improvviso partì una musica ritmata e dalle note allegre.

Nick si voltò verso i suonatori con un'espressione allegra «Ehi! Finalmente suonano qualcosa di più allegro. Era ora!» fece un passo in avanti e porse la mano a Dri facendole un breve inchino «Mi concede questo ballo, signorina?»

Lei lo fissò con una nota divertita. «Sai che non siamo qui per ballare» gli ricordò ma il ragazzino insistette.

«È solo un ballo! Chissà quando mai ci ricapiterà di ballare in una sala così sfarzosa fingendoci degli aristocratici.» ribatté l'australiano senza perdere il proprio entusiasmo.

«E poi, non puoi rifiutare» aggiunse Gab beffardo.

Adriana alzò gli occhi al cielo, ma accattò comunque l'invito di Nick prendendogli la mano. «Un ballo solo però»

Il piccoletto scrollò le spalle. «Come vuoi» prima di voltarsi verso la pista, che andava già riempiendosi di coppie danzanti. Mentre seguiva l'amico, Adri si voltò appena e fece cenno a Gabri in direzione di Nguyen mimando con la bocca la parola "Parlaci. Ora".

Gabriele sbuffò seccato, detestava il piccoletto quando faceva così.

Che poi, il fatto che l'orfano avrebbe fatto la stessa e identica cosa al suo posto, era totalmente irrilevante.

«Non m'inviti a ballare?» fece Yen con voce annoiata.

Gab continuò a guardare i suoi amici che si muovevano goffamente tra gli adulti. «E perché? Se vuoi ballare puoi chiedermelo direttamente tu.»

«Sì, ma io sono una femmina. Posso solo essere invitata, non il contrario.» disse la vietnamita osservando i ballerini. «Non ricordi le regole che ci ha detto Paulo?»

«Perfettamente» chiarì l'italiano «Però tu mi conosci, non sono un estraneo. Quindi, se vuoi ballare, non devi stare ad aspettare che qualcuno ti dia il permesso di farlo. Non trovi?»

«Beh sì ma...» provò a ribattere la ragazzina.

«Perciò se vuoi da ballare non hai che chiedere.» esordì infine l'orfano girandosi a guardarla in faccia sorridendole innocentemente «Tu vuoi ballare? Rispondi con sincerità, a me non cambia nulla.»

Nguyen prese ad arrossire senza controllo «Ehm... sì. Mi piacerebbe molto ballare»

«E allora chiedi» la spronò gentilmente lui. «A me, a Paulo, a Nick, a Fahed... a chi vuoi»

Quando Paulo aveva spiegato la regola sugli inviti, Gabri l'aveva trovato parecchio ingiusto per le femmine.

D'accordo che lui era un maschio e che quindi era libero di decidere se ballare o meno, ma riteneva che non fosse per nulla equilibrato che alle femmine fosse tolta a loro una scelta semplice come quella e domandare non servì a nulla.

A quanto l'argentino diceva, tale differenziazione era tipica principalmente per le due Classi più alte, quella dei Politici e quella dei Nobili. Per le altre, invece, non c'erano tutti questi problemi.

«E va bene!» sbuffò Yen leggermente irritata. «Gabri, saresti così gentile da ballar con me? Ti va bene così?» gli chiese con una punta d'ironia.

In realtà, Gabriele non aveva affatto voglia di ballare, non in quello stile né con quella musica almeno, ma dopo tutte quelle parole che le aveva detto, rifiutare sarebbe sembrato come se la stesse prendendo in giro. Cosa che poi era l'ultimo dei suoi pensieri.

Non poteva invitare Paulo piuttosto?

Ma ahimè, l'argentino al momento non sembrava affatto intenzionato ad interrompere la discussione con quel Zeta.

Fahed era da qualche parte della sala completamente invisibile, altrimenti Yen avrebbe certamente invitato lui al posto dell'italiano, perciò toccava a Gab farla ballare.

«Uhm, fammi pensare...» tentò di scherzare il ragazzino.

«Gabri!» lo chiamò abbastanza minacciosa la vietnamita.

Okey, il rifiuto non era tra le opzioni possibili.

«Scherzavo» le disse l'orfano prendendola per mano e trascinandola, con passo incerto, dentro la pista.

Una volta entrati, Gabri non aveva idea di come muoversi perciò improvvisò qualche passo inventandoselo sul momento.

Il risultato era qualcosa di difficilmente descrivibile.

In senso negativo ovviamente.

«Ma che stai facendo?» gli domandò brusca Yen dopo l'ultima improvvisa piroetta.

«Sinceramente non ne ho idea» rispose l'orfano con sincerità.

«Si nota» commentò lei fissandolo critica.

«Perché tu sai come si balla qui?» insistette il ragazzino.

«No, ma decisamente non così.» criticò la vietnamita impassibile.

«Ma almeno io sto cercando di far qualcosa al posto di criticare aspramente gli altri» la ribeccò Gabriele sorridendole beffardo. «Non ti sei neppure accorta che tipi di movimenti stavo facendo.»

Yen sollevò le sopracciglia in un'occhiata confusa, non capendo cosa l'italiano volesse dirle, allora lui ridacchiò mostrandole uno dei movimenti che lei aveva giudicato strani.

Altro non era che uno stile di lotta che Vipère gli aveva insegnato, solo eseguito al rallentatore.

Alla fine anche la vietnamita riuscì a comprendere. «Ma tu stai combattendo!» esclamò sottovoce per non essere sentita da nessun orecchio indiscreto.

«Ero piuttosto nervoso e sapevo bene che inventarmi, questa è stata la prima cosa che mi è venuta in mente.» ammise Gabri perdendo ogni traccia di scaltrezza sul suo viso e arrossendo appena mentre si portava nuovamente una mano tra i capelli.

Sentendoseli ancora rigidi contro il suo palmo riprese a scompigliarseli seccato «Dannato gel» mugugnò.

Nguyen si portò una mano alla bocca ridacchiando e prese a fare lo stesso tipo di danza che l'altro stava facendo fino a qualche secondi prima.

Presto anche Gab la imitò, ignorando i propri capelli impiastricciati di gel.

«Certo che sei proprio un ragazzino strano, Gabri.» gli disse Yen muovendosi con una grazia inaspettata. «Strano ma geniale.»

«Definisci il tuo concetto di strano» le chiese invece il ragazzino «Almeno per quanto riguarda il mio caso.»

La vietnamita ci pensò un po' sù prima di rispondergli «Ecco, tu non pensi come gli altri e neppure reagisci come uno si aspetterebbe di fronte a certe situazioni. Ragioni in maniera completamente diversa dagli altri, ci sono cose che per tutti risultano ovvio ma non per te. Ecco, in questo sei strano alla gente comune.» fece un breve giro su sé stessa avvicinando un po' troppo il viso a quello dei Gabriele, che si scostò da lei con disagio. «Ma se devo dirla tutta, questa tua stranezza ha un ché di affascinante.»

«Seh» fece lui per nulla convinto «Certo, perché essere già fissati con il romanticismo e i ragazzi a undici anni è perfettamente normale, giusto?» commentò ironico.

«Che c'è di male nel desiderare un po' di amore e magari un ragazzo?» ribatté lei.

«Forse il fatto che siamo ancora dei bambini?» insistette Gabri «Sembra quasi che tu voglia crescere in fretta, perché?»

Yen ignorò completamente l'ultima domanda e rispose solamente alla prima «Perché? Tu non senti già il morso inevitabile dell'amore?»

«No» rispose l'orfano serio.

«Neppure con Adri?» lo provocò di proposito Nguyen sorridendogli affabile «Siete così teneri assieme.»

«Lei è la mia migliore amica. Fine» dovette chiarire nuovamente Gabriele fissando la ragazzina negli occhi.

Lei prese a ridacchiare sommessamente. «Dicono tutti così e poi...»

Gab si trovò ad alzare gli occhi al cielo, quando Yen faceva così era alquanto irritante.

Si poteva sapere perché tutti dovessero scambiare lui e Dri come una coppia di piccioncini?

E che diamine! Sono solo amici. Possono un maschio e una femmina essere migliori amici tra loro?

Harry ed Hermione, ad esempio, lo erano. Tra loro non c'erano mai stato nulla che andasse al di fuori dell'amicizia, anche se pure a loro era capitato spesso che il loro legame venisse frainteso creando così alcuni disguidi abbastanza fastidiosi.

«Comunque volevo chiederti una cosa» cominciò all'improvviso l'italiano abbassando lo sguardo nervoso, il significato della raccomandazione lasciata da parte di Nick alias quello di cui loro avevano parlato prima che iniziassero le danze. «Riguarda Fahed»

Il sorrisino affabile di Nguyen scomparve lasciando il posto ad un'espressione più seria. «Oh»

«Gli puoi dire che mi dispiace, per favore?» chiese Gab mantenendo basso il viso. «Io non volevo che accadesse, non avevo ide che la sorella lo avrebbe cacciato via così.»

«Lui sa che non è colpa tua» gli confidò la ragazzina uscendo dalla pista da ballo «Mi ha detto che nell'impeto non riusciva più a pensare lucidamente comportandosi così in maniera irrazionale. Perciò non stare a prendertela troppo per questo, gli ho caldamente consigliato di porti le sue scuse entro la fine di questa sera altrimenti dovrà vedersela personalmente con la mia padella.»

Raggiungendo una fila di sedie, Gabri si appoggiò ad una di esse guardando l'amica col sopracciglio alzato «Tu hai una padella?»

«In realtà ne ho due; una piccola da viaggio e una grande per cucinare normalmente. Me le ha regalate mia zia prima di partire per Villa Justice, pensava che potessero servirmi lo stesso.» rispose lei.

E poi dicevano che era lui quello strano.

I due vennero presto raggiunti da un Paulo un poco irritato che afferrò per il polso Nguyen «Scusami Yen, ma quel tizio la giù in fondo aveva cominciato veramente a stancarmi e avevo bisogno di svignarmela.» si giustificò l'argentino indicandole con un cenno del capo il Zeta con cui era stato impegnato a parlare fino a quel momento mentre se la tirava appena verso di sé, in direzione della pista da ballo occupata ancora dalle coppiette danzanti, dove Adri e Nick erano ancora intenti a ballare da qualche parte.

«Sempre che la cosa non ti secchi» si premurò Paulo ancora abbastanza vicino alla fila di sedie.

«Niente affatto» lo assicurò Nguyen «Almeno son certa che ballerai meglio di questo qui»

L'argentino ghignò divertito in direzione dell'amico «Oh su questo punto puoi star tranquilla»

«Non mi sembrava che prima ti facessi così tanto problemi a ballare come facevo io» le rammentò Gabriele sorridendo malandrino.

«Ti dovremmo lasciare solo per un po'. Farai il bravo?» lo prese in giro scherzosamente Paulo allontanandosi insieme a Nguyen.

«Non sono mica un cane» borbottò tra sé a sé Gab, consapevole che il compagno di Blocco non potesse più sentirlo, sedendosi su una delle sedie con i cuscini di un brillante blu zaffiro osservando gli amici ballare incessantemente.

Dopo neppure un minuto, il ragazzino era già in preda alla noia.

Aveva provato ad origliare i discorsi degli invitati che erano così noiosi e vuoti da fargli passare subito la voglia, passò un altro paio di minuti ad esaminare attentamente ogni dettaglio o gesto delle persone presenti nella sala ma ciò non bastò per tenere a freno la propria mente costantemente attiva perciò prese dalle proprie tasche il suo inseparabile cubo di Rubik riprendendo a giocarci, senza però smettere di tenere d'occhio qualche movimento sospetto tra gli invitati.

Era l'unico modo che aveva per mantenere fissa la concentrazione su qualcosa.

Quindi non rimase sorpreso quando udì dei passi lenti e pesanti, accompagnati da un bastone, avvicinarsi a lui, restò piuttosto interdetto quando vide di chi si trattava.

Aveva visto foto su di lui e sul suo avversario per tutta quella giornata, perciò non ci mise molto a riconoscerlo.

«Shareef Hasson» pronunciò il nome dell'uomo con curiosità osservandolo sedersi accanto a lui, incurante se il ragazzino gradiva o meno avercelo così vicino.

La sua presenza non era così insolita.

Se il ragionamento di Shui riguardo le tattiche politiche erano giuste, l'avversario politico di Jafaar non aveva potuto non accettare l'invito al ricevimento del proprio nemico per non dover apparire ai media come una persona scortese che riserba rancore e maleducata.

Perciò, per non perdere notorietà gli conveniva esserci, anche se solo per pochi minuti.

«Quindi ammetti di riconoscermi, meglio così.» dichiarò il politico tutto tranquillo «Sarebbe stato una gran perdita di tempo se ti fossi ostinato a far finta di non sapere chi sono.»

«Sei un'Alfa, uno dei candidati per diventare il prossimo Governatore del Marocco. È abbastanza difficile non sapere chi sei.» esordì Gab continuando a giocare col suo cubo.

