Capitolo 39 - Come un triangolo equilatero
Jay
«Svegliatevi, ho bisogno di voi» un lamento fastidioso si insinua nei miei sogni, impedendomi di compiere l'ultimo touchdown che avrebbe portato la Usc alla vittoria del Campionato universitario. L'insistenza della voce mi costringe a svegliarmi, mentre sento delle ossa sporgenti applicare peso sul mio corpo e scostarmi bruscamente verso il lato del letto.
Quando apro gli occhi, la prima cosa che vedo è lo sguardo spiritato di Kate. È distesa al centro del letto, separando me ed Eva come un muro, mentre volge il capo ritmicamente a destra e sinistra.
«Shhhh, mi scoppia la testa» Eva porta entrambe le mani sulle tempie.
«Che c'è K?» riesco a dirle appena; sono ancora molto confuso dopo la serata di ieri.
«Ho fatto una cazzata» pronuncia a bassa voce «non giudicatemi, vi prego» prosegue con tono di supplica.
«Non c'è neanche bisogno che parli... certe cose un gemello le sente. Per uno che non scopa, l'altro si diverte» mi stropiccio gli occhi, cercando di lenire il fastidio che provo nel guardare la luce.
«Oddio che schifo, avete scopato in questo letto?» la mia migliore amica mi rivolge un'espressione disgustata.
«No, svegliati Kate... intendeva dire che tu e JJ l'avete fatto» Eva ancora con le palpebre serrate, scuote la testa rassegnata.
«Oh sì, ehm, giusto. Adesso come lo dico a Steve? Lo sapevo che non dovevo ubriacarmi con lui nei paraggi» mi strappa il cuscino da sotto la testa, lo sposta sotto il viso e ci affonda la faccia.
«Innanzitutto non credo sia una buona idea raccontarglielo... e poi ho sempre creduto che tra te e JJ ci fosse ancora qualcosa, perciò non dare la colpa all'alcool, stento a credere che tu l'abbia usato solo per il sesso» allungo la mano per riappropriarmi del mio cuscino, spostando la sua testa sul mio petto.
«Che gran troia che sono» si aggrappa con entrambe le braccia al mio collo, stringendole tanto da farmi soffocare.
«Per me dovresti dirlo a Steve, quello che hai fatto non è carino... ti devi prendere un po' di tempo da sola per pensarci, è palese che tra te e JJ ci sia tanto di irrisolto» Oph continua a rispondere senza guardarci; forse stanotte qualcuno si è introdotto qui dentro e le ha incollato le palpebre.
«Eva sei sveglia?» una voce maschile proviene dal corridoio, accompagnata da un bussare flebile.
«Papà?» Oph schiude gli occhi alla velocità della luce, rizzando in piedi.
Io faccio lo stesso, raccogliendo prima tutti i miei vestiti e poi scappando in bagno.
Lascio la porta socchiusa per origliare. Non è la prima volta che mi capita una situazione del genere, non mi sorprenderei se tra non molto io dovessi ritrovarmi costretto a calarmi in mutande dal tetto.
«Buongiorno» Eva, sbadigliando per finta, lo invita a entrare.
«Salve, signor Neri» sento Kate salutarlo per prima e poi lui ricambiare gentilmente.
«Ero venuto a vedere se stavi bene dopo le scenette di ieri sera, non mi è piaciuto affatto il tuo comportamento». Ritorna utile saper parlare italiano e poter quindi capire tutto quello che le sta dicendo, visto che lui sembra voler utilizzare la sua lingua natale per impedire a Kate di fare ciò che io posso fare senza sforzi.
«Scusami, lo sai che non bevo mai... ho fatto un paio di sorsi da Kate e sono andata un po' fuori» che bugia articolata... ah, piccola Ophelia ho tanto da insegnarti sul mentire.
«Non so cosa ci sia tra te e quel ragazzo, ma ieri ho avuto una conversazione interessante su di lui con sua madre e un'altra ancor più illuminante con il generale Allen. Non sono riuscito a dormire stanotte, spero che tu sappia quel che fai...dovresti davvero lasciarlo perdere».
Immagino quante cose meravigliose abbia scoperto sul mio conto se a raccontargliele sono stati i miei due più grandi fans. Chissà cosa gli avranno detto... capisco il generale, ma mia madre dovrebbe imparare a tenere la bocca chiusa per il mio bene e anche per il suo. Sono fottuto.
Il primo adulto, con il quale mi piaceva parlare e che con i suoi atteggiamenti non mi faceva venire le emorroidi istantanee, rifiuta l'idea che si era fatto di me, conoscendomi per quello che sono davvero, già dopo pochi giorni dal nostro primo incontro. La storia della mia vita praticamente. Sono sempre stato etichettato a causa delle vicissitudini che ho vissuto, nessuno si è mai preso la briga di capire chi fossi davvero prima di giudicarmi. O meglio, forse qualcuno sì...
