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Capitolo 35 - L'impossibilità di essere felici

Jay

Il fastidiosissimo suono di una sveglia si inserisce nei miei sogni. 

Provo a far finta che non ci sia ma, quando continua a risuonare prepotentemente nelle mie orecchie, capisco che è arrivato il momento di svegliarmi per davvero. 

Apro gli occhi, mettendo a fuoco a fatica lo spazio che mi circonda; nella camera in cui sono c'è una puzza di erba fortissima. 

Credo che sia proprio a causa del fumo se non c'è alcuna traccia di ricordi nella mia mente, niente che mi aiuti a capire dove io abbia dormito.

«Scusami, ho lezione di Anatomia Clinica» seguendone la voce, riesco a inquadrare una ragazza bionda, con un culo niente male, impegnata a vestirsi al lato del letto.

Cerco di ricordare il suo nome, ma anche questo mi riesce piuttosto difficile. 

Non riuscire a ricostruire le vicende della serata è una delle naturali conseguenze dell'abuso di marjuana. Quando esagero troppo, com'è accaduto ieri, perdo la totale cognizione di ciò che accade e a tratti finanche della mia identità.

«Sai dove sono le mie mutande?» le domando mentre, osservandomi da sotto le lenzuola, mi rendo conto di essere completamente nudo.

«Eccole, tieni» le afferra dal pavimento per poi lanciarmele.

Le indosso, andando alla ricerca dei miei vestiti, riuscendo dopo qualche minuto a trovarli tutti.

«Allora, immagino sia stato un piacere... ehm, ci si vede» mi congedo prima che la situazione diventi imbarazzante. Se mi chiedesse anche una minima informazione su di lei e su quello che abbiamo fatto la scorsa notte, non saprei veramente cosa risponderle. Se non che l'ultima cosa che ricordo è di averla incontrata in un locale insieme a un gruppo di amiche, credo tutte iscritte alla facoltà di Medicina, e di averle offerto da bere e da fumare.

Anche lei non sembra disposta a trattenermi oltre, perciò mi dà la possibilità di andarmene senza fare troppe storie.

Una volta fuori dal dormitorio, guardo la scritta che campeggia sull'edificio: C19.

Mi accendo una sigaretta, sedendomi al lato di una panchina, già occupata da una coppia intenta a sbaciucchiarsi. Non me ne frega un cazzo che mi guardino male, voglio solo poter fumare questa dannata Marlboro comodamente seduto.

Una notifica del mio cellulare minaccia immediatamente la mia tranquillità.

Mora:

La batteria della mia auto è andata, io e Eva abbiamo bisogno di un passaggio al centro commerciale. Sei al campus?

Jay:

Sono davanti al C20, siete in camera?

Mora:

Camera di Ev, sali?

Evito di risponderle, aspirando prima gli ultimi tiri rimasti dalla mia sigaretta, e poi avviandomi verso l'806.

Busso più volte, aspettando che qualcuno si degni ad aprirmi.

«Cazzo, ma chi è che rompe i coglioni?» Eva fa capolino dalla porta, pronunciando quelle poche parole con un accento italiano che mai le avevo sentito utilizzare.

«Ciao Eva, mia sorella mi ha detto che avete bisogno di un passaggio» sistemo gli angoli della camicia verso il basso quando, dopo aver notato come mi sta guardando, mi ricordo di essere ancora vestito come la sera precedente e di non essermi nemmeno lavato la faccia appena sveglio.

«Puzzi di erba» sono le uniche tre parole che pronuncia infastidita, facendomi spazio per farmi entrare.

«Sì, lo so... scusami».

Mi avvicino alla sua scrivania, osservando una miriade di libri sparsi ovunque e un numero incalcolabile di fogli accartocciati.

«Si è fuso il mio computer, ne devo comprare urgentemente un altro... domani devo consegnare una tesina» mi informa, come se mi leggesse nel pensiero, sapendo che presto le avrei chiesto il perché di questa improvvisa gita al centro commerciale.

«A proposito... dovremmo vederci per parlare dell'ultimo elaborato di storia».

Le cose tra noi ultimamente sono state complesse ma, malgrado quello che è accaduto, ho tutte le intenzioni di recuperare il rapporto che avevamo costruito in precedenza. 

Quel giorno, al mio ritorno da San Francisco, sono rimasto molto ferito dalle sue parole, ma a mente fresca, ragionandoci, mi sono reso conto che rimanere in questa condizione liminale non faccia bene a nessuno dei due, soprattutto a lei che in questo periodo sta vivendo una situazione estenuante a causa della sua dipendenza.

