Capitolo 4
La mia vista ci mise un po' ad abituarsi. Sentendomi cadere, mi ero aggrappata con entrambe le mani alla mia unica ancora di salvezza, che ora si trovava alla mia destra, tra me e Dante. Schermarmi gli mi fu impossibile, pertanto passai i seguenti cinque minuti a cercare di abituarmi per guardarmi intorno.
L'aria scorreva sulla mia pelle, impervia. Non era troppo fredda, ma ben presto la sua prepotenza mi fece iniziare a tremare. Fu proprio in quel momento che il calore mi avvolse, proveniente dalla ragazza al mio fianco. Socchiusi gli occhi per osservarla e notai che stava sorridendo a Dante, quasi come per ringraziarlo. Ma certo, lei non poteva scaldarci, era il ragazzo di ghiaccio la fonte della nostra protezione dal freddo. In effetti, Ace ci aveva ordinato di aiutare come potevamo, anche se io non avevo idea di cosa poter fare per quel viaggio.
Proprio nel momento in cui stavo per abbassare lo sguardo, ormai abituatami alla forte illuminazione, questa svanì di punto in bianco, immergendo le nostre figure in una luce lattiginosa e quasi soffocante.
«Stiamo entrando in una zona più profonda della dimensione astratta» spiegò Molly, diretta prevalentemente a me, dato che Dante era, probabilmente, già a conoscenza di queste cose. Prima di partire, la ragazza ci aveva detto di non disturbarla, ma non ce la faceva lei stessa a non comunicare con noi.
Abbassai lo sguardo e fui assalita da un senso di vuoto che si ripercosse per il mio intero stomaco. L'intera landa sottostante, parecchio distante da noi, sembrava fatta di qualcosa che non conoscevo, come una specie di roccia o cristallo rosato che ricopriva irregolarmente il terreno. Ipotizzai si trattasse di una grotta, ma poi scorsi il suolo cambiare ripetutamente forma e dimensione, fino a creare muri o colline del medesimo materiale sconosciuto.
Sussultai quando un muro parve così grande da esserci vicinissimo. Ebbi il timore di schiantarci e socchiusi gli occhi, ma subito dopo lo superammo indenni, di nuovo a distanza di sicurezza.
«Qui lo spazio e il tempo non esistono» continuò Molly con la sua lezione. Apprezzai molto il fatto che si stesse prendendo il disturbo di darmi delle informazioni. «Tutto esiste secondo leggi proprie che non hanno niente a che fare con il nostro mondo.»
Con la coda dell'occhio mi parve di scorgere un movimento più rapido e meno ritmico di quello della pietra pulsante, come se qualcuno vi si stesse muovendo sopra. Quando volsi lo sguardo in quella direzione, però, non scorsi niente di insolito.
«Wow» mi ritrovai a esclamare, nonostante il posto lì sotto fosse inquietante. Il calore di Dante ci proteggeva dal gelo che le sferzate di vento portavano con sé, ma non poteva nulla contro gli strattoni sempre più potenti di quell'aria impervia.
«Non è poi così affascinante. Qui sotto si rischia di perdercisi e rimanerci per sempre. Questa dimensione si nutre dell'energia che noi changer le forniamo, ci vuole, ci brama, e cerca di risucchiarci a sé.»
Era stato Dante a parlare. Era la prima frase che gli sentivo pronunciare da quando eravamo partiti, e fu strano udire la sua voce rivolta a me, soffocata dal vento impetuoso. Le sue parole mi misero i brividi e non ebbi nulla da replicare. Anche Molly tacque, e ciò che aveva detto Dante continuò a rimbombare nella mia testa per parecchio tempo. Non seppi quanto, perché lì dentro persi presto la cognizione del tempo. Se davvero le leggi del tempo non avevano valore lì sotto, forse il mio senso di disorientamento era normale.
Quando il vento mi rese quasi impossibile provare a respirare, finalmente la luce lattiginosa sparì gradualmente, mentre iniziava a circondarci pian piano una luminosità pura e sempre più forte. Al contrario della precedente, era bianca e accecante, senza la sfumatura di un minimo colore, e non sembrava provenire da un punto ben preciso. Mi accorsi solo dopo qualche istante che era la ragazza al mio fianco a irradiarla, ma quando lo capii era troppo tardi per fermarmi a osservarla perché ormai la troppa illuminazione mi rendeva praticamente cieca.
