Che la recita abbia inizio🦋
Capitolo 1
Prendo un grosso respiro e stringo sempre più forte il manico della valigia, fino a far diventare bianche le nocche. Ne faccio uno ancora più profondo, nel vano tentativo di respingere l'ondata di panico che minaccia di travolgermi. Sono certa che, da un momento all'altro, perderò i sensi per questa maledetta ansia. Ho le gambe malferme, le mani che tremano e sono ricoperta di sudore. Sento le gocce colare lungo la schiena e mi ritrovo a pensare che neanche durante i miei estenuanti allenamenti mi sono mai ritrovata in condizioni così pietose. Non mi sento pronta a fare questo passo, anzi, questo salto nel vuoto.
"Ma che mi è saltato in mente?"
Non mi sono mai distinta per il mio grande coraggio o per la mia intraprendenza. Di solito sono abitudinaria, le mie giornate, da anni, rispettano una routine precisa. In altre parole, sono sempre stata... NOIOSA. Questo per me equivale a lanciarmi da un aereo senza paracadute e con dei bilancieri attaccati alle caviglie. Decisamente una grandissima follia.
"Non ce la faccio, non sono geneticamente programmata per reggere tutta questa tensione," penso fra me e me mentre prendo la migliore decisione della mia vita, ovvero, ritirarmi finché sono in tempo. Ma quando sono pronta a fare dietrofront e tornarmene da dove sono venuta, quel traditore del mio cellulare mi annuncia l'arrivo di un messaggio. Le note di "Toxic" sono un chiaro indizio sull'identità del mittente. Mi asciugo i palmi appiccicosi sul tessuto ruvido dei jeans, vado a pescare l'aggeggio nella tasca della giacca e leggo:
-So che puoi farcela, conto su di te. -
Lessi il testo più di una volta, provando a carpire tutto il coraggio che aveva voluto infondermi con quelle semplici parole. Riusciva sempre a sorprendermi. Nonostante tutto quello che avevamo passato, tutti i chilometri che ci avevano diviso, mi conosceva più di chiunque altro al mondo.
Mi rilassai un po', ma fu il secondo messaggio a darmi la spinta necessaria per fare il primo passo verso la mia nuova vita.
-Non deludere te stessa. -
"Ok, devo fare uno sforzo, un piccolo tentativo."
Richiamai alla mente i motivi che mi avevano portato a fare quel passo, ad essere su quel pianerottolo, e mentre li elencavo mentalmente, ritrovai la mia determinazione. D'altronde, continuare a fissare il legno logoro della porta non avrebbe sbloccato la situazione, né avrebbe risolto i problemi come per magia. Quella, con una grande, enorme dose di fortuna, sarebbe stata la mia camera per i prossimi mesi e magari per i due anni a seguire. Con questo pensiero inciso a fuoco nella testa, girai la chiave nella toppa ed entrai.
Contrariamente a quello che avevo immaginato, la prima emozione che provai non appena varcai la soglia non fu l'ansia o l'angoscia. Per quanto quella situazione fosse terribilmente sbagliata, sotto ogni punto di vista, provai gioia. Venne invasa dalla speranza e mille scenari nuovi cominciarono a prendere forma davanti ai miei occhi. Avevo sempre sognato di frequentare l'università in America, quante volte avevo desiderato l'indipendenza, la libertà, il futuro radioso che avrebbe potuto garantirmi e il dettaglio più rilevante, per nulla trascurabile: avrei avuto potere di scelta. Niente più lezioni indesiderate e noiose di economia. Non riuscivo quasi a crederci, ero in una delle più prestigiose università del paese. L'unica pecca era che non avrei mai pensato di ottenere quello che tanto agognavo in quel modo. Nelle mie fantasie, ero una comunissima studentessa universitaria, con amici con cui condividere il tempo, una che frequentava il club di scacchi, lettura o dibattito, una con un ragazzo con cui condividere gli stessi noiosi interessi.
"Vuoi il futuro che sognavi? Allora afferralo, aggrappati a lui e lotta con le unghie e con i denti!"