«Domani pomeriggio andrebbe bene per te? Ci vediamo qui, se non ti dispiace».

Annuisco, sapendo perfettamente quanto per lei, ora che è a corto di pillole, sia difficile persino spostarsi venendo da me alla Trojans che è praticamente a due minuti di distanza da qui.

«Scusatemi ho avuto un'urgenza» Mora esce dal bagno con un'espressione di nervosismo sul volto e stringendo il cellulare tra le mani. Vorrei chiederle che cosa le prenda ultimamente, ma so che tanto non mi risponderebbe, continuando a rifilarmi scuse improponibili e risposte vaghe.

So che mi nasconde qualcosa e presto scoprirò di cosa si tratta.

«Ma che cazzo è questo odore?» si tappa il naso, trattenendosi dal vomitare.

«Chissà dove e con chi ha dormito tuo fratello stanotte... non lo vedi che ha palesemente ancora addosso i vestiti di ieri sera?» Eva mi guarda con disprezzo, mentre piegata a novanta gradi si allaccia le scarpe, tenendo comunque ben saldo il suo sguardo nel mio.

«Più che altro quello che mi preoccupa è quanto abbia fumato... non devi esagerare, lo sai» Jaimie mi rimprovera come fossi un bambino e automaticamente ascoltandola mi viene da alzare gli occhi al cielo. Neanche Rose sa essere così pesante.

«Andiamo su, non ho tutto il giorno» le invito a sbrigarsi.

***

Mentre Eva e Jaimie sono impegnate a chiedere informazioni su tutti i Mac esistenti sulla faccia della Terra, io resto in disparte a fingere di guardare l'ultimo modello di Iphone appena messo in commercio, mentre in realtà non faccio altro che studiare ogni minimo particolare del volto e del corpo di Eva.

Non ho mai visto una ragazza perdere così tanto peso in così poco tempo. Se non sapessi cosa significa vivere un periodo di astinenza, non potrei mai credere che lei sia la stessa che solo qualche settimana fa era con me a Encino.

«Jay? Non posso crederci, sei tu?» una voce familiare, ma allo stesso tempo diventata sconosciuta con il passare degli anni, si fa spazio nella mia testa.

Mi volto di scatto, per capire effettivamente a chi appartenga.

Rebecca, invecchiata inesorabilmente di quasi un decennio, ma sempre bellissima, è in piedi proprio a qualche passo da me.

«B-Becca» balbetto, non appena la mia mente assimila l'informazione che quella che ho davanti sia proprio lei.

«Come stai tesoro, sono anni che non ci vediamo» appoggia la sua mano fredda sulla mia. Sebbene sia gelata, quel contatto brucia terribilmente. Vorrei soltanto sparire, liquefarmi qui davanti a lei e smettere di esistere.

«Be-abbastanza- cioè direi piuttosto bene» ci metto una vita a rispondere alla sua domanda, bloccandomi più volte. Non so esattamente quale sia la risposta giusta da darle. Ho paura che anche un sto bene possa ferirla.

«Co-come mai qui?» le domando titubante. Effettivamente non capisco come sia possibile che non ci siamo visti per anni, pur abitando nella stessa zona, e che improvvisamente invece ci incontriamo proprio qui, in uno sfigatissimo centro commerciale a ridosso dell'università, frequentato a stento dagli studenti.

«Sarah è al primo anno. Mi ha contattata in panico perché si è rotto il suo cellulare. Sono venuta immediatamente a comprargliene un altro, altrimenti chi la sopportava» fa un'espressione piuttosto buffa, imitando sua figlia. In effetti da quel che ricordo, anche da bambina, aveva sempre quella smorfia sul viso, quando noi facevamo scherzi a lei e Jaimie.

«Oh, non sapevo che Sarah frequentasse la Usc-».

«E come avresti potuto saperlo? Tua madre ti tiene segregato non so dove, sono veramente millenni che non ci incontriamo. Tra l'altro ho dovuto sapere da Alice Smith del tuo incidente, quella stronza di Rose non mi ha detto nulla» si avvicina ancora di più, appoggiandomi amorevolmente una mano sulla spalla.

«Sì, ma non è stato nulla di che» mi ritraggo ancora una volta ustionato.

