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8. Le Spice Girls

Gray si svegliò di soprassalto. Gli ci volle un attimo per mettere a fuoco i ricordi della cena precedente che lo investirono in poco tempo. Allungò la mano verso il lato opposto al suo, trovandolo vuoto.

Si alzò di scatto.

«No, no, no...» cominciò a dire a ad alta voce.

Si alzò dal letto e andò alla ricerca dei suoi pantaloni e di una maglietta da mettersi addosso. Perché si era infilato in quella storia? Perché?

In realtà, pensandoci, non ci si era infilato. Quella situazione gli era caduta addosso come una valanga e lo aveva sepolto vivo. Peccato che quella valanga aveva gli occhi blu e i capelli che profumavano di miele.

Cercò il suo telefono e imprecò per la milionesima volta: non aveva il numero di Atena, né quello di Mila e Karima. Di certo non poteva allertare i suoi genitori che erano già abbastanza anziani e non avrebbero sicuramente potuto aiutarlo.

Chiamò Gianni.

«Halley!» esclamò allegramente. «Sono a fare colazione. Che dici, vieni?»

«No, no... senti, ho bisogno di una cosa urgente...» rispose, stropicciandosi il viso assonnato.

«Ho trovato questo bar all'angolo, lo hanno appena aperto. Fanno le graffe. Sai cosa sono, le graffe? E un cappuccino che è la fine del mondo... te ne faccio mettere via un paio, se vieni!»

«Gianni...»

«Ieri sera non c'eri e c'è stata una bella rissa...»

«Gianni!» lo interruppe bruscamente. «Mi serve il numero di Mila o di Karima, le cameriere del ristorante.»

Ci fu un momento di silenzio.

«Non si esce con due donne allo stesso momento.»

Gray poggiò la fronte contro il muro, desiderando di spaccarcisi contro la testa.

«Non mi serve per uscire... non mi interessano, loro... è una cosa che riguarda Atena.»

Un altro momento di silenzio. «Atena?»

«Ti spiegherò tutto ma adesso è importante... mi serve il loro numero», disse.

Nel parlare si mise addosso una camicia e infilò le scarpe.

Gianni iniziò a parlare in italiano al telefono, probabilmente rivolgendosi ai suoi figli.

«Della cameriera! Karima! O Mila!» lo sentì urlare dall'altro lato del telefono. Tanto che si ritrovò costretto ad allontanarla.

Alla fine, il figlio di Gianni aveva il numero del cuoco, che aveva il numero di Mila.

Gray non credeva in Dio ma fu a tanto così dal ringraziarlo quando finalmente riuscì a scrivere il numero di Mila su un pezzo di carta straccia.

Mila aveva ancora la voce impastata dal sonno quando rispose e lo fece senza nemmeno guardare il numero di cellulare.

«Mila?»

«Chi parla?» sbadigliò, tirandosi su a sedere e controllando il numero sullo schermo.

«Sono Gray.»

«Gray?» Mila si mise stranamente in allerta. «Che succede?»

Gray parlò rapido, spiegando cosa era successo in maniera concisa e concludendo con l'impartirle di andare immediatamente a casa di Atena perché sicuramente avrebbe avuto bisogno di aiuto.

Mila sentì una scarica di adrenalina percorrerle lo stomaco e si alzò dal letto, raccattando le prime cose che trovò sottomano, tra cui il pantalone a pois del suo pigiama. Accanto a lei, Alexis fece lo stesso senza nemmeno sapere cosa stava succedendo.

Le sembrava di essersi distaccata dalla realtà, tanto era il panico che l'aveva travolta in quel momento.

L'essere salita in macchina con Alexis e l'aver chiamato Karima si trasformarono in una macchia confusa.

*

Quando Atena rientrò a casa quella mattina, con addosso il vestito della sera precedente e il trucco ancora tutto sbavato, Spencer la osservò con gli occhi infiammati dalla rabbia.

«Dov'eri?» le chiese, a denti stretti e facendosi più vicino.

«Sono stata dai miei», mentì.

Spencer sorrise. «Non è vero. Li ho appena chiamati.»

Atena aveva conosciuto Spencer in un momento della sua vita in cui sapeva che avrebbe dovuto sistemarsi. Era di buona famiglia, aveva un buon lavoro ed era abbastanza attraente. Eppure, adesso, mentre lo guardava, si chiese che cosa cazzo le avesse detto la testa.

