put yourself in my shoes
Il professore spiegava, spiegava e spiegava.
Nessuno lo sopportava più, parlare ore e ore delle Chanson De Geste era paragonabile a una noia mortale, generalmente quella che si prova quando il mistero finisce e tutto è già svelato.
Non c'è più un gioco in tavola.
Il castano scrive l'ultima parola e poggia la penna sul tavolo mettendosi sulla sedia in modo disinvolto e poco retto.
Poi alza la mano, dopo aver riflettuto per non più di qualche secondo su un pensiero.
"Quindi lei pensa che la scelta di Orlando sia stata saggia?"
Aveva detto, con quell'aria da saccente che nessuno sopportava; Si toccava il mento con cura, quasi come se avesse una barba folta da accarezzare e i suoi occhi erano ridotte a due piccole fessure, che lo facevano sembrare ancora più serio.
"Credo che lui si sia fatto onore"
Risponde il professore, sorridendo cordialmente al ragazzo in un gesto frettoloso.
"Morendo?"
Borbotta nuovamente il ragazzo, ancora curioso e non soddisfatto.
"Per una causa maggiore"
Dice il professore, scacciando il pensiero dalla testa con un gesto dalla mano.
"Ma non ha sacrificato solo la sua vita, lui sapeva che l'esercito avrebbe perso contro i mori no? Lui sapeva che poteva sopravvivere! E allora perché, mi dica, perché non ha chiamato Carlo Magno con l'olifante?"
Si dilungò nel suo discorso, creando dei vuoti nelle teste dei compagni di classe e un clamoroso stupore -visibile anche dal suo recente cambio di espressione- da parte del professore, che mai, aveva assistito ad un intervento del genere.
"A volte Stilinski, non puoi sempre farti coprire le spalle dagli altri, per Orlando era questione di devozione verso Carlo e verso la Francia, in altri casi si tratta solo di potere"
Risponde, con tanta accuratezza che si potrebbe dire avesse già preparato tale discorso.
"Come puoi difendere gli altri se non riesci a difendere te stesso?"
Suppose sorridendo.
Uno di quei sorrisi che ti dicevano tutto.
Il prof sapeva chi era Stiles Stilinski, e quella più che una perla di saggezza era un attacco diretto alla sua persona.
"Effettivamente"
Il castano riprese la penna, e sorrise allo stesso modo al professore.
In modo beffardo, coraggioso, come se avesse già vinto.
"Ha ragione"
Affermò prendendo nota.
- - -
Il ricordo gli aveva offuscato la vista, poiché gli occhi iniziavano a riempirsi di lacrime e lui non poteva fare altro se non pulirsi con la manica della felpa. Era davanti alla stanza del suo migliore amico, dove egli era ricoverato.
Forse si era dimenticato che per vincere certe guerre -così com'era stato per Carlo- bisogna sacrificare qualche soldato.
Eppure era stata una delle prime lezione all'Università.
Ricordate sempre che il vostro intento è quello di salvare vite, ad ogni caso, anche a costo della vostra.
Ma ricordate anche che non tutti possono essere salvati.
L'orologio continuava a suonare, ogni ora la campana urtava le sue orecchie ma sapeva di non potersene andare, non finché l'amico non si fosse svegliato.
"È qui per vedere il paziente?"
Gli chiese una ragazza.
Sicuramente un infermiera, dedusse scrutando il camice.
Teneva dei fogli in mano e aveva un sorriso raggiante che sembrava accompagnarla sempre.
Alcune persone sono rimaste ingenue, altre invece mantenevano l'ottimismo.
Per Stiles, entrambe erano la stessa cosa.
"È migliorato?"
Sposta immediatamente lo sguardo dalla ragazza alla stanza, facendo un cenno con la testa.
Ha lo sguardo assente, una delle sue solite felpe e i capelli indomabili a completare il suo aspetto.