«È vero anche questo» ammise Hasson poggiando le mani sul pomo dorato del suo bastone «Ma sai, voi Eroi avete la tendenza a negare sempre quando venite beccati.»

A quanto pare l'Alfa era riuscito a riconoscere che lui e i suoi compagni come Ultra.

Interessante.

«E inoltre, di solito a persone del mio rango, ci si rivolge usando il "lei". Non dandomi del tu.» aggiunse poi Hasson, il piccoletto però non stette a sentire.

«Io non sono un Eroe» volle chiarire il ragazzino senza degnare di uno sguardo l'uomo che si trovava al suo fianco.

Prima doveva completare il cubo.

«Ma presto lo diventerai» gli fece invece notare Hasson «Non puoi farci molto, giovanotto.»

Punto sul vivo, quella frase irritò particolarmente Gabriele, completò il suo gioco e poi guardò il vecchio con aria di sfida. «Questo è quello che tu credi.»

Shareef gli rivolse un'occhiata distratta per poi abbassare gli occhi verso il Cubo di Rubik completato che il ragazzino «Un gioco interessante quello. Non se ne vedono più molti in giro» fu il suo unico commento.

«Lei detesta gli Eroi. Perché?» gli domandò l'orfano rismontando nuovamente i colori del cubo.

Hasson ridacchiò beffardo «Non mi chiedi come ho fatto a capire che tu e i tuoi amichetti intenti a ballare, in realtà siete degli Ultra?»

«Perché dovrei chiedere qualcosa che già so?» ribatté l'italiano piuttosto confuso, l'uomo però lo guardava perplesso perciò si decise a spiegarli ciò che per lui era ovvio. «Insomma, siamo gli unici qui a rimanere seri in mezzo a questo mare di chiacchere inutili e parole vuote»

Il vecchio era alquanto allibito. «In effetti...» mormorò con un filo di voce «Ma non ti chiedi neppure perché io, famoso avversario politico del vostro padrone, sia venuto a questo insulso ricevimento?»

Gab storse il naso a causa di una parola pronunciata da Hasson che non gli fece alcun piacere sentirla. «Allora, prima di tutto io non ho nessuno padrone e non rispondo a nessuno» ci tenne a precisare ancora una volta «E poi, credevo fosse ovvio il motivo della tua presenza. Evitare di fare la figura del cafone maleducato davanti ai propri elettori rifiutando l'invito così "gentile" di Hadda. Non è così?»

Stavolta Hasson esaminò l'orfano con grande attenzione «Interessante, non pensavo che tra voi Ultra ci potessero essere degli individui sufficientemente arguti.»

Lo disse come se loro fossero una specie a parte dalla sua. Una razza non molto apprezzata, visto la punta di disprezzo che aveva usato per dire la parola "voi Ultra".

E questo infastidì abbastanza Gabriele «Noi Ultra non siamo una razza a parte» protestò stizzito «Siamo persone, esattamene come te o come il suo nemico. O come chiunque qui dentro.» allargò un braccio per indicare tutti gli altri invitati. «Siamo pur sempre esseri umani, noi.»

Il vecchio prese a ridacchiare divertito, come se avesse appena ascoltato una barzelletta particolarmente divertente. «Ed è qui che ti sbagli, caro mio» gli disse con tono irrisorio «Voi Ultra non avete nulla in comune a noi Normali, a noi vere persone. Non siete affatto degli esseri umani.» se anche avesse deciso di fermarsi lì era riuscito a infliggere una buona dose di ferite interiori, ma Hasson decise di proseguire iniettando odio ad ogni singola parola «Voi Ultra siete la dannazione del nostro mondo. È da quando siete saltati voi che si sono create nuove guerre, avete portato soltanto dolore e morte e lo fate tutt'ora. Anche adesso.»

«Le guerre esistevano ancora prima che venissero fuori gli Ultra.» volle ricordargli Gab, ad ogni frase che subiva sentiva le proprie dita tremare.

«Ma non così violente» ribatté il politico stringendo forte il suo bastone «Voi, con i vostri poteri, siete contro natura. Vi nascondete dietro la facciata dell'Eroe servizievole ma agite solo per i vostri scopi egoistici, i servitori del demonio siete voi.»

Queste parole erano veramente dure da buttare giù e facevano male.

Terribilmente male.

«Parli di egoismo tu» parlare quasi gli era difficile a causa delle emozioni negative che gli si agitavano dentro. «Tu che sei stato accusato di aver rubato soldi a danno dello stato che tu hai dichiarato di voler aiutare.»

Hasson strinse gli occhi morso dal dolore della perdita. «L'ho fatto una volta, per salvare mia moglie. Inutilmente, aggiungerei, visto che poi alla fine è morta lo stesso.» sibilò adirato «Ma visto che ci tieni tanto ad accusare qualcuno, guardiamo bene il vostro caro cliente. Sapevi che, approfittando del suo legame con la polizia, fa spesso affari con la malavita del Marocco? Sapevi anche che è in combutta con Suprem Dragon, promettendogli una solida alleanza nel caso cominci la guerra? Sapevi tutto questo? No, ovviamente no. Voi Eroi vi limitate ad ubbidire soltanto agli ordini del vostro adorato capo senza neppure porvi una sola domanda, tanto qualsiasi cosa vi dica sarà sempre legge. Per voi non esisterà mai nessun'altra verità al di fuori di quello che gli altri vi mettono in testa, anche se sbagliata.» continuò a dirgli con un lieve tremito nella voce. Gli occhi si erano fatti più lucidi.

Di colpo la tempesta d'emozioni che Gabriele stava provando si bloccò.

Non avrà la stessa sensibilità di Dri, ma aveva la logica dalla sua parte e la paura percepita nelle ultime frasi era troppo evidente per poter essere ignorata.

Cominciò a mettere insieme i pezzi e all'improvviso capì.

Su quanto riguardava gli Ultra era serio, credeva in ogni singola parola che aveva pronunciato su di essi, ma era anche terrorizzato, abbastanza da chiedere aiuto al genere di persone che più detestava al mondo.

Un Ultra in fase di apprendimento per diventare un Eroe.

Doveva essere veramente disperato, se tra tutti aveva deciso di chiedere aiuto proprio a lui, un semplice ragazzino problematico.

Per questo gli si era avvicinato a parlare.

Doveva aver esaminato con estrema cura l'orfano e i suoi amici alla ricerca di quello più idoneo tra loro.

Qualcuno che non amasse così tante le regole.

Qualcuno abbastanza ribelle da non temere dal fare domande.