Avrebbe dovuto lasciarlo alla prima alzata di voce, alla prima spinta... non avrebbe dovuto permetterle di trattarla come se non contasse niente. Lo aveva sempre giustificato, sbagliando.

«Li hai chiamati adesso? Non ieri sera quando sei rientrato?» lo sfidò.

D'un tratto, lo mise a fuoco, delineando i dettagli del suo abbigliamento: era vestito come la sera precedente.

Spencer la guardò un attimo: il labbro inferiore era tutto spaccato e violaceo. Ebbe un secondo di tentennamento, facendo per avvicinarsi. Non avrebbe dovuto farle male. La prossima volta sarebbe stato diverso... la prossima volta avrebbe, avrebbe...

«Non hai dormito qua», asserì lei, trovando il coraggio di farsi più vicina.

Le puntò il dito contro. «Non ribaltare la situazione, tesoro.»

«Non chiamarmi così», disse, con un filo di voce. «Non sono mai stata il tuo tesoro. Guarda che cosa mi hai fatto.»

Spencer non si aspettava una sua reazione: Atena non reagiva mai e l'aveva lasciato senza parole.

«Penso che sia arrivato il momento di mandare all'aria queste nozze, hm?»

Spencer si avvicinò a lei e la spinse violentemente contro la parete. La fece sbattere contro lo spigolo dello specchio attaccato accanto all'ingresso che cadde a terra, spaccandosi in mille pezzi.

«Lascia stare la mia amica brutto bruco!» la voce squillante di Karima seguì la sua figura minuta che gli si scagliò contro, cogliendolo di sorpresa e spingendolo a qualche metro da Atena.

Nel suo appartamento entrarono Mila e Alexis, il cui viso non era per niente minaccioso ma erano sicuramente in maggioranza rispetto a lui.

«Ti dico cosa faremo», ringhiò Mila, avvicinandosi a grandi passi. «Adesso la mia amica andrà di sopra a farsi la valigia e tu non la contatterai più. Sparirai dalla sua vita.»

«Mila...» la richiamò Atena.

Mila si voltò come una furia verso la sua amica, impartendole con gli occhi neri di fare silenzio.

«Rims ti aiuta a fare la valigia», si limitò a dire, indicando la sua stanza da letto.

Atena tirò fuori un borsone dal fondo dell'armadio e ci buttò dentro i vestiti che usava di solito, qualche paio di scarpe e i pochi trucchi che usava che non erano secchi o scaduti sul fondo della sua trousse.

«Avrete mie notizie», disse Spencer, in un tono di voce che lasciava ben poco all'immaginazione.

«E tu avrai notizie dalla polizia» ripose secca Karima.

I quattro giovani lasciarono l'appartamento e uscirono sul marciapiede. A New York ancora pioveva e faceva abbastanza fresco per essere maggio ma a nessuno dei presenti sembrava importare.

«Dove andiamo?» domandò Karima.

«Atena va a casa dai suoi», disse seria Mila, senza nemmeno guardarla in viso.

Atena conosceva Mila da una vita e non si ricordava l'ultima volta in cui l'aveva chiamata per nome.

«Non posso farmi vedere dai miei così.»

Mila si bloccò sui suoi passi e si voltò finalmente a guardare la sua amica: aveva gli occhi lucidi e un dolore nel cuore che riusciva a percepirsi nell'aria. Alexis le poggiò delicatamente una mano sul fianco e lei si lasciò toccare.

«Ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti rendi conto di quello che ti poteva capitare?» Mila aveva alzato il tono della voce, un po' rotta dal pianto.

«Non hai detto niente ai tuoi, non hai detto niente alla tua famiglia...» tirò su col naso. «Lo hai detto ad un cazzo di sconosciuto che ti sei scopata in un bagno e non a me, che mi conosci da quando avevamo entrambe il pannolino! Dio, Atena, ma che cosa ti è saltato in mente?! Volevi finire sul giornale e morire come una martire?!»

Atena scosse la testa, abbassò lo guardò e sentì fiumi di lacrime solcarle le guance.

Mila le si buttò tra le braccia e Karima si unì a loro. Tutte e tre rimasero a piangere in silenzio, sotto la pioggia.

*

Quando Carmine e Sofia videro comparire la loro bambina e le sue amiche – e Alexis – sull'uscio del ristorante, bagnate come tre pulcini e coi volti provati, ebbero un mancamento.

Carmine non disse una parola mentre sua figlia raccontava. La guardava da lontano, dal bacone del bar contro il quale era poggiato – non sarebbe riuscito a stare in piedi senza il sostegno di quest'ultimo ma non lo avrebbe mai ammesso – con le mani dure strette in due pugni e il viso contratto dalla rabbia.