«Nulla di che? La smetti di sminuire la situazione... pensi davvero che saperti felice o peggio, saperti infelice, possa in qualche modo influire su ciò che penso di te? Jay te l'ho detto all'epoca e te lo ripeto: io non ce l'ho con te. Levi e io abbiamo fatto fatica ad affrontarlo, questo sì... inizialmente forse non ci siamo comportati nel migliore dei modi con te, ma poi abbiamo capito» la stessa mano, che con il mio movimento brusco avevo allontanato qualche istante fa, si appoggia nuovamente sul mio volto accarezzandomi la barba incolta.

«Sebbene Rose abbia sempre affermato il contrario, io lo so che voi in qualche modo mi avete assolto, siete stati però dei giudici molto più generosi di quanto io o mia madre non saremo mai. Mi dispiace Becca, ma non smetterò mai di colpevolizzarmi per ciò che è successo. Potrete dirmi tutto quello che volete, ma io sarò sempre convinto di esserne stato la causa» afferro la sua mano, aggrappandomi disperatamente alle dita, facendo combaciare ogni falange alla sua.

«Bec!» Jaimie si avvicina, interrompendo il nostro contatto, per abbracciarla affettuosamente. A differenza mia, lei e JJ sono sempre rimasti in contatto con la famiglia Reinhardt, visto che a loro è stato concesso il permesso per frequentarli anche dopo quel due giugno di sei anni fa.

«Oh tesoro, ci sei anche tu» le dà un bacio sulla guancia, accarezzandole dolcemente i capelli.

«Adesso devo andare, altrimenti Sarah mi farà impazzire... è stato molto bello rivedervi, te soprattutto Jay. Se ti va possiamo proseguire il nostro discorso qualche altra volta, davanti a una sigaretta e a un caffè, tanto sarò spesso da queste parti» mi stringe in una morsa che ha tutta l'aria di essere un abbraccio che contiene in sè tutti quelli che negli anni Rose le ha impedito di darmi. Quando si stacca, mi guarda intensamente negli occhi, quasi come per tentare di far trapassare la sua energia positiva attraverso di essi per infonderla a me.

«Ciao Becca, senz'altro. Dì a Sarah che se ha bisogno di qualcosa, noi siamo a sua disposizione».

Risponde con un ok riprodotto con le dita prima di uscire dal negozio. 

È in quel momento che noto sul suo polso un tatuaggio. Tre lettere capaci di annientarmi più di quanto non abbiano mai fatto anni di alcolismo.

***

Sei anni prima

«Jay, è arrivata mamma. Ti aspetta in salotto.» il viso infantile della piccola Jaimie fa capolino da un minuscolo spiraglio di luce che fende l'oscurità della mia camera.

È passata una settimana esatta dal due giugno e io sono rimasto in posizione fetale nel letto da quel giorno.

Ascolto le parole di mia sorella, ma non credo di essere capace di comprenderle per davvero. Ogni rumore ormai è ovattato, i miei pensieri sono oscurati dalla nube del mio animo, così come la mia voce è stata prosciugata dal dolore.

Solo pochi giorni fa eravamo in Italia.

Ero felice.

Ero un bambino che si apprestava a diventare uomo.

Ora sono un uomo che vorrebbe tanto tornare bambino.

Vorrei poter espiare questa colpa, ma non riesco neanche a implorare perdono per quello che ho fatto, ma soprattutto per quello che non sono stato capace di fare.

Mia madre mi aspetta per darmi l'ennesima batosta e io non mi sottrarrò neanche questa volta.

Mi trascinerò fino a lì per farmi guardare con quegli occhi pieni di disprezzo, gli stessi che si riproducono allo specchio quando sono io a osservare me stesso.

Per tutta la vita mi torturerò dandomi la colpa e lo farò scegliendo come voce quella distrutta di Rebecca e come sguardo quello deluso di mia madre.

Non ci sarà pace per me, perché non la meriterò mai.

Mi rovinerò la vita, come io sono stato capace di distruggere la sua.

Ogni istante che mi resta sarà interamente dedicato all'infelicità, unica emozione che merito di provare a causa della mia incapacità.

È con questi pensieri nella testa che striscio fino al punto preciso in cui mi aspetta mia madre.

JJ e Jaimie sono seduti accanto a lei, entrambi le tengono una mano poggiata su una gamba, come a volerla pregare di rimanere ancora un po' con noi, di non abbandonarci ancora, come ha già fatto mille volte nell'arco della nostra breve esistenza.

Il suo sguardo vuoto mi intercetta.