«Penso che tu non possa decidere chi devo frequentare da un bel po', non ti facevo così!» Eva alza la voce, chiaramente innervosita dalla presa di posizione del padre.
Mi fa piacere che qualcuno che sia disposto a lottare per me ci sia.
«Sei mia figlia, potrò sempre dirti quello che penso... ci vediamo giù a fare colazione, Martha ha preparato un sacco di cose e... Kate, mi ha detto di chiederti se un tale JJ vuole rimane con noi oppure torna a casa» chiude il discorso con Eva in italiano e prosegue portando a Kate il messaggio di sua madre. Quest'ultima è sempre stata follemente innamorata di mio fratello, infatti credo che, l'aver saputo che fosse rimasto a dormire stanotte, l'abbia resa estremamente felice, più di quanto possa renderla contenta il suo Margarita mattutino, bevuto rigorosamente a colazione.
Kate tossisce, accompagnando il tutto da un no appena percettibile.
Quando sento chiudere la porta, mi rivesto, lasciando la camicia quasi interamente aperta e appoggiando la giacca su una spalla.
Rivolgo un cenno del capo imbarazzato a tutte e due e, prima che possano dire qualsiasi cosa, esco alla ricerca della porta secondaria che mi condurrà a casa. Devo trovare un altro momento per parlare con Oph di quello che sta accadendo tra noi.
Arrivo all'uscita abbastanza in fretta ma, una volta in giardino, mi imbatto in Gin.
Ha un cappello bianco che occuperebbe da solo metà villa Evans e un abito succinto verde mela. Sembra quasi più eccentrica di Martha, e ce ne vuole.
«Buongiorno dolcezza» mi saluta, sorridendomi in maniera lasciva. Giuro che se non fosse la zia di Eva ci avrei provato... adoro la sua aura da donna indipendente.
«Ehm... buongiorno» le rispondo titubante, sperando di non beccarmi l'ennesimo rimprovero della giornata. Se anche lei avesse cambiato idea su di me non potrei accettarlo. Entrambi i fratelli Neri sembravano così entusiasti quando eravamo stati a cena insieme; quanto mi delude pensare che un uomo tanto intelligente possa cambiare idea in una frazione di secondo, basandosi soltanto sulle calunnie di altri.
«Su, scappa prima che ti veda mio fratello... sono così fiera della mia nipotina». Le rivolgo un cenno della mano un po' imbarazzato, mentre corro verso la mia Porsche abbandonata in malo modo al lato della strada. Prima che qualcuno si accorga di me e mi spari alla schiena, è meglio abbandonare la villa.
Entro in auto, tirando un sospiro di sollievo.
«Finalmente sei arrivato, menomale che non la chiudi mai... sarei morto di freddo qui fuori» JJ è sdraiato comodamente sui sedili posteriori, mentre tiene una sigaretta ormai spenta tra le labbra.
«Io non farò domande a te e tu non farne a me, ti prego» si affretta a dire, riportando lo sguardo assente verso il tettuccio dell'auto.
«So già tutto, non c'è bisogno. Io comunque sto per andare a Encino, devo passare a prendere l'albero della nonna» lo informo prima di partire. Era da giorni che ci stavo pensando e, non so perché, sentirmi giudicato dal signor Neri mi ha convinto finalmente a tornare a casa, la mia vera casa.
«Mmm... no, ti prego riaccompagnami alla villa, potrei vomitare da un momento all'altro» mi rivolge i suoi occhi rossi quasi supplicandomi. Sta peggio di quel che credevo, anche se non credo sia soltanto l'alcool ad averlo fatto stare così male.
***
Parcheggio l'auto nel vialetto di casa. Addison street non è mai stata più bella prima d'ora. Questo Natale i vicini si sono impegnati particolarmente con le decorazioni; tuttavia è un po' strano vedere che luci, alberi, Babbo Natale e renne meccaniche mancano soltanto davanti casa nostra. Ciò mi riporta indietro ai tempi felici, quelli in cui vivevamo qui con i nonni e tutti insieme addobbavamo, con quel poco che potevamo permetterci, l'esterno della nostra piccola dimora.
Oggi è la vigilia di Natale, ma a me, a dir la verità, sembra che sia semplicemente un giorno come un altro.