E a quanto pare, aveva pensato che Gabri fosse il tipo giusto al quale chiedere aiuto.

Certo che se non fosse stato così sincero su come la pensava sugli Ultra le cose sarebbero state un po' più facile, ma per lo meno aveva messo la pulce nell'orecchio del ragazzino e, per quanto non gli fosse affatto piaciute le parole con le quali Hasson aveva definito lui e gli altri Ultra, lo convinsero a fare un'indagine più approfondita.

Non per Hasson, ma per sé.

Se davvero Hadda era coinvolto in qualcosa di losco e in esso vi era in mezzo anche Suprem Dragon, non avrebbe mai potuto sopportare di aver fatto parte di un disegno così sporco.

Doveva assolutamente sapere.

«Te l'ho già detto» ribatté Gabriele con un sussurro «Io non sono un Eroe»

Il vecchio si voltò a guardare la pista da ballo ancora piena, con una certa fatica si alzò dalla sedia aiutandosi col bastone. «Era questo che speravo» fece gelido posando un rettangolino di carta rigida color verde acqua sulle gambe dell'italiano.

E senza aggiungere una parola di troppo, si allontanò dal giovane Ultra.

Col pezzetto di carta in mano, Gab con la coda dell'occhio lo vide raggiungere un gruppettino di uomini posti vicino al buffet e mettersi a discorrere di chissà che cosa con questi.

Nel frattempo Adri e Nick avevano smesso di ballare e si stavano incamminando verso il loro compagno, ancora seduto su quelle poltroncine eleganti.

Erano entrambi molto tesi con l'espressione allarmata, chiaro segno che c'era qualcosa che non andava.

Veloce, Gabri, si mise il foglietto in tasca alzandosi in piedi. «Che succede?»

Dri lanciò una breve occhiata verso Hasson prima di ritornare a puntare le sue iridi argentate sul suo migliore amico. «Che voleva Hasson da te?»

«È un po' lunga da spiegare» declinò Gab incupendosi. «Ditemi voi, piuttosto, che sta succedendo? Pericolo in arrivo?»

«Ce ne sono due, turbante azzurro e turbante grigio, vicini alla finestra centrale.» gli rispose schietta Dri portandosi una mano all'orecchio destro, quello che aveva l'auricolare. Stava avvisando tutti gli altri. «Ho percepito abbastanza chiaramente le loro intenzioni: sono qui per uccidere.»

Il ragazzino cercò i due uomini descritti, in maniera piuttosto semplice tra l'altro, nella direzione indicata.

Li trovò; erano un grosso ammasso di muscoli dall'aria arcigna che scrutavano torvi la sala lanciando parecchie occhiate in direzione di Hadda, posto a troppi pochi metri di distanza da questi.

Se si guardava con attenzione le loro giacche eleganti, si poteva benissimo intravedere la forma ben riconoscibile di una pistola.

«Sei sicura?» domandò la voce di Khadeer tramite l'apparecchio.

«Ho utilizzato la mia abilità su di loro, sono stati pagati per attaccare la sua villa stasera. Fra pochi secondi.» confermò sicura Adriana, poi si voltò verso Gab accennandogli un rapido sorriso nervoso. «Non mi piacevano molto, mi davano delle sensazioni negative.» spiegò solamente a lui, senza accadere il microfono dell'auricolare così che gli altri non potessero sentirla.

In quello stesso frangente, uno dei due tirò fuori la sua pistola e la puntò dritta dritta verso la testa di Jafaar.

Adri non poté accorgersene, era ancora voltata dall'altra parte, ma Gabriele e Nick riuscirono a vederlo benissimo.

La mira era stata presa e il grilletto stava per essere premuto.

Il tempo per bloccarlo non sarebbe mai bastato, era troppo tardi.

Ma Gabri in quel momento non aveva bisogno di tempo, bensì di velocità.

Rapido, si tolse un pugnale dalla cintura che portava e lo mise in mano a Nick. «Vai!» gli disse solamente.

L'australiano scomparì dalla sua vista nel secondo esatto in cui si sentiva risuonare lo sparo della pistola, pareva forte come l'esplosione di una bomba.

Ma probabilmente si stava solo facendo suggestionare.

Il proiettile non colpì mai il suo obbiettivo.

Era stato tagliato a metà da Nick utilizzando il pugnale prestatogli da Gabri, che ora ergeva in alto nel movimento finale del taglio.

La lama corta del pugnale aveva preso solamente il cilindretto senza sfiorare per sbaglio le persone che si trovavano a pochi centimetri di distanza, al contrario con la spada avrebbero rischiato di ferire per sbaglio qualcuno.

I due pezzi di piombo caddero tintinnando allegramente sul pavimento di marmo.

La sala si congelò in terribile silenzio per una manciata di secondi, in attesa di rielaborare quanto appena accaduto.

Tutti gli sguardi rivolti verso il giovane Ultra australiano.

Nella sua corsa istantanea doveva essergli caduto l'ologramma perciò ora tutti gli invitati potevano vederlo per quello che era.

Un allievo degli Eroi.

E lo sparo stava a significare che c'era qualcuno di armato tra loro e che questo aveva appena cercato di uccidere una persona.

Arrivati a questa ovvia conclusione, si scatenò l'inferno.

Gli invitati erano riusciti a trovare una loro utilità in quella situazione correndo da un punto all'altro della sala del ricevimento, tutti impegnati nel frattempo a urlare a squarciagola.

Ricordavano uno stormo di oche starnazzanti, oppure di galline spaventate. Quello che fa più rumore.

Qualcuno di loro, nella foga di scappare senza un minimo senso logico, si scontrò malamente finendo a terra per poi riprendere a correre come se non fosse successo nulla.

Era una scena divertente, Gabriele si sarebbe pure seduto a guardarla più e più volte senza mai stancarsi.

Era veramente esilerante.

Piccolo inconveniente: i due tizi stra-muscolosi erano ancora armati e ben intenzionati di far fuori Jafaar.

Ma le sorprese non erano finite.

«Ne stanno arrivando degli altri!» dichiarò Adri con gli occhi che le brillavano di luce propria «Li riesco a percepire perfettamente. Alcuni sono mescolati tra i cuochi e gli altri vogliono entrare dalla finestra»

«Quanti sono?» domandò Mara estraendo una sciabola dalla sua fodera, prese anche dei pugnali lanciandoli in aria.

Ciocche dei suoi capelli si allungarono a vista d'occhio afferrandone i manici di quelle armi e brandendoli pericolosamente.

Ricordavano vagamente dei serpenti.