«Ciao James» ricalca il mio nome completo, guardando in direzione di mia nonna con disdegno. Odia il fatto che tutti e tre abbiamo dei soprannomi, e che nessuno più utilizzi per riferirsi a noi i nomi che lei e papà ci hanno dato.

«Ciao mamma» le rispondo in italiano, accennando il mio primo sorriso dopo non so più quanto tempo.

«Dopo quello che è successo hai anche il coraggio di essere felice?» si alza minacciosamente, indirizzando i suoi passi pesanti verso di me. Mi afferra per il braccio, stringendomi all'altezza del polso e, con tutta la forza riposta nelle sue esili braccia, mi trascina nuovamente nella mia camera.

Tenendomi ancora stretto, a un centimetro dal mio orecchio, mi sussurra a denti stretti parole che non sarei stato più capace di dimenticare.

«Non dovrai mai scordare quello che è accaduto, la tua testardaggine ha causato un disastro nella vita di un'intera famiglia... sei giovane, ma non abbastanza perché quello che è successo non possa essere attribuito interamente a te. Io non voglio vederti sorridere mai più in mia presenza, non voglio vederti felice, non ci riesco se ripenso al dolore che hai provocato all'unica persona al mondo che non mi ha mai abbandonata. Non dimenticarti mai di quello che hai fatto... ma anche se tu dovessi disgraziatamente farlo, sarò io a non smettere mai di ricordartelo» conficca le sue unghie lunghe e smaltate di nero nella mia carne.

 Quando mi lascia finalmente andare, sul corpo si sono formati dei solchi.

Non appena li guardo, mi sembra di vederle perfettamente, lì incise sulla mia epidermide, ci sono delle onde.

***

Un anno prima.

«Allora Jay, che tatuaggio vuoi farti?» la prima tatuatrice che ho trovato e che fosse disposta a darmi un appuntamento immediato, è stata una delle più frequenti avventrici del Porter. Non so se anche lei sia ubriaca, ma dal modo in cui socchiude gli occhi spiritati, è certamente fatta. Minuta e con un seno prosperoso, appoggiata alla parete del suo studio decadente, aspetta con ansia che io le mostri il disegno che ho scelto.

«Vorrei delle onde azzurre e bianche» le rispondo fissando il vuoto, cercando di reprimere il quarto conato di vomito della serata. Devo ricordarmi di smetterla di bere whiskey per un po' di tempo, ultimamente è l'alcolico che faccio più fatica a far sopravvivere nel mio corpo per più di qualche ora.

«Ok, e dove vuoi che te le faccia?» mi tocca il petto nudo, cercando un punto su cui far ronzare la sua macchinetta.

Agguanto con una mano il mio polso, posizionando le dita esattamente come quelle di mia madre qualche anno prima, cercando di lasciare i medesimi segni sulla mia pelle.

«Devono essere esattamente così e devono ruotare intorno a tutto il braccio».

«Ok, come desideri, ma come mai questa scelta, se non sono indiscreta?» prende un bloc-notes per cominciare a mettere giù uno schizzo. Mentre aggrotta le sopracciglia concentrata, fa un tiro da una canna mezza spenta che fino a un secondo fa giaceva abbandonata in un posacenere.

«Diciamo che questo segno indelebile dovrà servirmi come un promemoria di una cosa che non dovrò mai dimenticare».

L'impossibilità di essere felice.

Il mio crimine, la sua condanna.

***

«Che ti prende?» Lexie è ancora nuda e ansimante accanto a me, mentre io fisso distratto il mio tatuaggio.

«Hai detto qualcosa? Ero sovrappensiero» mi volto nella sua direzione, mettendo un braccio sotto il cuscino.

«Scopare con te sta diventando una tortura, sarebbe più divertente farlo da sola» sputa fuori con un improvviso astio nei miei confronti.

Alle sue parole, ci metto qualche secondo per realizzare, ma il modo in cui mi si rivolge mi fa perdere le staffe.

Recupero i vestiti, appallottolandoli al petto e cominciando subito dopo a raccogliere le mie cose pronto per andare via.

«Dai cazzo, sto scherzando. Sei odioso» si alza in piedi, bloccandomi tra le sue braccia.

«Devo andare, è tardi» annuncio, voltandomi dal lato opposto pur di non guardarla.

«Jay mi fai diventare pazza, non so che cosa ti passa per la testa. La mia era una battuta, non ti volevo offendere. Anche se devo ammettere che ultimamente sei molto meno presente con il corpo di quanto non lo fossi prima» mi lascia andare, sorpassandomi e posizionandosi davanti alla porta.