Questa è l'unica festività in cui i miei genitori non organizzano un party patinato, come sono soliti fare in altre occasioni, pur di non rimanere da soli con noi tre. Ciò significa che passeremo l'intera serata a sentire soltanto i rumori della masticazione intervallati ai nostri sospiri, prima che, nel più breve tempo possibile, io e i miei fratelli decideremo di scappare di casa per rinchiuderci in qualche discoteca per tutta la notte.
Infilo la chiave nella toppa e, pur ricordandomi di essere stato l'ultimo ad essere venuto qui e di aver chiuso con le mie solite tre mandate, mi rendo conto che in realtà il portone è aperto.
Mi guardo intorno quasi con timore. Nel salotto tutto sembra normale, perciò credo a questo punto di essermi semplicemente confuso e di aver dimenticato di chiudere l'ultima volta.
Raggiungo il ripostiglio al lato della cucina. Ispeziono tutti gli scatoloni finché non trovo ciò che cerco. Tra di essi ce n'è infatti uno rosso con una scritta a caratteri cubitali Natale. Osservo la scrittura di mia nonna, ricordandomi del giorno in cui avevamo deciso di fare un po' di pulizia, ordinando tutti gli oggetti in maniera quasi maniacale. Tutto ciò è accaduto solo l'anno prima della sua morte... Quanto mi mancano i pomeriggi passati con lei. Se potessi tornare indietro nel tempo sceglierei addirittura di rivivere gli infiniti momenti in cui abbiamo inscatolato giochi e addobbi, piuttosto che vivere una vita eterna senza di lei.
Stringo il cartone e, cercando di buttare giù il groppo che mi si è formato in gola, mi avvio alla porta, conscio di aver preso tutto quello che mi serve. Nel tragitto inciampo su una scarpa: tacco dodici, numero trentasette.
Ma cosa cazzo?!
Cerco di fare mente locale per ricordare dove io le abbia viste prima d'ora. Mi sono familiari... ma proprio non riesco a farmi venire in mente a chi appartengano. Sono delle Steve Madden, a occhio e croce fin troppo costose. Non credo perciò possano essere di Eva e, che io sappia, JJ non viene qui da un po', quindi escluderei qualche sua conquista... che siano di Mora?
Sì, certo... adesso ricordo. Sono le scarpe che indossava alla festa.
Mi insospettisce la loro presenza... non capisco per quale motivo sia dovuta venire qui da Malibu ieri notte.
Imbocco il corridoio che porta alla zona notte, per controllare se lei sia o meno ancora in casa, anche perché non c'è nessuna auto della nostra famiglia nelle vicinanze.
La porta della sua camera è quasi del tutto aperta, così mi riesce semplice osservare all'interno.
Appena mi sporgo, resto scioccato. Un omone grande e grosso dorme a pancia in giù, tenendo la testa completamente coperta dal cuscino. Non c'è neanche un lenzuolo a coprirgli il corpo, perciò vedo molto più di quello che avrei voluto vedere, visto che è completamente nudo. Accanto a lui c'è mia sorella. Mi dà la schiena, ha il viso poggiato sulla sua spalla e un lembo di coperta le copre la parte posteriore del corpo.
Menomale, vederla nuda mi avrebbe destabilizzato ancora di più.
Resto impalato per qualche minuto a guardare la scena in silenzio. Loro continuano a russare del tutto ignari della mia presenza.
Sono sorpreso, non perché io abbia creduto alla storia che Mora ha cercato di propinarci per anni di lei come controfigura della Vergine Maria, ma perché mi fa strano vederla in queste vesti, o meglio, senza di esse.
Indietreggio un po', prendendo il tempo necessario per capire cosa fare. Nell'andare indietro calpesto qualcosa di duro. Guardo verso il basso e, a pochi centimetri da un paio di pantaloni da uomo, giace un portafogli. Con un movimento del piede - proprio perché sono intenzionato a non svegliare la coppietta - lo apro per controllare se ci siano i documenti all'interno. Se proprio dovrò uccidere qualcuno è bene che io sappia chi.
La patente di guida dello stato della California è quella che per prima catalizza l'attenzione. Quando leggo il nome stampato in grassetto, credo di poter avere un infarto.
Maddox William Johnson.
Mi verrebbe voglia di saltargli addosso alle spalle e di ucciderlo con le mie stesse mani. Come cazzo gli è venuto in mente di fare una cosa del genere a me e JJ, i suoi due cazzo di migliori amici dalla nascita. Se penso al modo in cui tratta le donne, a quello che abbiamo fatto insieme, alla mole di ragazze che si è portato a letto... mi manca il fiato. Sento che potrei svenire da un momento all'altro.
Prima che io possa fare qualcosa di troppo avventato, prendo un respiro profondo e mi avvio all'uscita. Lascio tutto come prima, aspetterò che sia lei, o ancora meglio, che sia lui a dirmelo.
