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Dakota

Si guardò allo specchio del piccolo appartamento che aveva in affitto, poco convinto. Valeria se n'era andata da soli cinque minuti e lui aveva già la tentazione di rimuovere qualsiasi cosa riguardante quel costume e darsela a gambe da quella festa.

I maschi non si mascherano, pensò. Né, tantomeno, in questo modo, aggiunse ancora più orgoglioso.

Quello che vedeva davanti ai suoi occhi sembrava più un bambino vestito da carnevale che un ragazzo della sua vera età, complici anche i suoi lineamenti infantili. Valeria lo aveva truccato egregiamente, eppure tutto ciò non aveva fatto altro che peggiorare la sua situazione.

"Devi avere un costume in tono con quello di Fannie" gli aveva detto per giustificare le orecchie e la criniera da leone che gli faceva allergia.

«Al diavolo» si lamentò, e la scaraventò a terra, tenendo però le orecchie. Sapeva che se non si fosse mascherato avrebbe rischiato di deludere Fannie, e questo lui non lo voleva. Vederla sorridere era tutto ciò che desiderava, specialmente perché aveva scoperto che quei sorrisi, che lui riceveva spesso, raramente erano indirizzati a qualcun altro, e la cosa lo faceva sentire speciale.

Valutò un'ultima volta la chiazza intorno al naso e il pallino più scuro sulla punta e decise a malincuore che avrebbe tenuto il trucco, così come il completo composto da maglietta e pantalone beige e una coda legata alla vita. In ogni caso era tardi per cambiarsi.

Proprio mentre formulava quel pensiero, il campanello trillò, e lui attraversò il salotto impersonale per andare a rispondere. Le due grandi finestre prive di tende gli rivelarono che era già completamente buio, quindi guardò l'ora: le otto meno dieci, erano in perfetto orario.

«Scendo subito» annunciò, riagganciando dopo aver udito la risposta affermativa della ragazza che lo stava attendendo. Sembrava tranquilla, forse addirittura divertita. Non sapeva perché, ma se ne rallegrò. A volte era difficile avere a che fare con lei, anche se ce la metteva sempre tutta.

Proprio per non infastidirla, si chiuse la porta alle spalle e scese le scale in fretta. Raggiunse il portone del palazzo e la trovò dall'altra parte della strada, al posto di guida del suo Maggiolino rosso fuoco. Prima di raggiungerla, si guardò intorno circospetto per assicurarsi che nessuno lo vedesse in quello stato, poi attraversò la strada e si sistemò rapidamente sul sedile del passeggero.

Trovò la rossa sorridente, forse per via del suo comportamento guardingo, ma non riuscì nemmeno a offendersi per tutto ciò, troppo ammaliato da ciò che si ritrovava davanti.

Il vestito di Fannie era vertiginosamente corto, e proprio nel punto in cui finiva sulle sue cosce il suo sguardo venne ipnotizzato. Cercò di riscuotersi e focalizzò una grossa coda adagiata sul sedile accanto a lei, che spuntava fuori da dietro la sua schiena. Il materiale soffice e peloso con cui era fatta era lo stesso delle orecchie che sormontavano la sua testa su di un cerchietto, proprio come le sue. Al contrario di lui, però, sembravano starle così bene che per quanto lo riguardava avrebbe potuto tenerle per sempre. Il trucco che le ricopriva il naso e gli occhi si intonava perfettamente con tutto il resto, e le labbra, rosse come i suoi capelli fiammanti, erano la ciliegina su quella squisita torta.

«Sei bellissima» si lasciò sfuggire, ma subito si pentì di essere stato così espansivo e serrò le labbra mentre sentiva il calore affiorargli sulle guance. Distolse lo sguardo e pregò che lei non lo vedesse.

«Sai.» La voce della ragazza lo riportò a girarsi verso di lei, e le vide sul volto uno di quei sorrisi che rivolgeva solo a lui. «Ero scettica riguardo Halloween, ma mi sto ricredendo.» Le guardò le labbra morbide e desiderò che non smettessero mai di essere incurvate all'insù. Prima ancora che potesse esprimere la sua contentezza a riguardo, lei proseguì. «Non avrei mai potuto vederti vestito così, altrimenti.»

Quelle parole, rivolte a lui con quel costume ridicolo, lo avrebbero offeso se pronunciate da chiunque altro. Fannie però sembrava così genuinamente seria, come se lo apprezzasse davvero. E la cosa non faceva che imbarazzarlo ancora di più.

