Capitolo VI
«Duncan, sei sempre il solito! Come va vecchio mio?»
Mai avrebbe pensato che quel posto gli sarebbe potuto mancare, ma quando aveva rivisto il suo amico la felicità era stata enorme. Duncan era l'unica persona di cui si fidava, da quando erano rinati per quella nuova vita avevano sempre contato l'uno sull'altro, fino a quando lui se n'era andato. Appena finito l'addestramento, James si era subito allontanato da Iarrthóirríocht. Quel posto lo soffocava e gli ricordava sempre cosa non poteva più avere. Gli era sempre dispiaciuto averlo lasciato lì, l'amico non aveva ancora finito l'addestramento quando era andato via e non se l'era mai perdonato, anche se era stato proprio Duncan a consigliargli di andarsene.
«Tutto niosamente uguale, e tu?» Duncan puntò lo sguardo su Brooklyn ed un guizzo cuorioso gli attraversò gli occhi. «È la tua donna?»
Sentì Brook squittire sorpresa ed arrossire.
«No, la piccola tentarice ha alle calcagna un demone della caccia e le sto dando una mano.»
Il ragazzo lo fissò sbalordito, conoscendo la sua tendenza ad evitare di immischiasi nei problemi degli altri.
«Dov'è Dante? Devo parlargli» chiese in fretta, per cambiare discorso. In verità doveva davvero incontrare Dante ed era meglio farlo subito, evitando anche le domande di Duncan sulla ragazza, anche se sapeva benissimo che prima o poi avrebbe dovuto risponderle al terzo grado dell'amico.
«È di sopra, sempre nel suo studio.» Vide Duncan alzare gli occhi al cielo. «Gli suggerisco sempre di andarsene in vacanza, è sempre troppo stressato e potrebbe rimetterci le penne.»
«Duncan lui non può morire, ricordi?»
L'altro sbuffò spazientito, guardando altrove. Ovviamente lo sapeva, ma il suo sogno era sempre stato quello di diventare il comandante dei cacciatori di anime ed ogni occasione era sempre buona per cercare di far dimettere Dante dalla sua carica, convinto che poi sarebbe stato lui il suo successore.
Fece segno a Brooklyn di seguirlo ed uscì dal salone principale, salendo le scale che portavano agli alloggi ed allo studio del comandante. Molti dei ricordi che aveva cercato di chiudere in un angolo della sua mente ritornarono con prepotenza. Ricordò della sua morte violenta in battaglia, del suo risveglio in quel posto e dell'inizio del suo calvario. Non aveva scelto di diventare un cacciatore, non lo avrebbe accettato, ma non aveva avuto altra scelta e l'addestramento era stato difficile e straziante. Gli avevano insegnato a resistere alle torture, a non chiedere mai pietà e reprimere i sentimenti superflui come la pietà ed il rimorso, e ci era sempre riuscito prima di Brooklyn. Si voltò a guardare la ragazza che lo seguiva con lo sguardo perso sulla sua schiena, immersa in chissà quali pensieri. Si chiese se anche lei si sentisse frastornata, come se tutti i suoi sentimenti e le emozioni fossero state gettate in un frullatore e frullate insieme. Se anche lei non riusciva a smettere di pensare a come sarebbe stato baciarlo ed averlo su di sé...
Sussultò a quest'ultimo pensiero e ritornò a volgere lo sguardo davanti a sé, in collera con quei maledetti sentimenti che erano ritornati, dopo duecento anni, appena aveva incrociato gli occhi grigi di quella piccola tentatrice.
Si fermò di fronte ad una robusta porta scura, bussò ed entrò seguito da Brooklyn.
Dante era di fronte alla finestra, con lo sguardo perso a contemplare il cielo sereno e, stranamente, senza nuvole di Iarrth. I suoi capelli argentei erano ancora lunghi fin sopra le spalle, come ricordava, e stringeva in una mano un bicchiere di quello che sembrava Whisky. Apparentemente sembrava non essersi reso conto della loro presenza, ma lui sapeva che non era così.
«James, finalmente ti sei deciso a fare una visita.» L'uomo si voltò lentamente, inchiodandolo con i suoi severi occhi viola.
«Ciao, Dante. Non aspettarti delle scuse, sai benissimo perché non sono più tornato qui.»
L'uomo annuì, sedendosi sulla poltrona della sua lussuosa scrivania in mogano. La stanza era piena di mobili costosi; c'erano due librerie in ciliegio, una cristallieria, un orologio a pendolo, un minibar pieno di alcolici e sotto i loro piedi c'era un tappeto arabo.
«Allora a cosa devo questa tua improvvisata?» chiese il comandate, riportando l'attenzione su di lui.
In realtà non gli piaceva stare lì ma, dopo il flop della chiaroveggente, l'unica persona in grado di rispondere alla sue domande era lui.
«Sono qui per lei» puntò il pollice oltre la sua spalla, dove si trovava Brooklyn. La ragazza sorrise timidamente all'uomo ed avanzò di un passo.
