Capitolo 2
La stazione di polizia era piccola, ma insolitamente ordinata e luminosa. Era chiaro che la cittadina in questione fosse un luogo normalmente tranquillo, con un numero esiguo di abitanti rispetto a quelli delle grandi città cui Alan era abituato: gli agenti necessari, infatti, erano soltanto sei.
«Buongiorno, Capo Clark» affermò una voce squillante proveniente da una donna seduta alla reception. Quest'ultima, era sulla trentina, e aveva capelli castani raccolti in un elegante chignon. Alzandosi per venirgli incontro, Alan notò che era di statura media, e gli occhi celesti erano ricchi di curiosità verso di lui.
«Capo?» domandò, quasi divertito.
La donna sembrò incerta sul da farsi, e spostò lo sguardo verso Derek, cercando in lui un qualche tipo di aiuto.
«Tranquilla, Sarah. Il nostro nuovo Capo è uno a cui piace scherzare. Non è vero, Alan?» affermò Derek in tono canzonatorio e dando una pacca sulla spalla di quest'ultimo.
«Non chiamatemi Capo, comunque, solo Alan, okay?» concluse, mentre cercava di capire come avesse fatto a decidere di trasferirsi in un posto assurdo come quello.
Trasferirsi, poi... sì, ma da dove?
Non ricordava nemmeno di essere stato promosso a Capo Dipartimento.
Tutto questo iniziava a essere troppo, eppure non riusciva a smettere di assecondare il susseguirsi degli eventi; era come se qualcuno avesse attivato il pilota automatico, e ora, il suo corpo non riusciva a ribellarsi, eseguendo ogni azione imposta o suggerita dalle persone che lo circondavano.
Non riconosceva luoghi o persone, non ricordava nulla dei giorni precedenti. Chiunque al suo posto si sarebbe sentito, probabilmente, terrorizzato... eppure Alan non riusciva a sviluppare le emozioni che, a una a una, lo colpivano al petto per la manciata di qualche secondo, per poi svanire nel nulla.
Cercò di sforzarsi nuovamente di ricordare qualcosa, mise persino le mani sopra alle proprie tempie, cercando di massaggiarle con forza per far riaffiorare qualche immagine, ma più ci provava, più un dolore crescente alla testa sembrava lacerargli il cervello.
«Tranquillo, Capo. Un posto per ogni cosa, e ogni cosa al suo posto», affermò Derek, sorridendo in modo rassicurante.
Per Alan, sentendo quella frase, fu come essere cosparso da un balsamo calmante: il dolore alla testa sparì improvvisamente. La confusione, la rabbia, la frustrazione che stavano iniziando a montare in lui, svanirono, venendo sostituiti da una calma e una tranquillità inebrianti.
«Cos'hai detto?», domandò Alan rivolto al collega, sorpreso da cosa fosse appena accaduto.
«Niente, era solo una frase che mi ripeteva spesso da bambino mia madre. Mi aiutava a superare i momenti stressanti. Ti faccio vedere il tuo ufficio», concluse Derek, iniziando a percorrere lo stretto corridoio di fronte a loro.
«Comunque, Alan, è un piacere averti con noi. Io sono Sarah, mi trovi qui alla reception in ingresso, qualora dovessi avere bisogno di qualcosa» lo salutò la nuova collega, ritornando poi alla propria postazione.
Con un cenno del capo, Alan si congedò da quest'ultima, iniziando a percorrere a sua volta il lungo corridoio necessario al raggiungimento della sua nuova postazione di lavoro.
A quanto pareva, il suo ufficio si trovava alla fine di questa lunga corsia, e Derek non mancò di presentargli anche i tre colleghi rimanenti all'appello: Liam, William e James.
Alan era sicuro di aver già inquadrato i soggetti con cui avrebbe dovuto collaborare: Derek era il bell'imbusto più propenso a pavoneggiarsi con la divisa, piuttosto che a eseguire i propri compiti; Sarah era tranquilla, mansueta, solare e assolutamente adatta al ruolo di accoglienza e smistamento delle telefonate; Liam era il classico poliziotto buono, perfetto come ausiliare del traffico; William era un tipo introverso e taciturno, un magnifico torchiatore qualora ci fosse stato bisogno di interrogare qualcuno, mentre James, dall'odore di alcool che emetteva già di prima mattina, poteva essere un problema, vista la stazza imponente e l'aria da cane sciolto poco propenso a rispettare gli ordini.
