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...and I went into a dream.

La caduta non fu lunga come immaginavo.
Pochi secondi dopo, anzi, mi ritrovai steso su un terriccio morbido, assieme agli altri che cercavano subito di assicurarsi reciprocamente sulle proprie condizioni.

Io non avevo occhi che per Simone.

Lo aiutai ad alzarsi, posandogli le mani sui fianchi e chiedendogli come stesse.
Lui avvampò di colpo, ma poi si scostò in malo modo.
«Non penso te ne importi» mi disse lapidario e non potei nemmeno reagire come avrei voluto che già mi trovai Chicca ad urlarmi contro.

«Ma te rendi conto de che cazzo hai fatto?» sbraitò furiosa «perché te sei messo contro il mandarino?! Se quelle storie terribili se tramandano da secoli ce sarà un motivo! Mo semo spacciati!»

E più lei parlava più mi sembrava di essere vittima di uno scherzetto di Halloween di cattivo gusto.
Avrei voluto replicare che per me, anche mezzo piano sottoterra come stavamo, le storie terribili di cui vaneggiava erano tutte fregnacce, ma soprattutto avrei voluto rispondere a Simone, dirgli quanto in realtà mi importava del suo stato di salute.
Che tu quella notte in ospedale dormivi e non te lo ricordi – mi sarei spiegato con calma senza rinfacciare nulla, ma solo con il bisogno disperato che lui lo sapesse – io invece ero sveglio e non posso dimenticarmela.

Non me ne fu dato modo.
Ad intervenire nelle nostre questioni irrisolte, a ricordarci che non eravamo al solito tavolino di un bar a bisticciare, bensì in quello che aveva tutta l'aria di essere una specie di anticamera dell'inferno dantesco, giunse una voce fortemente adirata.

Ci pietrificammo sul posto, impauriti com'eravamo dalla situazione e cercando di capire chi mai potesse celarsi dietro quel tono tanto furibondo.

Chicca, che si era avviluppata a me, cominciò inorridita a farfugliare di una fantomatica strega dei boschi, un essere mitologico di cui nessuno sapeva le origini, dal temperamento folle e dai connotati spaventosi, na matta col botto, sintetizzò efficacemente e, mentre lei tremava sul mio petto, io pensavo solo a Simone che si stringeva nelle braccia di Giulio.

I passi intanto sempre più vicini ci prepararono al peggio, dandoci la ferma convinzione che di lì a poco avremmo visto un mostro o un diavolo e che nulla ci avrebbe potuto salvare.

Ecco allora perché, quando l'immagine tanto temuta si palesò finalmente davanti a noi, diventando vivida figura e non più solo indistinto vociare, quasi scoppiai a ridere incredulo.

Vestiva una lunga tunica arancione e portava una fascia blu ad adornarle i capelli, l'anziana signora dai lineamenti dolci, quasi materni, che procedeva a ritmo cadenzato verso il punto in cui ci trovavamo.
Tutto poteva sembrare, con il suo viso paffuto e l'evidente accento partenopeo, meno che un personaggio pericoloso o addirittura malvagio.

«E questa sarebbe la strega mostruosa? Una vecchia vrenzola?» dissi tra me e me con un'espressione divertita che venne cancellata prontamente da lei che, alzando due dita nella mia direzione, permise ad uno dei tanti rami che pendevano nell'anfratto di allungarsi per schiaffeggiarmi la nuca.

«E tu invece sei lo scassambrella che m'ha fatto tremare tutta la casa!» esclamò con tono che non prometteva niente di buono «io stavo dormendo e m'hanno cominciato a ballare tutti i mobili!, ti pare bello a te?»

Simone mi guardò immediatamente, prevedendo forse che ero già sul punto di risponderle per le rime.
«Manuel non fare il coglione» mormorò a denti stretti «Qua rischiamo di schiattare se non stai zitto!» e io non lo feci apposta, ma sorrisi come uno stupido.
Potevamo pure essere in un mondo fatato o distopico – pensai osservandolo di rimando – ma i ruoli ai quali eravamo deputati, io il deficiente di turno che si incasina e lui che dai suddetti casini mi tirava sempre fuori, non cambiavano mai.

Fu proprio lui a tentare allora la strada della mediazione, cominciando ad adulare la vecchia con gentili parole che parvero funzionare, a giudicare dalla luce inedita sul suo volto prima incupito.
Le spiegò che non avevamo alcuna intenzione di disturbarla, che ci dispiaceva pure di esserci presentati così a mani vuote e che se ci avesse spiegato come rifare al contrario la strada avremmo volentieri levato il disturbo.

La strega – tu mi puoi chiamare Rossana, gli disse sorridente –lo prese chiaramente in simpatia.
Gli puntò un dito contro e, prima che io preoccupato potessi mollare Chicca per fargli da scudo, dall'alto fece scendere un rametto le cui foglie carezzarono il viso angosciato di Simone, per poi lasciare un piccolo mandarino già sbucciato tra le sue mani.

Lui sulle prime sembrò non capire, ma quando «mangia ca stai sciupato!» tuonò lei, prese a divorare il frutto con una foga mai vista.
«E' buono, ah?» interrogò in un misto tra genuina curiosità e terribile minaccia.
«Si- sì...è dolce!»
«Fai assaggiare pure agli amici allora!»
E senza farselo ripetere due volte, Simone allungo un braccio e offrì a noi tre che subito ne prendemmo.

L'aspetto era invitante, ma lo spicchio che mi capitò fu così amaro che pensai di star mangiando carbone, al punto da portarmi a storcere il naso ed emettere un lieve verso di disgusto che non sfuggi alla vecchia.

«Che è sta faccia Manué? Non ti piace il mandarino?» domandò con finto dispiacere e, turbato dal sapore acre che mi invadeva la bocca, quasi non feci caso al fatto che conoscesse il mio nome senza che io glielo avessi detto.

Quando lo realizzai, lei rise della mia espressione sconvolta, come a confermare che sapeva bene cosa mi passasse per la testa e «io so un sacco di cose su di te» attestò infatti con una voce evidente intimidatoria «molto più di quelle che pensi!»

Ciò che avrei voluto chiedere, le domande su cosa in effetti conosceva e il terrore nel sentirmelo poi dire, fu spazzato via dallo scricchiolare che improvviso sentimmo nel sottosuolo e che ci ghiacciò tutti sul posto.

Vidi Simone spalancare gli occhi e cercare subito la mano di Giulio, così come avvertii Chicca afferrare la mia che non potei far altro che stringere mentre lei piagnucolava agitata.

Un attimo dopo - il tempo per la signora Rossana di schiarirsi la voce e cominciare ad agitare le braccia in aria come un direttore d'orchestra - un'infinita concatenazione di rami apparve attorno a noi e, con mio sommo orrore, imprigionò gambe e braccia di tutti, meno che le mie.

«'A matta! Ma che cazzo stai a fa'?» gridai provando a muovermi, ma solo per scoprirmi paralizzato nel terreno.
Per quanti sforzi facessi, non sentivo più nessun arto obbedire al mio controllo.

Guardai disperato i miei amici avviluppati in quelle che sembravano vere e proprie catene e implorai di liberarli.
La strega rise diabolica e con uno schiocco di dita fece in modo che i tralci salissero fino alle spalle dei ragazzi che nel frattempo si dimenavano inutilmente.

«Oggi m'hai fatto pigliare collera Manué» mi disse, ignorando le mie preghiere «Simone e gli amici tuoi so stati tanto buoni coll'albero, poi arrivi tu e lo pigli a schiaffi? Ma come ti viene?»
«Mi dispiace! Mi dispiace!» urlai frenetico «non l'ho fatto con cattiveria!» aggiunsi, pregandola anche di lasciarli stare e di prendere me piuttosto, se quello era il problema.

«Non funziona mica accussì» rispose lapidaria «se vuoi che li liberi, mi devi dimostrare che sei buono veramente! Solo le brave persone nel mio regno vengono ascoltate!»
E in quel momento, tra lo strazio degli altri e le sue parole severe, mi resi conto spaventato di non avere molta speranza di salvarli.

