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I burattini

Isobel

Quella stessa mattina un terzo ragazzo ci aveva raggiunti nella stanza sotterranea. Mi aveva guardata dall'alto in basso per poi sorridermi beffardo.

A Thomas era gelato il sangue, potetti capirlo dall'espressione che fece appena vide la grande porta rosa aprirsi. Lui era uno dei nostri aguzzini.

-Perché ci tenete rinchiusi qui dentro?- domandai avvicinandomi a lui e guardandolo con aria di sfida.

Non rispose, si limitò a mantenere quella smorfia sul viso. Raggiunse Thomas che era seduto al tavolo e gli passò una mano tra i capelli. Il ragazzo si paralizzò sotto il suo tocco.

-Rilassati Tommy, sei un po' troppo rigido oggi...

Prese la sua mano e lo costrinse ad alzarsi.

-Seguimi- mi disse -voi due venite con me.

-Io con te non vado proprio da nessuna parte!- sbottai, allontanandomi dalla sua presa.

Rise. Muovendosi con molta calma, mi riacciuffò e mi diede un pizzicotto sul braccio. Urlai dal dolore per poi strofinarmi la pelle lesa.

-Questo è quello che succede se non fai ciò che ti dico.

-Vaffanculo!- non sarei mai stata al suo gioco.

La sua espressione cambiò, passando da divertita a scocciata. Mi afferrò per la mascella e strinse talmente forte le mie guance che sentii il loro interno lacerarsi contro i miei molari.

-Non dovresti essere a scuola, Dylan?- domandò Thomas, sbucando da dietro le sue spalle.

Lasciò la presa su di me e un sapore ferroso si insinuò nella mia bocca, le guance mi pulsarono.

-No, non ne avevo voglia- rispose Dylan, voltandosi verso il suo interlocutore -e poi la cosa non ti riguarda, frocetto. 

Thomas quasi scomparve per il terrore di essere picchiato per aver parlato troppo.

Forse Dylan se ne accorse e fu preso da compassione, fatto sta che non reagì e potetti vedere i muscoli delle sue spalle rilassarsi sotto la maglietta. Ci invitò una seconda volta a seguirlo e questa volta non opposi resistenza.

La porta rosa nascondeva una scalinata che conduceva al pian terreno. La casa era enorme e le numerose porte chiuse lasciavano intendere che fosse ancora più grande di quanto apparisse. Sbirciai attraverso le finestre che la circondavano, per cercare di comprendere il luogo in cui mi trovassi. Fu piuttosto inutile, tutto ciò che potetti distinguere fu una fitta boscaglia che cresceva imponente intorno all'abitazione.

In casa sembrava non esserci nessuno a parte noi. La Madame di cui mi aveva parlato Mia poco prima, era ad intrattenersi con Carlos, cosa che a quanto pare faceva spesso. Il tanto nominato Aaron non si era ancora fatto vedere e del "padrone" non vi era traccia. Sembrava il momento adatto per ideare un piano di fuga.

Dylan prese una bottiglia di succo di frutta dal frigo e versò un po' del contenuto in tre bicchieri.

Con la coda dell'occhio osservai la porta della cucina che dava sul giardino. Era fatta di vetro e l'avrei rotta facilmente se ci avessi lanciato qualcosa contro. Dovevo solo trovare un modo per distrarre Dylan: ero veloce a correre, ma se non avessi avuto un po'di vantaggio non ce l'avrei mai fatta contro di lui. Era muscoloso, quindi doveva essere un tipo atletico.

Avvicinò il bicchiere a Thomas che lo prese titubante.

-Ti rifiuti ancora di mangiare? Stai dimagrendo troppo.

Thomas abbassò la testa ma lui gliela risollevò prendendolo per il mento e costringendolo a guardarlo negli occhi.

-Non voglio che ti ammali- disse con tono fermo ma pacato.

Quello era il momento adatto.

Con il gomito rovescia il mio bicchiere di succo, il cui liquido scivolò rovinoso sul tavolo in legno ed andò a finire addosso a Thomas che era seduto proprio di fronte a me.

-Razza di cretina!- inveì Dylan.

La camicia verde pallido di Tommy era completamente andata, così come i suoi pantaloni.

-Non importa- disse lui, ma l'altro continuò a guardarmi in cagnesco.