Ora Gab capiva perfettamente il perché del nome Meduza, assomigliava parecchio alla gorgone che una volta Adriana gli aveva raccontato.

Solo che indossava vestiti militari e non pietrificava con lo sguardo, anche se con la seconda ci andava parecchio vicino.

«Almeno una cinquantina» rispose la ragazzina.

Di bene in meglio.

I ragazzini si strapparono di dosso i loro ologrammi e indossarono le loro maschere, anche se nessuno di loro era del tutto pronto a combattere.

C'è una grossa differenza quando lo fai durante un allenamento che quando stai lottando per la tua vita.

Una differenza molto evidente.

«Sarebbe molto meglio se tu e Yen cercaste di portare fuori di qui queste galline starnazzanti. Non ne posso più di sentirle.» disse Gabriele mentre Fahed, tornato da poco visibile, gli restituiva la sua naginata.

«Io posso essere utile qui!» protestò lei irritata.

«Lo so» affermò l'amico roteando l'arma sopra la testa, sempre più uomini si stavano riversando nell'enorme stanza con pistole e coltelli in mani, gettando ancora più nel caos gli invitati. Shui e Bariyas stavano già combattendo, il secondo diventando per metà fatto di sabbia con la quale usava per soffocare o stritolare a morte gli avversari.

«Ma sei l'unica qui a riuscire a tranquillizzare questo stormo di oche. Qui dentro rischierebbero solamente di farsi ammazzare.» le spiegò Gabriele colpendo in testa un tizio col camice da cuoco con la parte in fondo del bastone della sua naginata, riuscendo così a stordirlo.

Era rimasto piuttosto interdetto dalla facilità con la quale i loro Tutori ammazzavano quegli uomini.

Lo sconcertavano.

«Gabriele ha ragione Adri» confermò Mille Volti comparendo all'improvviso e infilando un pugnale dalla forma strana nel punto dove si trovava il cuore del nemico colpito.

Questo stramazzò al suolo lasciando cadere la sua pistola ancora carica, un suo compagno vicario gliela arraffò prontamente prima ancora che la testa dell'uomo toccasse il pavimento.

Che bel gesto di amicizia.

«Così tanti civili, così in mezzo, ci danno solamente fastidio. Portateli fuori, presto» le ordinò l'Eroe continuando a lottare come un demone.

A malincuore, la ragazzina obbedì andando a cercare Nguyen in mezzo alla calca di gente.

I Normali finalmente presero a calmarsi e, né troppo lentamente né con troppa foga, uscirono dal salone dei ricevimenti, assieme a Jafaar che Hasson, lasciando al suo interno solamente gli Ultra e ancora una quarantina di uomini armati fino ai denti.

Gabriele muoveva rapido la naginata tramortendo gli avversari e deviando sia gli spari che gli attacchi con la lama nel tentativo di non lasciarsi ammazzare. Nonostante questi tizi sarebbero stati ben felici di vederlo morto, lui non se la sentiva affatto di ucciderli.

Non voleva farlo, erano pur sempre delle vite quelle.

D'accordo, magari queste appartenevano a degli assassini crudeli e senza scrupoli ma era comunque delle vite.

Che diritto aveva lui di toglierle?

Problemi del genere, a quanto pare, gli Eroi non erano soliti a farseli.

Infilzavano, soffocavano, sgozzavano, trucidavano, affogavano e stritolavano quegli uomini come se si stessero semplicemente occupando di sterminare solo qualche insetto e non degli esseri umani.

E poi l'espressione fredda e seria con cui lo facevano, era da mettere i brividi.

Erano delle macchine per uccidere perfettamente funzionati e allenate per questo.

Gli vennero in mente le velenose parole di Hasson.

Voi Ultra non avete nulla in comune a noi Normali.

Shui lanciò il tridente di Audrey inchiodando un uomo al muro, trafiggendolo. Questo all'impatto fece un orribile gargarismo sputando del sangue.

Non siete affatto degli esseri umani.

Meduza fece vorticare attorno a sé i suoi capelli armati sgozzando diversi vicari.

Voi Ultra siete la dannazione del nostro mondo.

Il viso di Mille Volti, seppur nascosto per metà da una maschera, era quasi sempre tranquillo e così paterno. Mentre ora era implacabile e spietato mentre toglieva la vita ad altri avversari.

Avete portato soltanto dolore e morte, lo fate tutt'ora. Anche adesso.

La stanza andava a riempirsi dell'odore metallico del sangue mentre il pavimento si tingeva di un rosso cupo, caldo e appiccicoso.

I servitori del demonio siete voi.

Gabri riuscì a vedere il proprio riflesso in una delle pareti a specchio ancora non troppa sporca.

Si vide vestito completamente di nero e il volto nascosto. Chiazze di sangue gli ricoprivano alcuni punti della tuta.

Le iridi selvagge che brillavano pericolose.

La punta dei canini leggermente prominenti che si intravedevano dalla sua bocca semiaperta e le orecchie lievemente appuntite.

Assomigliava così tanto un demone.

No... pensò allontanandosi da suo riflesso. No!

Si tappò con forza le orecchie, come se non volesse sentire i suoi pensieri. No...

Lui non è affatto così.

Non lo sarebbe mai diventato.

Non vuole diventare così.

Demonio!

No! continuò a gridarsi mentalmente cadendo in ginocchio No! Io non sono così! No no no no...

Mostro!

Non riuscì più a trattenersi.

I dubbi, i sensi di colpa, la rabbia, la frustrazione, la confusione e le ferite causate da quegli insulti che Gabri aveva tenuto dentro di sé in quei giorni fuoriuscirono tutti in una improvvisa e violenta ondata di gelo assieme ad un unico grido congelando l'intera stanza in una terribile morsa di ghiaccio.

Finalmente sfogato, Gabriele ritornò normale, ansimando sfinito da quello scoppio di energia e prese a guardare ciò che aveva fatto.

Dentro la sala, la temperatura era scesa di parecchi gradi sotto le zero ed ogni cosa era completamente ricoperta di ghiaccio, talmente freddo da fare male al contatto.

Al posto dei sicari, ora la sala era piena di statue piuttosto grezze congelate nell'atto di trovar riparo o di attaccare qualcuno.

Ogni oggetto colpito aveva un lato, quello rivolto dalla parte opposta a quello in cui si trovava l'Ultra, pieno di piccole punte di ghiaccio, come se fossero stati colpiti da un'onda d'acqua e poi immediatamente congelata.

Quelli che si erano trovati più vicini a Gabriele, nel momento in cui aveva dato involontariamente sfogo alla sua abilità, erano diventati quasi un unico blocco di ghiaccio.

