Capitolo 48 - «Mi devi un addio»
[...] CONTINUA...
Faccio fatica a immaginare un mondo in cui esista Jay senza Eva; mi sembra impossibile continuare a vivere se non siamo insieme. La nostra storia è durata pochissimo, eppure, quel breve lasso di tempo è stato il mio frangente più lungo di felicità.
Ophelia, mia piccola dolce Ophelia... ti ho amata sin dal primo istante in cui ti ho vista ballare a quella festa alla Trojans; ti ho amata quando eri la ragazza di un altro; ti ho amata quando sei stata mia per una notte e ho continuato a farlo anche quando abbiamo smesso di parlarci; ti ho amata mentre scopavo con le altre e al tempo stesso mentre vedevo te con gli altri; ti ho amata in quella meravigliosa notte di Capodanno; ti ho amata con tutte le tue debolezze durante la disintossicazione e il giorno dell'anniversario della morte di tua madre; ti ho amata da ubriaco mentre tu da sola camminavi accanto alla bara di mio nonno; ti ho amata quando ti ho parlato di Max e tu hai cercato di proteggermi dalla realtà, dall'ombra di un assassinio che mi porterò sempre dietro; ti ho amata ogni volta in cui mi sono consumato per te e dentro di te... purtroppo per noi, ti amo ancora oggi e non credo mi sarà mai possibile smettere di farlo. Eppure però, se c'è una cosa che ho capito ancor di più stando qui, è che l'amore, la felicità, la gioia... sono sentimenti permessi soltanto ai sani; chi come noi ha delle crepe non può provare nulla di tutto ciò, almeno finché non avrà sanato i propri dissidi. Meriti il tuo addio, quell'ultimo saluto che ti ho negato, ma non lo troverai neanche qui. Presto riceverai un altro pacco e lì potrai leggere il seguito. Intanto, sii felice, ama e lasciati amare, non hai bisogno delle pillole per vivere... insegui i tuoi sogni, Oph, è arrivato il momento di volare! In quello specchio oggi, ne sono certo, potrai finalmente vedere solo te stessa e tutto ciò che desideri realmente di essere.
Tuo, con tutto l'amore del mondo, Jay.
***
9 ANNI DOPO
Eva
A volte mi capita di ripensare alla mia relazione con Jay. Mi fermo a guardare le stelle, un tramonto, un'alba, persino il mio riflesso nello specchio, e allora mi viene automatico tornare alla me di quasi un decennio fa. Riesco a sentire le sue mani su di me, le sue parole sussurrate all'orecchio, persino il modo in cui mi faceva sentire. Ma poi, mi ritorna in mente il dolore che ho provato, l'ennesima disintossicazione che ho dovuto subire a causa sua, e allora smetto di sognare a occhi aperti e mi ricordo quanto sia stato un bene separarsi, chiudere per sempre una relazione che non avrebbe portato a nulla se non a un mare di sofferenza. E, ancor di più, in quelle occasioni, inizio a comprendere quanto sia stato ancor più saggio non aprire mai il pacco che mi era stato recapitato poco dopo aver ricevuto il suo ultimo messaggio. È stata una scelta ardua, non lo nego, ma già ero sopravvissuta a fatica alla sua prima lettera, non avrei mai potuto fare i conti con un'altra.
I primi mesi di separazione li ho vissuti senza voler sapere nulla di lui. Pochi hanno avuto il coraggio di nominarlo, persino i suoi fratelli avevano smesso di pronunciare il suo nome. Poi un giorno, ho capito che non potevo continuare a vivere fingendo che la nostra relazione non fosse mai esistita. Sono andata a Malibu dai Cook durante le vacanze estive e, per la prima volta, ho pronunciato nuovamente quelle tre lettere insieme: J-a-y. È stata Rose a informarmi della sua partenza per Oxford, della borsa di studio offertagli dall'università inglese grazie a un generoso contributo del signor Levi Reinhardt e della cessione delle quote di maggioranza di Jaimie e JJ a favore di Jay nella filiale Cook in Europa.
A quanto pare il mio continente sarebbe diventato il suo e il suo il mio.