Sofia era in piedi accanto a sua figlia, le accarezzava i capelli umidi, come quando era piccola.

Atena terminò il suo racconto e la prima a parlare fu sua madre. «Avresti dovuto dircelo, Atena! Pensi che ti avremmo voluto in una relazione del genere? Sei stata così... così... e noi non ci siamo accorti di niente, è vero, ma tu non ci hai dato nemmeno un segno, niente...»

Sofia continuò a blaterare frasi senza senso. Venne interrotta dalla voce scura di Carmine. «Sofia. Lascia respirare la ragazza» si limitò a dire, trovando finalmente il coraggio di sollevarsi dal bancone per prendere in mano la situazione.

«Atena andrà a sistemarsi nella sua vecchia camera da letto e starà con noi fino a nuovo ordine. Riparleremo di questa storia quando saremo tutti più calmi.»

I presenti annuirono: era prima mattina ed erano stanchi come se fossero le undici di sera.

«Karima, Mila, Alexis... grazie per quello che avete fatto per nostra figlia», Carmine diede loro un paio di pacche sulle spalle. «Vi darei la giornata libera come premio ma non posso restare senza camerieri quindi ci vediamo tra un paio di ore», terminò, facendo capire loro che era arrivato il momento di lasciare la famiglia Costa a processare quella serie di informazioni.

Mila e Karima lasciarono un bacio ciascuna sulle guance di Atena e lei salutò loro e Alexis con la mano, guardandoli andare via finché non sparirono oltre le porte del ristorante.

Carmine sollevò una mano verso sua figlia e le lasciò una carezza all'altezza del labbro leso, sfiorandola appena con la sua mano ruvida. Non disse nulla: si limitò a guardarla e quello bastava. Il respiro di Andrea era interrotto dal magone.

«Va' a farti una doccia, Atena», le disse dolcemente sua madre, dandole il permesso di andare di sopra.

Casa sua era sempre la stessa: c'era ancora il pavimento di marmo, la carta da parati color giallo limone e il vecchio orologio a pendolo di sua madre in mezzo al corridoio.

I suoi genitori avevano lasciato la sua stanza esattamente com'era prima che se ne andasse a vivere con Spencer. Sua madre aveva sicuramente pulito ma aveva rimesso persino i peluche che stavano sul suo letto nello stesso ordine.

C'era lo scimpanzé, poi l'elefante e infine la mucca.

Uno strano trio di animali.

Atena tirò la tenda della doccia e si infilò sotto l'acqua calda: voleva lavarsi quella giornata - e quella prima - di dosso ma sapeva che non sarebbero state sufficienti nemmeno quindici docce. La sua mente corse a Gray: chissà che cosa aveva pensato quando non l'aveva trovata a letto con lui. Forse ne era rimasto sollevato. Non poteva pensare di buttare la sua merda su tutti quelli che le stavano vicino.

'Sei il casino che voglio...' le aveva sussurrato, con quella voce simile ad una canzone.

Sicuramente era stata solo la frenesia del momento. Se di frenesia si poteva parlare. Del resto, chi mai avrebbe potuto volerla?

E poi, a malapena si conoscevano.

'Secondo me, un po' uguali lo siamo,' di nuovo la sua voce, di nuovo un brivido lungo la schiena.

Atena uscì dalla doccia e si asciugò velocemente il corpo e i capelli. Tirò fuori un paio di pantaloni della tuta stropicciati e si mise addosso la felpa che aveva rubato a Gray e che aveva lasciato nella sua macchina.

Si infilò sotto le coperte nonostante fossero appena le dieci del mattino e si addormentò in un sonno profondo.

*

Gray stava andando letteralmente fuori di testa. Aveva provato a chiamare di nuovo Mila e lei non gli aveva risposto. Così, all'ora di pranzo comparve alla Taverna di Atena, nella speranza di trovare la sopracitata e assieme a lei un paio di spiegazioni.

Prima fra tutte: perché cazzo aveva lasciato il suo letto?

No, non era vero. La prima domanda era: avevano preso a pugni quel pezzo di merda?

La situazione alla Taverna sembrava la stessa di sempre: Karima e Mila servivano i tavoli, Carmine urlava a Karima di non far cadere le saliere per terra. Eppure, per quanto sembrasse tutto nella norma, l'atmosfera era un po' cupa, pensierosa.

