Votazioni
Ecco i vostri testi.
Vi ricordo che i vostri voti vanno da 1 a 5.
Le categorie da votare sono:
-attinenza alla trama;
-struttura e creatività;
-grammatica ed errori ortografici (più sono gli errori più il voto è basso).
Commentate accanto al testo da votare e specificate le categorie. Naturalmente non potete votare il vostro 😂
Non litigate per i voti perché ci saranno da sommare poi i miei.
Ed ora i testi.
Num.1
Code_Lioko
Nella Terra di Neve il sole corrodeva ogni cosa. Si stendevano lande desertiche con poche oasi sotterranee che offrivano refrigerio ai viandanti e agli abitanti.
Le strutture erano poche ma efficienti, ogni casa era fornita di tutti gli agi possibili e il piccolo mercato all'aperto era sempre frequentato.
Le persone che vivevano nella landa però erano ormai poche, forse affezionate alla terra dei loro avi: la maggior parte preferiva stabilirsi nella Terra degli Alberi, dove il clima è temperato anche se imprevedibile.
Un tempo la Terra di Neve era degna del suo nome: colline di soffice e bianco nevischio coprivano le strade tracciate e piccole baite circondate da pini coloravano un po' quel paesaggio. I tramonti erano straordinari, il Sole calava verso il suolo e illuminava la neve creando l'effetto di un faro puntato su uno specchio.
Ma quelle nevicate quotidiane avevano iniziato a farsi sempre più sporadiche e il sole diventata sempre più vicino.
Il primo giorno senza neve era stato presentato come una stranezza ma il secondo consecutivo aveva iniziato a destare sospetto. Dopo la prima settimana era partito l'allarme.
La neve aveva iniziato a sciogliersi e il paesaggio a deturparsi. Le baite furono presto rivestite di mattoni rossi importati dalla Terra del Sole e i pini iniziarono a morire sotto il caldo asfissiante. La gente iniziava a cucire e indossare abiti più leggeri, e con il passare dei decenni la caratteristica pelle diafana si andò perdendo nei meandri della genetica, sostituita da una più bronzea.
La Terra di Neve divenne presto la copia della Terra del Sole, e la Terra del Sole divenne cenere, nulla restò più.
Dopo circa un secolo dal misterioso cambiamento, una sera di dicembre una bimba venne al mondo.
Non era una delle tante, perchè significava che l'alto lignaggio che costituivano gli abitanti della Terra di Neve non era anadato perduto del tutto, perchè la pelle di quella bimba era bianca come quella neve candida.
Anche crescendo e nonostante l'esposizione al sole cocente la pelle della bimba restava bianca.
Quando ebbe l'età giusta, il re della Terra di Neve, non avendo nessun figlio, la nominò erede del regno, riponendo su di lei il fardello di gestire una terra martoriata e abbandonata dal suo elemento.
Salita al trono aveva fatto costruire delle gallerie che avevano aperto la strada verso piccole oasi sotterranee. Tutti la adoravano, e ancora di più quando mise al mondo un figlio che portava il suo stesso colore sulla pelle.
Lo chiamò Sarizotz, il salvatore dei ghiacci.
Certo che il suo nome fosse una profezia da avverarsi e affascinato dalle storie della sua antica Terra, all'età di quattordici anni aveva iniziato a documentarsi con la promessa che non appena fosse stato pronto avrebbe portato di nuovo la neve a casa.
Quattro anni dopo l'inizio delle sue ricerche, Sarizotz montò sul suo cavallo con un bagaglio sulle spalle, qualche mappa legata alla cintura e il libro che conteneva le formule che aveva scovato per ristabilire l'ordine, fornite cortesemente dal Maestro del Regno.
Aveva scoperto che nelle leggende di tempi remoti ad alimentare il fuoco del Sole erano antiche e possenti creature dall'alito di fuoco.
I draghi abitavano nella Terra dei Monti, nascosti nelle valli più profonde e di notte il loro fiato si disperdeva nel cielo e veniva raccolto dalle stelle che lo donavano al Sole in segno di rispetto, perchè non volevano brillare più del loro re.
Ma i Draghi delle leggende si erano estinti da tempo, nessuno era certo che avessero solcato davvero le Terre.
Sarizotz era convinto i Draghi avessero fatto il loro ritorno nella Terra dei Monti, che fossero rinati e che stessero alimentando quell'antico fuoco nel modo sbagliato.
Il viaggio fino alla Terra degli Alberi fu tranquillo, Sarizotz procedeva lungo le strade principali e quando terminava la sua riserva d'acqua scendeva nella prima galleria disponibile per raccoglierne dell'altra.
La Terra degli Alberi era rimasta intatta al cambiamento, rigogliosa, verde e prolifera.
Fiumi in piena fendevano la terra e alte piante si stagliavano contro il cielo.
La gente del luogo abitava in palafitte sui fiumi o in case intrecciate dai i rami e in perfetta armonia con la caratteristica fauna locale, dai colori sgargianti.
A Sud della Terra degli Alberi si stendeva la Terra del Sole, a ovest la Terra dei Monti.
I sentieri erano impervi ma Sarizotz continuava certo della sua missione.
A grande distanza si scorgevano le due Vette maggiori, la cui Valle doveva ospitare gli antichi Nidi, nessuno aveva mai osato accertarsene.
Impiegò tre giorni di cammino per raggiungere la base della prima vetta e in un altro giorno raggiunse la Valle.
Un enorme distesa di rami ospitava tre creature strabilianti.
Le ali chiuse del primo Drago erano di un rosso sgargiante, quelle del secondo erano di un verde screziato di giallo, il terzo era di un nero profondo con sfumature scarlatte e aranciate come un carbone ardente.
Sarizotz impiegò tutta la sua forza di volontà per non scappare al riparo da quella possenza.
Prese il suo libro e iniziò a leggerlo a voce alta ma tremante.
La vecchia strofa creava intorno ai Draghi un'aura lucente.
Le tre creature si alzarono in volo, liberando intorno a loro un cerchio di fuoco.
L'aura che li circondava inglobò anche le fiamme e le condensò in un unico Uovo di luce che si espandeva.
L'uovo crebbe fino a raggiungere il doppio della dimensione di uno di quei Draghi, poi la luce scemò per lasciar spazio ad un nuovo Drago azzurro, più grande di tutti, più controllato, più glaciale.
La creatura alitò al cielo una coltre di gelo che si estese fino al più lontano Nord.
Il Drago di gelo scese a terra e avvicinò il muso a Sarizotz, solo la testa era grande quattro volte l'intera figura del ragazzo.
Il Drago si avvicinò ancora, esortando lo straniero che aveva davanti.
Sarizotz percepì sicurezza e sfiorò con le dita la squamosa pelle cristallina della creatura.
Un brivido lo percorse e si sentì a casa.
Il gelo era tornato.
Num.2
Franchim_
Vi siete mai chiesti come sarebbe se la vita di un'altra persona dipendesse da voi?
Io so la risposta.
Mi chiamo Hana, e sono un angelo.
Come sono diventata angelo?
Sono morta.
Quando avevo 21 anni, un motorino mi travolse e tutto intorno a me diventò bianco.
Non ho molti ricordi della mia vita prima dell'incidente... ricordo di aver avuto tanti amici, uno dei quali era il ragazzo del motorino.
Si chiamava Matt ed era il mio prescelto, ma io ancora non lo sapevo.
Dopo essere stata avvolta da tutto quel candore vidi il suo volto ed una voce mi disse di andare da lui, di seguirlo, di curarlo.
Quando iniziai a studiarlo mi resi conto che fosse tutto fuorché la persona che conoscevo.
Era diverso dal ragazzo gentile e carino che mi aveva accompagnato per ben tre anni della mia breve vita.
Lo vidi andare nei quartieri peggiori della nostra città e fare uso di alchool e sostanze stupefacenti.
Rimasi molto delusa nel vedere questo lato di lui, ma dopotutto ognuno di noi nasconde qualcosa, no?
Il mio compito era quello di tenerlo in vita ma lui non poteva vedermi ed io non potevo parlargli.
Di conseguenza si lasciava completamente andare.
Una volta aveva rapinato un negozio di alimentari con la sua banda per comprare qualche grammo.
La polizia li aveva inseguiti per ore ma poi erano riusciti a farla franca.
Quella scena l'ho vista ormai così tante volte che non mi fa nemmeno più effetto.
Mi fa effetto però la scena che mi si sta presentando davanti agli occhi in questo momento:
Matt sta sciogliendo in un cucchiaino della polverina bianca con del succo di limone.
Quando fu sciolta se la sparò in vena con una vecchia siringa arruginita e, quando vidi la sua faccia spegnersi lentamente sempre di più, non riuscii a resistere.
Dovete sapere che a noi angeli custodi è severamente proibito mostrarci alle persone, fatta eccezione per alcuni casi gravi.
Io stavo per disobbedire ad una delle regole fondamentali della mia specie.
Quando vidi i suoi occhi chiudersi mi feci coraggio e mi concentrai, pensando che quello fosse un caso grave.
Sarebbe potuto morire e, per quanto avesse tolto la vita a me, non potevo permetterlo.
Così entrai nella sua testa e trovai la sua figura sdraiata in un verde prato di fiori colorati.
Quando mi vide sobbalzò, portandosi velocemente a sedere.
"Tu... tu sei morta..."
Ah, allora si ricordava di me.
"Si, sono morta."
Non l'avevo mai visto così pallido.
Era la prima volta che lo vedevo spaventato da me, come se pensasse che fossi andata lì per vendicarmi.
"Sono... sono morto anch'io?"
Iniziò a tastare il suo corpo, come per capire se fosse un sogno o la realtà.
"Non ancora... in questo momento sei svenuto in un bagno, ma potresti morire."
"Tu... tu n-non vuoi uccidermi?"
Mi chiese, iniziando a singhiozzare.
Se volevo ucciderlo? Avrei potuto, ma no.
"No, non voglio ucciderti. Senti, dopo che mi hai investita, una voce... forse Dio, mi ha detto di prendermi cura ti de. Ti ho seguito, ti ho osservato e ti ho visto cadere. Ora però basta."
"Questo... questo è un sogno. Sto dormendo e tra poco mi sveglierò, sì, dev'essere così."
Continuò a ripetere, non credendo a nemmeno una parola di quello che gli avevo detto.
"Non è un sogno, ora alzati."
Mi avvicinai e, vedendo che indietreggiava strisciando, mi bloccai.
Dopodichè lui si fece coraggio e si alzò, guardandosi intorno.
"Perchè sei qui?"
Mi chiese, forse iniziando a credermi.
"Perchè sei in pericolo, ti stai autodistruggendo. C'è un limite e tu sei sul bordo del precipizio."
Lui mi guardò per qualche momento, valutando le mie parole e poi mi chiese:
"Cosa devo fare per tornare indietro?"
"Non puoi tornare indietro. Puoi solo ricominciare, senza tutti i tuoi errori."
Dopo alcuni secondi di silenzio gli porsi l'ultima domanda, quella più importante.
"Vuoi aprire un nuovo capitolo nel libro della tua vita?"
Lui ci pensò un attimo.
Non sono sicura del motivo della sua esitazione, dopotutto non era una bella vita quella del drogato che si lasciava divorare dai rimorsi.
"Sì, voglio farlo."
Disse, in tono deciso.
"Bene, allora quando ti sveglierai potrai cambiare. Ti verrà data un'altra occasione, solo una. Tu dovrai saperla cogliere al volo, altrimenti non cambierà niente."
Lui annuì, forse non apprendendo completamente le mie parole ma comunque capendo.
Così io iniziai a vorticare fuori dalla sua mente, svegliandolo successivamente chiudendo la porta.
Lo seguii sulla strada verso casa sua, vedendolo aiutare un'anziana signora ad attraversare la strada.
Seppi che aveva colto la sua occasione solo quando iniziai ad illuminarmi, splendendo in quelle tetre giornate invernali, di una calda luce giallognola.
Ebbene sì, stavo varcando la porta del paradiso, stavo per essere lasciata andare.
Essere responsabili della vita di qualcun'altro è stancante, molto impegnativo, ma mi ha portata alla libertà.
Avevo aiutato la persona che mi aveva ucciso a tornare alla sua vita, a riconquistare la dignità.
Perchè tutti, anche i peggiori, meritano una seconda occasione di brillare.
Num.3
Fogliabianca
Con lo sguardo fisso sulla punta dei sandali lisi, Marion trascinò i piedi sullo sterrato, mentre in sottofondo lo accompagnava solo lo stridio delle catene che gli attanagliavano le caviglie e la vista di enormi polveroni di sabbia che venivano rilasciati dal terreno a ogni suo passo.