Mi vennero in mente le parole di Lucia, la governante di mio padre. Per me, lei era stata molto più di quello: era stata come una madre, giacché la mia non era stata in grado di fare il suo dovere, e vedendo con quale maestria riusciva a rovinare tutto, era stato meglio così. Lucia era la mia più grande sostenitrice, e la mia complice anche in quella follia.
La mia emozione fu però subito smorzata da una voce tagliente quanto le parole pronunciate:
<<E fu così che la calma andò a farsi fottere.>>
"Wow! Che bell'inizio!"
<<Benvenuta, stronza!>> disse la mia futura compagna di stanza non appena entrai nella sua visuale.
Rimasi pietrificata per un attimo dal freddo benvenuto. Non l'avevo vista finché non aveva iniziato a parlare, ero stata troppo concentrata ad assorbire ogni minimo particolare della stanza.
Era seduta comodamente, o meglio, spaparanzata su un divano a tre posti, che di sicuro aveva visto tempi migliori. Aveva un libro in mano e non mi sfuggì il modo in cui provava a nascondere a tutti costi il titolo in copertina.
"Curioso!"
C'era un solo motivo per farlo: si vergognava di quello che stava leggendo, quindi o era qualcosa di assolutamente smielato o qualcosa di spicy? In entrambi i casi, aveva tutta la mia stima. Forse, eliminando il pessimo carattere, la spiccata ironia e l'evidente odio nei miei confronti, io e quella ragazza avevamo qualcosa in comune. Peccato che non sarebbe stato possibile approfondire.
Andai a cercare la cattiveria in qualche antro nascosto del mio cervello.
"Che la recita abbia inizio!"
<<Grazie mille, sfigata. Ero certa che quest'anno mi avresti risparmiato la tua presenza, ti immaginavo ricoverata in qualche centro di recupero per tossici.>> così risposi al suo saluto, provando a tirar fuori gli artigli immaginari. Quella fu la frase più cattiva che mi venne in mente, vedendo il suo aspetto da hippie, i capelli rosa, il piercing al naso. Mi sentii male ad andare contro tutto quello in cui credevo per il bene di quella montatura, ma la sua smorfia delusa mi fece capire che forse non ero stata all'altezza delle sue aspettative.
Si alzò dal divano, portandosi dietro il libro, e s'incamminò verso il corridoio su cui si affacciavano tre porte. Supposi due camere da letto e il bagno in fondo.
"Tutto lì?" Se ne andava? Beh, meglio di quanto potessi sperare.
Si fermò fuori alla porta più vicina. Immaginai fosse la sua camera. Prima di entrare, si girò a guardarmi e disse:
<<Sai fare molto meglio di così, l'Europa ti ha fatto perdere smalto, il che è una grande delusione. L'unico pregio che hai è la velocità con cui riesci a insultare il prossimo. Non rendere questa guerra noiosa!>> detto questo, scomparve all'interno della camera, lasciandomi con la terribile sensazione di aver sbagliato tutto.
"Ma quale problema aveva? Non era da persone normali farsi la guerra in quel modo, stoccata su stoccata? Come poteva essere possibile che una persona preferisse gli insulti alla pace e all'armonia?"
Rimasta finalmente sola, dopo aver superato, anche se non a pieni voti, il primo ostacolo di quell'avventura, afflosciai le spalle per il sollievo fino a quasi scomparire dentro me stessa. La lista dei miei successi iniziava a crescere: ero arrivata al dormitorio senza intoppi, avevo affrontato il primo incontro con la mia coinquilina dalla lingua tagliente, ed ero anche sopravvissuta a un'intera giornata con mia madre senza che sospettasse nulla. Che grande donna! La sua frivolezza e la sua incapacità di interessarsi a un altro essere umano all'infuori di sé stessa erano i minori dei suoi difetti. Io la vedevo come un buco nero che risucchiava la luce di tutti quelli che le erano accanto.
Per sopravvivere, avrei dovuto solo tenere a mente l'immagine che tutti in quel posto avevano di me, e tutto sarebbe andato per il verso giusto: fredda, cinica, arrogante, competitiva, insomma, una stronza fatta e finita. In altre parole, la fotocopia sputata di mia madre.