Era chiaro che in me risiedesse un'evidente anomalia, un difetto congenito che mi aveva portato a vivere sempre con diffidenza e distacco.
Provocavo dolore, a chiunque indistintamente, solo per paura che me ne fosse inflitto.
Non ero capace di fare del bene, ma ero bravissimo a riceverne, conquistando affetti come territori che poi depredavo e distruggevo senza pietà.

Eppure, mentre mi logoravo in quelle angosce asfissianti come le sterpi che avvolgevano gli altri, la necessità di fare qualcosa sembrò battermi in petto sempre più urgente.
Guardai Chicca, Giulio, ma soprattutto Simone, e il pensiero di volerli salvare ritornò con prepotenza.
«Cosa vuoi che faccia?» domandai impaziente «cosa devo fare per te?»

Rossana parve piacevolmente sorpresa da quel mio rinnovato intento e, fregandosi le mani, «tu pensi di non saper voler bene» disse stupendomi, «ma se mi dimostrerai il contrario, io vi lascerò andare tutti quanti! Devi dare un bacio, un bacio vero alla persona che ami di più tra di loro e poi sarete liberi.»

Rimasi sbigottito dalla sua richiesta e terrorizzato ancora una volta all'idea di non poterla portare a compimento.
«E- e se per caso non dovessi amare nessuno di loro?» chiesi con un filo di voce.
«Oh Manué» rise appena sollevando gli occhi verso il punto in cui erano gli altri «sappiamo tutti e due che non è questo il caso.»

Mi sentii nudo e vulnerabile sotto il suo sguardo consapevole, scoperto nel mio più grande segreto, ma, al contempo, sollevato da un fardello che mi gravava nel petto da troppi mesi per sopportarlo ancora.

Forse ero impazzito del tutto, andato completamente di testa tra mandarini e regine dei boschi a circondarmi, perché di colpo realizzai che, se pure lei se ne era accorta, magari io – quello che aveva sempre e solo causato del male – un po' di amore in realtà sapevo provarlo e farlo addirittura a vedere senza vergogna.

Nemmeno me ne accorsi delle gambe che avevano ripreso a muoversi libere, né dei passi che feci verso i miei amici ancora incatenati, né tantomeno di Chicca che «baciami subito, Manu! Che aspetti!» mi richiamava concitata.

Tutto quello che avevo in mente era Simone.

Se ne stava lì con il volto piegato e lo sguardo verso il basso, forse per evitare di assistere al bacio che – credeva – ci avrebbe salvati.
Mi fermai davanti alla sua figura, il batticuore esagerato a mangiarmi il petto e un calore in viso che avvertivo sempre più forte.

Schiarii la voce e «Simo» mormorai per fargli capire che avrebbe dovuto alzare la testa.
Gli occhi erano immensi e incerti e le labbra rosse già schiuse, proprio come quell'unica volta in cui mi ero avventato su di lui.
Mi mostrai immediatamente dispiaciuto, «scusami... non era così che speravo andasse» dichiarai sincero e però, prima che potessi ripensarci, prima che gli sguardi sconvolti di Chicca e Giulio potessero trafiggermi, mi spinsi sulla sua bocca aperta in un oh di stupore.

Lo baciai piano, con la consapevolezza che lo stessi obbligando, che in un'altra occasione magari avrebbe pure ricambiato, ma che lì stavo comunque rovinando tutto, mentendogli prima e approfittando dell'impossibilità di reagire poi.

Sulla lingua intanto sentivo l'inedito sapore dolce del mandarino mischiarsi al suo e cercavo in ogni modo di non farmi sopraffare dalle sensazioni, di non lasciarmi andare come l'animale che ero nella bocca che tanto volevo.

Lo amavo, e adesso non ne ero a conoscenza solo io, ma anche Simone e pure gli altri che parevano respirare meglio man mano che i rami indietreggiavano fino a sparire nel sottosuolo.
Eppure – pensai cominciando a staccarmi controvoglia – quella salvezza ottenuta, non sarebbe servita a giustificare il mio comportamento.