Così congelata, la sala appariva come la dimora perfetta per la regina delle nevi, con dei sparuti fiocchi che scendevano delicatamente verso terra.

Tutto era completante fermo e silenzioso.

E freddo.

Molto freddo.

Gab cominciò a guardarsi in giro, estremamente preoccupato, alla ricerca dei suoi amici.

Dov'erano finiti?

Erano ancora dentro la sala prima che lui la congelasse per intero.

E se anche loro non avessero fatto in tempo a ripararsi?

Il ragazzino sperò con tutto sé stesso con fosse andata così. O non l'avrebbe mai sopportato.

«Nick?» chiamò l'amico con voce tremante «Paulo? Fahed?»

Nessuna risposta.

«No...» scosse la testa, incapace di poter accettare una simile cosa.

Poi li udì.

Dai vari punti diversi della stanza, si sentivano gli scricchiolii del ghiaccio che veniva lentamente spaccato violentemente.

I primi a uscire dal loro nascondiglio furono Fahed e Paulo con gli Eroi Bariyas e Meduza, avevano usato come riparo dall'ondata di gelo l'immenso orologio astronomico di Jafaar, largo a sufficienza da coprirli tutti, più la sabbia di Khadeer da usare come maggior protezione.

Per liberarsi dalla parete di sabbia ghiacciata si erano serviti dei pugni dell'argentino, o meglio della sua forza e del suo martello.

Mille Volti, Wave, Shui e Nick invece ci misero un po' di più per distruggere la cupola di ghiaccio che Audey aveva creato con l'acqua precedentemente.

Il motivo per cui non erano morti congelati, nonostante il loro scudo d'acqua, era stato che Andrea aveva usato in prestito l'abilità pirocinetica di Ghaith assumendone il suo aspetto.

Erano tutti infreddoliti, con qualche graffio qua e là, con alcuni pezzi di ghiaccio sui loro vestiti, ma almeno erano vivi.

Era questo l'importante.

«Gabri!» gridò Nick correndogli incontro per abbracciarlo con sufficiente slancio da buttare a terra l'italiano. «Sei stato mitico!» gli disse tutto allegro.

Aveva gli occhialini coperti da una patina di freddo ed era un vero miracolo che riuscisse a vederci qualcosa con quelli.

Anche gli altri li raggiunsero.

«Niente male ragazzino» commento Meduza soddisfatta, probabilmente per la prima volta in vita sua, osservando la nuova struttura della sala. «Hai fatto veramente un ottimo lavoro»

Gabri si voltò verso di lei confuso. «Lavoro?»

Shui gli sorrise brioso passandogli fraternamente una mano sulla testa, abbassando per sbaglio il suo cappuccio. «Certo! Sei riuscito a far fuori tutti quei sicari soltanto con un po' di ghiaccio. È stato fenomenale!» si grattò un po' il mento. «Anche se è vero che per poco abbiamo rischiato anche noi di diventare delle belle statuine di ghiaccio. Però è stato formidabile!»

«Hai del potenziale ragazzino» Khadeer gli mostrò i pollici tutto contento.

Gabriele invece, non era dello stesso umore. «Quindi io ho...» la verità gli cadde addosso con il peso di un macigno. «Ucciso. Io ho ucciso...» guardò le statue di ghiaccio che una volta erano persone ancora piene di vita «Io ho ucciso tutte queste persone...»

«Prima volta?» continuò Bariyas di ottimo umore. «Tranquillo, ci farai l'abitudine.»

Era proprio quello il problema.

Lui non voleva renderlo un'abitudine.

In realtà non avrebbe mai voluto uccidere qualcuno.

Ma invece, l'aveva fatto.

E con una semplicità che gli era impossibile da credere o da accettare.

Li aveva uccisi tutti lui.

Da solo.

Usando solamente la sua abilità.

Nient'altro.

Scosso da quanto aveva fatto, si lasciò cadere a terra. Lo sguardo perso nel vuoto.

«Io sono un mostro...» disse solo con un filo di voce.

Nick lo sentì e cercò di tirarlo su «Mostro? Tu? Ma non farmi ridere. Tu non sei affatto un mostro!» esclamò tentando ancora, inutilmente, di rimettere in piedi l'amico «Sei una persona normalissima. Come me, Fahed, Paulo, Mille Volti...» continuò a pronunciare diversi nomi, ma Gab non lo stava più a sentite.

Non vedi quello che sono in grado di fare? avrebbe voluto dirgli, se solo avesse ancora avuto abbastanza forza per parlare. Non vedi con quale semplicità ho spento così tante vite? Non lo vedi? Io non sono normale. Non sono affatto normale e mai lo sarò.

Al contrario, Fahed e Paulo sembravano averlo notato benissimo. Posavano lo sguardo ovunque, ma mai sull'orfano.

Sembravano stanchi e scioccati almeno quanto lui.

Mille Volti decise, alla buon'ora, d'intervenire ordinando all'australiano di lasciarlo in pace per il momento «Ha bisogno di tempo per superare questa cosa. Non è affatto facile, se si possiede un minimo di umanità»

Ora Gabri comprendeva perché, nell'universo di Harry Potter, era necessario compiere un omicidio nella realizzazione di un horcrux.

Un gesto del genere, togliere la vita ad un'altra persona, era davvero troppo forte e terribile.

Un'azione che ti perseguiterà per tutta la vita e che mai si riuscirà a lavare di dosso.

Abbastanza orribile da essere in grado di spezzare l'anima.

E se una volta soltanto bastava a rompersi così, figurarsi rifarlo altre sei e più volte. Era da pazzi!

Se fosse stato per Gab, si sarebbe lasciato tranquillamente mettere le radici esattamente lì dove si trovava.

Magari si sarebbe unito anche lui alla nuova collezione di statuine di ghiaccio ex esseri viventi.

Ma arrivò una chiamata da parte di Nguyen che, con poche e utili parole, riuscì a impedire al ragazzino di percorrere la sua allegra scampagnata verso l'avvilimento.

«Ehi? C'è qualcuno?» fece la voce della vietnamita attraverso l'auricolare dell'orfano, dalle facce ancora tranquille degli altri, quello doveva essere ancora l'unico funzionante.

«Vi prego ditemi di sì» insistette la ragazzina, sembrava disperata.

Finalmente Gabriele riuscì a svegliarsi dallo schok di prima. «Yen?»

«Yen?» fece Fahed perplesso.

«Che centra Yen?» chiese invece Paulo, anche lui confuso.