Porto alla bocca una Marlboro, almeno un paio di sigarette devo fumarle prima di trovare il coraggio di rimettermi alla guida. Devo dare il giusto tempo alla mia psiche per rimettersi in ordine. Ora come ora potrei compiere un duplice omicidio.
Mi appoggio con tutto il peso sulla parte posteriore della Porsche, mentre osservo la casa di fronte. Proprio il luogo dove quel traditore ha vissuto per tutta la vita e dove vive ancora adesso con tutta la sua famiglia. Mi verrebbe voglia di bucargli le ruote del pick-up per lasciarlo a piedi per il resto della vita. In veranda mi accorgo della presenza di Zola, sua sorella, anche il suo sguardo sembra direzionato verso di me.
«Ciao Jay, che ci fai da queste parti?» mi domanda, quando dopo aver agitato una mano in segno di saluto, alza la voce pur di farsi sentire.
«Ciao bellissima, dovevo prendere una cosa» decido di dire una mezza verità, cercando di nascondere il mio stato d'animo.
Ho sempre avuto un debole per la ragazzina, ma ho sempre rispettato troppo Mad per combinarci qualcosa. A differenza sua, io non sono mai stato intenzionato sul serio a scoparmela.
Se ci penso troppo torno dentro e appicco il fuoco a quel letto...
«Vuoi entrare? La nonna è andata a fare la spesa... sono da sola» sembra più un invito a fare altro che a prendere un caffè. Hai capito la piccola Zola.
«Mad?» provo a chiederle, per capire se lei sappia qualcosa o meno.
«Non è tornato a dormire. È dalla festa del Ringraziamento che si comporta in modo strano» fa spallucce, accompagnando quel gesto a un altro con le braccia.
«Ah, ok. Purtroppo devo andare... grazie per l'invito» le faccio l'occhiolino.
Il vecchio Jay non ci avrebbe pensato due volte, si sarebbe fiondato dentro quella casa, rispondendo con occhio per occhio, dente per dente. Ti fai mia sorella? Io mi faccio la tua. Oggi però non sono proprio in vena di fare stronzate. Preferisco fingere di non sapere e di aspettare il momento in cui loro due decideranno di aprirsi con noi, piuttosto che fare qualche stronzata di cui potrei pentirmi.
Salgo in macchina, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Anche se, dal modo in cui dormivano e dalla puzza di alcool che c'era in quella stanza, credo ne avranno ancora per qualche ora.
Alla quinta infrazione, a causa del nervosismo, decido di calmarmi chiamando Eva. Non mi sembra il caso di finire in galera il giorno di Natale; perciò, è il caso che mi distragga un po'.
Al terzo squillo, finalmente risponde.
«Ciao Jay» pronuncia come un sussurro, tirando su con il naso.
«Ciao Oph... ehm, tutto bene?» continuo a chiamarla senza un obiettivo preciso, ritrovandomi poi a non sapere esattamente cosa dirle.
«Più o meno» risponde laconica, mentre sento un rumore molto simile allo sgorgare della acqua.
«Sei nella vasca?»
Non pensare a male, Jay non pensare male, toglitelo dalla testa.
«Uhuh» produce un suono bizzarro che ha tutta l'aria di essere una specie di assenso.
«Che hai?» mi fa strano sentirla così fredda, non mi era sembrato che lo fosse poche ore fa.
«No, scusami... è che il Natale mi mette sempre di cattivo umore. Ieri ho cercato di combatterlo con l'erba, oggi invece mi sento totalmente sopraffatta».
«Ti manca tua madre?» le chiedo dolcemente, cercando di non turbarla più di quanto non lo sia già.
«Sì, tra poco sarà l'anniversario della sua morte... penso al nostro ultimo Natale insieme e ogni volta succede la stessa cosa» sospira, mentre la sento respirare a fatica dopo aver messo la testa sottacqua.
«Se non vuoi farmi morire, ti prego non fare quello che stai facendo» alzo la voce per permetterle di sentirmi.
In tempo record le mie mani hanno iniziato a sudare talmente tanto da lasciare l'alone sullo sterzo.
«Cazzo, scusa! Perché mi hai chiamato?» devia l'attenzione ponendomi questa domanda.
«Ehm, ero un po' distratto alla guida e avevo bisogno di compagnia... sono stato a Encino» mi mordo la lingua. Cazzo se lei lo sa, adesso saprà che li ho beccati, quanto sono stupido.
«Come mai ci sei andato?» nessuna strana emozione le altera la voce, perciò deduco non lo sappia.
«Dovevo prendere l'albero di Natale di mia nonna... ci tengo tanto ad addobbarlo in camera di nonno James quest'anno».