Percepii uno strattone più potente degli altri e poi mi sentii trascinare verso il basso, sentendo un vuoto all'altezza del petto. Per qualche istante mi mancò l'aria e mi sentii cadere, ma questa volta ero pronta e non mi feci cogliere alla sprovvista.
Memore di quello che era successo l'ultima volta con Elijah, rimasi in posizione eretta finché non sentii i piedi poggiarsi su un soffice pavimento, forse di moquette. Mi obbligai a tenere gli occhi aperti fino a quando la luce non sparì quel poco da permettermi di osservare di nuovo la dimensione calda e accogliente nella quale vivevamo: ce l'avevo fatta, eravamo arrivati a destinazione e avevo fatto un'entrata più dignitosa dell'ultima volta, evitando di cadere sul parquet che ricopriva il terreno.
La stanza in cui eravamo si presentava leggermente più grande rispetto a quella da cui eravamo partiti, ed era di gran lunga più luminosa: i tenui raggi del mattino baciavano una scrivania in mogano e due divanetti neri, affiancati da un sontuoso tappeto sul quale posavamo i piedi. L'odore di caffè aleggiava nell'aria, sembrava inspiegabilmente una bevanda irresistibile a ogni changer. Tranne per Darrell, pensai, mentre l'immagine del Mentalista con un bicchiere di latte in mano minacciava di farmi sorridere.
«Molly!» sentii ripetere da diverse voci, che localizzai alle mie spalle.
«Papà» salutò la ragazza con un urletto entusiasta, saltando fuori dalla mia visuale, nella quale rimase solamente l'espressione dura di Dante.
Mi stropicciai gli occhi più volte mentre attendevo che ogni traccia di quella luce svanisse, poi mi voltai e, accanto un'ampia libreria di legno scuro, identificai l'origine di tutto quel fracasso. Quattro changers erano davanti a noi, e ci ignoravano completamente. La loro attenzione era totalmente rivolta a Molly, che se ne stava accoccolata tra le braccia di quello che supposi fosse il padre, molto più alto di lei. Per qualche strana legge della fisica, riusciva a sovrastare persino Ace, anche se non di molto. Con il sorriso benevolo, la barba appena accennata ma non indifferente, e i capelli leggermente lunghi sulla fronte, sembrava un gigante buono.
Gli altri tre erano più mingherlini di lui, anche se vicino a quell'uomo sarebbe risultato basso chiunque tranne, ovviamente, Dante, che se ne stava al mio fianco come in attesa. I changers che ci trovavamo davanti sembravano stanchi e affannati, ma così soddisfatti che avevano iniziato a complimentarsi tra loro e, specialmente, con Molly, ignorando persino la presenza imponente del ragazzo di ghiaccio.
«Al» esordì l'Elementalista alla mia sinistra, forse stufo di essere ignorato. Gli lanciai un'occhiata di sottecchi che ricambiò, e lo trovai imperscrutabile.
«Dante?» chiese in modo quasi incredulo il padre di Molly, che finalmente si era accorto di noi. «Quasi non ti riconoscevo! Che ne è stato del bambino tutt'ossa che ho visto anni fa?» continuò, sorridendo. Si avvicinò al ragazzo e si scambiarono una stretta al polso.
In seguito si girò verso di me, studiandomi quasi come aveva fatto la figlia prima di lui. «E tu sei Lucrezia» constatò, rivolgendomi un sorriso benevolo.
Annuii senza aggiungere dettagli superflui. Se lo sapeva Molly, anche lui era perfettamente a conoscenza del motivo per cui ero lì.
«Sei proprio cresciuta, Molly!» La voce di uno dei changer arrivò più esaltata delle altre, aumentando la mia curiosità.
«Che cosa succede qui?» chiesi all'uomo, senza preoccuparmi di risultare maleducata. Ci aveva ignorati e non ci aveva dato una minima spiegazione, in fondo.