La madre di Alan l'aveva sempre elogiato per la sua dote di mettere a fuoco le persone con un solo battito di ciglio. Da bambino, lo portava spesso al parco vicino casa, e una volta scelta una panchina con una buona visuale, giocavano a "indovina il mestiere". In poche parole, con un bel panino alla mano, Alan e la madre facevano a turno nel cercare di azzeccare la storia e i mestieri dei passanti che incrociavano nel parco. Alan era un campione, era raro che sbagliasse un colpo. Inoltre, si divertiva come un matto a interrogare le persone in questione per avere la certezza di aver vinto, ancora una volta, contro la mamma.
Sua madre... che fine aveva fatto? Dove si trovava in quel preciso momento?
Alan si fermò sull'uscio del proprio ufficio, salutò Derek, e si diresse alla scrivania, mentre cercava qualche ricordo recente di lei tra i meandri della propria psiche.
Non riusciva a ricordarla: in qualche frammento di immagine, vedeva i capelli raccolti in una coda, percepiva il suono della sua risata, ma niente di nitido... niente di recente, ogni ricordo sembrava sfocato.
Una volta seduto, per cercare di calmare la sensazione di irrequietezza dovuta alla memoria in panne, cercò di valutare l'ambiente intorno a lui.
I muri erano bianchi, non c'erano quadri o fotografie appesi alle pareti. L'arredamento era minimale: una scrivania in legno scuro, un computer, un telefono, un porta penne, e la cancelleria essenziale erano accuratamente ordinati sul piano di lavoro. Sulla parete sinistra, erano poste due alte cassettiere e un archivio.
Sembrava tutto così anonimo... così, nuovo. Anche l'odore di vernice fresca lasciava intendere che le pareti erano appena state imbiancate.
Era come se qualcuno avesse creato da poco gli ambienti, dimenticandosi di mettere qualcosa all'interno degli stessi per dargli una sorta di vissuto, di storia.
Anche i nomi dei propri colleghi lo stranivano: possibile che avessero tutti un nome tra quelli più comunemente usati? Nessun nome particolare, antico o fuori moda... Nessun collega di origini latine, o comunque straniero? Era strano, molto strano.
Gli sembrava di essere stato catapultato in un film low cost, peccato che non avesse ancora intuito di che genere, se fantascientifico o horror.
Alan si sentiva sempre più a disagio, la sensazione che in lui ci fosse qualcosa di rotto e da aggiustare, stava prendendo il sopravvento... ma questo non poteva assolutamente accadere.
Non adesso, non sul posto di lavoro, non durante il suo primo giorno e non in mezzo a dei perfetti sconosciuti. Doveva mantenere il controllo di sé stesso, doveva rimanere calmo e lucido.
A fine giornata, sarebbe tornato a casa, se così poteva definirla, e avrebbe parlato con Anna, cercando così di avere delle risposte alle molteplici domande ancora inespresse a voce alta.
Almeno con sua moglie, poteva parlare di questa condizione che lo attanagliava, giusto?
Forse era il caso di andare in ospedale e fare delle analisi di controllo, e chi meglio di Anna poteva aiutarlo, in quanto medico?
Perchè Anna era un medico, giusto? Dio, che confusione mentale assurda.
***
La giornata trascorse piuttosto velocemente. La sua solitudine venne interrotta soltanto una volta da Sarah, che gli aveva portato un pranzo al sacco come primo gesto di gentilezza tra colleghi. Alan era talmente assorto nei suoi pensieri da aver completamente perso la cognizione dello scorrere delle ore; se non fosse stato per lei, avrebbe digiunato senza nemmeno rendersene conto.
Aveva trascorso la maggior parte del tempo al computer, intento a documentarsi su eventuali casi attivi e sul lavoro da fare, ma come aveva immaginato, ad eccezione di qualche multa per eccesso di velocità o per divieto di sosta, non trovò nulla di eclatante.
Gli abitanti di Liberty city erano tutti decisamente tranquilli, rasentavano la perfezione... o la noia, dipendeva dai punti di vista. Per uno come lui, abituato a lavorare in una grande città, dove ogni giorno doveva intervenire per sedare risse, evitare omicidi, o sventare rapine, questo nuovo ambiente sembrava una boccata di aria fresca... o una prigione, non era ancora in grado di scegliere quale delle due opzioni fosse corretta.