Tanti anni fa, quando i miei nonni non avevano un centesimo e mio padre era ancora un bambino, pur di non deluderlo per l'ennesimo Natale, i suoi genitori avevano acquistato in un supermercato un piccolo alberello in offerta a un prezzo stracciato. I suoi compagni di scuola avevano abeti veri nei salotti, mentre Jack un albero spelacchiato in plastica. Eppure da quel giorno ogni anno hanno continuato ad addobbarlo tutti insieme con amore. Quando lui è andato via all'università, la tradizione è stata proseguita con noi. Anche quando avremmo potuto permetterci una foresta intera di abeti, abbiamo continuato a usare solo quel piccolo e ormai quasi totalmente distrutto albero di Natale. Da quando mia nonna è morta e nonno James è andato a vivere con i miei a Malibu, nessuno aveva mai più toccato quello scatolone con gli addobbi. Ora, siccome lui si trova in condizioni abbastanza gravi, credo che questo, che potrebbe essere il nostro ultimo Natale insieme, debba esserlo all'insegna di quell'unione familiare che ci ha sempre contraddistinto. Forse è anche un po' per questo motivo che ho deciso di non scuoiare vivo Mad, per non litigare con mia sorella e rovinare questi ultimi giorni di felicità che ci restano.
«Ci sei?» pronuncia in tono fievole, riuscendo però a farmi destare dai miei pensieri.
«Sì, mi ero un attimo assentato... che hai detto?».
«Ti ho chiesto: quali sono i tuoi programmi per la serata?».
«Faremo una cena imbarazzante con i nostri genitori, senza nessun ospite, e poi, il più in fretta possibile, andremo a qualche festa organizzata da nostri conoscenti con mega villone in riva al mare... in realtà spero che ci sia anche tu e perché no... di non dormire da solo neanche stanotte». In effetti, se dovessi scegliere qualsiasi cosa da fare per questa Vigilia di Natale, la mia prima opzione sarebbe finire nel suo letto. Ho quasi timore a dirlo, persino nei miei pensieri, ma andrebbe bene anche rimanere di nuovo a secco e poterle soltanto dormire accanto.
«Ah sì?» scoppia a ridere «siamo proprio due casi persi»
«Comunque già me ne ha parlato Kate, ma non ci sarò... preferisco rimanere qui con papà e la zia, anche perché, come già sai, la pillola che prendo non regge ancora niente di così elaborato. Credo ti toccherà dormire con un'altra stanotte... e non credo faticherai a trovarla». Immagino chiaramente l'espressione del suo volto, grazie anche a questa piccola nota di gelosia che si percepisce nella sua voce.
«Mi lascerai volontariamente da solo?».
«Involontariamente! Non sono mica io a decidere, magari potessi scegliere di non stare così» sospira sommessamente.
«Sì, lo so Oph, scherzavo. Neanche uno strappo alla regola per Capodanno?».
«No, preferisco vivere un periodo senza stress... aspetto che arrivi il mio migliore amico e, dopo la partenza dei miei, torno alla Usc».
«Beh, ieri non mi sembravi così stressata» constato, ricordandomi della sua felicità nell'essere Eva Leggera Neri.
«Sì, ma c'è una valida motivazione» deve essere uscita dalla vasca e, rispetto ai rumori che sto sentendo, ora deve aver appoggiato il telefono sul bordo del lavandino, mentre indossando l'accappatoio cerca di tamponare i capelli con l'asciugamano «la festa era a casa di Kate, un posto sicuro dove avrei anche dovuto dormire... dopo mesi ancora non hai imparato a conoscere le mie follie». Se potessi vederla, giurerei che ha appena alzato gli occhi al cielo.
«Hai ragione... adesso devo andare, sono arrivato alla villa. Ci sentiamo più tardi e prometto che ti stupirò».
Dopo i saluti e aver attaccato la chiamata, mi reco immediatamente nello studio dei miei genitori. So che la persona con la quale devo parlare per risolvere questa situazione la troverò proprio lì.
Entro senza bussare. La scorgo china con le mani tra i capelli e il volto poggiato direttamente sulla superficie di legno pregiato della scrivania. Non mi sono annunciato e per questo non le ho dato il tempo di indossare la sua maschera di donna perfetta. Lei sembra risentirsene non appena si accorge di me.
Mi guarda con fare interrogativo.
«Mamma, posso chiederti un favore?» le domando, soffocando i conati di vomito per aver usato quel nome.
«Mamma? È grave allora» replica con la sua solita freddezza.
«Posso o no?» cinque secondi qui dentro e mi ha già innervosito.
Con un movimento del capo mi dà il permesso di proseguire.
