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Capitolo 7

Delle urla mi riportarono alla realtà, spaccandomi i timpani. Suoni fastidiosi che, mi resi conto solo una volta del tutto sveglia, provenivano da me.

Il cuore minacciava di saltarmi fuori dal petto e vari tremiti scuotevano il mio corpo, impedendomi di fermarli. Respiravo rapidamente senza assumere mai una quantità soddisfacente di aria, mentre la testa iniziava a girare per la mancanza di ossigeno.

«Calmati, Lucrezia. È tutto ok, non è successo niente.» La voce di Darrell mi riscosse, facendomi rendere conto solo in quel momento che lui era lì accanto a me.

Mi guardai intorno intimorita, ma mi ritrovai davanti solo la muratura in legno d'acero e il caldo camino della mia camera. Non c'era traccia di quell'ambiente angusto, non vi era nessun dottore pericoloso o ragazzino inquietante. Eravamo solo io e lui, baciati dalla luce del sole che entrava tenue dalla finestra.

«Era solo un brutto sogno» mi informò Darrell, vedendomi spaesata.

Mi presi un attimo per respirare e riorganizzare le idee. Era stato solo un sogno, era evidente. Ma allora perché era sembrato così dannatamente reale? Le ferite facevano incredibilmente male nel punto in cui... Era come se io fossi... lui! Ero stata chiamata capelli bianchi. La mente aveva deciso di giocarmi brutti scherzi? Stavo impazzendo? Darrell aveva detto il giorno prima che gli incubi erano immagini che la mente voleva mostrarci. Allora perché la mia mente mi stava mostrando quelle cose? Proprio quando avevo sperato di poter ricominciare.

«Luki?» mi chiamò Darrell, ma non riuscii a focalizzare la mia attenzione su di lui.

All'improvviso sentii qualcosa, un barlume nella mia anima fredda che si riaccendeva, riportando la vita in un corpo vuoto che si muoveva per forza dell'abitudine. Sentii lui.

«Dante!» urlai alzandomi dal letto, come se chiamarlo potesse farlo tornare da me. I miei piedi incontrarono pavimento freddo congelandosi all'istante, ma non mi interessò. Non sentivo nemmeno Darrell che probabilmente mi parlava, era come se la realtà non fosse più importante. Mi isolai dal mondo intero per riuscire a sentire di nuovo quella punta di esistenza che mi avrebbe confermato di non essermelo immaginato.

«Dante?» chiamai di nuovo, questa volta a voce più bassa, quasi implorante. Ero alla disperata ricerca di una consapevolezza. Purtroppo però, essa non arrivò, facendo diminuire sempre più la grande speranza che aveva acceso il mio essere per quei pochi istanti.

«Lucrezia... avanti, vieni giù insieme a me» riprovò Darrell, non sapendo per la prima volta come comportarsi con me. Credeva mi fossi immaginata tutto, ma non era stato così! Tutto quello che avevo visto e che avevo sentito doveva essere per forza reale.

Mi voltai verso di lui, guardandolo fisso negli occhi con rinnovata determinazione. Entrai nella sua mente come una furia, dimenticandomi completamente di essere delicata. All'inizio mi respinse a fatica, dandomi il permesso di entrare solo una volta assicuratosi che non gli avrei arrecato alcun danno. La mente era molto delicata e risultava facile procurare un mal di testa a qualcuno solo violandola.

Condivisi con lui le immagini del sogno, la sensazione reale e tangibile che, per un solo istante, aveva brillato nella mia anima.

Sentii Darrell incredulo alle mie rivelazioni, poi isolò completamente le sue emozioni distaccandosi da me. Si chiuse dentro di sé, prendendosi lunghi attimi per riflettere mentre io, approfittando dell'occasione, continuavo a cercare qualche altro indizio che mi rivelasse che lui fosse davvero vivo. Non poteva essere il contrario. Non dopo aver sperato, non dopo aver riacceso il mio animo, e non dopo che lo avevo chiamato di nuovo per nome.

«Potrebbe essere vero» asserì Darrell all'improvviso, distogliendomi dalla ricerca per attirare la mia attenzione sulle sue parole. «Ma potrebbe anche essere tutto un grande scherzo della tua immaginazione» concluse alla fine, lasciandomi sorpresa. Come poteva essere la mia mente a creare tutto ciò?

«Sono stato parecchio a contatto con la tua mente, Luki, e credimi se ti dico che non è stata molto stabile, ultimamente.»