Lui non mi perdonerà mai.
Lui non sarà mai più a suo agio con me.
Lui—
«Io voglio un altro bacio... Manu, ti prego.»

Oh.

Lo guardai sconvolto, mentre si riscopriva libero finalmente dai tralci soffocanti, ma con ancora l'affanno a spezzargli il fiato.
«Tu- tu mi vuoi?» chiese timidamente contro il mio viso impietrito e io temetti di impazzire, annuendo come un forsennato e depositandogli un leggero bacio sulle labbra gonfie, che però non riuscii ad approfondire perché «hai visto?» mi disse portando le mani sulle mie spalle e distanziandomi «ci voleva solo più amore. Adesso lo sai pure tu.»

E non feci in tempo a domandare cosa intendesse dire, cosa volesse farmi capire con quella frase criptica, che lui – sotto il mio sguardo di terrore – iniziò a disintegrarsi come fosse composto di polvere, fino a sparire completamente assieme a Giulio e Chicca.

Richiamai disperato Rossana, «che cazzo fai? pensavo bastasse un bacio per scusarmi con te!» urlai e lei, smaterializzandosi a sua volta, «non era mica con me che dovevi scusarti» sorrise benevola «ma con Simone!»
«E come faccio? Come faccio se non c'è più!» piansi avvilito.
«Scetati e lo saprai Manué!»
«Che? Che devo fare?»
«Svegliarti Manué! Ti devi svegliare!»

Uh?

"Manuel per favore, svegliati! Mi stai facendo preoccupare!"

Aprii gli occhi di soprassalto.
Il cuore che batteva a mille e le braccia ancora allungate come se stessi cercando di afferrare qualcosa o qualcuno.

L'intorpidimento e le immagini del sogno appena fatto mi abbandonarono con la stessa velocità con cui erano arrivate, per lasciar posto ad un ritorno alla realtà fortemente traumatico, ma altrettanto voluto.

Misi a fuoco ciò che avevo davanti.

Un cielo stellato, lo stesso che credevo di aver salutato per sempre poco prima, mi riaccoglieva benevolo nel mondo dei vivi.
In altre circostanze non avrei esitato ad osservarlo assorto, riflettendo magari su quanto immenso fosse lui e quanto insignificante risultassi io al suo cospetto.

Ma in quel momento – con il cervello che ancora cercava di riprendere il governo del corpo – l'unico pensiero che aveva davvero un senso, giaceva inginocchiato accanto a me tenendomi la testa sulle gambe.

"Manu" sussurrò piano "dio santo Manu, come stai? Come ti senti?"
E, nonostante la certezza assoluta di avere un bernoccolo grande quanto una montagna sulla fronte e il freddo del terreno a ghiacciarmi il culo, io mi resi conto che non ero mai stato meglio di così.

"Simo" dissi incantandomi a fissarlo "sei qui con me..."
"Si- si, mi dispiace che non ci sia Chicca..." rispose non capendo affatto quello che intendevo "anzi, si sarà sicuramente preoccupata!"
"E tu?" domandai portandomi a sedere "anche tu ti sei preoccupato?"

Simone mi guardò come se fossi pazzo, e probabilmente aveva ragione, che mi sentivo davvero folle nel saperlo vivo accanto a me e non perso invece sotto un cumulo di macerie durante un mio delirio onirico.
"Manu io- certo, certo che lo ero" bofonchio abbassando la testa "pure parecchio."

"Si?" chiesi con un sorriso imbecille ad adornarmi il volto.
"Si, Manuel" scandì più duro, forse credendo che lo stessi prendendo in giro per la sua reazione "sei svenuto tra le mie braccia dopo aver colpito un albero innocente e-"
"Oh, quell'albero è tutto fuorché innocente, credimi!" lo interruppi guardando in tralice la suddetta pianta che giaceva silenziosa e immobile vicino a noi.

Simone scosse la testa, sei un cretino borbottò, ma si vedeva che stava sorridendo e io pensai solo a quanto volessi baciarlo fino a finire il fiato.
Lo richiamai allora con urgenza, stringendo le mani attorno a quel bel maglione chiaro che gli donava così tanto e che mi dava un altro motivo per perdere la testa.