"Si può dire che in realtà, per il tipo di incidente e le fatturazioni avute, il signor McCall sarebbe dovuto esser morto in questo momento"
Sussurrò l'infermiera guardando sui fogli.
"Ma si è ripreso completamente nel giro di poche ore e noi non sappiamo spiegare come sia successo, inoltre è andato via all'incirca un'ora fa"
Tra tutte le cose che aveva detto, l'unica importante o per lo meno innovativa, era che Scott era già uscito dall'ospedale, perciò non era più responsabilità del castano preoccuparsi per lui. Pur sapendo che i sensi di colpa non sarebbero andati via in nessun modo.
Se non puoi difendere te stesso... come pretendi di difendere gli altri?
Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo per rispondere a quella domanda e dirgli che in quel momento era pronto, che non sarebbe più stato l'amico con la mazza da baseball, che era anche lui, qualcuno di più forte.
Non qualcuno per cui lottare ma qualcuno con cui lottare.
Al suo fianco.
Aveva rivolto un ringraziamento gentile alla ragazza, che aveva annuito ed era andata via, senza neanche chiedere altro.
Stiles però era irritato, insomma, aveva perso tempo ad andare in ospedale.
Scott non era più lì.
Perciò era inutile, non sviluppare le sue teorie e procrastinare in un ospedale.
Si passò una mano fra i capelli e sospirò nervoso.
Si voltò immediatamente verso l'ascensore, di cui si erano aperte le porte pronte per far uscire un Liam arrabbiato, furioso che non si aspettava di vedere Stiles in piedi, appoggiato al muro.
Il suo respiro si fece più affannoso e la mascella si contrasse, poi si lasciò andare e prese Stiles per il colletto, alzandolo al muro.
Il corridoio era vuoto e si poteva sentire la voce rauca del beta riecheggiare: "Sei stato tu vero? Non saresti qui se non per i tuoi sensi di colpa!"
Gli urlò contro prima di sferrargli un pugno in pieno viso.
Stiles che fino a quel momento era stato calmo e non aveva spiccato parola, cadde a terra premendo una mano sulla guancia ferita.
La guardò, rendendosi conto di perdere sangue.
Liam ci sapeva fare con i pugni, avrebbe dovuto immaginare quanto facesse male, e invece non l'aveva fatto.
"Sparisci"
Sputò acido il beta.
"Theo sta arrivando e non ti deve vedere"
Disse, questa volta in modo più pacato.
Theo si era offerto di rimanere giù a parcheggiare l'auto e a questo punto Liam riteneva fosse la miglior decisione che avesse fatto.
Non riusciva a smettere di pensare agli scenari che potrebbero essere accaduti se lui non fosse salito per primo.
Theo sarebbe stato sconvolto o arrabbiato, o peggio; Entrambi.
Per la prima volta Stiles si trovava stupito, non aveva previsto di ricevere un pugno in piena faccia da Liam, tantomeno di incontrarlo in ospedale.
Per lui era un segno che i suoi piani, i suoi calcoli cominciavano a perdere colpi.
Si toccò nuovamente il labbro, tamponando per fermare la fuoriuscita di sangue.
"Andiamo non è una emorragia, vattene"
Lo intimò il ragazzino facendo cenno all'ascensore dietro di lui.
Il castano sospirò e lo guardò un ultima volta per poi annuire e dirigersi verso l'ascensore.
Le porte si chiusero e fino all'ultimo secondo, lui non aveva tolto lo sguardo dagli occhi di Liam.
Osservò nuovamente la mano, insicuro.
Se era stato Liam a fargli questo, chissà cosa avrebbe potuto fargli qualcun'altro.
Gli tornò la memoria di un ricordo al quale stava pensando qualche minuto prima.
Una frase, precisamente, quella che in quel momento lo colpiva di più.
Si guardava allo specchio dell'ascensore e per quel momento effimero si sentiva debole.
"Come puoi difendere gli altri se non riesci a difendere te stesso?"
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