Gli Eroi persero le loro espressioni esultanti ritornando immediatamente seri.

«Yen? È successo qualcosa? Sta bene?» domandò Shui visibilmente agitato.

«Grazie al cielo! Almeno uno!» esclamò Nguyen nell'auricolare di Gabri. «Come mai sei riuscito a rispondere solo tu? Gli altri dove sono? Fahed è...»

«Siamo tutti vivi» le assicurò con tono piatto il ragazzino. «Almeno, noi Ultra. A quanto pare il mio auricolare è l'unico ancora funzionante, gli altri devono essersi danneggiati a causa del freddo improvviso.»

«Freddo?» chiese lei confusa «Fa lo stesso, non rispondermi. Mi servi tu! Adri è...»

L'orfano si rizzò in piedi come se fosse stato punto da uno spillo. «Che le è successo? Ti prego dimmi che sta bene.»

«Non ho abbastanza tempo per spiegarti tutto. Vieni giù e basta!» gli ordinò infine Yen, avvertiva una certa agitazione nella sua voce.

«Okey arrivo!» l'assicurò cominciando a correre verso la porta del salone che portava verso l'uscita della villa, sperò soltanto che non fosse bloccata dal ghiaccio.

«Gabri dove corri? Che succede?» gli gridò dietro Fahed frenetico.

Pure Nick e Paulo dovevano avergli chiesto qualcosa, perché sentì le loro voci dietro di sé, ma come con Fahed, li ignorò entrambi.

Per essere ancor più veloce si tramutò in vento, in modo tale da metterci ancora meno tempo a raggiungere le due amiche.

Le trovò in fondo alle scale per metà congelate, vicine al portone d'ingresso lasciato aperto.

Da lì si poterono intravedere gli invitati che erano riusciti a uscire dalla casa e che adesso stavano cercando di scappare il più velocemente possibile sulle loro limosine di lusso.

Nguyen era stretta al muro da cui partiva il corridoio che conduceva alle altre stanze del piano terra.

La maschera che indossava gli impediva di vedere la sua espressione, ma di certo non doveva essere affatto tranquilla.

«Lei non l'ha fatto apposta. È comparso all'improvviso e lei ha reagito d'istinto. Stava per uccidermi...» lo informò con lo stesso tono agitato che aveva prima con l'auricolare.

Davanti alla vietnamita stava Adriana.

Era inginocchiata a terra, molti capelli le erano sfuggiti dalla sua treccia e si stava tenendo le mani appoggiate su entrambe le orecchie, per impedirsi di sentire qualsiasi altra cosa.

Gli occhi sbarrati dallo schock.

E di fronte si trovava il cadavere di un uomo, con un pugnale conficcato nel cuore e il sangue che man mano si faceva sempre più copioso.

A rendere ancor più inquietante la scena era la presenza di una strana nebbiolina perlacea che fluttuava attorno alla ragazzina e che in parte sembrava provenire dal morto, dando così l'impressione che stesse fumando.

«È morto... è morto...» continuava a ripetersi Adri con la voce che era poco più di un sussurro. «L'ho sentito... se n'è andato... l'ho sentito...sono stata io a farlo, sono stata io a ucciderlo... sono morta...»

Gabriele non aveva per nulla bisogno di fare due più due per comprendere la situazione. Era già fin troppo chiara.

Proprio come lui, anche la ragazzina aveva ucciso qualcuno per la prima volta.

Anche se per difesa o per salvare una sua amica, l'aveva fatto.

E questo l'aveva scioccata abbastanza da farla crollare.

Gab riprese del tutto la propria forma mentre osservava addolorato la sua migliore amica. «Dri...» e si buttò verso di lei per stringerla tra le sue braccia.

Non appena superò quella strana nebbiolina avvertì degli strani sospiri e sussurri premergli dentro la testa.

Non erano veramente dolorosi, ma gli offuscarono la vista e gli confusero i pensieri.

Cominciò a sentirsi girare la testa di fronte ad una così strana pressione.

Gli pareva quasi di essersi in qualche modo staccato dal suo corpo, se ciò fosse possibile.

Ci volle tutta la sua buona volontà per rimanere concentrato con quello che doveva fare, ma con tutti quei sussurri non era affatto facile.

«Dri!» la chiamò ma la sua voce usciva ovattata, gli sembrava di trovarsi sotto l'acqua.

Anche le parole di lei non si udivano perfettamente. «...rta io... uc... orta mo... è mo...»

Quando però Gabriele riuscì a toccarle una mano, immediatamente quel frastuono di bisbigli sparì esattamente com'era comparso.

Ora riusciva sentire perfettamente e si sentiva nuovamente saldo nel proprio corpo.

Era ancora lì.

Nel mondo dei vivi assieme ad Adriana.

Nell'esatto momento in cui lui l'aveva solamente sfiorata, la ragazzina aveva alzato di colpo lo sguardo incrociandolo con quello del suo migliore amico.

Le iridi di lei erano talmente luminose da risultare quasi bianche.

Delicatamente, con grande affetto, Gab le prese le mani e gliele abbassò lentamente lasciando libere le orecchie, il tutto senza distogliere il contatto visivo.

Staccò momentaneamente una mano da quella di lei per tirarsi giù la maschera.

Col volto scoperto, socchiuse gli occhi alzandosi leggermente per darle un tenero bacio sulla fronte.

Poi appoggiò la propria fronte sulla sua. «Tu non sei morta. Sei ancora qui, sei viva» le disse affettuoso «Sei ancora qui» le ripeté nello stesso tono di prima «Qui con me.»

Dentro di sé ancora non aveva pace per quello che aveva fatto nel piano di sopra, per tutte quelle vite che aveva spento. Ma sapeva che in quel momento Dri aveva bisogno di lui e che quindi, per una volta, toccava a lui a farle da sostegno.

Perché non si perdesse nel dolore.

Da quanto era riuscito a capire, quando Adriana aveva ucciso erroneamente quell'uomo per salvare Nguyen, doveva essere rimasta ancora collegata con l'anima del morto nel momento del trapasso e che quindi questo doveva averla turbata a tal punto che per poco non aveva perso del tutto il controllo sulla sua abilità.

Le iridi di lei diminuirono la loro luminosità tornando ad essere il loro solito grigio nuvoloso, carico di pioggia.

Dri lasciò scivolare la propria testa sulla spalla di Gabriele, bagnandola con le lacrime mentre con le mani si aggrappava alla sua tuta.

Il ragazzino la lasciò fare, stringendola a sé. Senza dire una parola.