"Simo mi dispiace per prima..." ammisi sincero "non penso nulla di quello che ho detto."
"Non lo pensi?"
"Affatto."
"E- e che pensi?"
Posai pianissimo le labbra sulle sue e "questo" confessai staccandomi.

Ci guardammo per qualche secondo, io troppo spaventato per fare altro che non fosse sperare internamente di non aver sbagliato tutto e lui con gli occhi sbarrati e le dita ferme a tastarsi la bocca.

Hai fatto l'ennesima cazzata – mi dissi sconfortato – ma non riuscii nemmeno a crogiolarmi in quel pensiero, perché subito dopo fui cappottato di nuovo sul terreno con Simone addosso a me e la sua lingua a spingersi nella mia bocca.

"Sei un incoerente del cazzo" ringhiò tirandomi i capelli e facendomi mugolare "prima mi dici che non mi vuoi e poi mi baci."
"Non è vero che non ti voglio" ammisi mordendogli il labbro inferiore "Cristo Simo' io non faccio altro che pensare a te."
"A me?" e il tono di voce divenne improvvisamente dolce "E come mi pensi Manu? Me lo fai vedere come mi pensi?"

Mi sembrò allora di non capire più nulla, che lui si dimenava su di me senza sosta e l'idea di prenderlo lì, anche in mezzo al bosco, mi attraversò con violenza.
Gli strinsi i fianchi per tentare di fermarlo, "non posso" ansimai e "non posso di nuovo all'aria aperta'" specificai quando lo vidi incupirsi al mio diniego.

"Andiamo dentro" suggerì tirandosi su e prendendomi la mano "andiamo subito, ti prego."
Annuii frenetico, ma al contempo mi resi conto, con non poca ansia, che il percorso per arrivare lì non la ricordavo bene e che ormai era notte e rischiare di muoverci in un bosco non era poi un'idea tanto geniale.

"E come facciamo Simo'? E' notte e io non credo di sapere più che strada ho fatto per trovarti..."
"Ma di che cavolo parli?" mi domandò confuso e "l'avevo detto io agli altri che stavi bevendo troppo stasera!" aggiunse pure con aria frustrata.
"...Bevendo?"
"Manu, ma dove cavolo credi che siamo?"

E fu solo allora che, sollevando gli occhi dai suoi e guardandomi attorno, notai davvero cosa ci circondava.

Non c'era più nessuna selva labirintica ad imprigionarci, né buio pesto ad avvolgerci, soltanto il retro di Villa Balestra addobbata a festa e un unico albero di mandarini accanto a noi, il quale non aveva l'aspetto esile che ricordavo, bensì si ergeva alto e robusto, venendo anche illuminato dal bagliore della Luna alta in cielo.

Simone nel frattempo mi guardava perplesso, le mani che tentava di staccare dalle mie e la voce fioca mentre "se dobbiamo scopare solo per fingere di non ricordarcelo domani" – mormorava – "preferisco non fare niente e basta."

Lo acchiappai prima che potesse andare troppo lontano, arpionando di nuovo i fianchi morbidi e spingendomi sulla bocca che teneva aperta per protestare.
"E se facciamo l'amore?" chiesi carezzandogli le guance "se facciamo l'amore, magari domani ce ne ricordiamo?"







Quasi scardinammo la porta della stanza di Simone nella foga di entrarci, lui in braccio a me e la sua schiena battuta contro l'anta appena ce la chiudemmo alle spalle.
"Manu, piano" rimproverò tra un ansito e l'altro, ricordandomi che non eravamo soli in casa.
"Piano... pianissimo" risposi, ma continuavo a stringergli le natiche e divaricarle solo per sentirlo mugolare.

Al letto ci arrivammo con qualche difficoltà, travolgendo un piccolo abat-jour nel mentre e ridendo poi come due cretini intanto che ci spogliavamo a vicenda.
Baciai ogni centimetro del suo corpo che riuscivo a raggiungere, alternando scuse sincere e lusinghe adoranti sulla pelle e ascoltando i lamenti soffocati che emetteva.

