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6. Balliamo durante la valanga

Quel giorno, alla Taverna di Atena, Carmine aveva deciso di intrattenere gli ospiti con una musica assordante e tipicamente italiana - Raffaella Carrà e i Ricchi e Poveri erano tra i più gettonati -, che non andava per nulla d'accordo con l'hangover di Atena e Karima, che avrebbero voluto strapparsi le orecchie per non sentire.

Atena era riuscita a trascinarsi fuori dal letto e darsi una sistemata abbastanza da non sembrare un cadavere e in quel momento guardava suo padre e i cuochi intrattenere un piccolo spettacolino a ritmo di 'Sarà perché ti amo' in una versione tutta remixata ed estremamente alta.

Gianni si era unito all'amico mentre i suoi figli e Gray guardavano la scena con fare divertito assieme agli altri clienti che provavano a cantare con loro.

«Atena! Vieni qua a ballare con noi.»

...e ti pareva.

Atena afferrò Karima per la mano che ovviamente si fece coinvolgere e misero temporaneamente da parte la loro sbronza per mettersi a saltellare assieme ai presenti. Le due si voltarono poi verso Mila che sperò fino all'ultimo di non venire coinvolta ma si era illusa. Dopo un paio di lamenti poco convinti, le tre ragazze si erano messe in piedi sulle sedie a ballare agitando i tovaglioli mentre i cuochi e Carmine sorridevano e tenevano il tempo.

Gray la guardava da lontano: come la sera precedente ballava spensierata, tutta sorridente. Stava bene lì, con la sua famiglia, la sua dea. Era così vicina, eppure così lontana da lui.

Riusciva a percepire che nascondeva qualcosa: lo vedeva in alcuni gesti, nello sguardo triste che si dipingeva in viso mentre nessuno non guardava, come se volesse piangere da un momento all'altro. Tornava alla vita quando le sue amiche facevano qualche battuta, o anche quando suo padre la sgridava per qualcosa. Quando nessuno la guardava, però, Atena Costa era triste.

Gray la riconobbe quella tristezza perché era la stessa che aveva trovato in prigione, quando si era preso la colpa per un amico che reputava fratello e che non era mai andato a trovarlo. A trovarlo era andata solo la sua famiglia, che lo aveva maledetto per aver fatto una cosa del genere e lui aveva solo dato loro ragione.

Il flusso dei suoi pensieri si interruppe quando si rese conto che la musica si era fermata, così come tutti i presenti.

Atena scese dalla sedia su cui stava ballando per andare in contro ad un giovane che aveva probabilmente superato i trenta - o non li aveva e li portava male - coi capelli ricciolosi e gli occhi anonimi.

Eccola lì, la tristezza di Atena Costa: il suo futuro marito.

Carmine si avvicinò al tizio per stringerlo in un abbraccio e lui ricambiò solo perché era costretto e non perché gli faceva piacere.

Sollevò poi una mano ed Atena si allontanò, e Gray sperò di sbagliarsi, come se si aspettasse di essere colpita. Lui invece la strinse per il fianco attirandola a sé e lei si lasciò stringere senza però guardarlo in viso.

Salutò poi Karima e Mila, che risposero con un semplice cenno del capo per poi tornare quasi immediatamente a fare il loro lavoro, ormai prive di entusiasmo e della spensieratezza che le aveva contraddistinte fino a qualche minuto prima.

Carmine andò a chiamare Sofia e lui ne approfittò per dirle qualcosa all'orecchio, qualcosa che le fece male: glielo lesse negli occhi blu che abbassarono subito lo sguardo.

Perché gli permetteva di trattarla così?

L'istinto e con lui ogni fibra del suo corpo gli dicevano di portarla via da lì, per farle tornare il sorriso. Gray non fece nulla perché non ne aveva il diritto ma dovette usare tutta la sua forza di volontà per non farlo.

In più, se davvero le cose erano come pensava che fossero - e sperava con tutto sé stesso di sbagliarsi - se si fosse messo in mezzo sarebbe stata Atena a pagarne le conseguenze ed era l'ultima cosa che voleva.

Si chiese come facesse la sua famiglia a non accorgersi di come stava.

Lui le strinse piano la carne del fianco in un gesto che non era né di desiderio né di affezione: era rabbia.

Gianni tornò a sedersi accanto a lui e Gray lo guardò.

«Vedi, Halley, quello», disse, e indicò con discrezione il giovane uomo. «È un pezzo di merda. Quel genere di pezzi di merda che dovrebbe finire in prigione... invece ci finiamo noi.»

Gray gli rivolse un'occhiata confusa.

«Atena è una ragazza così dolce. La conosco da quando era piccola...» cominciò a raccontare, come se quello che stava dicendo non avrebbe dovuto essere ascoltato. «Non avrei voluto che finisse con una persona tanto squallida.»

«I suoi non la pensano così.»

Gianni lo guardò, trattenne il fiato per un secondo, come se stesse per dire qualcosa e poi lasciò andare un sospiro, senza aggiungere altro.

«Torniamo a lavoro?»

I quattro si alzarono da tavola e lasciarono il locale, e con lui anche la sua dea.