«Perdonami, tu non sai niente di noi e ormai l'abitudine mi fa dare per scontate cose che non lo sono.» Ora che aveva articolato una frase un po' più complessa delle altre mi resi conto di quanto il suo accento fosse altalenante, diverso da quello dei changers dell'Istituto dove avevo vissuto. «Puoi chiamarmi Al, sono il capo di questo Istituto.»
Rimasi perplessa a osservare Molly. Non avevo capito che era la figlia del capo, ma d'altronde nessuno mi aveva spiegato per bene le cose.
«Molly,» proseguì Al, forse vedendo che continuavo a osservarla, «ha dovuto affrontare un viaggio, oggi, che tutti noi ricorderemo come uno dei più lunghi della storia. È stata aiutata dai tre nostri migliori Difensori ed Evocatori, ma ha comunque compiuto un gesto del quale molti erano spaventati.»
Ripercorsi nella mente le parole che Dante aveva pronunciato mentre ci trovavamo in quella strana dimensione. Se davvero quel luogo si nutriva della nostra energia, rimanerci così tanto era stato molto rischioso. Ma comunque meno di quanto lo sarebbe stato viaggiare a portata di Orion, se avevano scelto quel metodo.
«Mia figlia è molto stanca, come previsto, pertanto la nostra riunione si terrà questa sera. Nel frattempo sarete liberi di visitare l'Istituto o fermarvi in un punto di ristoro. Janette vi porterà alla vostra camera.»
«La nostra camera?» si intromise subito Dante, la sorpresa nella voce. Era la prima volta che parlava con interesse così evidente.
«Ho pensato che il particolare legame che avete avrebbe potuto esservi d'intralcio una volta separati, quindi alloggerete in una sola stanza.» Non ci chiese se eravamo d'accordo, chiuse lì il discorso mentre io cercavo di contrastare un brivido di emozione al pensiero di dover condividere la camera con Dante, di nuovo.
Lui, dal canto suo, era imperscrutabile, e tale rimase anche quando una ragazza si affacciò curiosa alla porta e ci ordinò di seguirla. La sua pelle color caffellatte sembrava stonare in confronto a quella dei presenti, anzi, più in generale con quella di ogni changer.
Mi affrettai per non rimanere indietro, e quando fui fuori dalla stanza del capo registrai subito la netta differenza che questo Istituto aveva con il nostro. Dalle pavimentazioni color crema, fino ad arrivare alle luci calde coperte da eleganti paralumi, tutto contribuiva a rendere l'ambiente accogliente, in netto contrasto con il bianco e l'azzurro essenziale che ero abituata a vedere.
«Ospiti da Roma, eh? Oh, ho sempre voluto visitare quell'Istituto! Mi auguro che il vostro viaggio sia andato bene.» Mentre parlava, la ragazza fece scivolare i suoi occhi neri come la pece su di noi, senza nascondere un'evidente curiosità. A ogni passo che compieva la sua chioma riccioluta le ballava intorno alle orecchie, ribelle, mettendo in evidenza due cerchi di metallo che le adornavano i lobi.
Dante si limitò ad annuire alle sue parole, continuando a camminare come se non esistessi. L'espressione cupa che gli aveva adombrato lo sguardo alla scoperta della condivisione della camera era sparita, sostituita dalla solita piattezza. Chissà che cosa pensava, se mi disprezzava o se magari si stava ricredendo.
Scendemmo di un piano con l'ascensore e trovammo il dormitorio, che si distingueva dal resto per un'elegantissima moquette rossa che ricopriva interamente il pavimento. Sembrava quasi di stare in un albergo. Alla prima finestra che incontrammo, mi soffermai a osservare al di là del vetro per un momento, ma trovai unicamente una distesa di sabbia e rocce, cosparse raramente di qualche piccola macchia verde e giallastra. Solo in quel momento realizzai appieno di trovarmi dall'altra parte del mondo, e un brivido di euforia mi scaldò il petto fino a farmi emettere un sospiro emozionato. Non potevo credere di essere davvero in Australia.
«Non rimanere indietro, per favore. Avrai tutto il tempo per visitare l'Istituto» mi richiamò Janette con tono amichevole. Sembrava di fretta, ma non voleva risultare scontrosa.
«Scusami» le dissi pertanto, dandomi una mossa.