"Non– non devi" pigolò quando mi vide sostare all'altezza suo inguine.
Depositai allora un bacio sulla cappella rossissima che tremò in risposta e "ma io voglio" confessai prima di inglobarlo.

Mi spinsi a fondo su di lui, tanto che ne sentii la punta pulsarmi in gola e le lacrime appannare la vista, ma non me ne curai, preso com'ero a tenere gli occhi fissi nei suoi intanto che mi stringeva i capelli e "Manu" annaspava.

Venne dopo pochi secondi, e alla sorpresa si affiancò un evidente imbarazzo, baciato via però dalle mia bocca piena che svuotai nella sua.
"Sei stato bravissimo" rassicurai "tanto bravo solo per me" e lui in risposta emise un altro debole fiotto che raccolsi prontamente per portarmelo alle labbra.

"Manu... Manu ti voglio dentro, ti prego"
"Si?" chiesi allora facendomi spazio fra le sue gambe "e ti preparo io? Ti preparo io Simo mentre tu ti apri per me?"

E forse fu perché stavo già immaginando le mie dita perse a rivoltargli le viscere, o perché lo vedevo lì stremato –  gli occhi pieni di lacrime e il petto in affanno – e credevo non avesse più forze in corpo nemmeno per rispondere, fatto sta che il successivo "no Manu, voglio che mi guardi mentre io mi preparo per te" mi arrivò addosso come una colata di lava bollente facendomi quasi venire sul posto.

Senza nemmeno attendere risposta e con una calma che trovai incomprensibile, si mise pancia sotto e puntellò le ginocchia sul letto per concedermi l'immagine oscena e divina assieme del suo anello di muscoli che iniziò a tormentare, prima solo dall'esterno, e poi anche da dentro con due dita inumidite.

Il ritmo delle spinte divenne lo stesso che io adoperai per me, scendendo e risalendo sul mio membro marmoreo solo per soffocarlo e impedire un rilascio che mi pareva sempre più vicino.
Quando finalmente mi chiamò a sé, quando Manu fammi tuo, ti prego fammi tuo, ansimò con il volto stretto nel cuscino, pensai che sarei morto, stremato dal mio stesso orgasmo soppresso fino a quel momento e dalla visione che mi si parava davanti.

Portai allora una mano sulle natiche arrossate e – solo perché potevo – permisi ad un singolo dito di accedere in lui, facendolo mugolare impaziente.
Lo guardai disperarsi per qualche secondo e dopo, con tutta la delicatezza di cui ero ancora padrone, mi tirai indietro per prenderlo dai fianchi e girarlo piano verso di me.

Simone si lasciò andare arrendevole, i sospiri sempre più forti mentre mi facevo strada nel suo corpo e le mani tremanti a cercare le mie che subito gli offrii.
"Me lo dici?" chiese tra le lacrime "Manu me lo dici che mi vuoi ora?"
"Ti voglio" lo rassicurai baciandolo sulle labbra e spingendo a tempo con le parole "ti voglio sempre... Cristo tu sei mio amore, mio, mio, mio."

Tanto gli bastò, nient'altro che questo attestazione di possesso delirante, per liberarsi ancora una volta e invocare intanto il mio di orgasmo che rovesciai nelle sue carni assieme ad una nenia infinita di "ti amo" che travolse entrambi per la sua violenza.

Si avviluppò a me prima ancora che provassi a muovermi, implorandomi di non andarmene e io ricambiai la stretta per dimostrargli che non avevo alcuna intenzione di farlo.
"Sono stanco Manu" pigolò poi con gli occhi che si chiudevano.
"E allora dormi amore" sussurrai sul suo viso già assopito "tanto noi ci ritroviamo pure nei sogni."




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nota dell'autrice:

che merda regaz!!!!

Ringrazio sempre voi di cuore x l'affetto e le tubere x la pazienza ♥️

P.s: happy Halloween! 🎃👻

Ciao!🧚‍♀️

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