Durante la propria carriera, aveva visto casi complessi. Ogni vittima di violenza domestica, ogni nuovo caso su cui lavorare, ogni ritrovamento di un nuovo cadavere, lo avevano portato sempre di più verso un baratro, una soglia entro cui scegliere che tipo di uomo voleva essere: se mantenere la propria umanità ed empatia, o se indurire il proprio carattere, lasciando spazio alla parte razionale a discapito di quella emotiva per poter salvaguardare la propria sanità mentale, ed essere più lucido per svolgere al meglio il proprio lavoro.
Alan non aveva esitato nel scegliere la seconda opzione. Il lavoro gli aveva tolto molto, più di quanto pensasse. Un tempo era un tipo divertente, o per lo meno, sorrideva di più. La parte peggiore era però la consapevolezza di aver perso completamente fiducia verso l'essere umano. Era diventato un uomo duro, guardingo, che aveva seri problemi nelle relazioni e che ricercava la parte marcia e malsana anche nel vicino di casa più cordiale che potesse esistere. D'altro canto, però, non avrebbe voluto, né potuto, scegliere un lavoro diverso dopo quanto accaduto quel giorno, il giorno in cui capì che non tutti erano buoni, e che il mondo poteva essere crudele oltre ogni misura.
Quel giorno... ma, cosa era successo, esattamente? Cosa lo aveva portato verso la carriera in polizia? Perché non riusciva a ricordare? Sapeva che era qualcosa che lo aveva sconvolto, che era giovane, molto giovane, ma non riusciva a mettere a fuoco l'evento. La sensazione era quella di avere di fronte a sé un cassetto chiuso a chiave, sai che all'interno c'è qualcosa che ti serve, ma non ricordi di cosa si tratti, e non trovi le chiavi per poterlo aprire.
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il flusso di pensieri di Alan. Dopo pochi istanti, e senza che potesse dare il permesso al collega di entrare, Derek si affacciò alla porta, annunciando il termine della giornata lavorativa per entrambi.
Alan non vedeva l'ora di potersi muovere in autonomia. Aveva studiato la mappa della città nelle ore precedenti, ed era abbastanza certo di potersi orientare, più o meno, senza bisogno di quell'invadente e maleducato di Derek tra i piedi.
Una volta usciti dalla centrale, Derek si fermò un istante per parlare con Sarah, che a sua volta stava per salire sulla propria auto. A quanto pareva tra i due c'era del tenero, anche se Alan aveva notato gli sguardi ammiccanti e civettuoli che la collega aveva riservato anche a lui.
Mentre sorrideva tra sé e sé a quel pensiero, un movimento fugace sulla sua destra attirò la sua attenzione. Fece in tempo a scorgere una macchia gialla correre verso il bosco a ridosso del marciapiede, ma fu un istante talmente veloce che per un attimo pensò di esserselo immaginato. Continuò a osservare per qualche secondo il punto in cui gli era parso di vedere quella macchia indistinta, e dopo poco, eccola lì: una bambina di circa sei anni, se ne stava semi nascosta dietro il tronco di un albero, sorridendogli timidamente. I capelli castani erano lasciati liberi, e il sorriso era vivace e vispo. Era la bambina più bella che avesse mai visto. D'istinto, alzò la mano per salutarla, con l'accenno di un sorriso in viso.
«Pronto ad andare?» lo interruppe Derek, richiamando la sua attenzione e facendogli perdere di vista la bambina.
Si voltò nuovamente per cercarla, ma di lei non c'era più traccia.
«Sì, andiamo pure» rispose Alan, aggrottando la fronte, dispiaciuto di non essere riuscito a salutare la piccola.
Dispiaciuto poi, ma perché? Era la prima volta che la vedeva, giusto?
Non riusciva a capacitarsi delle proprie reazioni, si sentiva completamente fuori fase.
«Domani mattina vengo a prenderti prima e ti porto a fare colazione, mi sa che hai bisogno di più caffeina di me! Sembri stravolto, amico» affermò quel simpaticone di Derek, scuotendo la testa e ridendo di lui.
Salirono in macchina, Alan avrebbe tanto desiderato ascoltare il silenzio, ma come per l'andata, anche durante il ritorno Derek non faceva altro che blaterale discorsi sulla cittadina e aneddoti sulla stessa cui Alan non fece attenzione. L'immagine di quella bambina continuava a tormentarlo. Gli sembrava di conoscerla, ma questo era impossibile. Forse l'aveva incrociata per strada nei giorni precedenti, durante il trasloco? D'altronde non ricordando niente, non poteva escludere nulla. Ma soprattutto, perché quella bambina gli era rimasta così impressa? Perché gli sembrava così famigliare, più di una bambina incrociata per caso e per pochi istanti?
Cosa stava succedendo davvero?
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