Tirai la valigia fino alla porta accanto a quella dietro la quale era scomparsa la mia coinquilina, entrai, e me la richiusi alle spalle. Mi ci appoggiai contro, chiusi gli occhi e buttai fuori tutta l'aria che mi sembrava di trattenere da quando avevo messo piede al campus.
"Un passo alla volta, un giorno alla volta, una settimana alla volta..." Era questo il mio mantra da quando avevo attraversato la porta di casa, lasciandomi alle spalle la sicurezza che mi offriva. Cominciai a ripeterlo nella mia testa finché non mi sentii più tranquilla. Evitai di pensare che dovevo resistere un semestre, che era composto da sei mesi, che erano l'equivalente di 26 settimane, ovvero 181 lunghissimi giorni e 4380 ore. Sarebbero stati solo sei mesi, se tutto andava come speravamo, ma non era scontato.
Aprii gli occhi, studiando attentamente l'ambiente che mi circondava. La camera non era niente male, non era enorme e di certo non aveva tutto il lusso a cui mio padre mi aveva abituata, ma aveva tutto quello di cui avevo bisogno. Ero molto meno esigente di lei. Se lei era riuscita a stare lì per un anno, io non avrei avuto nessun problema ad adattarmi.
I muri bianchi donavano luce alla stanza e la facevano sembrare più spaziosa di quanto fosse in realtà, ma era un deserto per gli occhi, che spreco! Mi ripromisi di rimediare quanto prima. Amavo i colori, le foto e i poster. La mia stanza ne era piena. C'era un letto enorme appoggiato al muro. Di sicuro non era quello dato in dotazione dal campus, era bianco, in stile shabby chic, rispecchiava a pieno la sua personalità. Ai lati c'erano due comodini in tinta con il letto, e proprio alla mia destra faceva bella mostra di sé una mostruosità di armadio a sei ante, esagerato per le dimensioni della stanza (esattamente quello che mi aspettavo conoscendo il personaggio). Trovai molto utile la scrivania posizionata vicino al muro di fronte al letto, data la mole di studio che mi aspettava per mettermi in pari con il programma. Sopra di essa, due scaffali sorreggevano un'infinità di trofei. Mi avvicinai per studiarli meglio. Erano stati vinti alle gare di cheerleader. Prima di questa estate, non sapevo neanche che gareggiassero. Pensavo facessero il tifo e basta. Sulla parete di fronte alla porta si apriva una finestra, a due ante. La spalancai e subito parte della tensione che mi attanagliava lo stomaco volò via. Si godeva di una vista eccezionale del parco. Era senz'altro il mio angolo preferito di tutto l'alloggio.
Mi sedetti sul davanzale a osservare i passanti. Erano pochi, tutti ragazzi che avevano più o meno la mia età, ma sembravano molto più spensierati. Di certo loro non portavano il peso che gravava sulle mie spalle e, di certo, loro non dovevano lottare con la sensazione che, da un momento all'altro, ogni cosa gli sarebbe crollata addosso come un castello di carte.
Controllai l'ora sul cellulare, erano solo le 19:00, ma tra il fuso orario, lo sforzo di evitare di incontrare qualcuno che mi conoscesse e infine lo scontro con la ragazza dai capelli rosa, mi aveva stremata. Mi sentivo come se fosse già mezzanotte.
Mi buttai ad angelo sul letto, un po' come facevo da piccola sulla neve, e mi tolsi le scarpe con l'aiuto dei piedi. Anche piegarmi per slacciarle sarebbe stata una fatica pari a quella di Ercole. Avevo bisogno solo di 10 minuti di riposo, giusto il tempo per ricaricare un po' le batterie, poi avrei cominciato a sistemare le mie cose.
L'indomani sarebbe stata una giornata impegnativa: dovevo girare il campus per prendere un po' di dimestichezza con le vie, gli edifici, le aule dove si sarebbero tenute le lezioni che cominciavano dopodomani. Non avrei saputo come giustificare in alcun modo se sbagliavo strada o classe.
Con quei pensieri a vorticarmi nella testa, caddi in un sonno profondo.
Ciaooo a tutti nuovi lettori... sono entusiasta di pubblicare questa storia e non vedo l'ora di leggere i vostri commenti.
🔖Curiosità: l'università che frequenta il personaggio principale è l'Università della California.
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