Dante sollevò un sopracciglio, perplesso. «E cosa c'entrerei io con lei?»
James prese un bel respiro ed iniziò a raccontargli del nome della ragazza sulla lista ma della mancanta causa del decesso, di come lei potesse vedere lui e tutti gli esseri come loro e del demone della caccia.
«Mmh...» L'uomo si grattò il mento, guardando un punto indefinito della stanza.
Pregò che almeno lui avesse delle risposte, perché altrimenti non avrebbe saputo che fare con Brooklyn e con il demone.
«Hai detto che la causa del decesso non era segnata, giusto?» chiese dopo un po' l'uomo e James annuì. «Qualcuno avrà scritto il suo nome sulla tua lista, probabilmente lo stesso qualcuno che ha ingaggiato il demone della caccia per rapirla.»
«Cosa?» tuonò. «La lista ce l'ho sempre con me, nessuno avrebbe avuto modo di sottrarmela e scrivere il nome di Brooklyn senza che me ne accorgessi.» La sola idea che qualcuno avesse messo le mani sulla sua lista, sotto il suo naso, lo faceva imbestialire.
«In qualche modo è successo. Ora dobbiamo capire come questa fanciulla riesca a vedere il mondo che un comune essere mortale non vedrebbe.» Dante iniziò a scrutare Brooklyn dalla testa ai piedi, mettendo a disagio la ragazza, che iniziò a torturarsi le dita dietro la schiena. Dopo quello che parve ad entrambi un secolo, l'uomo sospirò, lasciandosi cadere contro la poltrona in pelle.
«Hai un'idea di cosa sia?» chiese James, rivolto alla ragazza, che gli pizzicò il fianco per essersi sentita definire "cosa".
«No, James, ma so chi può dirtelo.»
Riprese a respirare sollevato, per un secondo aveva sentito il pavimento aprirsi sotto di lui.
«Chi? Chi potrebbe aiutarmi?»
«Il sacro oracolo, mi sembra ovvio» gli disse seccato Dante, come se avesse davanti un'idiota, ma lui aveva sentito parlare solo due volte di questo sacro oracolo quindi era giustificato per non averci pensato prima.
«E dove si troverebbe questo sacro oracolo?» Ammesso che esista, pensò.
«Ai confini di tutti i regni dell'est. Dovrete attraversare il regno delle ninfe, quello dei vampiri, quello delle streghe e quello dei demoni. Se riuscirete ad attraversare tutti i regni senza morire allora la troverete.»
James non sapeva se ridere o distruggere tutti i mobili cari al comandante. Attraversare tutti i regni dell'est per un oracolo di cui non si conosceva l'esistenza certa? Era da folli idioti, però ormai non aveva nulla da perdere e forse allontanarsi avrebbe depistato il demone.
Si volse verso Brooklyn. «Tu che vuoi fare?» le chiese.
La ragazza spalancò la bocca dallo stupore, non si aspettava certo di aver voce in capitolo in quella storia, anche se si parlava del suo futuro, e la domanda di James l'aveva stupita. Scosse la testa per riprendersi e si affrettò a rispondergli. «Per me vale la pena provare.»
Lui annuì e si diresse verso la porta, l'apri e videro Duncan cadere a faccia in giù.
«Stavi per caso origliando?» chiese James, aiutandolo ad alzarsi dal pavimento.
«Assolutamente sì» confermò senza vergogna il ragazzo. «Ho sentito tutto e verrò con voi, ti servirà qualcuno che ti copra le spalle quindi non accetto un no. Tanto verrei lo stesso.»
Brooklyn sentì James mugugnare qualcosa di poco carino, poi urlare a Dante che avrebbero usato una delle stanze per prepararsi al viaggio ed uscire dalla stanza, gridandole di seguirlo.
Salutò l'uomo seduto alla scrivania e raggiunse James.
«Partiamo domani?» guardò fuori da una delle finestre del corridoio e notò che quel posto sembrava avere lo stesso fuso orario del suo mondo, quindi doveva essere ancora mattina.
«No, tra qualche ora.»
Qualche ora? Gridò nella sua mente. Quel tipo era fuori, dove avrebbero preso tutto il necessario per viaggiare in poche ore? «Useremo il teletrasporto?» In quel modo avrebbero guadagnato tempo.
«No» rispose secco lui, aumentando l'andatura e costringendola a corrergli dietro.
Perché non potevano viaggiare col teletrasporto? In quel modo il viaggio non sarebbe stato di certo corto e piacevole.
James si fermò ed aprì una delle tante porte uguali che si trovavano su quel piano, le fece cenno di entrare per prima ma lei era troppo impegnata a maledirlo per rendersi conto del gesto galante.
La fretta con cui James voleva partire le diede la strana sensazione che fosse dettata dalla voglia di togliersela in fretta di torno e, stranamente, la cosa le fece male.
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