*

Pioveva a dirotto. Lo scrosciare della pioggia sulle tettoie e le sue grosse gocce sui vetri catturavano di tanto in tanto l'attenzione di Gray, che stava passando con poco interesse uno strofinaccio sul bancone del bar. C'era silenzio. Alcune volte il silenzio lo angosciava; altre volte, come adesso che era riempito dalla pioggia, non gli dispiaceva.

La sua testa continuava a correre ad Atena: Atena che ballava, Atena che rideva, Atena che l'aveva implorato di farsi prendere e lui che, come un coglione, aveva detto di no.

'Non significo niente per nessuno' gli aveva detto.

La porta in legno del locale cigolò, indicandoli che si era aperta e lui mormorò un 'siamo chiusi' abbastanza infastidito. Con ogni probabilità era il classico ubriacone che voleva da bere alle tre del pomeriggio quando lui voleva stare in pace.

«Allora torno dopo.»

La rapidità con la quale riconobbe il suono soffice della voce - un po' roca per via di tutto quel canto della sera prima - di Atena gli mise quasi paura.

Sollevò gli occhi in quelli blu della donna, che aveva i capelli gonfi e umidi dalla pioggia. Portava una borsetta a tracolla scura, e la teneva stretta a sé, come se avesse paura che potesse scappare da un momento all'altro.

«Puoi restare», disse, con urgenza. «Pensavo fosse...»

Lei lo interruppe. «Giuro che non sono venuta per cantare un'altra volta.»

Gray accennò un sorriso. «Non canti poi così male.»

«Non ero sicura di trovarti...»

Scrollò le spalle. «Abito alla fine della strada, sono sempre qui. E se non sono qui, sono a casa.»

Lei fece un paio di passetti incerti finché non arrivò al bancone. Si tolse il cappotto blu e lo poggiò su una sedia: aveva addosso una maglietta bianca con la scollatura a barca che le evidenziava la clavicola e una porzione di spalla ancora graffiata.

Lei se la sistemò quasi istintivamente, nascondendosi.

... come se lui non avesse impresso a fuoco ogni centimetro del suo corpo nella sua testa.

Atena si sedette di fronte a lui e si appuntò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Non ricordo con esattezza cosa... cosa ho detto ieri sera...»

Lui si ricordava tutto, invece.

Gray la guardò, in attesa di capire dove stesse andando a parare.

«...ma ricordo di essere stata un po'... sfacciata.»

«Niente che mi abbia traumatizzato.»

Atena si schiarì la gola. «In ogni caso... mi dispiace.»

Gray inarcò un sopracciglio. «Per che cosa?»

Atena si grattò il retro del collo. «Per quello che ho detto» chiarì Atena.

«Perché senti il bisogno di scusarti per aver detto una cosa che pensavi?»

Lei strabuzzò gli occhi. Iniziò a balbettare e guardò altro. «Io non... non... non pensavo

Gray alzò le mani in segno di resa, sollevandole assieme bicchiere di vetro e lei si ritrasse, facendogli diventare il cuore piccolo come un penny.

Atena si alzò e fece un paio di passi indietro, guardò all'uscita come se volesse essere pronta a scappare da un momento all'altro.

«Sarà meglio che vada...» ingarbugliò. «Non...» lasciò cadere la frase. «Ci vediamo, Gray...»

Atena era di spalle e vicina alla porta quando lui parlò ancora.

«Da quanto tempo ti mette le mani addosso?» le domandò lui, in un tono più freddo e più arrabbiato di quello che si aspettava.

Atena si bloccò sui suoi passi e lui buttò la testa all'indietro: aveva sperato fino all'ultimo di sbagliarsi.

Atena si voltò a guardarlo e l'occhiata che gli rivolse gli fece male da morire: era smarrita. Era assurdo che lo conoscesse da così poco tempo e che si fosse reso conto di una cosa a cui nessuno aveva fatto caso, nemmeno sua madre.

Il respiro di Atena si fece più intenso, gli occhi si riempirono di lacrime. «Lui non...»

«Fammi indovinare: hai sbagliato sempre tu, giusto?»

«La cosa non ti riguarda.»

Gray annuì. «È vero. Non mi riguarda.»

Una parte di Atena avrebbe voluto che finalmente qualcuno combattesse per lei.

Finalmente qualcuno aveva accolto le urla silenziose che la seguivano ogni volta che andava da qualche parte.

«Ma fa in modo che io non lo veda più in giro o lo ammazzo.»

Atena deglutì a vuoto. «Devo andare.»

Rapido, Gray la raggiunse e l'afferrò per il polso. «Atena... devi dirlo a qualcuno, ai tuoi...» cercò di incoraggiarla. «Non puoi... sposarlo.»

Atena scosse piano la testa: non voleva ascoltare. «Devo. Andare», terminò, scandendo meglio le parole e lasciando il bar prima che lui potesse aggiungere altro.

Gray la guardò andare via: doveva fare qualcosa.

Spazio autrice

Eccoci anche con questo nuovo aggiornamento! Allora: chi l'aveva sospettato? Insomma, sembra proprio che le cose si stiano surriscaldando un pochino, non credete? Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi auguro una buona domenica 💙

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