«Se avete bisogno di me potete chiamarmi, sono nella prima stanza dopo aver svoltato a destra» ci disse la ragazza una volta raggiunta la porta della nostra stanza. Seguii il punto in cui stava indicando e memorizzai, anche se dubitai di doverla richiamare ancora.
«Grazie» dissi nello stesso momento in cui lo diceva anche Dante. Mi voltai verso di lui, in imbarazzo, e lo vidi distogliere lo sguardo, quindi feci finta di nulla.
«È stato un piacere!» esclamò la changer, avvicinandosi in un battibaleno per stamparmi un bacio sulla guancia con le sue labbra carnose. Non feci nemmeno in tempo ad accorgermene e irrigidirmi per la sorpresa, che già si era allontanata per fare l'occhiolino a Dante e andarsene verso la sua stanza. Sentii le guance bruciare quando lui mi rivolse un'occhiata, come per controllare la mia reazione, quindi senza dire nulla aprii la stanza e mi infilai dentro.
La luce del sole sfavillava sulla mobilia dal legno bianco candido, riempiendo la stanza di una soffice luce dorata che faceva brillare i cristalli del grande lampadario al centro.
Mossi qualche passo fino a ritrovarmici sotto, sentendomi investita dalla stessa luminosità che mi faceva rilucere i capelli di oro puro. Era incredibile quanto lo spazio a noi dedicato fosse grande in confronto a quanto ero abituata, infatti l'intera stanza era probabilmente il doppio di quella che avevo all'Istituto.
«È bellissima» mi lasciai sfuggire, posando gli occhi sulla trapunta color crema dalle decorazioni senape. Il letto matrimoniale occupava parte della zona a sinistra, maestoso tra due comodini dai pomelli intarsiati.
Proprio mentre spostavo gli occhi sull'armadio bianco e dorato accanto a un piccolo divanetto, Dante chiuse la porta e mi si fece vicino, interrompendo il mio sogno a occhi aperti.
«Tutto questo sfarzo non è affatto necessario. È da stupidi apprezzare un'eccessività simile» esordì, riportandomi bruscamente con i piedi per terra.
Le sue parole mi irritarono a tal punto da indurmi a fronteggiarlo senza timore. Che problemi aveva? Possibile che se qualcuno la pensasse in modo diverso dal suo dovesse per forza offenderlo? O forse faceva così solamente perché si trattava di me?
«Stai dicendo che sono stupida?» sbottai, stufa delle sue frecciatine. Capivo che si sentiva ferito, comprendevo totalmente la sua necessità di starmi lontano, ma non potevo sopportare in eterno. La mia pazienza aveva un limite, e lo aveva appena oltrepassato.
Dante mi guardò con aria di sufficienza, poi distolse lo sguardo da me per puntarlo fuori dalla finestra. «Se hai dedotto una cosa del genere hai la coda di paglia.»
La sua risposta mi lasciò totalmente basita, a guardarlo con la bocca aperta. Non potevo credere alle mie orecchie, le quali portavano quelle parole che mi stavano quasi per far perdere il controllo. Avevamo una convivenza forzata da affrontare, di nuovo. Possibile che non avesse un briciolo di ritegno?
«Ascoltami bene, Dante.» Il mio tono duro lo fece di nuovo voltare verso di me, non intimorito, bensì incuriosito. Non ero mai stata così diretta con lui in quelle ultime settimane, ma ora era il momento di cambiare approccio. «Sono stufa del tuo comportamento. Sono stufa del fatto che tu mi stia portando in capo al mondo pur di allontanarti definitivamente da me. Sono stufa che ti aspetti che faccia qualunque cosa ti passi per la testa, e sono anche stufa del fatto che tu non stia collaborando minimamente in tutto ciò!» L'ira dilagava ormai in me, facendo sì che le parole uscissero rapide, una dopo l'altra. Dante mi guardò inizialmente sorpreso, poi contrasse la mascella, ma rimase lì a subire il mio sfogo. «Hai voluto affrontare un viaggio rischioso per interrompere quest'insulso legame, che tra l'altro ormai sai controllare in modo che non sia un problema, ma no, non importa! Lasciamo il disastro che ci siamo seminati alle spalle e mettiamoci a inseguire leggende in questo modo!»