Poiché certe volte, le parole diventano soltanto un fastidio mentre il silenzio si carica di significato.

~~•~~

Le stelle, quella notte, furono difficili da vedere.

Un po' perché con tutte quelle luci della città ne offuscavano la visione e un po' era sicuramente colpa di quelle dannate nuvole che avevano deciso di coprire il cielo in un morbido manto blu notte in costante spostamento.

Perciò l'unica cosa che Gab poteva vedere sollevando lo sguardo era quel mare di nuvole scure, a causa del vento si muovevano in modo tale da assomigliare terribilmente alle onde del mare.

In quel modo, il mondo pareva capovolto.

Nonostante la totale mancanza di stelle, però, neppure quello spettacolo era malaccio.

Anzi, l'orfano rimase a guardarle per parecchio tempo, completamente incantato.

La natura riusciva sempre a stupirlo.

Grazie a quel incessante movimento ondulatorio riuscì a trovare una discreta pace, rispetto a quanto accaduto soltanto qualche ora fa.

I poliziotti arrivarono alla villa soltanto sei minuti dopo la fine del massacro che si era svolto nel salone da ballo.

Poiché era di questo che si era trattato.

Un massacro.

Anche se a compierlo erano stati degli Eroi più una manciata di Ultra ragazzini ed erano contro degli assassini.

Chi l'ha fatto non cambia il nome del gesto.

Sempre massacro rimane.

I piedipiatti si concentrarono particolarmente su Gabriele, per via del congelamento istantaneo della stanza, strappandolo quasi a forza dalle braccia di Dri.

Quei tizi erano veramente degli insensibili.

Non avevano capito quanto lui fosse scosso da ciò che aveva fatto?

Non si erano accorti di quanto stesse soffrendo?

Non avevano visto che Adri aveva ancora bisogno di lui?

E invece questi l'avevano preso, portato in una saletta piccola e stretta, troppo stretta, lasciandolo lì dentro per quasi una mezz'oretta con uno di loro che lo controllava insistentemente.

Neanche fosse una cava da laboratorio o un'animale feroce.

Di tanto in tanto gli aveva posto qualche domanda, ma per il resto solo un silenzio fin troppo fastidioso.

I paparazzi poi, erano i peggiori. Loro sì che erano del tutto insensibili di fronte all'emozioni umane, con tutte quelle loro domande insistenti, inopportuna ed estremamente fastidiose.

Se i poliziotti lo avevano fatto sentire come qualcosa di pericoloso da tenere a debita distanza, questi invece lo trattavano come un fenomeno da baraccone.

Lo facevano sembrare come animale privo di emozioni e sentimenti.

Neppure all'orfanotrofio veniva trattato così dalle persone esterne (lì invece lo trattavano come un essere indesiderabile).

Perciò era ovvio che, non appena trovata l'occasione giusta, sgattaiolò via di soppiatto percorrendo i corridoi della casa di Jafaar fino arrivare sul tetto.

Lì non sarebbe stato disturbato da nessuno.

«Immaginavo che ti saresti rifugiato qui sopra» mormorò Adriana raggiungendolo con calma, indossava come lui un pigiama leggero con le maniche lunghe e portava i capelli castani completamente sciolti.

Un soffice vento glieli smuoveva appena.

Di recenti, questi, avevano preso una forma un po' più ondulata abbandonando per sempre quella precedente, perfettamente liscia.

«Mi conosci» le disse Gabriele continuando a fissare il cielo nuvoloso.

La ragazzina gli si sedette accanto. «Sei turbato» non era una domanda «Non dovevano trattarti in quel modo, prima. Dev'essere stato frustante e molto fastidioso.»

«Già» confermò con tono piatto Gab per poi cambiare discorso «C'è qualcosa che non quadra in tutto questo» boffocchiò tracciando con un dito delle linee curve sullo strato di polvere che si era accumulato sul tetto. «Ma non riesco a ragionare in questo momento» con uno scatto pieno di frustrazione passò una mano sul suo malconcio disegno spazzandolo via.

«È normale» lo consolò Adri «Sei ancora parecchio scosso per quello che è successo stasera» per quello che aveva fatto quella sera. «A proposito di questo...» aggiunse poi con un tono sommesso «Ti volevo ringraziare» gli disse con un certo nervosismo nella voce «Sai, per prima...»

«Non c'è bisogno di ringraziarmi.» Gab le rivolse un'occhiata affettuosa «Avevi bisogno di me in quel momento, restarti vicino era il minimo che potevo fare» affermò con scioltezza «È questo quello che fanno gli amici, no?»

Dri si strinse le ginocchia al petto guardando le nubi con un'espressione abbattuta che confuse parecchio Gabriele. «Già, gli amici fanno così» boffocchiò incerta.

Ancor prima che l'orfano potesse porle qualsiasi domanda su quell'insolita reazione, Adri si rimise nuovamente in piedi e si tolse la sua collana che portava quasi sempre addosso «Ho un'idea» dichiarò.

Poggiò a terra il suo medagliane e lo aprì con delicatezza, il meccanismo al suo interno prese a funzionare e nell'aria, oltre a lieve mormorio distante dell'oceano, si riempì della familiare melodia.

«Che fai?» le domandò curioso Gabri.

Lei si mise davanti a lui, sempre in piedi, porgendogli la mano. «Ballare con te» fu la sua risposta «Volevo proportelo prima ma poi non ne ho avuta l'occasione.»

Non c'era bisogno di chiederle il motivo per il quale Dri non era riuscita a chiederglielo, lo sapeva perfettamente anche lui.

Ma adesso non aveva voglia di pensarci.

Voleva solo passare un po' di tempo con la sua migliore amica e ballare con lei andava più che bene.

Le guardò brevemente il palmo rivolto verso di lui e poi il suo viso, poco illuminato a causa della scarsa luminosità, e le sorrise stringendole la mano.

Insieme ballarono spensierati seguendo il ritmo della sinfonia prodotta dal carillon, triste ma dolce allo stesso tempo, con il lontano sciabordio delle onde a dettarne il tempo.

Sopra di loro un autentico mare di nubi.

Improvvisarono i passi e ne sbagliarono parecchi.

Più di una volta capitò che si pestarono i piedi a vicenda, ma a loro questo non importava.

Ridevano dei loro errori.

Era soltanto un semplice ballo tra fanciulli con niente di particolare.

Non vi era alcun secondo fine in quella danza.

Nessuna malizia.

Soltanto loro e il forte legame di amicizia che li legava l'un l'altra.

Bastava quello.

Nient'altro.

Un ultimo ballo da bambini.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro