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Capitolo 4

Mi svegliai, quella mattina, pronta a svolgere la solita routine che ormai avevo imparato a seguire quasi inconsciamente. Era solo il sesto giorno che mi trovavo lì, ma avevo ben imparato a tenere al di fuori qualsiasi emozione, immergendomi nell'abitudine. Al mattino scendevo e salutavo Darrell che era già sveglio da un pezzo, rifiutavo la colazione senza nemmeno impegnarmi troppo e attendevo il pranzo sul patio, ascoltando il rumore del mare in lontananza, la mente vuota. A pranzo mi obbligavo a mandare giù qualcosa, mentre il pomeriggio lo passavo con Darrell che cercava di fare conversazione, mostrandomi anche ogni tanto Ace al di là dello schermo di un portatile. Non gli avevo mai parlato, fissandolo in modo vacuo senza poter fare nulla per cambiare le cose. Cenavo presto e mi rifugiavo in camera subito dopo con la scusa della doccia, attendendo lo sfinimento mentre osservavo il soffitto. A parte il pomeriggio, il Mentalista non provava a iniziare un discorso con me, capendo forse che sarebbe stato inutile. Se capitava di avere un contatto, era perché iniziavo io a rivolgermi a lui per prima, anche se raramente lo facevo.

Quel giorno non sarebbe andata diversamente, quindi mi preparai a salutare con un cenno del capo il ragazzo che ogni mattina mi aspettava seduto al tavolo. Alzai gli occhi dalle scale e la mia attenzione venne per un momento ridestata, richiamata a galla dalla mancanza dell'abitudine.

Darrell non c'era. Molto strano. Era costantemente apprensivo nei miei confronti e non c'era stato un giorno in cui non era stato lì ad aspettarmi.

Forse era uscito, ma la cosa era poco probabile. Difficilmente si allontanava dalla casa lasciandomi sola. Era successo solo una volta, quando era andato a recuperare delle provviste da una barca che ci portava rifornimenti. Non avevo fatto domande, non mi era interessato, ed ero rimasta lì ad aspettarlo dopo tante apprensioni e indecisioni da parte sua.

No, non poteva essersene andato senza dirmi nulla. L'alternativa dunque era una sola: stava ancora dormendo. Pazienza, avrei fatto finta di nulla pur di non abbandonare la mia amata routine. Feci dietrofront e risalii le scale, pronta a tornare in camera mia per riscendere dopo un po'. Non avrei mai creduto che l'assenza di Darrell mi potesse sconvolgere così tanto, però, purtroppo, dipendevo totalmente dalle situazioni abitudinarie a cui mi appoggiavo per non pensare ad altro, e lui ne faceva parte.

Arrivai in cima alle scale e iniziai a percorrere i pochi passi che mi separavano dalla mia camera, continuando a tenere vuota la mente.

Un gemito però mi distrasse dalla mia avanzata, facendomi arrestare bruscamente davanti alla porta del ragazzo. Tesi l'orecchio, vigile, ma non sentii niente, quindi feci spallucce e mi accinsi a muovere un altro passo nella speranza di essermi sbagliata e non dover fare uno strappo all'abitudine.

Un altro lamento, questa volta seguito da respiri corti ma pesanti, attirò nuovamente la mia attenzione, risvegliandomi momentaneamente dall'apatia che mi circondava.

Rimasi in ascolto, poggiando il lato destro del viso sulla porta di legno, trattenendo il fiato per eliminare anche il più piccolo rumore. Il respiro incessante di qualcuno che soffriva arrivò alle mie orecchie, facendomi mancare un battito. Darrell era in pericolo? Un altro gemito spezzò in silenzio e, ora che lo sentivo meglio, somigliava più a un grugnito di dolore. Qualcuno gli stava facendo del male?

Improvvisamente il mio cuore si colmò della paura di perdere un'altra persona a me cara e di rimanere priva anche dell'ultima speranza alla quale mi stavo aggrappando da giorni senza nemmeno rendermene conto. Urlai il suo nome a pieni polmoni, abbassando la maniglia per fare irruzione in camera sua. La porta, però, non si mosse di un centimetro, quindi diedi una testata al duro legno nel momento in cui tentai di varcarla.

«Luki?» La sua voce sembrava controllata e non quella di qualcuno nel bel mezzo di un combattimento. Non traspariva dolore da quella sua unica parola, sebbene potessi ancora sentire il suo respiro pesante attraverso la parete.

«S-stai bene?» gli chiesi titubante, quasi non riconoscendo la mia voce dopo tanto tempo. In quel momento mi resi conto di aver parlato per la prima volta da quando ero entrata in quello stato quasi confusionale che mi proteggeva.

Darrell ci mise un po' a rispondere, smuovendo qualcosa all'interno della stanza. «Sto bene, non preoccuparti. Ho fatto un brutto sogno» rispose sbrigativo, consigliandomi poi di aspettarlo di sotto.

Le sue parole non mi convinsero, sembrava mentire. Darrell era sempre stato pieno di sé e carico di una sicurezza e sfacciataggine che ne forgiavano il carattere, impedendogli di risultare insicuro. In quel momento invece era apparso quasi preoccupato di qualcosa.

Inquieta, scesi e mi sedetti sul divano in attesa, riflettendo a fondo su quanto tenessi a quel ragazzo. Pensare di non averlo più con me era qualcosa che all'improvviso mi terrorizzava; qualcosa a cui non avevo pensato ma che, appena se ne era mostrata per caso l'occasione, mi aveva quasi traumatizzata.

Cercai di smettere di pensarci, vedendolo scendere per raggiungermi in salotto. Lo osservai a fondo, improvvisamente più vigile di prima, alla ricerca di qualcosa che mi facesse intuire che stesse male o che fosse ferito.

«Non guardarmi in quel modo» mi disse quasi stizzito. Era di nuovo lui. Sentire il suo tono di sempre mi fece sorridere. Il mio primo vero sorriso dopo tanto tempo era dovuto al fatto di vedere che Darrell fosse tutto intero e che non avesse problemi gravi. Non mi scordai, tuttavia, di ciò che avevo sentito prima.

«Ti ho sentito e... credevo fossi ferito e poi...» Le parole mi mancavano. Tutto quel tempo in silenzio aveva quasi inibito le mie capacità colloquiali

«Luki, sto bene» mi zittì lui, avvicinandosi a me pianissimo, quasi chiedendomi il permesso.

«Non ne sono sicura» affermai, esponendo le mie paure. Se aveva qualcosa che non andava avrebbe dovuto dirmelo.

Darrell fece una smorfia, coprendo la distanza di mezzo metro. Non smetteva di avanzare e io non lo interrompevo. Avevo improvvisamente bisogno di sentirlo e di accertarmi che si trovasse davvero davanti a me e che non fosse solo un miraggio. Negli ultimi giorni la vicinanza tra noi era stata quasi un tabù. Non gli permettevo nemmeno di sfiorarmi per sbaglio, ritraendomi appena la sua pelle veniva a contatto con la mia. Era una cosa che non sopportavo, mentre adesso la sentivo quasi come una necessità.

«Ogni tanto soffro anche io per la mancanza. Non credere che per me sia facile» affermò serio come non l'avevo mai visto, perforandomi con i suoi occhi scuri ma brillanti. A volte sembravano quasi risplendere di luce propria, attirando l'attenzione su sé e distogliendola da tutto il resto.

Evitò deliberatamente di specificare quale mancanza e glie ne fui grata. L'idea di Darrell che soffriva per lui, però, sfiorò davvero la mia mente per la prima volta, tanto naturale quanto strana. Non perché fosse una persona cattiva, anzi, però non avevo mai immaginato prima che Darrell potesse soffrire. Non era da lui e basta. Chiusa nella mia bolla protettiva, avevo ignorato tutto il resto, persino una cosa naturale come quella.

Ero sicura tuttavia che non stesse piangendo prima. Non sembrava rumore di lacrime versate, quello che avevo sentito attraverso la porta della sua stanza. Più come se qualcuno lo stesse ferendo fisicamente. Inoltre, attraverso i suoi pensieri, lui stesso aveva rivelato di non riuscire a piangere per qualche motivo. A guardarlo però, sembrava tutto intero, quindi dovevo per forza essermi sbagliata.

«Lo so. So quanto sia difficile» la mia voce tremò e lui mi guardò sorpreso. Non si aspettava qualche genere di reazione da parte mia e, a dire la verità, nemmeno io.

Fui mossa da un bisogno improvviso quando, dopo aver ricacciato indietro le lacrime, lo abbracciai, tenendolo stretto. Il ragazzo ricambiò non appena si rese conto di cosa stesse realmente succedendo, incredulo ma apprensivo.

La mattina, quel giorno, la passammo così, a rincuorarci a vicenda senza l'uso delle parole, riscaldandoci grazie alla vicinanza dei nostri cuori feriti.

«Hai fame?» chiese Darrell dopo un po', passando il naso tra i miei capelli.

Un brivido mi percorse la schiena mentre annuivo, cercando di allontanarmi. In realtà non avevo fame, però, come tutti i giorni, avrei mangiato a forza.

Ebbi l'occasione di osservare Darrell che cucinava. Di solito non lo guardavo, limitandomi a fissare il vuoto finché non avevo qualcosa nel piatto alla quale prestare una piccola parte della mia attenzione. Potei, così, rendermi conto di quanto si impegnasse in qualunque cosa facesse, che fosse tagliare, saltare oppure semplicemente aggiungere sale. Sembrava così preso che se l'avessi chiamato non mi avrebbe sentito. Evidentemente lui aveva un modo diverso dal mio di allontanarsi dal dolore: impegnarsi con qualsiasi cosa potesse.

Come mi aspettavo, il pranzo fu semplice ma squisito e lo terminai per la prima volta, complimentandomi con Darrell tramite il legame mentale che ormai mi veniva normale instaurare ogni tanto. Preferivo quello alla voce, alla quale non ero più abituata.

«Sai, nonostante io sia un Mentalista, non ho mai avuto con nessuno queste specie di chiacchierate mentali. Non è una cosa che tra di noi si fa spesso.» Darrell spezzò il silenzio, preferendo le parole.

Mi alzai e sparecchiai la tavola, rendendomi conto che fino a quel momento non avevo mai fatto niente per aiutare nelle faccende di casa.

«Non sei obbligata...» iniziò subito lui.

«Sono stata un peso fino ad ora» lo bloccai io, obbligando i suoni a uscire dalla mia bocca, mentre riponevo l'acqua in frigorifero e i piatti vuoti nel lavello.

«Luki, tu non sei mai un peso per me» sussurrò Darrell a pochi passi da me.

Mi fece prendere un colpo. Il secondo prima era seduto a tavola e l'attimo dopo ce l'avevo davanti. Lui non disse nulla sul mio spavento, continuando a fissarmi seriamente. Mi si avvicinò ancora, finché non me lo ritrovai a pochi centimetri di distanza. Potevo sentire il suo respiro caldo che mi sfiorava le guance, solleticandone la pelle. Pregai che non si avvicinasse ulteriormente, ma purtroppo lo fece, poggiandomi le mani sui fianchi in un tocco leggero. Il suo naso si ritrovò a scorrere piano sulla mia guancia, lasciandosi dietro una scia di fuoco.

Provai ad allontanarmi muovendomi agitata, in quanto, con le gambe contro il lavello, arretrare risultava impossibile.

Darrell se ne accorse, parlandomi attraverso la mente un'altra volta, forse per non darmi fastidio con la voce.

Non ho intenzione di fare niente che tu non voglia. Il suo tono era gentile e cauto, mentre il suo corpo immobile contro il mio. Al contrario di come aveva sempre fatto, mi stava dando la possibilità di scegliere. Il mio problema era di non essere in grado di decidere per me stessa.

Io... credo di provare qualcosa nei suoi confronti, riuscii a pensare, rifiutandomi categoricamente di usare il passato. Troppo doloroso.

È normale. Avevate quel legame, osservò lui, sfiorando con le labbra la mia guancia. Una lacrima sfuggì via al mio controllo, solcando la pelle e incontrando le sue labbra.

«Luki...» l'enfasi che diede al mio nome mi fece rabbrividire. L'aveva detto apposta ad alta voce solo per il gusto di sentire la parola tra le labbra, pronunciata piano contro il mio zigomo.

Non riuscii più a trattenermi, le lacrime uscirono fuori una dopo l'altra, completamente fuori controllo. Mi abbandonai in balia dei singhiozzi non provando nemmeno a smettere perché sapevo già che sarebbe stato inutile. Erano talmente forti che mi scuotevano il corpo da testa a piedi, rendendomi a malapena consapevole del resto. Sentii Darrell attirare la mia testa a sé e stringermi al suo petto, per poi tirarmi su e muoversi. Quando rialzai gli occhi mi trovavo in camera sua, ancora tra le sue braccia che mi adagiavano piano sul letto.

Non lasciarmi, lo pregai, stringendomi a lui come se fosse l'unica ancora di salvezza in un mare di disperazione e vuoto. L'unico ossigeno a disposizione in questa landa desolata in cui ero caduta non bastava a riempirmi i polmoni e mi mancava l'aria come se non respirassi da una vita.

Non lo farò, promise, sedendosi sul letto con me tra le braccia.

Mi sentii pian piano issare su una nave che mi cullò dolcemente, mentre il sole arido mi asciugava le lacrime, portandomi a esaurirle tutte.

Non seppi quanto tempo passò, ma finirono anche i singhiozzi e riuscii a riaprire gli occhi che avevo tenuto chiusi così forte che ora facevano male. La prima cosa che vidi fu la maglietta di Darrell zuppa di lacrime. Alzai lo sguardo verso di lui e notai che mi fissava comprensivo, quasi soddisfatto della mia caduta. Per me era stato un fallimento enorme: avevo sempre cercato di rimanere in quel mezzo stato di trance che mi aveva permesso di sopravvivere per molti giorni, mentre ora mi ero fatta portare via il mio scudo dalla debolezza, capitolando al dolore. Lui invece sembrava capire qualcosa che mi sfuggiva, pareva riuscire a cogliere il lato buono di ciò che era appena successo.

Ma un lato buono in tutto quello non c'era.

Finalmente ti sei sbloccata. Potrò sperare di riavere la mia Luki, ora? Darrell confermò i miei sospetti, sbalordendomi. Qualcosa nelle sue parole mi fece intuire che non sarei più riuscita a recuperare il mio scudo fatto di annullamento personale, non dopo ciò che era successo quel pomeriggio. In quel momento mi sentivo vuota, ma sapevo che il dolore stava ricominciando ad accumularsi granello dopo granello, pronto a esplodere non appena avessi avuto altre lacrime da versare.

Lucrezia è morta insieme a lui, pensai inconsciamente e Darrell sentì.

«No. Sei qui, rimani con me. Non lasciarmi anche tu.» Mi addentrai nei meandri del suo sguardo e scoprii nuovamente quanto fosse fragile, quanto si sentisse abbandonato e solo. Era quasi una supplica quella che mi aveva rivolto.

Mi avvicinai a lui sperando di poterci fare forza a vicenda e gli passai le braccia intorno al collo.

«Sono qui» sussurrai lentamente, per poi poggiare le mie labbra sulle sue.

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