Nessuno di loro fece caso a lui, tanto che si chiese se fosse morto e diventato invisibile.

«Mila, ehi», richiamò la giovane, avvicinandosi.

Lei lo mise a fuoco solo dopo un paio di secondi.

«Gray.»

«Atena, sta bene?»

Mila annuì. «Bene, sì.»

«È al sicuro?»

In sostanza, voleva sapere se stesse ancora con quel tizio con il quale non aveva mai nemmeno parlato ma lo odiava. In realtà, era più che sicuro che se mai ci avesse parlato sarebbe finito di nuovo in prigione e stavolta per colpa sua... lesioni personali o omicidio.

Mila non rispose.

Gray si chiese perché sembrava che ce l'avesse con lui. Nel frattempo, i due vennero raggiunti da Karima che ovviamente non si sarebbe mai persa quella conversazione.

Mila approfittò della presenza di Karima per allontanarsi e Gray l'afferrò piano per il braccio, facendola voltare.

«Fantastico! Ne ha trovato un altro violento!» esclamò, alzando gli occhi al cielo e facendo per andarsene, guadagnandosi tra l'altro lo sguardo stizzito di Karima.

La presa attorno al suo braccio si fece lievemente più stretta: Gray si fece guardare negli occhi.

«Non le farei mai del male, mi hai capito? Mai. Né a lei né a nessun'altra persona.»

Gli occhi di Gray erano seri, la misero quasi in soggezione.

«Che sta succedendo qua?!» domandò Carmine con la voce scura.

«Niente», rispose frettolosa Karima.

Carmine guardò Gray. «Hai bisogno di qualcosa?»

Di sua figlia, avrebbe voluto rispondergli, e non sapeva nemmeno perché.

«Vorrei vedere Atena.»

«Ah!» Carmine si mise le mani ai fianchi. «Pensi davvero che ti farei vedere mia figlia?»

Gray sentì il suo fiato farsi sempre più corto e la rabbia gli si gonfiò nello stomaco come un fottuto palloncino.

«Mi fa piacere che siate tutti protettivi adesso. Mi chiedo dove foste fino a prima che io mi rendessi conto di quello che stava succedendo.»

Senza aggiungere altro, Gray uscì dal ristorante, lasciando i tre in silenzio e lievemente in imbarazzo.

«Lo ha scoperto lui?» domandò Carmine. Prese un respiro profondo: c'era troppa carne al fuoco. Primo tra tutti, perché quel ragazzo era così tanto interessato a vedere sua figlia?

«Torniamo a lavoro», disse, nella speranza di riuscire a schiarirsi le idee.

Sola con Mila, Karima schioccò la lingua. «Te la potevi risparmiare, Mils.»

Mila si mise entrambe le mani sui fianchi. «Adesso io che c'entro?»

«Sei arrabbiata perché non te lo ha detto per prima, è ovvio. Perché devi essere sempre la prima a sapere tutto.»

«E questo cosa accidenti c'entra adesso?»

Karima si fece più seria. «Il punto è, che Tini non ce l'ha detto perché non se l'è sentita. Probabilmente non lo avrebbe mai detto se lui non se ne fosse accorto! Le ha salvato la vita.»

Mila agitò le braccia. «Un supereroe», alzò gli occhi al cielo. «Ma per favore. Atena avrebbe dovuto...»

«Atena avrebbe dovuto niente, Mils! Non sai che cosa ha avuto nel cuore in questi mesi, anni... non puoi sapere che cosa avresti fatto nella sua posizione quindi ti prego di non giudicarla e di cercare di starle vicino. Ha bisogno di noi ora più che mai.»

Mila abbassò lo sguardo per qualche secondo, poi tornò a guardarla. «Così adesso sono io la cattiva.»

Gli occhi di Karima si addolcirono e le poggiò entrambe le mani sulle spalle. «Non sei cattiva, sei solo una maniaca del controllo», sospirò. «Solo che a volte dovresti chiudere in una gabbia la maniaca del controllo e fare uscire la parte un po' più emotiva.»

«Se lo faccio mi metto a piangere...» sussurrò.

«E allora piangi.»

«Dopo, adesso devo andare a mettere a posto quei bicchieri», le disse, liberandosi dalla sua stretta e andando verso il bar. 

Spazio autrice

Buonaseraaaa eccoci con un nuovo capitolo! Mila e Karima hanno preso in mano la situazione, finalmente, direi!

 Ringrazio sempre chi mi legge ❤😘

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