«Non mi sembra che due minuti fa, quando sei venuta, tu ti stessi lamentando del mio comportamento scostante» constato, ricordandole quello che è successo fino a pochi minuti fa.

«Touché, ma non è solo oggi... c'è qualcosa che ti preoccupa, ma non riesco a capire cosa sia. Anche quando sei arrivato qui ieri notte, eri sconvolto, ma non mi hai detto il motivo» si riavvicina, cercando di togliermi i vestiti che tengo stretti ancora tra le mani.

«Te l'ho già detto Lex, va tutto bene, ti prego non iniziare a stressarmi anche tu» la allontano con un movimento brusco della mano, avendo finalmente lo spazio vitale che mi occorre per potermi rivestire.

«È successo qualcosa tra te e la piccola fiammiferaia?» mi domanda con un tono di superiorità che non le appartiene, ma che viene fuori solo quando si parla di Ophelia.

«Lex, cazzo, ne abbiamo già parlato. Innanzitutto non chiamarla così e poi ciò che succede o non succede tra me e Eva non è affar tuo» tiro su la zip dei pantaloni, cominciando a indossare anche le scarpe.

«L'altra sera hai fatto una scenata pazzesca perché ti ho baciato davanti a lei alla festa e adesso vorresti farmi credere che non è per lei che stai così di merda? Ma soprattutto, ancora cerchi di fingere che ti freghi qualcosa di me e che tu non mi stia usando perché la tua ragazzetta non è al momento disponibile?».

«Non è così, e lo sai. Te l'ho detto all'inizio che non volevo nessuna relazione e tu mi sembra sia stata d'accordo con me, o sbaglio?» le rivolgo uno sguardo freddo, ricordando perfettamente ogni parola che ci siamo rivolti al nostro primo incontro.

«Certo, ma il fatto che io non voglia essere la tua fidanzata non implica che mi faccia piacere che tu venga a bussare alla mia porta tutte le notti in cui la donna che vuoi realmente non ti apre. Non mi aspetto un granché, ma che almeno tu sia sincero con me e mi dica cosa ti passa per la testa... me lo dovresti, non trovi?» mi domanda con una nota sarcastica unita a una punta di acidità. Un connubio distruttivo questo, quando a parlare così è una donna.

«Lexie io ti voglio bene, ma tu non puoi non aver capito come sono fatto dopo mesi che ci conosciamo. Quando sono venuto qui ieri ero sconvolto perché ho incontrato in caffetteria una persona che appartiene a una parte del mio passato che definirei non proprio roseo. Quando lei si è accorta di me però, si è rifiutata di parlarmi. Mi ha visto e, in quel preciso istante, non appena mi ha riconosciuto, è andata via, lasciando il caffè ancora pieno fino all'orlo nel bicchiere. La cosa mi ha distrutto per una ragione che non starò qui a spiegarti e per non ubriacarmi sono venuto da te, perché è o non è questa la base del nostro rapporto? Credevo che entrambi ci rifugiassimo nell'altro per non pensare» cerco di riferirle esattamente le parole da lei usate quando, dopo la prima volta che eravamo andati a letto insieme, lei decise di propormi questa strana relazione basata esclusivamente sul soddisfacimento dei bisogni fisici.

«Rispondi sinceramente a questa domanda: se Eva fosse stata disposta ad aprirti la porta e a darti appoggio, da chi saresti andato ieri?» sembra non avere altro nella testa se non lei, non capisco cosa cazzo le importi di Oph.

«La risposta la conosci già» rispondo secco.

«Ok» guarda verso il basso in evidente imbarazzo. Non capisco perché si stupisca, anche solo il fatto che mi abbia fatto quella domanda implica che già conoscesse la risposta.

Il mio cellulare vibra davanti ai suoi occhi, illuminandosi per un nuovo messaggio ricevuto.

Mi sporgo per controllare e il nome sullo schermo è proprio quello di Eva.

«Parli del diavolo» pronuncia stizzita.

Guardando l'orario, mi rendo conto di essere in ritardo per il nostro appuntamento. Sono stato così tanto distratto dal sesso con Lex da perdere completamente il senso del tempo, ormai è ora di raggiungerla nella 806 per completare l'ultima presentazione per il corso di storia.