Le urla della folla si udivano fin dall'inizio del corridoio che stava percorrendo insieme alla due guardie che camminavano al suo fianco con aria imperscrutabile.
Si girò un solo attimo, durante il quale notò una guardia osservarlo con occhi privi di emozione.
Entrambi, così come il resto dei colonizzatori, avevano gli occhi di due colori diversi: l'occhio color prugna era quello che dava loro la possibilità di vedere al buio, mentre quello giallo e abbagliante come un raggio di sole permetteva loro di guardare quella palla di fuoco senza il bisogno di abbassare le palpebre.
I colonizzatori non erano differenti dai terrestri, infatti l'unica caratteristica che permetteva di distinguere gli uni dagli altri era il colore particolare delle iridi.
Venivano da un altro pianeta e il loro unico intento era quello di conquistare tutta la galassia, e per farlo avevano bisogno del maggior numero di uomini possibile.
I due si fermarono di colpo, facendo di conseguenza bloccare Marion sul posto, e si scambiarono una sguardo di intesa.
L'ansia lo portò a portarsi a fatica le mani tumefatte e tremanti tra i capelli rasati precedentemente a zero, il respiro a diventare affannato e pesante e la mente a elaborare pensieri catastrofici riguardanti ciò che a breve sarebbe potuto succedere.
Cosa stavano aspettando?
Lui voleva solo che tutto quello strazio avesse fine all'istante.
«Che entri il primo prigioniero!» tuonò una voce dall'arena che distava pochi passi da dove lo schiavo e le due guardie erano immobili ad aspettare che il suo destino lo venisse a prendere.
«Muoviti, è il tuo turno» disse sprezzante la guardia che si trovava alla destra del ragazzo dai capelli rasati.
Marion ci mise un po' a muovere le gambe e fare un passo avanti, così uno dei due prese di scatto il frustino e con forza sovraumana lo scaraventò contro la schiena del prigioniero, il quale emise un urlo straziante che fece cacciare grida emozionate alla folla urlante che da fuori non aspettava altro che vedere lo spettacolo.
In pochi passi, si ritrovò all'interno dell'arena.
Migliaia di persone si erano alzate in piedi e sventolavano con forza la bandiera viola e oro di Paradise, quella città che pretendeva di essere un paradiso terreno quando l'unica cosa alla quale avrebbe potuto somigliare, ora, era solo un cumulo di rabbia e oppressione.
«Il tuo nome, ragazzo» disse con tono regale colui che dall'alto del suo podio doveva essere il sovrano dei conquistatori.
«Marion, signore»
La sua voce era sicura e contenuta, nonostante dentro di sé, egli, sentisse lo stomaco in subbuglio e il desiderio di urlare disperato.
«Siamo qui riuniti, in questa giornata più che speciale, per onorare i nostri eredi e far arruolare al nostro esercito solo i più degni di questi ripugnanti esseri umani! Loro sono stati creati per permettere a noi di arricchirci, di concquistare più territori possibili e di stare seduti sulle nostre poltrone a sorseggiare vino pregiato da calici di cristallo mentre loro grondano sangue al nostro posto!
Se questo umano supererà la prova, avrà l'onore di arruolarsi nell'esercito che combatterà per noi contro i barbari di altri pianeti, altrimenti verrà spedito sull'isola della dannazione, dove il vento della follia lo farà cadere in sua balia e farà perdere lui il senno tanto da portarlo a uccidere i suoi simili che verranno dopo di lui e che, come egli, avranno solo la brama di distruggersi a vicenda, bestie quali sono!
Ma ora basta parlare, che i giochi abbiano inizio!» disse in urla concitate re Avaro.
Marion si guardò attorno stordito e non fece in tempo a mettere a fuoco un singolo volto che una grata di ferro venne tirata su con la forza da due uomini che più che esseri umani, parevano dei colossi alti metri.
All'improvviso, un rumore di catene e lamenti strazianti fuoriuscì dalla coltre di buio.
Un vecchio dalla pelle olivastra, con le costole sporgenti e la barba incolta, barcollò fino al centro dell'arena e incatenò il suo sguardo a quello del giovane.
Inizialmente Marion non si rese conto di chi fosse l'individuo che lo guardava con occhi pieni di terrore, ma appena quest'ultimo aprì bocca, un brivido percorse la sua spina dorsale.