«Avrei bisogno di organizzare una festa qui per Capodanno... quali sono i vostri programmi?».
«Andiamo alla festa della Cook Corporation a New York, come sempre. Se proprio ci tieni, fai pure. Ti lascio il numero di Dianne per l'organizzazione tecnica... ma sappi che se mancherà anche uno solo dei miei libri, soprattutto le prime edizioni, ti manderò in giro per tutto il mondo a cercarne altri» si china nuovamente nella stessa posizione, continuando a massaggiarsi le tempie.
«Se abbiamo finito, io continuerei a meditare per cercare un'idea per un nuovo articolo» mi liquida più rapidamente del solito.
«Sì, grazie ma-Rose e... se posso consigliarti, io prenderei in considerazione questo» scelgo tra gli innumerevoli volumi presenti nella libreria uno in particolare Jakob von Gunten di Robert Walser.
«Ci ho scritto un saggio lo scorso anno, è davvero interessante».
Guarda la copertina, riducendo gli occhi in due fessure, passando velocemente in rassegna le pagine, e annuendo più con se stessa che con me.
Vedendola più distratta di prima, decido di uscire, per passare finalmente dalla camera di nonno James, che fino ad ora era l'unica destinazione che mi ero prefissato di raggiungere.
«James?».
Mi volto a guardarla.
«Ti dispiace inviarmi il tuo saggio... sarei interessata a conoscere la tua opinione».
Resto impalato davanti alla porta un po' incredulo, riesco soltanto ad annuire, sentendo le gambe tremare. È la prima volta che mia madre dimostra di essere interessata a qualcosa che ha a che fare con me. È proprio Natale.
Sorpasso, senza dirgli una parola, mio padre seduto a leggere il suo quotidiano di economia e a fumare sul divano, dirigendomi subito dopo verso il lungo corridoio che porta alla camera di mio nonno. Lo scatolone di cartone che ho tra le mani mi impedisce di aprire la porta; perciò, busso con un piede, aspettando che qualcuno venga ad aiutarmi.
«Ciao Jay» Miranda mi invita a entrare all'interno, dandomi una mano a trascinare la scatola.
«Puoi prenderti una pausa, resterò qui io... ti chiamo quando devi tornare» le sorrido, indicandole il balconcino dove è solita fumare le sue Chesterfield blu mentre videochiama tutta la sua famiglia dislocata tra Seattle e Sacramento.
«È sveglio?» le chiedo, bisbigliando mentre sta per uscire.
Annuisce, prima di richiudersi la porta-finestra alle spalle.
«Ciao nonno, guarda qui» estraggo l'alberello spelacchiato e lo porto abbastanza vicino perché lui possa vederlo quanto più nitidamente possibile.
A fatica cerca di tenere aperti gli occhi, sforzandosi per riconoscere l'oggetto che ha davanti. Molto lentamente alza la mano destra nodosa, per poggiarla sulla mia. Applica una piccolissima pressione, prima di portarla sulla sua maschera dell'ossigeno per toglierla.
«Gr-z-e» qualche suono confuso fuoriesce dalla sua bocca asciutta.
«Voglio addobbarlo qui quest'anno. A Encino senza di noi, non ha senso, e qui a casa in qualsiasi altra stanza mi sembra sprecato... Rose non se lo merita».
Gli do le spalle, iniziando a sistemare ogni cosa su un piccolo tavolino al lato del letto. Estraggo le palline, anch'esse vintage, cercando di posizionarle come faceva la nonna. Inserisco la mano in una busta e ciò che afferro, mi fa immediatamente sorridere.
La testa mozzata di un povero pastore, ricoperta di glitter dorati e con un gancio traballante, viene fuori in tutta la sua inquietudine dal sacchetto. Dopo averla vista, non posso che cercare la sua compagna: la parte inferiore del corpo di una pecora, trattata nel medesimo modo.
«Nonno, guarda» glieli faccio oscillare davanti agli occhi.
Il suo viso rugoso riproduce un sorriso stentato, un miracolo, considerando che gran parte del volto ormai è immobile. Vuol dire che vederli deve aver risvegliato in lui parecchie risate.
«Te lo ricordi quel giorno?» chiedo ancora, quasi come se potessimo metterci insieme a rivangare il passato, come se lui non fosse ormai morente da anni in un cazzo di letto meccanico.
Annuisce, mentre due lacrime, rispettivamente cadenti dall'uno e dall'altro occhio, gli solcano il viso.
Dodici anni prima.
«Ti ho detto che stasera i Buffalo Bills avranno la meglio, ne sono sicuro» mio fratello stringe al petto quell'orribile maglietta bianca e blu con il nome di Fitzpatrick stampato sulle spalle.