Le sorrido, sbattendo le palpebre per cercare di farmi perdonare. Lei scuote la testa, portandosi una mano sulla fronte. Quando fa così, capisco che anche se è arrabbiata, in realtà mi ha già perdonato. Perciò approfitto di questo momento per stamparle un bacio sulla guancia e correre via alla volta della camera di Oph.

Percorro a passo veloce il corridoio, passando accanto a quelle poche porte che separano le camere delle due ragazze.

Busso, aspettando in silenzio di sentire i suoi passi.

La sento avvicinarsi, facendo battere sul pavimento quelle ridicolissime pantofole pelose. Quando mi apre però, me la ritrovo davanti, ciabatte a parte, più elegante del solito. Truccata e pettinata come non accade spesso, soprattutto rispetto alle condizioni in cui è di solito quando passo a farle visita.

Entrando, mi rendo conto che la scrivania è piena di cibi diversi accatastati e su di essa sono sparse briciole ovunque.

«Hai dato un buffet in mia assenza?» le chiedo con la mia solita ironia, mentre osservo tutti i diversi tipi di cioccolato, sotto forma di innumerevoli barrette di marche diverse, lasciate mangiucchiate direttamente sul piano.

«Rick si è fissato con questa cosa che non mangio abbastanza e mi ha comprato tutti i miei snack preferiti per convincermi a ingerire qualcosa» ammassa tutti i dolcetti in una busta, non prima che io possa averne agguantato uno e ingoiato in men che non si dica.

«Beh, non ha tutti i torti» le prendo tra le mani il polso ormai senza un filo di grasso; è diventata talmente tanto misera, che le dita della mia mano riescono a ruotare due volte attorno a lei.

«Anche io ti ho portato qualcosa... è da un po' che me li conservo nello zaino per darteli, ma non ho mai trovato l'occasione» apro la zip, estraendo lentamente, ma non silenziosamente, un pacchetto trasparente.

«Oh mio Dio, sono taralli pugliesi quelli che vedo?» i suoi occhi scintillano come le stelle più luminose della galassia.

Annuisco soddisfatto, porgendole il mio regalo.

«Cazzo, ti amo» apre il pacco, distruggendo interamente la plastica. Ingurgita voracemente un tarallo dopo l'altro.

«Ehi ehi, vacci piano, dal non mangiare nulla a fare fuori in mezzo secondo tutto questo, mi sembra esagerato» gliene rubo uno, beandomi del sapore paradisiaco di quella goduria salata. Ho ordinato un quantitativo enorme di cibo italiano per cercare di renderle più semplice questa fase della disintossicazione. Sono certo che, oltre ad avere un problema allo stomaco e all'intestino a causa dell'assenza delle pillole nel suo corpo, in realtà la sua inappetenza sia causata per la maggiore dalla lontananza da casa e dall'assenza di una cucina decente.

«Posso chiederti una cosa?» domanda, sgranocchiando il quarto tarallo di fila.

«Anche se ti dicessi no, tu me la faresti lo stesso... quindi, spara».

«Quella che abbiamo incontrato ieri, era quella Rebecca?» sbatte i suoi occhioni, portando avanti il labbro inferiore.

«Sì» sussurro.

«Ti ho visto parecchio scosso».

«Molto, ma mai quanto ieri sera. Ho incontrato sua figlia e pensavo di poterle finalmente parlare, ma non è andata come mi aspettavo, è praticamente fuggita non appena si è accorta della mia presenza. Ti giuro è impensabile aver condiviso con Sarah gli stessi spazi per mesi, ma averla veramente notata solo ora che ho rivisto, dopo circa sei anni, sua madre» porto l'indice alla bocca, cominciando a mangiucchiarne nervosamente l'unghia.

«Non voglio forzarti a dirmi nulla che non tu voglia, però ci tengo che tu sappia che ero davvero preoccupata dopo avervi visti parlare. Non sono riuscita a chiudere occhio stanotte, ti vedevo in quel locale malfamato con un bicchiere davanti ogni volta che serravo le palpebre. In barba a quello che ti ho detto l'altro giorno, non posso fare a meno di essere in pensiero per te» siede sul bordo del letto, incrociando le gambe e mantenendo il contatto visivo per tutto il tempo.

«A proposito della nostra ultima conversazione... ci ho pensato tanto, in maniera quasi ossessiva a volte. Vorrei davvero chiederti scusa. So che entrambi proviamo qualcosa che in qualche modo va oltre l'amicizia e che, proprio tenendo conto dei nostri sentimenti, il mio comportamento non sia stato dei migliori ma, tutto quello che faccio, te lo giuro, lo faccio in buona fede. Non avrei dovuto fare quella scenata di gelosia, lo ammetto; ma quando sono entrato e vi ho visti insieme a letto, per di più nudi, sono impazzito. Il pensiero che tu possa dare a un altro quello che hai dato a me, mi fa incazzare a bestia, non con te - ne avresti tutte le ragioni del mondo - ma con me stesso. Non sono in grado di cogliere un fiore nemmeno quando mi sboccia davanti agli occhi» abbasso lo sguardo, non essendo più in grado di specchiarmi nelle sue iridi così brillanti, a causa della vergogna che provo rispetto a quello che sono.

«Anche io sono stata irrazionale... quando Ness mi ha detto che eri con Lexie sono andata fuori di testa. Solo immaginare le vostre mani intrecciate» mi prende la destra, stringendomela, replicando perfettamente quello che era stato il gesto chiave del nostro rapporto a Encino «beh, solo pensare che tu possa fare una cosa del genere con lei, mi blocca il respiro. Non che abbia senso ovviamente, siamo d'accordo sul nostro rapporto, ma credo che entrambi in quel momento abbiamo provato qualcosa di profondo».

«Non potrei mai fare quello che ho fatto con te con nessun'altra. Tu mi conosci davvero Oph, tu sai chi sono, non fingo con te, mai. Malgrado tu abbia detto il contrario, so che sei perfettamente consapevole di quanto io faccia un po' meno schifo con te rispetto a quanto sia pessimo con gli altri» alzo gli occhi, posandoli sulle nostre mani ancora incastrate. La mente mi riporta per un frangente al momento più intenso della mia intera esistenza; non avevo mai fatto davvero l'amore prima d'ora. Mi perdo a ricostruire nella testa tutto quello che è stato, ma una nota stonata viene fuori improvvisamente nel quadro perfetto di quegli istanti.

«Dimmi una cosa Oph, tra te e Rick c'è stato qualcosa? Non intendo se abbiate fatto sesso... ma se tu abbia provato qualcosa per lui in qualche occasione, vi ho visto piuttosto affiatati negli ultimi tempi» anche solo pronunciare il nome di quello spagnolo del cazzo mi fa salire il sangue al cervello.

«Non lo so, sono confusa. Abbiamo dormito insieme non solo prima del tuo ritorno alla Usc, ma anche dopo la festa alla Trojans» guardo istintivamente il suo letto, cominciando a provare una forte morsa allo stomaco. Come avrei voluto avere io l'occasione per dormirle accanto. «Non ci siamo nemmeno mai baciati però» tiro un sospiro di sollievo anche se non dovrei. 

Jay, fai l'uomo.

«Credo sia quasi peggio... se non c'è stato niente di concreto, vuol dire che sei confusa perché ti piace davvero» quella morsa torna a torcermi l'intestino.

«Jay, lo sappiamo entrambi, non rendiamo tutto questo più complesso di quanto non sia in realtà. Tra me e te non potrebbe mai funzionare. Tu cerchi nel sesso una distrazione e io non riesco a lasciarmi andare neanche quando lo faccio. Tu vuoi qualcuno che non pensi e che si doni completamente a te, regalandoti ogni millimetro del proprio essere per farti stare bene. Io non potrei mai farlo, sono impegnata a sfruttare tutte le energie che ho per combattere contro un solo nemico: la mia mente. Rick è l'opposto. Non so per quale ragione a lui piaccio così intensamente che non gli importa di sapere che tra me e te c'è stato qualcosa. Lui mi dà sicurezza, è pronto a sacrificare tutto per me. So che se glielo chiedessi mi porterebbe in un pacco infiocchettato il Sole e la Luna. Non mi fa battere il cuore, questo è vero, ma non escludo che un giorno non molto lontano ciò possa accadere» abbassa lo sguardo, cominciando a torturare un'unghia smaltata, staccandone lentamente il colore in piccoli pezzi.

Deglutisco lentamente, cercando di evitare che le spine che Oph mi ha appena conficcato nella gola possano strangolarmi definitivamente. L'aria manca già.

