Intro
4 aprile
Dabi si tirò più giù il cappuccio mentre uscivano dalla stazione di Minowa.
«Lo sai che o-».
«Taci. E tirati su la mascherina.»
Tomura voleva ucciderlo, farlo soffrire lentamente mentre guardava le sue membra bruciacchiate sgretolarsi poco a poco. Come si permetteva di parlargli in quella maniera?
Affrettò i passi e si parò davanti a Dabi, puntandogli l'indice al petto: «Porta rispetto!»
Dabi gli lanciò uno sguardo di sfida, assottigliando gli occhi cerulei e alzando il mento quanto bastava per lasciare scoperto il collo: «Altrimenti? Cosa vuoi fare? Uccidermi in una zona che non conosci minimamente senza il piccolo John a riportarti a casa intero? – la mano schiaffeggiò quella di Tomura – Finiscila e seguimi.».
Il numero di persone che affollavano la strada principale a quell'ora della sera era impressionante e non aveva nulla da invidiare alla calca che di solito era possibile trovare a Shibuya e, per quanto fossero due pericolosi villain, gironzolare per quelle strade non era per loro poi tanto rischioso.
Funzionava così a Yoshiwara, una zona piena di stradine con un'infinità di locali per chi era alla ricerca un certo tipo di divertimento e dove tutti si facevano gli affari propri, senza porre alcun tipo di domande inopportune.
Così camminava spedito, con le mani ficcate nelle tasche dei jeans scuri, ghignando di quel ragazzo petulante che lo seguiva come un cane.
«Cazzo! Dove stai andando! Rallenta!»
Dabi un po' se ne stava pentendo.
Primo perché non era certo il tipo da fare qualcosa per gli altri, qualcosa che, oltretutto per un motivo imprecisato, fosse stato egli stesso a proporre.
Secondo, non era solito condividere.
Che poi stesse per condividere la sua puttana preferita era un po' un controsenso, giusto?
«Smettila di lagnarti. Siamo arrivati.», e indicò il neon rosa fluo che campeggiava sopra l'entrata del palazzo.
Tomura gli si affiancò, col naso all'insù per osservare quella fastidiosa insegna e gli occhi assottigliati dalla diffidenza, prima di guardare il compagno abbassarsi il cappuccio e sistemarsi i capelli con una mano.
«Dove mi hai portato?».
Gli occhi azzurri di Dabi saettarono nella sua direzione, esprimendo tutto il fastidio che provava nello stare in compagnia di quel disagiato del suo capo: non aveva mai avuto alta considerazione di Shigaraki, forse nemmeno si sopportavano a vicenda. Tuttavia, era una persona a cui, nel bene o nel male, doveva obbedire.
Il loro primo incontro era stato un disastro e, appena ne aveva l'occasione, Dabi sgattaiolava via da quell'accozzaglia di persone che era la League of Villain. Quando non era in giro a cercare adepti o a portare a termine una qualche inutile missione, si rifugiava in quel posto. Al "Cherry Soap" non prestavano attenzione a chi tu fossi o a cosa facessi, tanto che si ritrovava spesso a veder entrare e uscire da quelle porte dai vetri fumè facce note della politica, qualche eroe di bassa lega e qualche poliziotto.
Yoshiwara era una specie di zona franca per tutti, come lo era anche Kabukicho, ma troppo commerciale e gremita di turisti per i gusti di Dabi.
«È il tuo cazzo di compleanno, no?».
Tomura rimase interdetto a sentire quella domanda: «E quindi?».
«Quindi niente. Seguimi.».
E fu così che i due salirono i pochi gradini che li separavano dalle porte, entrando in quello che aveva tutta l'aria di essere un hotel di lusso.
«Non dire nulla. Lascia fare a me. – Dabi lo osservò di sottecchi – Non azzardarti a dire né il mio nome né il tuo, chiaro?» e Tomura annuì. Non era solito farlo, ma si ritrovò preda di uno strano nervosismo, che lo portava a grattarsi furiosamente il collo e a guardarsi intorno con aria sospettosa, perché Dabi era sempre per le sue, misterioso il più delle volte e non certo loquace con nessuno dei componenti della squadra. E quell'improvvisa domanda e quel posto così lontano dai loro standard lo rendevano inquieto, tanto da seguirlo docilmente e stargli quasi incollato al fianco davanti alla reception, dove una ragazza giovane e carina stava digitando velocemente su una tastiera.
«A che nome la prenotazione, mi scusi?».
«Takibi.» e fu in quel momento che Tomura capì l'affermazione precedente di Dabi: ovviamente non avrebbero potuto usare i loro veri nomi, a meno che non volessero essere scoperti come degli idioti.
La ragazza annuì: «Trovato. Aveva prenotato il pacchetto "bath, mat and bed". Me lo conferma?».
«Bath, mat and bed?», sibilò con una punta di sorpresa Tomura.
Non vide il ghigno di Dabi, coperto dalla mascherina, ma ne percepì l'entità da come i suoi occhi si assottigliarono: «Fidati, Ichirō. – fece una breve pausa - Confermo. Per due. E ho chiesto anche di riservarmi la numero 6.», e dicendo quello, fece scivolare una busta chiara sul bancone.
Il loro scambio di sguardi venne interrotto di nuovo dalla dolce voce della receptionist, che aveva appena ritirato la busta e messo al suo posto un paio di tessere: «Allora...le confermo la prenotazione della 6. Vi lascio le vostre chiavi elettroniche e potete accomodarvi nella sala d'attesa laggiù...».
Entrambi si spostarono dove aveva indicato la ragazza, sedendosi su delle scomode poltroncine di velluto blu.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro