Capitolo 1
Cinque giorni prima.
La porta venne aperta dopo ore e ore in cui ero stata sola, sorprendendomi in una situazione che nessuno avrebbe dovuto vedere. Dieci ore, mi venne detto in seguito, anche se a me erano parsi giorni, mesi, o addirittura anni. Le lacrime erano scese a fiotti, quasi disidratandomi, e insieme alla sofferenza si erano portate via qualunque tipo di emozione potessi provare. Il mio corpo aveva reagito da solo, mettendo in moto un tentativo di autodifesa per se stesso, che gli impediva di provare altro dolore.
Che senso aveva ancora vivere? Assolutamente nessuno. Proprio per quel motivo avevo deciso di intraprendere l'ardua scelta, quella che in nessun modo riuscii a portare a termine. Avevo pensato che con la Telecinesi sarebbe stato più facile, e invece era la stessa identica cosa che farlo con i gesti.
Nella stanza dei Guaritori c'erano molti arnesi da chirurgo che usavano per incidersi i palmi delle mani e curare chi ne aveva bisogno con il proprio sangue. Lasciarmeli era il miglior regalo che avrebbero potuto farmi.
Avevo provato in tutti i modi, ma né con la Telecinesi, né tantomeno con le mani ero riuscita ad avvicinare quella lama al collo con una velocità e forza che mi avrebbero permesso di morire sul colpo. Ogni volta si fermava prima, spinta dai miei riflessi inconsci che cercavano di preservare le mie membra allo stesso modo in cui aveva fatto, poco prima, la mente con se stessa. Ma il mio corpo non capiva che proprio in quel modo sarei morta dentro.
In ogni caso, quando la porta si aprì, i Guaritori mi trovarono con il bisturi a un palmo dalla pelle, che levitava muovendosi appena nell'aria. Inutile la loro preoccupazione, non ce l'avrei mai fatta a uccidermi, ma loro questo non lo sapevano.
Scatenarono un putiferio chiamando Ace e togliendo dalla mia portata qualsiasi oggetto tagliente o contundente.
Rimasi a guardarli nel mio stato di apatia per altre ore, perdendo completamente la cognizione del tempo e della mia persona. I bisogni primari divennero improvvisamente trascurabili, le parole si persero nei meandri della mia mente e non le usai più.
Poi, improvvisamente, uno di loro lo nominò. Nel mio cervello scattò qualcosa e il meccanismo di autodifesa si afflosciò inerme davanti al suo nome. Il dolore e la sofferenza tornarono più forti di prima, spinti dalla mano di quel Guaritore che l'avrebbe pagata cara per quello. La rabbia ribollì in me insieme all'indignazione. Come si permetteva di pronunciare il suo nome, quando nemmeno io, la sua metà, osavo farlo uscire dalle mie labbra?
Mi alzai immediatamente, dirigendomi piano verso di lui. A malapena feci caso al suo aspetto, per me era soltanto una figura come tutti, in quel momento poco più rilevante delle altre.
Lo afferrai in uno scatto fulmineo per il colletto della camicia e lo scagliai violentemente dall'altra parte della stanza, fissando per un istante i suoi occhi sgranati per la sorpresa. Avanzai minacciosa verso il ragazzo, accecata dalla sete di vendetta. Non si sarebbe più azzardato a nominarlo in quel modo.
Arrivai a pochi metri da lui, pronta a lanciare il mio prossimo attacco, ma in quel momento mi sentii pungere il collo, mentre diveniva tutto improvvisamente buio.
Bianco, fu tutto ciò che vidi non appena aprii gli occhi, cercando di distendere la schiena che mi faceva male. Ero stata troppo tempo rannicchiata e ora il mio corpo ne risentiva inviandomi fitte di dolore che però non erano niente in confronto a quelle che inviava il mio cuore. Il braccio bruciava per la ferita ma la mente la ignorava, limitandosi ad accogliere il dolore fisico come un amico che l'avrebbe distratta almeno un po' dal niente assoluto in cui era piombata. Da quanto avevo capito, i Guaritori non erano riusciti ad avvicinarsi abbastanza a lungo per poter provare a guarirla con la magia. Non sapevo nemmeno se potesse funzionare, non ci avevo mai provato prima. In ogni caso non sarebbero riusciti a farmi guarire con il loro sangue e di questo ero sicura. Nessun'altro poteva farlo, solo lui.
Il colore che mi trovavo davanti, aiutato dalle stilettate inviatemi dal mio arto, mi riempì la mente di ricordi che stavo cercando di rimuovere, scuotendo involontariamente il mio corpo in preda agli spasmi. Non avevo più lacrime da versare, mi limitavo a tremare.
Dopo interminabili attimi, la porta si aprì, e fu il finimondo.
A malapena mi accorsi che Ace stava cercando di parlarmi, iniziai il mio attacco ancor prima di vedere chi fosse, perdendomi in un attimo di insicurezza quando lo riconobbi. Non lo vedevo da quando era partito per studiare il legame che avevo con...
Con un grido rinfoderai i ricordi da dove stavano cercando di uscire e continuai il mio attacco, tentando di scagliarlo lontano con un vortice di aria incredibilmente potente. Ace però aveva già colto l'occasione per sparire dalla mia vista e apparire alle mie spalle, dove iniziò a parlare.
Mi isolai, cercando di non dare retta al suo tono basso e tranquillo, che sicuramente avrebbe cercato di consolarmi. Ancora una volta pensai alla mia difesa, raggiungendo la conclusione che, se avessi ignorato qualunque cosa che mi capitasse davanti, prima o poi avrebbero smesso di assillarmi. Volevo solo annullarmi, e così feci.
Mi rannicchiai ancora una volta ignorando le fitte che inviava il braccio e rimasi in quella posizione per giorni. Ogni tanto entrava qualcuno e io lo ignoravo, raggiungendo il mio obiettivo quando, dopo un po', chiunque fosse se ne andava.
Imparai a conoscere la stanza bianca nonostante alzassi gli occhi ben poco dalla mia posizione. Io ero seduta all'angolino tra la parete a specchio e quella più esterna. Dallo specchio sicuramente mi tenevano sotto osservazione attraverso quello che dall'altra parte era un vetro. Lo sapevo, ma poco mi importava. Alla mia destra c'era un letto che non avevo mai toccato in quei giorni, mentre alla parete più a destra vi era una porta che conduceva al bagno. Ogni tanto ero stata costretta a usarla poiché, sebbene rifiutassi deliberatamente ogni provvista che mi portavano, non potevo ignorare bisogni di quel genere.
La gola bruciava dannatamente dopo tre giorni che ero lì, ma mi rifiutavo di bere, chiudendomi in me stessa e non lasciando spazio a niente. Non seppi bene chi provò a entrare o parlarmi, ma chiunque tentò di toccarmi si ritrovò a volare contro la porta, in un chiaro invito a uscire e non tornare mai più. Era troppo facile, non serviva nemmeno che alzassi la testa.
Il quinto giorno – o almeno così credevo, dato che era impossibile dirlo –, dopo che la porta si aprì, non sentii nessuno provare a parlarmi o toccarmi in modo invadente. Continuai a rimanere ferma con la testa tra le braccia incrociate e i gomiti poggiati alle ginocchia piegate, nella speranza che, chiunque fosse, se ne andasse.
Sfortunatamente non fu così.
Una coscienza a me estranea premette contro la mia mente, chiedendo quasi il permesso per entrare. Riconobbi immediatamente la presenza: più di una volta avevamo condiviso pensieri o ricordi, quindi fui sicura. Solo lui avrebbe potuto tentare quel genere di approccio con me, solo lui sapeva perfettamente che avrebbe funzionato.
Mio malgrado, gli diedi il mio consenso, sentendolo mentre si sedeva a gambe incrociate al centro della stanza e si insinuava piano nella mia mente, cercando di non essere indiscreto. Lo sentii ritirarsi leggermente quando iniziò a esplorare piano la mia coscienza trovando un vuoto senza fondo, ma poi si fece coraggio e continuò ad avanzare verso di me, mostrandomi le sue sensazioni.
Vidi me stessa riversa a terra nel pavimento della stanza dello specchio, magra e fragile come non mai. Come potessi ancora controllare la mente per allontanare le persone con la mia magia, rimaneva un mistero. L'immagine di me era triste e cupa, contornata da un alone di sofferenza che, probabilmente, lui provava nel guardarmi. Ma non avevo bisogno di sentire altre emozioni, quelle che avevo avuto mi sarebbero bastate per l'eternità.
Mi chiusi a riccio, allontanando la mia mente dalla sua e proteggendomi dalle emozioni che mi stava facendo provare poco prima. Darrell capì il suo errore e mi chiese di nuovo il permesso di entrare, con la silenziosa promessa che non mi avrebbe fatto del male. Ne avevo però abbastanza, quindi mi chiusi in me stessa e pensai la parola "vattene" finché non lo sentii varcare effettivamente la porta.
Nei giorni seguenti il Mentalista venne a trovarmi spesso, anche due volte a giornata. La prima volta non lo lasciai entrare, ma durante la seguente non resistetti al desiderio di appoggiarmi a lui.
Potei percepire facilmente la sua felicità mentre le nostre menti si allacciavano, anche se tentava di sopprimerla per me che avevo messo bene in chiaro il fatto di non voler altre emozioni.
Subito dopo il primo impatto, ricevetti l'immagine di un ricordo sfocato di Darrell, che andava formandosi nella mia mente pian piano.
Sono seduto a terra accanto al letto, la testa abbandonata ad esso. Lo sguardo vaga tra le pareti della stanza, perso tra le mille sfaccettature del bianco, soffermandosi solo quando nota una cosa irregolare. È talmente insulsa che pare quasi invisibile, eppure c'è. Una piccola crepa nel muro accanto allo specchio, che distoglie la mia attenzione dal vagare e chiama a focalizzarsi lì sopra.
Improvvisamente la porta viene spalancata e il mio interesse viene catturato da altro, quindi volgo il mio sguardo verso il nuovo arrivato.
Un Ace poco più giovane di come lo conosco incrocia il mio sguardo, sorridendomi preoccupato, mentre lascia entrare una donna che non ho mai visto.
«Non è altro che un pericolo per tutti noi» dice scandalizzata, puntandomi con il dito contro mentre la osservo con lo sguardo penetrante. Vorrei entrarle nella mente e farle cambiare idea, ma mi trattengo, spaventato da ciò che io stesso sono in grado di fare.
«Non è un pericolo, posso garantire io per lui.» Una nuova voce entra nella stanza, mentre distolgo lo sguardo dalla donna, pronto a incrociarlo con due occhi di ghiaccio.
In un attimo torno in me, rendendomi appena conto che mi ha mostrato lui. Non l'ho proprio visto, ma la sua voce era inconfondibile e in qualche modo sapevo che era la mia metà.
Venni tuttavia distratta da altro, alzando improvvisamente la testa e osservando il punto in cui, nei ricordi del Mentalista, c'era una piccola e insignificante crepa nel muro. La cercai freneticamente con lo sguardo e alla fine la trovai: minuscola come la ricordava Darrell, l'imperfezione era nel punto esatto in cui l'avevo vista nel pensiero condiviso che mi aveva donato il ragazzo. Ciò poteva significare solo una cosa: anche lui, prima di me, era stato in quella specie di prigione. Ma quando? Perché? Nel ricordo condiviso, una donna che non conoscevo aveva detto che Darrell era un pericolo per tutti. Ma per quale motivo? Perché lo avevano rinchiuso?
Volsi i miei occhi verso di lui, scambiandoci sguardi a lungo. Gli chiesi silenziosamente di rispondere alle mie domande, ma lui mi mandò una contro proposta: voleva avvicinarsi.
Puoi avanzare solo di un paio di passi, gli concessi, dicendoglielo direttamente nella mente.
Distolsi lo sguardo per tornare alla mia posizione originaria mentre lo sentivo avanzare nel limite di quanto avevo stabilito. Adesso distava da me circa sei passi.
Un passo al giorno, lo sentii proporre forte e chiaro nella testa. Le sue parole risuonarono nella mia mente con la sua voce leggermente distorta. Fino a quel momento avevamo comunicato a sensazioni, quindi sentire la sua voce, anche se non con le orecchie, fu per me motivo di sconvolgimento. Non la udivo da quando mi aveva fatto duramente capire che lui non sarebbe più tornato.
Darrell accantonò i miei pensieri riempiendo la mia testa della prima cosa che gli venne in mente: ricordi di quando non ci conoscevamo e lui mi osservava da lontano per assicurarsi che fossi una changer. Furono così veloci e sfocati che non potei focalizzarmi su nessuno in particolare, ma riuscirono nell'intento di distrarmi.
Acconsentii al suo patto, pensando che averlo vicino non sarebbe stato un problema. Avrei sempre potuto cacciarlo via in qualsiasi momento come avevo fatto con gli altri changers.
L'immagine di Gabriel riempì la mia mente per un istante, proveniente dai pensieri di Darrell che non era riuscito a controllare. Cercò di nasconderla rapidamente, ma ormai l'avevo vista. Non avevo pensato al ragazzino in tutto quel tempo, erano successe così tante cose che non avevo proprio potuto permettermi di farlo. L'improvviso terrore che lui potesse essere stato uno di quelli che avevo scaraventato via con la Telecinesi mi ossessionò, spaventandomi nel profondo. Lui aveva sempre fatto così tanto per me, non mi sarei mai perdonata se gli avessi fatto del male.
Non è stato qui, mi rassicurò Darrell, mostrandomi il ricordo di Gabriel che voleva venire da me ma Ace glielo impediva.
Per qualche motivo non fui per niente sollevata dalla cosa, nonostante avessi scoperto che era salvo dalle mie brutte azioni.
Non lo farò venire finché non vorrai, mi comunicò Darrell, e glie ne fui grata.
Il Mentalista provò a interagire con me un altro paio di volte, poi, senza dire nulla, se ne andò, lasciandomi nuovamente sola.
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