Digrignai i denti, pensando ai miei amici che mi attendevano nei sotterranei dell'Istituto. Per un capriccio di Dante avevo dovuto lasciarli al loro destino, senza poter mantenere la promessa di tenerli al sicuro e cercare un modo per farli uscire di lì.
Proprio mentre scuotevo la testa al pensiero, Dante fece un passo verso di me, e la sua espressione lo tramutò in una minaccia vivente. Non mi lasciai intimorire e lo fronteggiai com'era giusto che fosse. Era finita l'era in cui ero debole: se non gli avessi parlato ora non l'avrei fatto mai più.
«Stai dicendo che ti piacerebbe vivermi appiccicata? Trotterellarmi dietro, soffocarmi e spiarmi, mentre alle mie spalle ti prendi gioco di me?» Rise, ma nella sua risata non trovai nulla di amichevole o divertito. Un suono che mi fece gelare il sangue, così come il suo tono, che mi rimbombò nelle orecchie incapace di andarsene. «Lo so che proveresti gusto, ma qui siamo in due a vivere questa situazione. E non ti voglio tra i piedi, a fare la parassita quando ti conviene!» Alzò la voce sulle ultime parole, incapace di trattenere l'ira che dilagava nei suoi occhi, scurendoli appena: ghiaccio sporco di petrolio vellutato.
Rimasi spiazzata davanti alle sue parole, che mi ferirono più di quanto non volessi dare a vedere. Era questo che Dante pensava di me, questo che pensava del nostro legame, che invece io avevo trovato così prezioso da usarlo per salvargli la vita. Ma tutto questo era accaduto prima che lo ferissi, quindi non potevo biasimarlo per non volermi più al suo fianco.
Era questa consapevolezza che faceva male più di ogni altra cosa; l'evidenza di aver rovinato qualcosa di così prezioso con le mie mani, per poi ritrovarmi con un pugno di mosche.
Mi morsi un labbro quando sentii gli occhi pizzicare, e distolsi lo sguardo stringendo forte i pugni, fino a sentire le nocche scrocchiare nel silenzio che era caduto nella stanza. Prendere un respiro fu dannatamente difficile con la presenza che ancora incombeva su di me alla mia destra. Dovevo allontanarmi, interrompere quel litigio insensato e schiarirmi le idee. Non era il caso di continuare, o la conversazione ci avrebbe portato dove nessuno dei due avrebbe voluto.
Senza dire nulla, obbligai le mie gambe tremanti a muoversi di nuovo verso la porta. Mi sbrigai ad aprirla e varcarla, poi mi sentii chiamare.
«Lucrezia!» La voce di Dante era ancora adirata, come se non fosse giusto per lui che fuggissi da un discorso così scomodo e difficile da sostenere, e probabilmente era così. Non era giusto, ma non ce la facevo ad affrontarlo.
Girai l'angolo quando mi sentii chiamare di nuovo, sempre con il mio nome per intero che sembrava cozzare contro i denti stretti dell'Elementalista alle mie calcagna, il quale non provava certo piacere a pronunciarlo.
Mi fermai nel mezzo del corridoio, accostata a una parete. Continuare a correre sarebbe stato inutile contro Dante, che era decisamente più rapido di me. Mi affidai ancora una volta ai miei poteri. Non sapevo bene come invocarli, ma avevo imparato che ogni volta che avevo davvero bisogno di loro arrivavano sempre a proteggermi.
Desiderai con tutta me stessa di essere invisibile, e il mio corpo mi accontentò. La magia di Occultamento scorse in esso e mi celò agli occhi del mio inseguitore, che quando si affacciò sul corridoio non vide altro che la via vuota. I suoi occhi glaciali scivolarono sudi me come fossi niente, come fossi aria dentro aria, e la sua mascella contratta si rilassò nella rassegnazione quando non mi trovò. Un sospiro esausto fuoriuscì dalle sue labbra quando lo vidi portarsi le mani al viso in una posa stanca.
Solo in quel momento, quando credeva di non essere visto, potei scorgere tutta la fragilità che solitamente teneva celata. La durezza nei suoi occhi si incrinò, le sue spalle, di solito rigide, si lasciarono andare, stanche, mentre al centro delle sue sopracciglia la ruga di minaccia si tramutava piano in una linea più dolce di tristezza.
La visione mi tolse il fiato, impedendomi di respirare normalmente anche dopo che se ne fu andato. Mi ci vollero dieci minuti buoni per scrollarmi la sua immagine fragile dalla mente, e mi diedi della stupida per aver pensato che fosse di nuovo tornato tutto come prima che venisse rapito dagli Orion. Una prigionia del genere era qualcosa da cui non ci si poteva riprendere tanto facilmente, e anche dopo anni il ricordo sarebbe comunque rimasto, come una macchia indelebile.
Il Dante che tutti vedevamo era solo una facciata. Un'altra volta ancora si comportava come se fosse un estraneo davanti a tutti, trovando la sicurezza solo in se stesso.
Mi avviai verso la mia destra, decidendo di seguire quel corridoio nella speranza di orientarmi un po'. Non avevo nessuna voglia di tornare in camera, quindi avrei esplorato le vie accoglienti di quell'Istituto. Decisi di raggiungere il piano inferiore o quello superiore perché nel dormitorio c'era poco di interessante da vedere, tuttavia non riuscii a trovare l'ascensore per spostarmi.
Continuai a camminare tra i corridoi per quelle che parvero ore. Inizialmente incontrai diverse persone che mi guardavano incuriosite, poi i changers si fecero sempre meno, fino a non apparire più tra le vie strette. Forse mi ero allontanata troppo, finendo in una zona poco frequentata. Decisi quindi di tornare sui miei passi, ma quando provai non riuscii a ricordare il percorso intricato che avevo seguito, quindi proseguii alla cieca finché i piedi non iniziarono a chiedere una sosta.
Presto iniziai a sentirmi spiata, ma attribuii la sensazione alla preoccupazione di non riuscire a trovare la strada. Tuttavia, quando scorsi un'ombra al limitare del mio raggio visivo, iniziai a guardarmi intorno, cercando conferma a quella strana sensazione. Accelerai, ritrovandomi quasi a correre, e dietro di me sentii passi leggeri che mi fecero sussultare.
Svoltai l'angolo e decisi di affrontare la cosa, chiunque fosse, sentendo l'elettricità scorrere nel mio corpo in allarme. Mi bloccai appena dopo la svolta e rimasi in attesa, cercando di controllare il respiro affannato, finché qualcosa non mi venne a sbattere contro l'addome, togliendomi il fiato. Fui costretta ad arretrare di qualche passo, sbilanciata, mentre la minuta figura davanti a me cadeva a terra.
Ripresi il respiro e la esaminai meglio, tranquillizzandomi appena nel notare che si trattava solamente di una bambina. I capelli sciolti toccavano terra ora che era seduta, ricadendo in morbide onde arrotolate vicino i suoi fianchi stretti. Indossava un vestito dai colori sgargianti che le arrivava alle ginocchia, sbucciate già in precedenza alla caduta, a giudicare da come erano rimarginate le ferite, e i piedi scalzi erano decorati da smalto rosa sulle unghie.
Passò alcuni istanti a massaggiarsi il naso, forse il punto in cui aveva sbattuto contro di me, poi puntò i suoi occhietti verdi contro la mia figura e gonfiò le guance in un'espressione scontrosa.
«Tutto bene, piccola?» chiesi, sporgendomi leggermente verso di lei per offrirle una mano in segno di aiuto quando il buonsenso riuscì a vincere sulla sorpresa.
La ragazzina mi guardò e gonfiò ancora più le guance, corrucciando la fronte. «Chiami "piccola" me e non sei capace nemmeno di guardarti le spalle» sbuffò con la sua vocina minuta, ignorando la mia mano per rialzarsi da sola. Si spolverò il vestito che indossava per qualche secondo, per poi allungarsi per tutta la sua altezza. Notai che era piuttosto alta e mi arrivava quasi alla spalla, ma ero quasi sicura che non avesse più di dodici anni.
«Mi ero accorta che mi stavi seguendo. Perché lo facevi?» ribattei, perplessa, notando in lei una certa familiarità che non riuscii a distinguere a primo impatto.