"Fallo, figlio mio, uccidimi. È questo che vogliono"
"Papà..." sussurrò lui sconcertato, provando l'istinto di corrergli incontro ad abbracciarlo, ma le catene glielo impedirono.
Era così cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto, quando le navicelle dei colonizzatori erano arrivate sulla terra distruggendo tutto ciò che un tempo rendeva quel posto un vero e proprio paradiso.
"No! Non lo faccio! Portatemi pure su quella maledettissima isola, ma io non ucciderò mio padre per il vostro sporco desiderio!" gridò Marion inferocito.
Re Avaro fece una smorfia di puro disprezzo.
"Giovane caro, sei stato tu a volerlo. Riportate dentro il vecchio; se non lo ucciderà lui, lo farà un probabile soldato sicuramente più valoroso! E per quanto riguarda il detenuto, l'isola lo aspetta"
Fece un ampio gesto con le braccia e la folla lo acclamò entusiasta.
Marion cercò di divincolarsi dalla presa delle guardie che con forza lo stavano portando all'interno di un tubo metallico che si era materializzato in un istante di fronte agli sguardi attenti di tutti.
Guardò un'ultima volta sua padre prima che le pareti di acciaio si chiudessero attorno al suo corpo, per poi ritrovarsi attorniato da una vegetazione folta e da una spiaggia dall'odore putrido.
Non ebbe nemmeno il tempo di capire dove si trovasse, sentì solo il vento sferzargli fresco sul viso.
Fece un respiro profondo e immediatamente immagini violete iniziarono a vorticargli nella mente.
Cacciò un grido di rabbia mentre pensò che non l'avrebbero avuta vinta.
Lui sarebbe tornato e li avrebbe uccisi tutti quanti, come loro avevano fatto con la sua anima.
Num.4
Lady_Of_Darkness99
A Eleco non c'erano corvi.
C'era una grande varietà di uccelli, animaletti e perfino qualche esemplare di Drago Bianco ma i corvi no.
Erano stati sterminati o scacciati con la forza tutti.
A Levresia dispiaceva un po'.
Perché accanirsi contro un animale che non aveva fatto altro che il suo dovere? Dopotutto erano stati gli Dei a colorare le sue piume di nero e il suo becco del colore del tramonto e affidargli il ruolo di messaggero nefasto.
Anzi, la gente avrebbe dovuto essere grata ai corvi perché era solo grazie a loro che veniva a conoscenza se qualcuno sarebbe morto, scomparso o semplicemente un terremoto avrebbe fatto tremare le montagne e distrutto Eleco.
Che stupidi!
« Muoviti ad entrare. Aspettiamo solo te. »
Levresia si voltò con calma, anche se in realtà al suono di quella voce gutturale e roca il suo cuore aveva avuto un guizzo e si era stretto in una gelida morsa di paura.
« Scusami Roakai, arrivo subito.»
L'orco le lanciò un'occhiata di sufficienza, prima di rientrare nella Sala del trono e richiudersi alle spalle i battenti di legno.
Rimasta sola, Levresia si prese la testa tra le mani, appesantita da troppi pensieri.
All'improvviso tutto il sonno che aveva perso in quei giorni le crollò sulle spalle come un macigno grandissimo.
No... non devo dormire...
Sveglia. Doveva stare sveglia.
Così avrebbe stupito la gelida giuria dall'altra parte delle porte della Sala e avrebbe finalmente realizzato il suo sogno. La mamma glielo aveva assicurato, aveva visto del talento in lei. Sarebbe stato impossibile non accettarla alla scuola di magia nera.
Sì. Impossibile.
Levresia si alzò dal pavimento e spazzolò con una mano la polvere dai vestiti.
Ce l'avrebbe fatta.
Prese un gran respiro e, controllando il tremito pericoloso alle gambe, si avvicinò al portone con il pugno sollevato in aria.
Aveva talento lei.
Bussò delicatamente con le nocche. Tre colpi, due forti e uno più lieve.
I battenti si spalancarono.
Levresia entrò.
La Congrega delle Streghe la stava aspettando.
E lei li avrebbe stupiti.
...
« Come non ti hanno presa?!»
L'urlo indignato spezzò il silenzio e le perforò un orecchio.
Levresia sospirò seccata, asciugandosi con un dito quelle stupide lacrime che non volevano saperne di smettere di scendere.
Aveva bisogno di silenzio. Solo silenzio.