Avremmo vissuto nei due lati opposti dell'emisfero, ognuno finalmente libero di essere se stesso senza impedimenti.
O almeno, così pensavo.
***
Affretto il passo per raggiungere il gate 24 mentre ascolto la fastidiosissima voce meccanica, proveniente dagli altoparlanti, che mi informa che sto per perdere il mio aereo.
Riesco a raggiungere per un pelo l'imbarco, prima che questo venga chiuso. Con un fiatone non indifferente, cerco di salire il più in fretta possibile sull'aeroplano, trascinando a fatica il trolley sulle scalette d'accesso.
Mi affretto a prendere posto in prima classe, pensando tra me e me a quanto la mia amica non abbia badato a spese pur di farmi raggiungere comodamente la città in cui si è trasferita ormai da anni.
Solo una settimana fa, Jaimie mi ha contattata pregandomi di raggiungerla in Inghilterra per accettare una lavoro da scrittrice nella sua rivista.
In realtà, io un lavoro ce l'ho già, e impegna tra l'altro gran parte delle mie giornate, ma a un'amica come lei non avrei mai potuto dire di no.
Comodamente seduta sul sedile, dopo il decollo, non perdo tempo. Ho una lezione fissata per lunedì da programmare nei dettagli. Ansiosa come sono non posso assolutamente ridurmi all'ultimo. Proprio per questo, dopo aver controllato l'agenda, inizio a lavorare sul tablet agli argomenti che dovrò illustrare ai miei studenti. Comincio a ripetere mentalmente i diversi step, osservando le slides. Non riesco a prestare attenzione a nessuno intorno a me, neanche all'hostess che mi omaggia di snack e bevande, ho occhi soltanto per gli splendidi quadri di Caravaggio quasi tutti conservati a Napoli, tema cardine del mio corso monografico sul pittore seicentesco.
Dopo aver completato in maniera precisa la programmazione, passo a controllare le mie proposte per gli articoli che scriverò, se il nostro accordo andrà in porto, per la rivista di Mora: Blackberry's.
Quattro anni fa Jaimie si è trasferita in Inghilterra, lavorando per un periodo di tempo per il Times. Un impiego di grande prestigio, se non fosse che ciò le aveva causato un'immensa insoddisfazione. Alla fine, su proposta di sua madre, ha scelto di aprire una rivista che fosse interamente finanziata e gestita da lei. Blackberry's oltre a occuparsi di attualità, politica, sport, affari interni ed esteri, ha un'importa rubrica culturale. Fino a questo momento però mancava una sezione dedicata all'arte, perciò la mia migliore amica ha pensato bene di affidarne una parte a me.
Il mio viaggio a Londra durerà soltanto due giorni e una notte. Spero vivamente che questo breve lasso di tempo sia sufficiente per delineare un calendario specifico su ciò che dovrò fare per la rivista, anche per riuscire a capire al meglio come poter integrare le nuove attività con gli innumerevoli impegni accademici.
Non è proprio semplice ritagliarsi del tempo per un secondo lavoro quando si è un docente universitario, a contratto è vero, ma pur sempre una professoressa, tra l'altro in una delle università italiane con il corso d'arte più seguito e apprezzato di tutta la Penisola.
Quando ero più giovane credevo che il mio posto fosse in America, solo quando ho ricevuto la proposta di dottorato in Storia dell'Arte Moderna nella mia nazione, ho capito realmente quale fosse il luogo che volevo occupare nel mondo.
Oggi, però, devo ammettere che non mi dispiacerebbe occuparne ben due: quello di professoressa appassionata e quello di Storica e critica d'arte per la rivista di proprietà di una delle mie più care amiche.
Tuttavia prima di accettare il suo invito, ho voluto fortemente che lei mi giurasse una cosa. Abbiamo siglato un accordo: non dovrò mai essere costretta ad avere a che fare con lui.
Una cosa che ci è riuscita fin troppo bene negli ultimi nove anni.
Neanche alla laurea di JJ e poi a quella di Jaimie siamo riusciti a incontrarci, sebbene fossi sicura che ciò sarebbe accaduto, credevo sarebbe stato inevitabile, e invece, non è stato così. Se non fosse stato per la prima partita in NFL di Mad, durante la quale l'ho intravisto da lontano seduto sugli spalti, avrei potuto tranquillamente credere che fosse morto.
Un po', a prescindere da tutto, mi agita il pensiero di andare nel posto in cui vive. Quasi come se ci fosse il pericolo di incontrarlo al supermercato, nel bar dietro l'angolo o in tintoria, come se fossimo in un paesino minuscolo della provincia italiana piuttosto che in un'immensa metropoli.
L'ansia mi porta a stringere una ciocca dei mie capelli corti e a giocarci, tentando di mantenere la calma.
Il volo atterra fin troppo in fretta, avrei voluto durasse per sempre.
Le ginocchia tremano e ho un'orribile sensazione.
Prima di scendere, prendo un respiro profondo, aggrappandomi con tutte le forze al bracciolo del mio sedile.
Passano gli anni, ma la frase resta sempre la stessa, si va in scena Eva, si va in scena.
***
«Ciao, sei tu Eric?» mi avvicino a un ragazzo molto alto e mingherlino. Lui stringe tra le mani un cartoncino mal scritto con quello che sembrerebbe il mio nome.
«Sì, tu sei Eva?» sorride, iniziando a prendere la mia valigia, ancor prima che io possa rispondergli in maniera affermativa.
Annuisco regalandogli l'espressione più sicura di me che sono capace di simulare, cercando invano di sembrare tranquilla.
«Quindi diventeremo colleghi?» gli domando, mentre mi conduce all'auto parcheggiata in una zona non lontana dall'uscita dell'Aeroporto.
«A quanto pare... J mi ha parlato di te». Non appena odo le sue parole per poco non inciampo nei miei stessi piedi. Eric mi salva, sorreggendomi per un braccio.
«Tutto ok?» è praticamente sbiancato per la paura, riesco a percepire chiaramente il suo disagio.
«S-sì s-scusa... J-Jay?» balbetto, non riuscendo più ad articolare neanche un semplice nome, sarà che è passato così tanto tempo dall'ultima volta in cui l'ho pronunciato.
«Oh sì, scusa... Jaimie. Si fa chiamare così al lavoro». Riacquisto immediatamente i venti anni persi, annuendo e sorridendo.
Dio mio Eric, stai forse cercando di farmi fuori?
«No, scusami tu... sono un po' stanca. Dove dobbiamo andare? Non ho mai fatto visita agli uffici della Blackberry's» prendo posto accanto a lui nell'auto aziendale più lussuosa che abbia mai visto. È addirittura dotata di una specie di mini-frigo. Dopo il viaggio in aereo sono così assetata che mi avvento su una bottiglia d'acqua come fosse un tesoro. Eric però, re del tempismo, decide di rispondermi proprio mentre sto buttando giù un po' di liquido.
«Sei mai stata alla sede della Cook Company? Noi siamo al piano inferiore». Ed ecco che mezzo litro d'acqua viene sputato direttamente sul cruscotto dell'auto.
«Oddio scusami» inizio a pulire velocemente gli interni in pelle che grondano, mentre lui mi osserva abbastanza scioccato senza aggiungere nulla.
Guida silenziosamente verso il palazzo. Il viaggio viene intervallato soltanto da qualche colpo di tosse imbarazzato. Dopo la mia gaffe, nessuno dei due ha avuto più il coraggio di aggiungere nulla.
Non posso non riconoscere immediatamente la nostra direzione, tra tutti i grattacieli di Londra, quello verso cui siamo diretti è il più sfavillante. Che megalomani questi Cook. A lettere cubitali, in rosso, campeggia sulle vetrate il loro cognome.
Eric mi abbandona, sollevato dall'essersi liberato di me, nel parcheggio sotterraneo, dandomi istruzioni di raggiungere il secondo piano, per potermi recare in ufficio da Jaimie. Mi avverte però che lei è in riunione e che perciò potrei non trovarla già lì ad aspettarmi.
Nell'ascensore osservo il numero di piani, tirando un sospiro di sollievo quando mi rendo conto del fatto che l'ufficio del Presidente della Cook Company è più lontano di quanto potessi anche lontanamente immaginare.
Ciò fortunatamente riduce le possibilità di incontrarlo per caso.
Quando vedrò Jaimie mi sentirà. Nove anni spesi egregiamente a evitare suo fratello e adesso lei cerca di rovinare tutto invitandomi direttamente nella tana del lupo.
Una volta arrivata nel luogo giusto, comincio a osservare gli interni colorati delle sale. Tutti i dipendenti si spostano in maniera spensierata da una parte all'altra degli uffici. C'è un atmosfera molto libera e frizzante, e ciò non può che ricordarmi proprio Mora.
Mi fermo a chiedere indicazioni alla receptionist, ci sono troppe porte e il mio senso dell'orientamento non è cambiato negli anni. La ragazza mi mostra l'ufficio giusto, collocato appena sulla destra del corridoio. Guardo il suo nome inciso in grassetto Jaimie Cook, CEO Blackberry's e non posso che essere fiera di lei e del percorso che ha fatto per arrivare dov'è, sebbene sicuramente portare quel cognome l'abbia aiutata molto. Intravedo un'ombra aldilà dei vetri oscurati delle pareti e, con un grande sorriso sulle labbra, apro la porta fiondandomi all'interno per abbracciarla. Sono mesi ormai che non ci vediamo e provo una grande nostalgia per il tempo passato in sua compagnia.
Nell'entrare sbatto contro qualcuno. La mia borsa cade a terra e il contenuto si sparpaglia sul pavimento. Il mio flacone di medicine rotola ai piedi di un uomo. Resto ferma qualche secondo senza alzare la testa. Le scarpe non sono sicuramente quelle di una donna. Lui si piega a raccogliere i farmaci, indugiando a guardarne il mio nome stampato in giallo. Di lui vedo soltanto una barba lunga e i capelli chiari raccolti in un codino, indossa un abito ancor più elegante delle sue stringate. A vederlo inginocchiato, mi sembra di riconoscere in lui qualcuno di familiare ma, è solo quando solleva il volto verso di me, che capisco davvero chi è. Quelle iridi non le dimenticherei neanche sul letto di morte.
Resto bloccata con gli occhi sgranati e il respiro corto.
Dannato porta-pillole personalizzato, forse avrei ancora una chance di fuga se lui non avesse letto il mio nome. Quante rosse di nome Eva esistono in Inghilterra?
«Eva» la sua voce è rimasta esattamente la stessa. Il suo tono sarebbe capace di farmi sciogliere ogni parte del corpo.
Credo di poter avere un infarto. Aiuto. Qualcuno mi salvi. Qual è il numero per il 118 londinese?
Eva, dì qualcosa, su.
«Jay» sussurro, utilizzando un tono di voce molto distante da quello che uso abitualmente.
Riprenditi.
Regna il silenzio, per qualche secondo, per minuti, ore, giorni, mesi, anni? Non lo so. Io non odo niente se non il battito del mio cuore.
«Ti trovo bene» è lui a spezzare l'imbarazzo, sebbene la sua frase sembri essere presa dal libro delle frasi scontate.
Ma in effetti, cosa sarebbe giusto dire alla propria ex fidanzata, con la quale si è stati per pochissimo tempo, dopo quasi un decennio?
«Ehm, anche tu stai bene» replico allo stesso modo.
Sono capace di pronunciare una frase originale o mi sono trasformata in un pappagallo?
«Prendi ancora queste?» mi porge il flacone. Inavvertitamente, afferrandolo, gli sfioro l'indice. Ritraggo immediatamente la mano come se mi fossi scottata.
«No» mi schiarisco la voce con un colpo di tosse «queste sono regolarmente prescritte. Ho fatto terapia» mi guardo le unghie pur di non doverlo fissare negli occhi. Dio, non è cambiato di una virgola, anzi, è soltanto migliorato con gli anni.
«Oh, sono felice».
L'imbarazzo in questa stanza è direttamente proporzionale all'ansia che sto provando in questo momento.
«Come mai sei a Londra?» mi domanda, mentre si avvia con tutta la tranquillità del mondo a sedere dietro la scrivania della sorella. Estrae dalla tasca una sigaretta elettronica e inizia a fumare. I suoi occhi ripercorrono dall'alto verso il basso il mio corpo, indugiando sulle mie forme da donna molto più pronunciate rispetto a qualche anno fa.
«Tua sorella vuole collaborare con me» mi accomodo su una sedia posizionata proprio di fronte a lui.
Mi sembra di essere a un colloquio di lavoro, l'agitazione è più o meno la stessa.
«Ah, ero sceso anche io per lo stesso motivo. Ogni tanto rispolvero le vecchie passioni e scrivo qualche articolo per lei» aspira profondamente, facendo fuoriuscire il fumo lentamente dalla bocca.
«CEO della Cook in Europa, eh?».
«Jack doveva trovare un modo per motivarmi, non so se la strategia abbia dato i suoi frutti, ma me la cavo, anche se non è ciò che volevo fare». Il suo telefono comincia a squillare. Risponde innervosito, alzando gli occhi al cielo non appena la voce proveniente dalla cornetta inizia a parlare.
«Ok, Rue» ascolta silente ciò gli sta comunicando «dì al professor Turner che lo richiamo più tardi e se puoi disdici la riunione» segue silenzio «sono impegnato adesso, se ne può occupare anche Katrina - perfetto, a dopo» terminata la conversazione torna a concentrarsi su di me.
«Dicevamo... tu invece? Devo ammettere che ultimamente ho fatto una ricerca online e sono rimasto piacevolmente sorpreso dal risultato. Hai una pagina interamente dedicata a te sul sito dell'università-».
«Ho solo un contratto di un anno per il momento e un corso monografico, è una bella soddisfazione, ma posso fare ancora meglio, punto all'assunzione» lo interrompo.
Stamattina, quando mi sono svegliata nel mio appartamento, non avrei mai potuto immaginare di trovarmi qui, seduta proprio davanti a una delle persone che mi ha fatto soffrire di più in vita mia, a parlare del più o del meno come se nulla fosse accaduto.
«Il tuo fidanzato?» aggrotto le sopracciglia sorpresa. Negli anni tutti i nostri amici in comune hanno scelto di sposare il silenzio. Nessuno ha mai parlato dell'altro. Devo immaginare, a questo punto, che l'abbiano fatto soltanto con me, se lui è a conoscenza della mia relazione.
«Ale?» gli domando per sondare il terreno. Voglio capire tutto quello che sa di ciò che è accaduto negli ultimi anni nella mia vita.
«Il medico-chirurgo» virgoletta, beffandosi di lui.
«Come sai tutto questo?» mi scappa addirittura una risata, quando mi rendo conto del modo in cui ha parlato. Poi, però, la mia espressione cambia e mi ricordo come dovrei comportarmi.
«Devo confessarti che ti seguo da un po' di anni su Instagram con un altro profilo. Se non fosse per Matt che ogni tanto si è fatto scappare qualcosa, non avrei neppure potuto sapere se fossi viva, nessuno ti ha più nominata. A un certo punto avevo iniziato a temere che tu e mia sorella aveste litigato».
«Eri tu! L'ho sempre saputo! Solo tu potevi scegliere @adrianomeis come nickname. E tutte quelle foto artistiche con quelle frasi poetiche, lo sapevo!» salto sulla sedia, riconducendo anni di post al vero creatore.
«Beccato» si gratta la nuca, portando una mano dietro la testa «beh quindi, come sta Alessandro?» insiste.
«Non lo so, credo bene... non mantengo mai buoni rapporti con i miei ex» scrollo le spalle, guardandolo per qualche secondo di troppo negli occhi.
«Ah, mi dispiace... pensavo sarebbe stato quello giusto». Una discreta voglia di prenderlo a pugni mi sta salendo dall'interno. Odio fingere che le cose tra noi non siano finite così tragicamente.
«A te con Katrina?» rilancio, togliendomi finalmente una curiosità che mi stava tormentando ormai da mesi.
Lui ridacchia, scuotendo la testa. «Leggi i tabloid inglesi?»
«A volte» mi mordicchio l'angolo del labbro inferiore, aspettando che lui mi dica altro.
«Erano solo voci messe in giro, non c'è stato più di qualche bacio sapientemente immortalato. Non siamo così stronzi, non che a Beth freghi qualcosa, ma trovo sia di cattivo gusto fidanzarsi con la sorella della mia ex». Faccio un respiro di sollievo quando finisce di parlare, Katrina mi stava simpatica, è stata dura odiarla senza motivo per tutto questo tempo. C'è da dire, però, che con la sua ultima frase mi ha servito una replica sul piatto d'argento.
«E io che pensavo che le cose di cattivo gusto ti piacessero» gli faccio un lento e tagliente occhiolino.
«Ecco, stavo aspettando una cosa del genere» si slega i capelli facendoli ricadere sulle spalle, li aggiusta dietro le orecchie, per poi iniziare ad allentare la cravatta intorno al collo.
«Quella che non si è presentata sei tu, io ci ho provato a rimediare» abbassa lo sguardo, iniziando a torturarsi le mani.
«In che senso?» gli domando stupita. Non so a cosa si riferisca.
«L'appuntamento che ti avevo dato nella lettera» torna a guardarmi per un istante, poi toglie la giacca, slacciando i bottoni delle maniche e facendo risalire queste ultime lungo il gomito. Sembra improvvisamente estate qui dentro.
Le sue braccia nude mettono in mostra innumerevoli tatuaggi che si sono aggiunti agli altri nel tempo. Tra essi spicca uno in particolare: l'Ophelia di Millais. Quando Jay si accorge che sto guardando proprio in direzione della parte laterale del polso, sembra pentirsi di essersi spogliato.
«L'ho fatto a Oslo» è tutto quello che dice. Si alza dalla sedia girevole su cui era seduto e si avvicina alla vetrata che affaccia sui palazzi circostanti.
«Come Ophelia, anche io sono affogato, rinascendo però a nuova vita... Max questa possibilità non l'ha avuta, ma io sì, e per la maggior parte è stato merito tuo» sembra che parlare gli stia costando molta fatica. Si appoggia alla parete come se avesse bisogno di un supporto che lo sorregga, come se le sue gambe avessero smesso di funzionare improvvisamente.
Un brivido intenso mi trapassa da parte a parte, anche se fingo di non percepirlo.
Sono indecisa se mostrargli anche io una cosa, una piccola pazzia che ho fatto ormai tanti anni fa. Considerando che avrei immaginato questo incontro in maniera molto più tragica di quel che è, mi convinco a farlo. Forse davvero non mi importa più di quello che è successo così tanto tempo fa, o almeno, è questo ciò che vorrei raccontarmi.
Sfilo anche io la giacca, facendo scendere le bretelline del top lungo le spalle. La schiena resta parzialmente nuda, così come il mio seno. Non mi importa che mi veda così, ormai ho fatto pace con il mio corpo da molti anni.
«L'ho fatto durante la disintossicazione definitiva dalle pillole» mi volto, dandogli la possibilità di girarsi e di guardare lungo la mia spina dorsale.
«The Art of Being Art» legge a una a una quelle parole per sempre impresse sulla mia pelle, nella mia mente e nel mio cuore.
«Te lo ricordi?» gli domando, tenendo ancora una volta gli occhi bassi, mentre cerco goffamente di rivestirmi.
«Certo, lo penso ancora e anzi, non ho mai smesso di pensarlo» arriva alle mie spalle, stringendomi delicatamente il polso.
A questo punto credo che oltre il numero per chiamare un'ambulanza mi servirà anche quello per allertare i pompieri.
Una scarica infinita di brividi mi mette quasi al tappeto. Questi, per quanto vorrei, non posso ignorarli.
Non dovrei ridurmi così sotto il tocco di una persona che mi ha distrutta, rompendomi in mille pezzi ancor più piccoli di quanto non lo fossero quelli in cui mi aveva ridotta Luke in precedenza. Eppure è più forte di me, da quando l'ho rivisto, il resto del mondo ha smesso di esistere. Potrebbe accadere di tutto intorno a me e io non me ne accorgerei... ho occhi e orecchie soltanto per lui.
«Avrei dovuto salutarti, lo so...» mi fa ruotare nella sua direzione. Siamo a pochi centimetri l'uno dall'altra, petto contro petto.
«Quello che ti ho scritto, però, era chiaro... non sei venuta e io non ti ho più cercata. Te l'avevo promesso» alzo il mento, smettendo di fissare un punto imprecisato del pavimento. Vorrei potergli dire che non so di cosa sta parlando, che non ho mai aperto la sua seconda lettera, né tanto meno il pacchetto che mi è stato consegnato insieme a quest'ultima. Non ho la più pallida idea di quale appuntamento stia parlando, ma, sebbene io non abbia il quadro completo, comincio a immaginare di aver fatto la più grande cazzata della mia vita. Prima che io possa dire altro, Mora entra dalla porta imprecando come uno scaricatore di porto. Quando si accorge della presenza di suo fratello, malgrado la posa non propriamente casta in cui ci troviamo, il fuoco si impossessa delle sue iridi celestine.
«Mio Dio, sei stato tu!» gli urla minacciosamente a pochi centimetri dal volto. Ora siamo tutti e tre così vicini da far sembrare questa situazione comica.
«Ti ho detto mille volte di non chiedere alla mia segretaria di guardare la mia agenda e non solo tu l'hai fatto, ma hai anche fatto spostare la riunione di un'ora per poterla importunare».
«Tu lo sapevi?» mi allontano di scatto, rivolgendogli un'occhiataccia.
«Sì, l'ho saputo qualche ora fa, ed è stata la tua segretaria a dire ad alta voce mentre passavo di lì "Eric il volo della signorina Neri è decollato", poi per il resto è stato un gioco da ragazzi» le pizzica una guancia, ma lei continua a osservarlo di sottecchi. «Senti, tanto sarebbe accaduto comunque, Eva non ti incolperà... dobbiamo andare a un matrimonio quest'estate e siamo entrambi testimoni» le fa l'occhiolino.
«Kate sta convincendo JJ a non invitarti» sbuffa, facendogli una boccaccia infantile.
«E per quanto riguarda te» si gira nella mia direzione «sapere che ti avrei trovata qui non ha reso tutto questo meno intenso... anzi» deglutisce, portando immediatamente la sua sigaretta elettronica alle labbra.
«Sì, ma ora vattene prima che chiami la sicurezza, ricordati chi è l'amministratore delegato su questo piano... su, vai» Mora lo spinge nervosamente fuori la porta, chiudendosela poi alle spalle.
«Scusami davvero» porta le mani dietro la schiena, scivolando lentamente sul vetro fino a sedersi per terra.
«Ha ragione, ci saremmo comunque visti... questa cosa di evitarci non ha senso... sono passati nove anni e non abbiamo più vent'anni, possiamo tollerare l'uno la presenza dell'altro in una stanza».
Sei sicura Eva? I tuoi sentimenti di prima dicevano il contrario.
Scaccio come fosse una mosca la vocina nella mia testa.
«Com'è stato rivederlo?» Jaimie ignora le mie palesi bugie, concentrandosi su ciò che realmente le interessa.
«Normale» rispondo, cercando di mantenere una voce il più possibile atona.
«E perché eravate così vicini quando sono entrata?» ancora una volta non dà adito a ciò che sto cercando di fare mentendole.
«Non lo so» copro il volto con le mani stremata.
«Io non te ne ho mai parlato perché il primo a chiedercelo è stato lui, ma Jay non sta bene, non è guarito e non è diverso da quello che era quando siete stati insieme. È sobrio da solo un anno e ha avuto tre ricadute da quella che vi ha fatti separare. Io non voglio che tu soffra di nuovo, lo sappiamo solo io, tu e Kate come sei stata male dopo che lui è stato ricoverato; perciò stai attenta, è sempre meglio andare avanti che tornare indietro» mi mette in guardia su suo fratello per la prima volta in dieci anni che la conosco. Non ne aveva mai parlato neanche lontanamente con un'accezione negativa.
«Ehi, stai tranquilla... Jay potrà pure essere ancora lo stesso, ma sono io a essere cambiata» la rassicuro, questa volta sul serio. Se un tempo qualsiasi difficoltà mi avrebbe mandata al tappeto, oggi sono molto diversa. Non dico di non provare più ansia o di non avere una sfiducia cronica verso me stessa, ma è il mio modo di affrontare le avversità a essere cambiato.
«Va bene, facciamo quello per cui ti ho fatta venire fino a qui, parliamo di affari» Jaimie siede alla scrivania in modalità boss, iniziando a passare in rassegna le mie idee, il numero di articoli da scrivere, gli argomenti, le mostre alle quali vuole che partecipi, fino ad arrivare a parlare anche di compensi.
Dopo aver chiuso il nostro accordo, redditizio per me più che per lei, decidiamo di spostarci nel suo appartamento.
È una casa enorme, considerando che a viverci è solo lei. La struttura è in pieno stile Cook, sembra infatti la riproduzione in piccolo della villa a Malibu.
Mentre scegliamo da quale ristorante stellato farci portare la cena, il mio telefono vibra indicandomi un messaggio in entrata. Un numero che non conosco compare sul display. Lo osservo incuriosita e, immaginando si tratti di una comunicazione riguardo il mio lavoro, mi allontano un attimo da Mora per leggerne il contenuto.
Sconosciuto:
I poteri del CEO sono infiniti. Mi piacerebbe continuare la nostra conversazione... non mi è piaciuto come ho affrontato la cosa, vorrei poter rimediare. Ti invio la mia posizione, se mia sorella non ti sta addosso, mi piacerebbe vederti.
A dopo spero,
Jay.
Eva:
Vedo che riesco a fare, l'hai fatta incazzare parecchio. Qualsiasi ora va bene?
Ricordati che mi devi un addio.
Sconosciuto:
Ho aspettato nove anni di rivederti, direi che posso concederti più che qualche ora di attesa.
Ho aspettato nove anni di rivederti.
Colpo al cuore.
Indosso un sorriso falso per tutta la sera.
Io e Jaimie ci aggiorniamo su tutte le novità, mangiando quintali di gelato. Stalkerizziamo Mad e la sua nuova fidanzata campionessa olimpionica. Guardiamo ancora una volta le foto del matrimonio di Beth e Luke. Videochiamiamo Matt, Kate e JJ. Dopo un paio di ore spese in frenetiche attività, Mora crolla addormentata sul divano come un sasso. Le metto un plaid sulle gambe e le lascio un biglietto sul tavolino.
Lo so che domani mi insulterai, ma sono nove anni che sto aspettando di ricevere un addio come si deve, ed è finalmente ora che io lo ottenga. Sto andando da tuo fratello.
Non incazzarti, ti voglio bene,
la tua dolce e carina Ev.
CONTINUA...
Spazio autrice:
Lo so, lo so che nessuno si aspettava che sarebbero trascorsi così tanti anni. Capirete meglio nel prossimo e ultimo capitolo. Sarà diviso in due parti ma saranno pubblicate contemporaneamente. Il confronto sarà tosto, ma immagino lo sappiate.
Il loro incontro è stato piuttosto freddo, ma credo perché nessuno dei due voleva dare l'impressione di tenerci ancora così tanto. Ricordiamoci che Eva aspetta un addio e Jay crede che lei in qualche modo abbia messo fine alla relazione...
Con questo capitolo, salutiamo per sempre i pov Eva... non ho mai nascosto quanto a un certo punto questa fosse diventata in egual modo la storia di entrambi, ora necessitiamo che sia Jay ad accompagnarci all'epilogo.
Spero che la storia vi stia ancora piacendo...
Grazie per essere ancora qui con me,
Non mi abbandonate proprio ora🥀,
Vi voglio bene,
Matilde.
Ps. come sempre vi chiedo gentilmente di lasciare un commento e una stellina per aiutarmi a far conoscere TAOBA. Se vi va di commentare, troverete sul mio profilo Instagram (maty_riisager) il link per fare qualche considerazione in anonimo, anche in vista del finale.
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