«Se è così, penso che tu debba provarci per davvero con lui. Io sento innegabilmente qualcosa per te, come potrei anche solo fingere che non sia così, ma non avrebbe senso condannarti a sorreggermi mentre tu cadi. Dovresti davvero capire se lui possa essere, a differenza mia, un pilastro per te. In un altro momento, non avrei esitato a propormi, avrei rischiato di farmi del male pur di non ferirti. Ti avrei sostenuta con tutte le mie forze, anche senza che tu avessi potuto fare la stessa cosa con me, ne sono certo. Al momento però temo che nessuno dei due sia abbastanza forte per se stesso e per l'altro» dire queste parole mi pesa tremendamente, ma non potrei fingere che sia diverso da così. Questa è innegabilmente la nostra verità.

«Per quanto faccia male sentirtelo dire, sono d'accordo. Una persona mi ha detto che tutto quello che devo trovare per sopravvivere è dentro di me, soltanto adesso capisco davvero cosa significhi e me ne sono convinta a mia volta. Se con Rick andrà bene, tanto meglio, ma in generale, devo tirarmene fuori da sola. Non ho bisogno di nessuno che mi sorregga, di nessun pilastro... se imparerò a stare in piedi sulle mie gambe, allora sarò soltanto io per me stessa il pilastro portante della mia stessa esistenza» man mano che parla, la sua voce cambia tono, diventando sempre più sicura.

«Non vedo l'ora che ciò accada Oph. Sono fiero di te per tutto il cammino che stai facendo. Ti farai male tante volte» le sfioro lo zigomo ancora leggermente tumefatto «ma i lividi spariranno in qualche settimana e se anche le cicatrici dovessero rimanere, serviranno sempre a ricordarti che puoi farcela. Anche quando sprofonderai di nuovo, grazie a esse, sarai sempre certa di poterne uscire di nuovo» mi avvicino forse troppo al suo viso, per raccogliere una lacrima che le sta attraversando il volto violaceo. Lei trema sotto il mio tocco e si ritrae leggermente, quando comincio a fissarle le iridi color smeraldo.

«Come siamo passati dai taralli pugliesi a fare discorsi così profondi?» sorride, tirando su con il naso in maniera piuttosto buffa.

«Non lo so, ma avere a che fare con te è sempre così... una continua sorpresa».

«Adesso dovremmo davvero iniziare a studiare, si è già fatto tardi» osserva preoccupata l'orario sullo schermo del suo cellulare.

«Promettimi solo una cosa, quando uscirò da questa stanza e metabolizzerò che ti ho spinta nelle sue braccia e di conseguenza, da coglione quale sono, cercherò di farvi allontanare in ogni modo... tu ignorami e provaci. Saperti al sicuro, batte 11 a 0 la mia gelosia irrazionale».

«Te lo prometto, gli darò una chance. Ma in generale, la darò più a me stessa che a chiunque altro. Io sono il piatto principale, tutto il resto è di contorno... e a proposito di cibo, grazie per avermi fatta mangiare. Tra pochi giorni arriverà mio padre e se mi vede così, è la volta buona che mi uccide».

Si allontana da me lasciandomi un vuoto nel petto. Apre il suo nuovo Mac per dare inizio a un altro intenso quanto noioso pomeriggio di studio. Comincia a parlare spiegandomi qualche idea che non ascolto neanche, mentre la mia attenzione continua a essere catalizzata dal mio dannato tatuaggio.

Rose sarebbe fiera di me, non ho mai dimenticato, esattamente come lei mi aveva ordinato, quanto io sia realmente condannato all'infelicità.

Encino con Oph è stato solo un momento di debolezza, un minuscolo frangente in cui davvero credevo di aver finito di scontare la mia pena.

Al contrario, invece, la felicità è solo un momento di intervallo tra un male e l'altro, come diceva Leopardi... e cazzo se aveva ragione.

Chissà tra quanti anni mi sarà concesso di provare di nuovo quelle emozioni, per poi perderle inesorabilmente di nuovo...

...forse, un altro decennio.

Spazio autrice:
Scusatemi se ho di nuovo esagerato con la lunghezza del capitolo, a volte mi lascio prendere dagli eventi. Farei durare le conversazioni di Eva e Jay anche cinquanta pagine 😂

Fatemi sapere cosa ne pensate.

Io mi innamoro ogni capitolo che passa sempre di più... di Jay ovviamente❤️

Il prossimo venerdì finalmente arriverà il padre di Eva e con lui anche zia Gin (non sapete quanto la amo).

Ci vediamo la prossima settimana,

per qualsiasi cosa scrivetemi (lascio un box su Instagram).

Grazie per essere ancora qui con me,

Non mi abbandonate🥀,

Matilde.

Ps. Se vi va mettete una stellina per sostenere me e TAOBA.

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