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Pezzi di bambola

+ATTENZIONE, QUESTO CAPITOLO CONTIENE SCENE DI VIOLENZA+ 

18 mesi prima

Thomas

Ero negli spogliatoi della palestra, ringraziando il cielo che quel giorno il coach non mi avesse costretto a giocare contro Liam, Theo e Jesse. Tutte le volte che capitavo nella squadra avversaria, uscivo dal campo di basket con un tremendo mal di testa. Il loro passatempo preferito era tirare pallonate a Dean Foster e me, fingendo di sbagliare mira.
Come al solito, avevo tardato più del previsto perché mi ero soffermato a raccogliere i palloni e riordinare la palestra. In questo modo avrei evitato incontri spiacevoli, sicuro che gli altri studenti avessero già fatto la doccia e fossero tornati in classe.
Tirai fuori dal borsone, che avevo lasciato sulla panca, i vestiti di ricambio, perfettamente stirati e profumati. Mia madre usava un ammorbidente alla lavanda che amavo particolarmente.
Sfilai la maglietta, ormai sporca e sudata, e mi diressi verso i bagni con lo smartphone in mano. Stavo acquistando delle nuove lampade per la camera degli ospiti in Game of Maisons. La mia amica Camille sosteneva che avessi un problema di dipendenza da quel gioco.
Ero talmente concentrato sullo schermo, da non accorgermi di stare per scontrarmi con Jesse Morgan, che era proprio lì, fermo sulla soglia.
Avevo visto due altri borsoni, uno in un armadietto e l'altro per terra, ma pensavo che qualcuno li avesse dimenticati: era una cosa che capitava spesso.

-Levin, guarda dove metti i piedi- mi ammonì il ragazzo, fronteggiandomi. 

-Scusa, m-mi dispiace- balbettai. Così dicendo, cercai di indietreggiare per allontanarmi da lui.

-Non è vero che ti dispiace- sputò quello, continuando a venirmi incontro, fino a mettermi con le spalle al muro.

Sentii lo stomaco contorcersi dal terrore. Jesse mi superava in altezza di almeno una spanna e mezzo, faceva molto sport e passava la maggior parte del suo tempo a fare pesi in palestra. I suoi pugni non sarebbero stati proprio gomma piuma, se avesse deciso di picchiarmi.

Mi afferrò le guance e le strinse tra le dita fino a farle lacerare contro i miei denti. Un sapore metallico invase le mie papille gustative.

-Adesso mi fai vedere quanto ti dispiace- ringhiò, prendendomi per le spalle e costringendomi ad inginocchiarmi davanti a lui con prepotenza.

Parai le mani avanti per evitare di finire con la faccia per terra e, nel farlo, il mio cellulare sgusciò via, andando a finire dall'altra parte della stanza.
Non capii che intenzioni avesse, fino a quando non vidi cadere per terra l'asciugamano che aveva intorno ai fianchi.
Con una mano si massaggiò il pene, prima di cercare di ficcarmelo in bocca. Serrai la mascella, provando in tutti i modi di impedirglielo, ma lui mi tappò il naso e mi aprì le labbra con la forza.
Tentai di morderlo e in risposta ricevetti un calcio nell'addome che mi lasciò senza fiato.
Allora infilò due dita tra i miei denti, bloccandomi il viso, e, ridendo, iniziò a pisciarmi in faccia.
Sentii quel liquido bruciarmi in bocca, per poi colare su tutto il mio corpo. Mi venne da rimettere. Jesse se ne accorse e mi lasciò andare. 
Mi piegai di lato e sboccai tutto quello che avevo mangiato a pranzo. Il pavimento era ricoperto dalla sua urina, così come lo ero io.
Jesse mi afferrò per le caviglie e mi trascinò su una delle panche. Mi mise in ginocchio, schiacciandomi il viso contro le assi di legno, e mi abbassò, in un colpo solo, pantaloncini e boxer.
Mi voltai verso di lui per supplicarlo di fermarsi e lo vidi armeggiare con una saponetta. Con un braccio bloccò la mia schiena, spingendomi nuovamente contro la panca e con l'altra mano mi strofinò contro il sapone. 
Persi i sensi per il dolore atroce che provai, quando lo sentii entrarmi dentro. Mi risvegliai poco dopo, grazie al rumore di una porta di emergenza che sbatteva nel corridoio. Jesse si muoveva ancora sopra di me, ansimando, ed io non avevo più un briciolo di forza per fermarlo. Sperai che finisse in fretta, volevo solo che una volta terminato mi uccidesse. Non sapevo con che coraggio sarei uscito da quella porta, volevo solo morire.
Per mia sfortuna, quella tortura durò ancora per un tempo interminabile e, dopo aver concluso, Jesse mi lasciò lì senza dire una parola. Prese le sue cose e uscì dalla porta senza voltarsi indietro. Da quel giorno mi evitò come la peste.

Presente

Dylan

-Che c'è?- chiesi a Thomas, che mi guardava imbambolato -Non ti piace il mio regalo di compleanno?

Era quasi mezzanotte e sapevo che il giorno dopo avrebbe compiuto gli anni.
Jesse Morgan mugolava, agitandosi sulla sedia sulla quale l'avevo legato. Quale miglior regalo di una vendetta?

-Sei impazzito?- bisbigliò lui, terrorizzato.

-Tranquillo, ha nelle orecchie una playlist di 200 brani di musica trap: non può sentirci- lo rassicurai.

Thomas lo fissò stralunato, la sua mente stava vagando chissà dove.

-Che cosa ci dovrei fare?

Risi, per via della sua ingenuità.

-Puoi farci quello che vuoi, anche un pigiama party- lo canzonai.

Mi misi dietro di lui, che continuava a tenere sotto controllo Jesse, come se fosse un serpente a sonagli e potesse morderlo da un momento all'altro. 

-Lo devi torturare, stupido- presi la sua mano e vi adagia dentro un coltello a serramanico che avevo tirato fuori dalla tasca posteriore dei miei jeans.

Lo spronai, fino a farlo ritrovare di fronte al suo carnefice. Tremava guardando il coltello nella mano destra, così strinsi i miei polpastrelli intorno ai suoi e avvicinammo, insieme, la lama al viso di Jesse.
Il polso di Thomas sembrava quello di un burattino, inerme e alla mia mercé. Mi toccava fare tutto il lavoro da solo.
Tracciai una linea rossa sulla guancia del ragazzo. La lama era molto affilata e non ci volle molto sforzo.
Appena vide il sangue, Tommy voltò la testa verso di me e nascose il viso nel mio collo.
Allentai la presa dalle sue dita e lui lasciò cadere il coltello per terra, mentre quell'altro si lamentava per il dolore infertogli. 
Thomas si voltò per cercare di scappare via, ma lo intrappolai tra le mie braccia, costringendolo a guardarmi.

-Hey, non vuoi vendicarti per quello che ti ha fatto?- gli chiesi, un po' deluso dalla sua reazione. Fatto in questo modo, non avrebbe avuto molto senso. Mi ero impegnato così tanto per qualcosa che non voleva: avevo studiato il piano nei minimi dettagli, prima di condurre Jesse nel mio capanno da caccia.

-Ho paura- ammise lui, con un filo di voce.

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