«Te ne eri accorta, eh?» fece lei con un sorrisetto furbo che, tuttavia, non le distese i lineamenti. «Beh, io non credo, dato che ti sto dietro da almeno un'ora» disse, sorprendendomi. «Papà dice che sono la più rapida e silenziosa tra le ragazze del mio corso di addestramento» si vantò.
La osservai, senza parole da aggiungere. Davvero mi stava seguendo da così tanto tempo? Eppure mi ero resa conto della sua presenza solo da una decina di minuti...
«Ma si può sapere dove stavi andando? È da scemi continuare a girare sempre sulle stesse vie» chiese, vedendo che non rispondevo.
Mi ero resa conto di non riuscire a trovare una strada che portasse da qualche parte utile, ma non di star girando intorno. Quanto tempo ero rimasta a camminare senza un senso?
«Mi sono persa» ammisi, ignorando il suo insulto. Dovevo chiederle aiuto o sarei rimasta a girovagare senza meta per altro tempo indefinito. «Ho bisogno di ritrovare la strada. Puoi riportarmi ai dormitori? O anche al piano di sotto va bene.»
La ragazzina mi guardò, indignata da tale proposta, poi si portò i pugni ai fianchi. «Perché dovrei aiutarti? Sei una straniera e non so nemmeno come ti chiami.»
Alzai gli occhi al cielo, ma in realtà mi ritrovai quasi divertita da quella situazione. Sebbene fosse scontrosa, la compagnia della bambina mi faceva piacere dopo tutto quel tempo passato da sola.
«Mi chiamo Lucrezia» le dissi, porgendo la mia mano verso di lei. La guardò diffidente, così la sporsi di più per cercare di incoraggiarla, aggiungendo anche un sorriso. «Stringila, avanti.»
La bambina mi rivolse uno sguardo contrariato, ma alla fine ammorbidì appena l'espressione e si decise. Si avvicinò a me, ma anziché stringermi la mano mi poggiò la sua sul polso, proprio come avevo visto fare al capo dell'Istituto con Dante. Forse dalle loro parti si usava così.
«Io sono Altessa» si presentò con voce fiera, rivolgendomi un piccolo sorriso di scherno. «Lucrezia...» Soppesò il mio nome prima di proseguire. Forse le suonava nuovo quanto il suo a me. «Ora ci conosciamo, sì, ma quale motivo avrei io per aiutarti?»
Sorrisi a mia volta, incamminandomi, sicura che mi seguisse. Infatti molto presto iniziò a trotterellarmi al fianco. «Non so...» riflettei, infilando le mani nelle tasche dei jeans. «Cosa potresti volere da me?» provai a contrattare.
Il suo sorriso sornione si fece più esteso, mettendo in evidenza due canini esageratamente affilati. «Mostrami la tua magia» ordinò con una scintilla appena accennata nello sguardo.
«Uhm...» balbettai, in difficoltà. La magia non era una cosa che sapevo comandare a mio piacimento. Era lei che controllava il mio corpo, più che il contrario, ma provai comunque a evocare la Telecinesi, cosa che mi riusciva più facile. In passato l'avevo padroneggiata più volte, e un trucchetto come scuoterle i capelli accanto alle orecchie non avrebbe dovuto essere complicato. Tuttavia, quando provai non ci riuscii.
Mi fermai al centro del corridoio, cercando di concentrarmi per richiamare l'energia proprio come avevo fatto prima. Tentai anche di ricreare l'Occultamento, ma non una traccia di magia scorse in me.
«Temo di non riuscirci» fui costretta ad affermare alla fine, leggendo il dispiacere nei suoi occhi. La frustrazione riempì i miei pensieri. Perché non potevo essere come tutti gli altri e utilizzare i miei poteri come volevo? La risposta, però, era lampante. Non ero una changer, quindi probabilmente non funzionavo allo stesso modo. Avevo ogni tipo di magia, ma in cambio non potevo usarlo a mio piacimento.
La ragazzina sbuffò, ma si riprese in fretta. «Andiamo, seguimi. Non sai nemmeno usare la magia, non posso abbandonarti a te stessa se sei così imbranata.»
Risi e affrettai il passo per seguirla. A quanto pareva voleva fare in fretta.
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