-Pulisci questo schifo- mi ordinò indicando il pavimento e il tavolo -io aiuto Tommy a darsi una ripulita.

I due uscirono dalla stanza e si diressero verso il bagno.

Aspettai che chiudessero la porta per poi andare verso quella della cucina. Sperai che non fosse chiusa a chiave, ma così non fu. 

Sollevai una sedia del tavolo, pronta a lanciarcela contro. 

Il piano era di correre fuori in cortile, scavalcare l'inferriata che circondava la proprietá e bussare alla casa più vicina in cerca di aiuto. Una volta avvisate le forze dell'ordine, ci avrebbero pensato loro a recuperare gli altri ragazzi e ad arrestare i nostri rapitori.

Lanciai la sedia contro la porta, questa attraversò il vetro, frantumandolo e si adagiò sul prato inglese del giardino.

-Che cazzo è stato?- sentii Dylan urlare dal bagno.

Mi affrettai ad oltrepassare i cocci di vetro ed iniziai a correre verso la libertà. La recinzione era molto più lontana di quanto mi aspettassi.

Accelerai, spingendomi al limite. L'aria nei polmoni iniziava a bruciare e sentii il battito cardiaco pulsare nella mia gola.

Dylan mi aveva raggiunta in giardino, ma le sue urla mi arrivarono lontane ed incomprensibili. Ce l'avevo quasi fatta, l'inferriata era a pochi passi da me. Era alta, ma l'avrei scavalcata facilmente. Ripensai alle figure che facevo con il gruppo di cheerleader, alle piramidi umane che eravamo solite fare. In confronto a questo erano una passeggiata.

Mi aggrappai alla rete metallica e un dolore improvviso mi pervase tutto il corpo, scaraventandomi al suolo.

Aprii gli occhi ma tutto intorno a me apparve distorto, le orecchie mi fischiavano. Una figura imponente mi sollevò da terra e mi riportò in casa.

-Avevo cercato di dirglielo che la rete era elettrificata- sentii Dylan dire compiaciuto.

-Si riprenderà tra non molto- disse l'uomo che mi teneva tra le braccia.

Una donna entrò nella stanza con indosso solo una vestaglia di seta.

-Quante volte devo ripeterlo che non dovete mai lasciarli da soli?- la sua voce era squillante e fastidiosa -Guarda qua che disastro! Dovremo sostituire anche la porta...

-Adesso calmati Samantha, ci penso io

L'uomo mi posò sulla sedia e si mise ad armeggiare con la porta.

-Carl!- urlò lei.

Il ragazzo uscì dalla camera da letto pronto ad eseguire i suoi ordini.

-Sì, Madame? 

-Va a chiamare Mia e dille di pulire questo schifo...

-Non è necessario, posso farlo io.- disse Carl, cercando di persuaderla.

-Quando la smetterai di proteggere quella ragazza?- al sentire quelle parole, il tono di voce di Samantha era diventato ancora più irritato ed irritante.

-Suvvia Sam, lascia fare a lui- intervenne l'uomo.

-Richard, gliele dai sempre vinte. Tra un po' inizieranno a fare di testa loro. Però poi non dire che non ti avevo avvertito.

Samantha tornò nella sua stanza e chiuse la porta.

Richard si avvicinò a Dylan che indietreggiò di qualche passo. Carl era accovacciato per terra e stava raccogliendo i vetri con una paletta, mentre Thomas era rimasto impietrito sulla soglia del bagno. Era mezzo nudo, indossava solo un paio di boxer bagnati di succo e si copriva i genitali con le mani.

La figura imponente di Richard sovrastò quella di Dylan, era grosso il doppio.

-Che ti serva da lezione, figliolo- pronunciò quelle parole con molta calma per poi mollare un ceffone sul volto del ragazzo.

Thomas sobbalzò e distolse lo sguardo. Un rivolo rosso fuoriuscì attraverso le labbra di Dylan.

-Porta la ragazza a darsi una rinfrescata e dalle dei vestiti puliti- concluse -io ho molto da fare oggi, levati dai piedi.

Senza emettere un fiato, Dylan mi condusse verso il bagno chiudendosi la porta alle spalle.

-Ti piacciono i tuoi capelli, Isobel?

Non risposi, mi limitai ad annuire.

Ordinò a Thomas di darsi una ripulita e tirò fuori da un armadietto un barattolo azzurro.

-Adesso ci divertiamo un po'...

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