Distolsi lo sguardo da lui perdendolo nel vuoto mentre riaffiorava nella mia mente tutto ciò che era accaduto recentemente. Solo ripensarci faceva incredibilmente male, ma dovevo rendermi conto di me stessa. Mi sentii come un guscio vuoto, un automa che si muoveva sospinto dalla stessa forza che faceva comunque girare il mondo nonostante lui non ci fosse più. Quella forza che spingeva avanti i fatti, crudele e spietata, incurante del dolore e del vuoto che sentivo dentro. A dispetto di ciò, però, ero sicura della veridicità di tutto ciò che avevo visto in sogno. Avrei messo tutta me stessa in quella speranza, e se non si fosse verificata reale, avrei perso. Tutto, questa volta.

«Ehi. Non pensarci molto, ora. Ok? Ho bisogno di parlarne con Ace.»

Annuii e gli assicurai che stavo bene, altrimenti non se ne sarebbe mai andato. Riuscii alla fine a rimanere sola così da potermi lavare e vestire. Tentai ancora di stabilire un contatto, ma inutilmente.

Darrell mi aspettava in tavola quando scesi, ma mi rifiutai di fare colazione. Solo il pensiero di mangiare qualcosa di dolce mi faceva rivoltare lo stomaco.

«Non mi aspettavo che viveste il legame in questo modo» osservò Darrell invece di incitarmi a mangiare. Le fette biscottate erano state accantonate in un angolo e lui sembrava non voler insistere, per fortuna.

Lo guardai interrogativa, curiosa di sapere il suo punto di vista ma ancora titubante di potergli dare una risposta.

«È molto più... personale di quanto pensassi» concluse.

«È come se fossi... lui» gli spiegai. La mia voce si spezzò sull'ultima parola, ma Darrell capì comunque.

«Allora deve essere davvero scomodo» tentò di ironizzare, ma non riuscii a sorridere alle sue parole. Avrei dato qualsiasi cosa per provare quella scomodità ancora una volta.

Quel pomeriggio Darrell contattò Ace sul patio, come al solito, ma lui sembrò dubbioso sulle nostre rivelazioni. Per la prima volta da quando era tornato all'Istituto, comunicai con Ace rivolgendogli direttamente la parola. Sembrava molto più stanco e trasandato del solito, ma non mi lasciai intimidire da quel fatto: doveva sapere tutto. Parlai così tanto che lo vidi sorprendersi, preoccupandomi di esporre ogni minimo particolare che, secondo me, era prezioso. Non tralasciai nulla, non sapendo se qualche dettaglio poteva essere quello decisivo.

«Ragazza mia... potrebbe essere tutto uno scherzo della tua immaginazione» si limitò a rispondere lui alla fine, imitando le parole di Darrell di quella mattina. Non mi credeva. Nessuno aveva fiducia in me. Mi sentii tradita dalla sua affermazione: dopo che avevo esposto per filo e per segno quelle sensazioni vere e tangibili, lui mi stava dicendo di essere impazzita.

«Non è così!» urlai, alzandomi in piedi. Trattenevo a stento la furia, riversando nelle mie parole e nel mio sguardo tutta la delusione che provavo per l'affermazione di Ace.

Il Mentalista mi osservò con una punta di interesse, ritirando fuori il Darrell di sempre, quello che, ultimamente, era stato semi sepolto dalla sofferenza.

«Calmati, bambina. Potrebbe esserlo come no, non possiamo sapere quale sia la verità. Per il momento teniamo questa cosa tra noi e, se davvero è come dici, arriveranno altri segnali.» Il suo tono calmo mi irritò nel profondo.

«E se fosse in pericolo? Se avesse poco tempo?» Le ferite e il dolore che avevo sentito durante il sogno erano così estese che avrebbe potuto davvero non farcela! Per la prima volta da quando mi ero svegliata, temetti di averlo ritrovato per perderlo subito dopo.

«Non possiamo fare niente, ora come ora.» Al suo ennesimo diniego, non riuscii più a trattenermi. Un vento impetuoso scosse le fronde degli alberi e il tavolino che avevamo davanti cedette, facendo cadere il portatile a terra. Ace non poté vedere il mio volto, ma riuscì comunque a sentirmi nitidamente mentre gli parlavo un'ultima volta.

«Era come un figlio per te! Tu eri suo padre! Possibile che ora non ti importi più niente?» La mia voce era irriconoscibile, distorta da un accenno di follia incontrollabile. Darrell raccolse il portatile e mi allontanò delicatamente da esso, guardandomi con un'espressione severa.

«Basta così.»

Non era arrabbiato con me, ma affrontare il capo in quel modo era troppo persino per uno come lui. Fuggii lontano. Avevo detto parole molto brutte, che mi scossero, facendomi pentire immediatamente di ciò che avevo fatto. Spinta dalla frustrazione, tirai un potente gancio contro il tronco ruvido di una palma. Una scintilla esplose nel punto del contatto, annerendo il solco che la mia mano aveva lasciato sul legno vivo. L'albero venne profondamente scosso ma non cadde, così continuai a colpirlo in lacrime, finché le mie nocche non si ricoprirono di sangue e cenere. A quel punto mi gettai a terra e cercai di calmarmi, seguendo il mio respiro. Non era così che avrei risolto la situazione. Dovevo sentirlo di nuovo, dovevo avere le prove che fosse in vita.

Mi alzai tremante e, come il giorno precedente, mi rifugiai in spiaggia, lasciando all'acqua salata il compito di lavare via il sangue dalle mie ferite.

La possibilità che lui potesse essere vivo senza avermi mai contattata mi spaventava e mi faceva sentire inutile al tempo stesso. Se tutto questo tempo c'era stato, dov'era ora? Perché non lo sentivo? E perché me ne stavo lì ferma a non fare niente quando lui poteva davvero esserci?

Tornata dalla spiaggia, evitai deliberatamente Darrell. Ormai ero diventata brava ad allontanare le persone da me, quindi non fu difficile. Quel ragazzo poi, non era un tipo insistente, quindi mi lasciò in pace quasi subito. Andai a dormire con la speranza e il timore di vederlo di nuovo in sogno, e, alla fine, così fu.

Un rumore corse a intromettersi tra i miei sensi ottenebrati, richiamandomi bruscamente alla realtà. La porta si chiuse pesantemente mentre alcuni passi si dirigevano lenti verso di me. Irrigidii le spalle, tentando miseramente di difendermi da un imminente colpo, ma esso, fortunatamente, non arrivò.

La luce era tornata a illuminare la stanza, dandomi ancora una volta la possibilità di rimirare il pavimento ammuffito sul quale i miei piedi poggiavano a malapena. Appese al soffitto tramite i polsi, le braccia avevano perso ogni tipo di sensibilità e nemmeno le ferite facevano più male. Perdere due arti in quel modo avrebbe dovuto sconvolgermi, eppure l'intontimento che sentivo mi rendeva molto meno vigile di quanto avessi voluto.

«Bene. Sei ancora vivo. Ammirevole. Fino a qualche ora fa, qui dentro la temperatura si è aggirata intorno agli zero gradi. E tu non ne hai sofferto minimamente.»

Era di nuovo la voce del ragazzino. Sorrisi maligno, pensando che, essendo un changer, probabilmente mi invidiava. Ecco perché mi aveva chiesto con così tanta urgenza come avessi sviluppato la mia resistenza: la voleva anche lui, così da poter diventare imbattibile. Un changer senza debolezza era molto più di uno con una debolezza, e su questo non ci pioveva.

Una stilettata mi trafisse il fianco sinistro, scalfendo a malapena la pelle ma arrivando al suo scopo, ovvero quello di arrecarmi dolore senza sfinirmi troppo. Il ragazzino mi voleva vivo, ma non gli importava di ferirmi, anzi lo faceva volentieri. La risata mi morì in gola, sostituita da un gemito involontario.

Sentii improvvisamente dei rumori metallici che mi distrassero dalla ferita, poi mi ritrovai improvvisamente a precipitare verso il basso. Preso alla sprovvista, caddi a terra e mi accasciai su me stesso, incapace di muovermi. Le braccia mi ricaddero addosso come fossero morte, e probabilmente era proprio ciò che sarebbe successo se fossi rimasto appeso per ancora molto tempo. La sensazione spiacevole degli arti che sembravano non appartenermi più mi tormentò, ma presto venni distratto da altro. Sentii un dolore acuto in testa, mentre una mano mi afferrava malamente i capelli, togliendomeli dal volto e sollevandomi a malapena tramite essi. Mi ritrovai faccia a faccia con quei temibili occhi color del mare, così familiari e sconosciuti al tempo stesso. I lineamenti infantili di quel viso lo facevano apparire angelico nonostante conoscessi bene la crudeltà che era in grado di esternare.

«Ti conviene parlare, changer!» mi urlò in faccia, così vicino da poter sentire il suo respiro sulle mie guance. Molto strano il modo in cui mi aveva chiamato, come se non lo fosse anche lui.

Non potei fare altro che guardarlo inerme. Sebbene fossi completamente slegato, non potevo muovermi, un po' perché avevo i muscoli atrofizzati, un po' per lo sfinimento che permeava le mie membra. Da quanto non mangiavo? Da quanto ero lì? La gola bruciava per la sete, mentre lo stomaco sembrava stringersi in una morsa per la fame.

«Dannazione!» imprecò il ragazzino, lasciandomi i capelli e scalfendo la mia guancia con il pugnale che teneva in mano, con il quale, probabilmente, aveva colpito anche il mio fianco.

Strinsi i denti, ma non mi abbandonai al dolore. Chiusi gli occhi per mantenere il controllo, mentre lui si allontanava da me e riprendeva a camminarmi intorno.

«Quanto ancora vorrai resistere prima di dirmelo?» chiese, non aspettandosi davvero una risposta. Fu proprio per quello che gliela diedi.

«Ciò che posso dirti non ti interesserebbe.»

Il ragazzino si fermò sorpreso, poi ricominciò a camminare, questa volta verso la porta.

«Tsk. In ogni caso parlerai comunque, prima o poi. Così come mi rivelerai dove si nascondono i tuoi maledetti compagni.»

La sua freddezza mi sorprese, ma sapevo che non avrei mai e poi mai tradito i miei fratelli. Non c'era bisogno nemmeno di permetterlo a me stesso, tanto era forte quella convinzione.

Mi accasciai a terra tra la muffa e gli scarafaggi, mentre i capelli mi ricadevano sul viso in una cascata ghiacciata. Ero l'unico punto bianco in quella stanza piena di oscurità e ombre. Per qualche motivo il pensiero mi diede forza, mentre stavo quasi per cadere in unsonno dovuto alla stanchezza e alla spossatezza. Ma si sa, prima di dormire ci si sente sempre forti, così distaccati dalla realtà ma ancora ancorati a essa da poter formulare un pensiero, sebbene esso non sia del tutto concreto. E in quel momento, il mio pensiero fu che sarei sopravvissuto.

«Sei sicuro di quello che dici? Se dessimo l'allarme potremmo creare scompiglio per niente. Potremmo far sperare tutti per una cosa che non è vera.»

Una voce mi riportò alla realtà facendomi uscire da quell'incubo che sembrava voler riempire ogni mia notte. Mi tratteneva, allungava i suoi artigli verso di me catapultandomi in uno stato di ansia che sembrava reale quanto lo erano state quelle immagini.

«Io sono sicuro che lo abbia sentito, ma non so di preciso cosa significhi. Penso però che valga la pena tentare» disse Darrell accanto a me, più vicino di quanto avessi voluto. Aveva preso la cattiva abitudine di farsi ritrovare nella mia stanza al mattino, a quanto pareva.

«Che ci fai qui?» gli chiesi dopo aver aperto gli occhi, cercando di apparire scocciata. Tutto ciò che mi uscì fu, però, un tono curioso. Era indubbiamente Ace all'altro capo del telefono, e se lo chiamava così presto, significava che era per una cosa importante.

«D'accordo. Ne parlerò con Elijah. Tenetevi pronti per le undici.» Riattaccò senza nemmeno salutare, lasciandoci soli.

Guardai l'orologio: erano quasi le dieci. Cosa avremmo dovuto fare nel giro di un'ora?

«Pronti per cosa?» gli chiesi, mettendomi seduta. Tralasciai l'indignazione per averlo trovato in camera mia al mio risveglio, rapita dalla curiosità totale che la conversazione con Ace aveva scaturito.

«Hai avuto di nuovo un contatto» osservò, gli occhi che quasi gli brillavano.

Improvvisamente capii che si riferiva al sogno che avevo fatto: aveva spiato la mia mente e visto tutto. Non riuscii ad adirarmi per essere stata violata mentre dormivo, anzi, al contrario, ne fui felice. Per la prima volta mi credeva sul serio e aveva addirittura informato Ace riguardo i miei sogni.

«Non guardarmi così. Ti aspetto giù» fece tutto allegro, mentre non riuscivo a staccargli gli occhi spalancati di dosso. Il suo sorrisetto sghembo mi fece rendere conto che fino a quel momento avevo avuto davanti uno sconosciuto, mentre ora Darrell era tornato il solito. Per qualche motivo la cosa mi infuse nuova energia, che mi permise di correre fuori dalla stanza e inseguirlo.

Lo intercettai in cima alle scale e gli presi un polso con vigore, tirandolo verso di me in un abbraccio. Ignorai completamente le fitte inviate dall'arto ferito, che ormai era sulla via di guarigione.

«Tu ci credi!» urlai contro il suo petto sfogando tutta la mia euforia. Il suo profumo permeò le mie narici e mi sentii finalmente capita. Non importava se aveva violato la mia mente per arrivare a ciò, era stato necessario, e in quel momento lo adoravo più di ogni altra persona perché grazie a lui potevo forse arrivare nel posto dei miei incubi.

Darrell mi staccò da sé e mi guardò fisso negli occhi con una scintilla di speranza nello sguardo.

«Sì, Luki» mi disse. «Dante è vivo.»

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