Come spesso si ritrovava a fare, si chiuse nel suo silenzio e non rispose, troppo impacciato per poter dire anche una sola parola. La rossa non sembrava prendersela o spazientirsi quando faceva così. Forse lo considerava come una sfida, a volte pensava che stesse aspettando l'occasione giusta per bucare la sua timidezza. In realtà, anche lui attendeva quel momento, tuttavia non era una cosa che poteva controllare: semplicemente non riusciva a guardarla se pensava a quanto era bella, femminile, provocante... mentre lui non era altro che un ragazzino troppo cresciuto nei panni di un leoncino.

Furono i primi ad arrivare a casa di Lucrezia. Hailey ed Elijah li accolsero in fretta, come se avessero appena finito di sistemare tutto. Della padrona di casa e il suo legato non c'era traccia, ma li raggiunsero poco dopo. Dakota ebbe così la possibilità di constatare quanto i costumi degli altri fossero molto più intriganti del suo, specie quello di Dante, il quale sembrava davvero un demone con quei vestiti scuri e gli occhi rossi, come il sangue che gli colava disegnato dai denti bianchissimi. Hailey era stata davvero una maestra con il suo vestito da cheerleader in stile horror, mentre Elijah... lui non aveva avuto gran stile, era stato se stesso, ma comunque non risultava carino come lui.

La festa iniziò prima che Valeria e Darrell li raggiungessero, così lui non ebbe nemmeno la sua amica con la quale lamentarsi per tutto ciò. Era stata lei a decidere il suo vestito dopo aver saputo quello di Fannie. Sospirò e decise di provare a non pensarci, nonostante la visuale di Dante lo mettesse un po' in soggezione. Quel changer sembrava provare qualche sorta di piacere sadico nel vederlo impacciato per colpa sua, ogni tanto lo fissava con sguardo assassino che si addiceva perfettamente al personaggio, ma poteva anche essere la sua immaginazione.

Tra un boccone di pizza, un bicchiere di birra e qualche chiacchiera, riuscì a dimenticare tutto e divertirsi. Si occupò insieme a Lucrezia e Hailey di dispensare caramelle ai bambini che suonavano e, quando si fece un po' più tardi, si riscoprì a ballare insieme agli altri finché non gli girò la testa. Forse aveva esagerato con la birra presente a tavola, quindi poggiò il bicchiere che aveva in mano senza sapere quanti altri ne avesse riempiti prima. Poteva essere il secondo come il decimo.

Quando il campanello suonò, il rumore gli rimbombò nella testa per un po', quindi si tappò le orecchie per cercare di farlo smettere. Una mano fresca gli prese la sua e la scostò dal suo viso bollente, poi gli alzò il mento in modo che si ritrovasse a guardare fisso negli occhi color cioccolato di Fannie.

«Tutto bene?» La voce di lei gli arrivò più distante di quanto si aspettasse. Sembrava distorta da una punta di preoccupazione che lo fece sorridere come un ebete. Si stava preoccupando davvero per lui? Ancora non riusciva a capire come una ragazza come lei desiderasse la vicinanza di uno come lui. All'Istituto era praticamente stata obbligata, e aveva sempre attribuito la motivazione a quello, ma ora? Le sue attenzioni lo rendevano insicuro, schivo. Aveva paura potesse essere tutto uno scherzo della sua immaginazione, o solo un modo per divertirsi da parte di lei.

«Dakota?» lo chiamò, e lui si riscosse. Di solito non lo chiamava così, voleva dire che forse era davvero preoccupata per lui. Ma perché? Lui stava benissimo.

«Sto bene» disse, forse un po' troppo forte, ma credeva ci fosse la musica. Non si era accorto che era stata spenta. Non si era accorto nemmeno che gli altri stavano salutando i nuovi arrivati.

Si voltò verso di loro e corse incontro alla sua amica, vestita con uno strano cappello a punta viola dalle decorazioni arancioni. Ricordava che voleva dirle qualcosa, forse riguardo qualche animale, ma non gli veniva in mente ora. L'abbracciò con trasporto e lei rise, ricambiando la stretta. Da quando erano stati bloccati insieme nell'Istituto si erano avvicinati sempre di più: gli unici umani che in incognito avevano vissuto lì dentro si erano fatti forza a vicenda, e ora avevano sviluppato una buona amicizia.

Quando la lasciò andare, i suoi occhi puntarono sulla figura leggermente sfocata di Darrell, e improvvisamente si ricordò qual era il suo problema. Il Mentalista sembrava un vero vampiro nel suo costume eccessivamente elaborato, perfetto in ogni suo punto. La sua pelle era bianchissima e faceva contrasto con i capelli scuri, gli occhi rossi sembravano leggermente più naturali di quelli di Dante, così come i denti a punta che gli uscivano appena dalle labbra rosse, e il lungo mantello contribuiva a conferirgli un atteggiamento più provocante. La cosa che davvero lo faceva risaltare era il colletto del mantello, che contro ogni legge della fisica rimaneva all'insù in modo da circondargli il collo come un vero Dracula.

Dakota si sentì piccolissimo nel suo infantile costume da leone, e provò a tirare un braccio di Valeria per lamentarsi, ma si accorse in quel momento che l'amica non era più al suo fianco. La vide parlare con Lucrezia con tono apparentemente serio, ma subito dopo le due si abbracciarono e lei sorrise. Fu contento di vedere che stava andando tutto bene e si dimenticò ancora di qualsiasi cosa.

«È il momento del film!» annunciò Hailey, tirando un pon-pon verso l'alto con l'aria da vera cheerleader. Pensò che sarebbe stata perfetta in una di quelle serie tv americane.

Si accomodarono tutti davanti al grande schermo per vedere uno dei tanti film horror che per lui erano tutti uguali. Non li aveva mai visti perché non erano proprio di suo gradimento, non capiva quel bisogno di avere paura di qualcosa che nemmeno esisteva. Quel genere di film metteva l'ansia addosso a chi li guardava per poi farlo sentire stupido per provarla. Però non obiettò. Se era il programma della serata era più che felice di seguirlo insieme agli altri.

Dante e Lucrezia occuparono la poltrona di sinistra come fossero una cosa sola, e lo stesso fecero Hailey ed Elijah con quella di destra. Lui e Fannie si ritrovarono a condividere il divano con Darrell e Valeria, ma Dakota venne spinto dalla rossa verso l'angolo senza capire perché non potesse stare al centro, vicino la sua amica.

«Shh, sta iniziando.» Hailey chiamò il silenzio, poi ordinò al povero Elijah di spegnere la luce. Il Difensore ebbe qualche difficoltà ad alzarsi, e Dakota a stento trattenne una risata nel vederlo così. Okay, forse aveva un costume migliore del suo.

Il film iniziò e non ci mise molto a cadere in quell'atmosfera tesa, e arrivò presto a un punto dove Dakota si aspettava di saltare per lo spavento da un momento all'altro, anche se non voleva farsi vedere impaurito da Fannie. Sapeva che non avrebbe potuto evitare di sussultare quando sarebbe arrivato il momento, nonostante la visuale quasi doppia gli conferisse una sorta di velo protettivo verso quella situazione.

Poi, nell'attimo meno appropriato arrivò quella scena che aspettava, e lui si ritrovò a sbattere la nuca contro lo schienale del divano, il cuore che batteva a mille e lo faceva sentire incredibilmente stupido. Quando si voltò per controllare Fannie, notò che la ragazza lo stava osservando divertita.

Non fece in tempo ad arrossire – anche se per quanto sentiva calde le guance ormai calcolò che doveva già essere rosso come un pomodoro – che lei lo tirò verso di sé colmando quel poco di spazio che c'era tra loro. Si ritrovò con il viso contro la sua clavicola senza sapere bene come ci fosse arrivato, e sentì il solletico provenire dall'orecchio, dove lei stava soffiando parole sussurrate.

«Hai paura?»

Il respiro gli si bloccò per l'imbarazzo e non fu in grado di rispondere né muoversi. Continuò a nascondere il viso contro la pelle di lei, infuocandola.

«Non ho paura» riuscì a biascicare alla fine. «Sono solo stanco» aggiunse orgoglioso. Effettivamente era vero, sentiva gli occhi, ora chiusi, bruciare, e riaprirli sembrava un'impresa.

Li tengo chiusi solo cinque minuti, si disse, e si sentì improvvisamente più rilassato. Il tempo di un sospiro e non udì nemmeno più i suoni molesti che provenivano dal film, solo la morbida pelle di Fannie a contatto con il proprio viso, anche se presto perse la percezione persino di quella.

Quando riaprì gli occhi, vide che le immagini che proiettava il televisore erano ancora agitate, segno che non doveva essere passato troppo tempo.

Oh, no! Si era addormentato nel bel mezzo della serata e aveva lasciato Fannie da sola. Però era ancora in tempo per recuperare, doveva solo chiederle scusa.

Aprì bocca, ma si accorse in quel momento che lei non era più lì. Si stropicciò gli occhi prima di ricordarsi di non rovinare il trucco che aveva fatto Valeria. Con molta probabilità, ora da leone era passato a panda.

Si guardò intorno e si accorse che alcuni di loro si erano addormentati come lui. Di Lucrezia e Dante non sembrava esserci più traccia, mentre Elijah si era finalmente tolto quel lenzuolo di dosso, e ora dormiva della grossa insieme alla sua ragazza, che era quasi totalmente sdraiata sopra di lui. Darrell e Valeria erano ancora svegli, ma nessuno dei due stava guardando il film, o anche solo prestando attenzione a lui. Erano troppo impegnati a scambiarsi effusioni.

Non vedendo Fannie, si alzò e mise a fuoco l'oscurità dietro al divano. Lei era lì, all'angolo della stanza, ma Dakota aveva ancora la vista ballerina, quindi non seppe dire se lo stesse guardando. Aggirò con cautela i due piccioncini che non lo degnarono di uno sguardo e raggiunse la rossa, sicuro che in questo momento aveva lo sguardo fisso nel suo.

«Scusa se mi sono addormentato» fu la prima cosa che disse, stavolta riuscendo nel tentativo di controllare il tono di voce. Non che avrebbe svegliato i due changers, comunque: se non lo faceva il film pieno di grida e musica incalzante, difficilmente ce l'avrebbe fatta lui.

Fannie gli poggiò delicatamente un dito sulle labbra, interrompendolo. «Dormivi così beato che non ho voluto svegliarti.» Non sembrava infastidita, il suo sguardo si era intenerito nel dire quelle parole.

«S-scusami» ripeté comunque, contro il suo dito.

I suoi occhi da volpe lo guardarono intensamente, illuminati dalla luce chiara della tv. Dopo alcuni istanti di silenzio, iniziò a sentirsi in imbarazzo.

«Vuoi andare a casa?» le chiese. La serata sembrava finita e forse lei si stava annoiando.

«Lucrezia ha detto che possiamo dormire qui» lo sorprese.

Fece per chiederle se ne era sicura, ma alla fine si trattenne. Conoscendola, se non fosse voluta rimanere se ne sarebbe già andata.

«Come ti senti?» gli chiese ancora una volta.

«Bene» disse di nuovo, ma questa volta si rese conto che forse non era proprio la verità, e lei lo sapeva. «È stata una bella serata, no?» disse, giusto per distogliere l'attenzione da sé.

Il bagliore negli occhi di lei fu l'unica cosa che tradì il suo entusiasmo. Era dannatamente brava a nascondere le emozioni quando esse erano positive. «Non posso lamentarmi» rispose con sufficienza.

«Ammettilo, Halloween è più interessante di quanto credessi.»

Lei assunse un'espressione superiore, ma alla fine glielo concesse. «È una festa originale. E i costumi sono divertenti.»

"Divertenti" non era proprio la parola che lui avrebbe usato, e ancora una volta si domandò come potessero gli altri apparire provocanti con così tanta nonchalance mentre lui non ci sarebbe riuscito una sola volta in una vita intera.

La ragazza gli si avvicinò e alzò una mano per intrecciare le dita nei suoi capelli biondi. Sembrava le piacessero. Dakota non si ritrasse a quel tocco fin troppo rilassante, socchiuse gli occhi e osservò attentamente i movimenti di lei attraverso il piccolo spiraglio delle palpebre.

«Fannie» la chiamò quando vide che si era avvicinata molto. Il suo nome gli scivolò via dalle labbra senza che potesse controllarlo. Solitamente era una parola che non aveva l'audacia di pronunciare, e per questo lei parve sorpresa. «Alcuni di loro...» disse, evitando di fare nomi perché non avrebbe retto un confronto così tanto diretto. «Alcuni di loro sono sempre così perfetti, così maturi e virili.» Arrossì intensamente nel pronunciare quelle parole, e non riuscì più a guardare la ragazza negli occhi. Puntò lo sguardo verso terra e lo lasciò a vagare sul pavimento di mattonelle chiare. «Cosa ci trovi in me?» chiese finalmente. Aveva paura della risposta, temeva che lei scoppiasse a ridergli in faccia per essersi illuso di valere tanto, ma era una cosa che doveva sapere.

Alzò lo sguardo cautamente e vide dipinto sul volto perfetto della ragazza un sorriso dolce che gli fece mancare un battito. Significava che poteva sperare? Oppure non era ancora il momento per puntare a tanto?

«Alakay.» La sua voce sembrava quasi volerlo carezzare con la sua dolcezza, non l'aveva mai sentita così, nemmeno nelle volte scorse in cui aveva pronunciato il suo secondo nome. Gli prese il mento e lo obbligò ad alzare del tutto la testa, in modo che potesse guardarlo dritto negli occhi. Fece un passo avanti e il suo corpo toccò quello di lui, incendiandolo. «Sai a cosa davvero non riesco a rinunciare?» sussurrò vicinissima, e lui iniziò a respirare velocemente in cerca d'aria. La voce di lei gli arrivava direttamente nell'orecchio, dove diveniva artefice dei brividi che gli scuotevano il corpo e del calore che stava coprendo ogni altra sensazione.

Deglutì a fatica, poi scosse la tessa. Lei rise e la sua punta del naso gli sfiorò quella parte ormai sensibile del collo.

«Quando fai il timido.»

Quelle parole fecero sì che il suo cuore compiesse una capriola nel petto. Il respiro divenne troppo difficile da controllare mentre le mani di Fannie si muovevano esperte contro il suo torace.

Aprì la bocca per provare a negare, ma non uscì alcun suono se non quello dell'aria che cercava disperatamente una via nei suoi polmoni.

«Vedere come reagisci alla mia vicinanza, alle mie parole... Loro possono essere tutto quello che gli pare, ma è te che voglio.»

Quella confessione ebbe il potere di portare via del tutto la sua ragione. Sospirò di piacere quando lei gli baciò il collo, e non poté ritrarsi quando iniziò a mordicchiarlo creando in lui tante piccole scosse.

«Andiamo su» decretò la rossa, e si allontanò finalmente da lui per prenderlo per mano.

Stordito, la seguì su per le scale rischiando di inciampare più volte, ma fortunatamente riuscì nell'intento di arrivare in cima. Si ritrovò presto in una stanza troppo buia per distinguerne le fattezze, e si sentì prima tirato e poi spinto. Perse la cognizione dello spazio mentre si sentiva cadere, poi si ritrovò sdraiato su qualcosa di morbido che il suo inconscio catalogò come un letto.

Udì un click e la luce di una lampadina gli inondò il viso. Si voltò verso la fonte di essa e vide Fannie togliersi le scarpe per raggiungerlo. In quel momento si guardò i piedi per valutare se fosse il caso di togliere anche le sue. Contro ogni aspettativa, li trovò scalzi, ma non riuscì a ricordare in che occasione si fosse tolto le scarpe.

«Buon Halloween» gli sussurrò la ragazza, vicinissima, facendolo sussultare. Non si era accorto che si era mossa.

Provò il desiderio di toccarla e per la prima volta tentò di soddisfarlo, impacciato. Lei non lo rifiutò, anzi parve apprezzare il suo gesto. Si mosse sensuale e in pochi istanti se la ritrovò sopra. I loro respiri accelerati si mescolarono un attimo prima che lei avvicinasse le labbra alle sue. Lo guardò negli occhi quasi per chiedergli quel permesso che più di una volta lui le aveva negato per via dell'insicurezza e della paura, poi tagliò finalmente quella distanza e diede vita a quel tanto agognato bacio.

In un attimo si ritrovò le mani di lei ovunque, gli tiravano i capelli, gli sfioravano le guance calde, esploravano avide ogni centimetro del suo corpo. Il piacere esplose quando lei toccò esperta un suo punto intimo, e lui spalancò gli occhi.

«Ngh...» Avrebbe voluto dire qualcosa, ma tutto ciò che uscì dalle sue labbra fu un gemito di piacere, che si confuse con i loro sospiri ormai velocissimi.

Chiuse gli occhi e si lasciò portare via dalle sensazioni che ormai dominavano sulla mente, perdendosi nel torpore generato dall'alcol e da quella ragazza calda come il fuoco.

Non aveva più paura dibruciarsi, l'unica cosa che voleva era stringerla tra le sue braccia, come pertroppo tempo si era negato di fare.    

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