Solo che Fleeia non voleva capirlo e continuava a urtarle i nervi con la sua voce acuta e trillante.
« Non lo so... » singhiozzò, la voce rotta.
Non riusciva a capire come avesse potuto succedere. Era stata brava, non aveva sbagliato a formulare gli incantesimi del buio, non si era tradita da sola con una mossa azzardata. Eppure alla fine solo un silenzio gelido e imbarazzato aveva accolto la sua esibizione. Nessun applauso.
L'unico segno di vita da parte delle Tre Madri era stato solo un pezzo di pergamena che planava dall'alto.
Quando Levresia l'aveva raccolto, una sola parola le aveva infiammato la mente di umiliazione.
Dispensata.
Ecco che cos'era. Dispensata. Dispensata dal suo sogno, dai suoi incantesimi, dalla magia che le scorreva al posto del sangue.
« Ma era il tuo sogno! » esclamò Fleeia volteggiando sulla sua testa.
Levresia le aprì il palmo della mano « Lo so! Non ricordarmelo!» piagnucolò.
Il piccolo elfo del boschi le atterrò sulle dita, provocandole il solletico con le ali eteree e irrequiete.
« Scusa!» squittì « É solo che non riesco a capire. Dopotutto sono stati loro a farti ricevere l'invito, perché non accettarti? »
« Chiediglielo... »
Fleeia si sedette sui talloni e si prese il mento tra le dita grassoccie, pensierosa.
Sembrava un minuscolo fiore blu.
Se non fosse stata così abbattuta, Levresia probabilmente avrebbe riso di cuore alla vista di quello spettacolo: un elfo dei boschi, il suo elfo dei boschi, si stava affannando a trovare la motivazione a un giudizio ingiusto e poco chiaro.
Di colpo Fleeia scattò in piede e prese a camminare avanti e indietro sulla sua mano. Ci metteva molto per passare da un lato all'altro. Il palmo di Levresia non era grande, ma visto da un elfo dei boschi doveva sembrare mastodotinco come per gli umani lo era il Viale dei Giganti.
« L'unico motivo che mi viene in mente é che loro volessero solo darti una possibilità per migliorare. Poi saresti stata pronta. »
Levresia inarcò un sopracciglio « Mi hanno dispensata, Fleeia. Come vuoi che migliori? »
Fleeia s'imbronciò e scosse le enormi orecchie a punta
« Come sei negativa! » constatò seccata. Si alzò in volo e si aggrappò a un suo dito, tirandolo debolmente « Vieni! Vi.. Eni!»
Levresia decise di correre in suo aiuto e si alzò ciondolante « Dove? »
L'elfo le gettò una lunga occhiata eloquente, che se fosse stata sul viso di una strega probabile sarebbe risultata molto più minacciosa. E invece sul suo volto dolce appariva del tutto fuori luogo.
« Fuori. Ora io e te usciamo ad allenarci e ad affinare le tue tecniche. »
Levresia provò a protestare, ma era consapevole che non sarebbe servito a nulla. Quando Fleeia si metteva in testa di fare qualcosa, niente poteva distoglierla dal suo obiettivo.
Quindi, con un gran sospiro esasperato, si preparò a seguire fuori la sua amica.
Prima di mettersi in posizione, però, Levresia si accorse di un motivo furtivo alla sua destra.
Si voltò di scatto e osservò corrucciata la macchiolina nera che era comparsa sul ceppo di un vecchio salice.
Si muoveva.
Guardò meglio.
Sul volto fiorì un sorriso estasiato.
Era un corvo.
Uno vero, con le sue piume nere e il suo becco color sangue.
Non era molto grande, era piccolino. Un piccolo corvo.
Si avvicinò cauta, allungando un braccio.
« Ciao... »
L'uccello la fissò con i suoi grandi occhi d'ossidiana.
Non faceva altro. La guardava e basta.
« Ehi... »
Il corvo lanciò un verso acuto e prese il volo, dopo averla osservata in silenzio.
Levresia lo guardò andare via, con un sorriso dolce sulle labbra.
Era un segno.
Il corvo le voleva bene. Era venuto fino a Eleco per lei, portandole un messaggio prezioso.
Stavolta non avrebbe deluso la Congrega delle Streghe.
Chiuse gli occhi.
« Grazie...»
...
Tre settimane dopo Levresia entrava nella scuola di magia di Eleco.
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