«Ma non ti stanchi mai di fingere di tifare per loro soltanto perché una volta papà ti ha portato allo Highmark Stadium mentre io ero andato con mamma a quel convegno sulla Beat Generation a Denver?!».
«Io tifo per i Buffalo Bills, a differenza tua che hai scelto la tua squadra del cuore solo in base alla città in cui viviamo... togliti quella T-shirt orribile» agguanta un lembo della mia maglietta dei Los Angeles Charges, tirandola verso di sé.
«Lasciami» grido, mentre lui non sembra affatto disposto a smetterla.
«Ammetti che Rivers fa schifo e io ti lascio andare» quella sua smorfia odiosa gli incornicia la faccia; quanto mi piacerebbe fargliela diventare viola a suon di schiaffi.
«Non ci pensare proprio» porto il palmo della mano aperto sulla sua guancia, spingendolo all'indietro.
Cominciamo a strattonarci e a spintonandoci a vicenda. A un certo punto perdo l'equilibrio, cadendo rovinosamente sul presepe che, solo tre giorni fa, nonna Etta ha posizionato proprio come avveniva a casa sua a Napoli.
«Oh mio Dio, JJ» sbarro gli occhi, quando mi rendo conto di aver appena decapitato un pastore e una pecora con il mio sedere.
«Nonna ci uccide» anche il mio gemello sbianca, quando si rende conto che la testa della pecora si è dissolta in mille pezzi, così come il corpo del pastore.
«E se incollassimo la testa dell'uno sul corpo dell'altro?» azzardo, quando dopo un paio di minuti spesi a cercare di capire come riparare il tutto, ci siamo resi conto che molti di quei resti non potevano più essere salvati.
«Che fate?» la piccola Mora arriva alle nostre spalle, toccando ossessivamente quella sua codina brunastra.
«Non è il momento, siamo nei casini» JJ continua a camminare a destra e sinistra, in maniera del tutto incontrollata all'interno del salone.
Abbiamo imparato da poco a leggere l'orologio, ma siamo sicuri che ormai manchino pochi minuti all'arrivo dei nonni. Ci hanno lasciati da soli in casa per un'ora per andare ad aiutare la signora Johnson dall'altra parte della strada e, in così poco tempo, siamo stati capaci di fare danni.
Io e JJ ci dividiamo per trovare il più in fretta possibile la colla tra gli attrezzi del nonno, sparsi un po' nel suo studio e un po' in garage.
Quando torniamo, senza ovviamente aver scovato ciò che cercavamo, vediamo Jaimie china accanto al presepe, con le mani impiastricciate di brillantini e filamenti di colla a caldo sparsi tra i vestiti.
«Secondo me così sono più belli» sorride, portando fiera il nasino all'insù.
Tralasciando il fatto che è stata capace di trovare tutto quello che le serviva in un millisecondo, a differenza nostra, ci rendiamo conto che la nostra fine è ormai segnata.
Le porcellane di San Gregorio qualcosa, ereditate dal bisnonno del nonno dello zio di non so chi, sono state orribilmente sfigurate e rese delle palle da discoteca brillantinate.
Quando sentiamo il cigolio del portone d'ingresso, io e JJ afferriamo rispettivamente l'uno quel che resta della pecora e l'altro la povera testa del pastore, mettendole dietro la schiena.
«Che avete combinato? Vi si legge in faccia» annuncia mia nonna, dopo averci guardati neppure per venti secondi.
«Mora cos'hanno fatto i tuoi fratelli?» le chiede mio nonno, dando per scontato che la colpa sia nostra.
Scrolla le spalle, facendo finta di niente. A tradirla però sono innanzitutto le mani, completamente dorate, e poi la manica del suo maglione, da cui pende il filo di colla più lungo e spesso che io abbia mai visto.
«Tesoro quante volte ti ho detto di non prendere quella?». Nonna si avvicina al presepe, staccando la spina e riponendo la pistola nel suo baule. Nel farlo rivolge una rapidissima occhiata alla composizione sacra. Le bastano quattro secondi per rendersi conto dell'assenza dei due pezzi.
«Vi prego, ditemi che li avete nascosti» incanala più aria possibile, portandosi una mano sul petto.
Io e il mio gemello scuotiamo la testa all'unisono, rendendoci conto che è arrivato il momento di confessare il misfatto.
Teniamo gli occhi chiusi, mentre stringendo forte nel pugno i due oggetti, li consegniamo silenti nelle mani di nonna Etta.
Aspettiamo per qualche secondo che lei cominci a gridare.
Scolliamo prima un occhio e poi un altro, sorpresi.
Perché ancora non ci ha uccisi?
In piedi di fronte a noi, lei li tiene per i gancetti pericolanti attaccati da Mora, e li osserva sbalordita.
«Li hai fatti tu tesoro?» si volta verso la più piccola, guardandola con le lacrime agli occhi.
«Sì, ho pensato potessero piacerti... volevo soltanto rimediare a quello che hanno fatto per errore Jay e JJ, non volevo tu li sgridassi... e ti prego, non farlo» sbatte i suoi occhioni, venendo a posizionarsi tra me e il mio gemello, stringendo rispettivamente la destra a me e la sinistra a lui.
«Etta, lo so che erano di tuo nonno e che ci tieni molto, ma i bambini sono pentiti» mio nonno prova a rimediare, difendendoci.
«Shhh» lo zittisce guardandolo male «bambini voi lo sapete perché siete in tre?» ci domanda all'improvviso, senza che nessuno di noi riesca minimamente a capire dove voglia andare a parare.
«Perché siamo nati prima noi due e poi Jaimie?» le risponde JJ con fare interrogativo, come se la nonna ci avesse fatto la domanda più banale del mondo.
«No, piccoli miei... perché dove il due divide... il tre unisce» ci scambiamo occhiate confuse tra noi. Non stiamo capendo niente di quello che sta succedendo, ma credo ormai di poter tirare un sospiro di sollievo, non è arrabbiata.
«Mi spiego meglio, vi sembrerà una stupidaggine... e forse lo è. Ma è solo in questo momento che ho capito davvero il perché siete in tre, il perché Dio ha voluto benedire la nostra famiglia con tre doni. Avreste potuto essere in quattro o soltanto in due, e invece no, siete proprio in tre» continua a blaterare, senza che neppure nonno sembri aver intuito il senso di ciò che sta dicendo.
«Voi siete come i lati di un triangolo equilatero, in ognuno di voi sarà sempre possibile ritrovare la triade intera... ciò che qualcuno distrugge, verrà riparato dall'altro. Mio Dio, non sarete mai soli. James ci pensi? L'ho capito soltanto ora, non ha il benché minimo senso, ma saranno sempre loro tre, anche quando noi non ci saremo, loro saranno la medesima parte della stessa forma geometrica» piena di entusiasmo si abbassa per baciarci a turno tutti e tre sulla fronte.
Stringe in entrambe le mani quelle due sculture, come se stesse trasportando un tesoro fragile, cercando di non farlo cadere, come se non fossero già due pezzi di un intero distrutto. Si avvicina al piccolo alberello di Natale e le appende, allontanandosi poi a osservare l'insieme.
«Tre lati di un triangolo... sono un fottuto genio! L'avevo detto a mio padre che avrei dovuto fare l'università» parlando a voce alta si allontana, cominciando a tirare fuori le padelle per preparare la cena.
Io, JJ, Mora e il nonno rimaniamo in piedi attoniti, senza aver capito niente di quello che è successo... ma con due consapevolezze in più. La prima è che io e i miei fratelli siamo un triangolo equilatero, sebbene nessuno di noi sappia esattamente cosa sia e la seconda è che nostra nonna non ha tutte le rotelle al suo posto.
***
Osservo l'albero ormai addobbato, ripensando a quella storia sepolta chissà da quanto nella mia mente...
Un'idea mi balena improvvisamente in testa. Prendo il cellulare e compongo un messaggio nel gruppo J³:
Jay:
Ci siete per una cosa improvvisa alla Jay? Ci vediamo da Think Ink...
Prima di uscire dalla camera, mi accorgo che mio nonno mi ha seguito con lo sguardo e a fatica sta trascinando verso l'alto il braccio. Abbassa anulare e mignolo, lasciando distesi verso l'alto soltanto pollice, indice e medio.
Non saremo mai soli, perché saremo sempre in tre.
🥀🌹🌹
Spazio autrice:
Ultimo capitolo senza capo né coda, ve lo giuro (almeno per ora).
Il periodo non è dei migliori e continuo a ribadire che si nota, ma quanto meno stiamo per entrare nella parte più bella della storia (non sarà eterna, ma vi piacerà... ne sono sicura).
La prossima settimana ci aspetta un'intensa prima parte della festa di Capodanno (mai quanto la seconda però😂).
Vi ringrazio perché siete ancora qui,
per me significa davvero tanto,
Grazie per le 40k, non avrei scommesso un centesimo su me stessa e invece a volte sono costretta a ricredermi solo grazie a voi.
Non mi abbandonate🥀,
Vostra Matilde.
PS. se vi va mettete una stellina e scrivete un commento. Vi lascio il box domande su Instagram e vi prego, se pensate che questa storia abbia del potenziale, scrivetemi (va bene anche una parolaccia).
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