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Capitolo 33 - Riflesso

Apro gli occhi di scatto.

Mi guardo intorno confusa alla ricerca della mia coinquilina: che fine ha fatto Kate? 

È ormai passata una settimana dal mio ritorno all'università, ed è già sabato.
Lei avrebbe dovuto essere qui, me l'aveva promesso che l'avrei trovata al mio risveglio.
Oggi avremmo dovuto fare colazione in caffetteria per festeggiare il mio ritorno alla vita.

Mi sono ripresa ormai, piuttosto lentamente, ma l'ho fatto.

Il suo letto però è già perfettamente rifatto, malgrado l'orologio segni appena le 6.08 del mattino. In tutta la camera non c'è neanche un oggetto fuori posto, ciò mi sorprende, non è da lei e in realtà non è neppure da me.

Mi avvicino al mio armadio e ne apro l'anta destra, scrutandomi nel riflesso dello specchio.

Ho un aspetto strano: i capelli arruffati avrebbero dovuto essere ordinati in due trecce che però, a quanto pare, non hanno resistito alla notte; le occhiaie sono estremamente pronunciate; sul viso sono presenti resti di un trucco sciolto che non ricordavo di aver mai indossato e il mio pigiama di pile è completamente zuppo di sudore.

A un tratto, presa come sono dall'osservare ogni minuscolo dettaglio di me, mi rendo conto che, accanto all'occhio destro, mi è comparso un neo. Mi fermo a guardarlo, concentrandomi esclusivamente su quella porzione di pelle. 

Quando torno a osservare tutta la mia immagine, per poco le ginocchia non cedono.

«Sei davvero tu?» domando a quel riflesso che non mi restituisce più il mio aspetto.

Annuisce.

Porto istintivamente una mano alla bocca, scioccata da quella visione.

L'altra fa lo stesso, seguendo perfettamente ogni mia mossa.

Lascio cadere quella stessa mano lungo il fianco.

Lei imita il mio gesto.

Appoggio la mano sinistra sulla superficie riflettente.

Lei di rimando congiunge la sua alla mia.

Squarcio con le unghie i miei palmi.

Solo provando dolore avrò la certezza che ciò che vedo sia reale.

Lei, ancora una volta, replica perfettamente ogni mia azione.

Dalla mia pelle sgorga sangue, dalla sua, al contrario, non esce nulla.

«Non sei reale» urlo allo specchio, infrangendo un pugno sulla sua superficie.

Chiudo gli occhi, cercando di scacciare quell'immagine dalla mente, mentre continuo a prendermela con il suo riflesso.

Quando li riapro, non sono più nello stesso luogo.

Quello che stavo percuotendo fino a qualche istante fa, ora è una porta in legno scuro.

Attorno a me: solo il buio.

Appoggio l'indice sulla maniglia e con un minimo movimento la apro.

Davanti a me si staglia la vista dall'alto di una magniloquente Firenze.

Mi sporgo confusa oltre la soglia.

Sono al sicuro.

Osservo la città dal suo punto privilegiato: la cupola del Brunelleschi.

La porta dietro di me si chiude con un tonfo e io sobbalzo spaventata.

Percorro tutto lo spazio circolare a mia disposizione: non c'è altra via di fuga.

Quando ritorno al punto di partenza, non esiste più alcuna porta.

«Devi scendere da quella scala. È l'unico modo per svegliarti» odo una voce maschile alle mie spalle.

Jay si abbandona noncurante, con tutto il peso, alla balaustra in marmo.

«Eva è solo un sogno, svegliati» urlo alla me stessa addormentata.

Non succede nulla.

Jay continua a fissarmi, indicando con un dito una scala a pioli materializzatasi improvvisamente.

«Puoi usare quella o, se preferisci, anche un metodo alternativo. L'epilogo sarà sempre lo stesso però, e lo sai».

Con un rapido scatto, sale sulla balaustra, restando in perfetto equilibrio a strapiombo sulla città totalmente deserta.

«Devi avere coraggio Ophelia, non puoi continuare a evitare il tuo destino. Sei nata per volare, non lasciare che nessuno ti tarpi le ali... ma soprattutto combatti contro te stessa, il vero nemico è dentro di te» le sue ultime parole si perdono nel vento, mentre lui con una piccola spinta si lascia cadere nel vuoto.

Istintivamente mi avvicino, quasi con l'intenzione di afferrarlo per salvarlo dalla morte certa che lo attende. Con il cuore scalpitante e le gambe che mi tremano, ricordo a me stessa che tutto ciò non è reale.

«Eva, cazzo... Svegliati! L'hai fatto mille volte, è un sogno. Svegliati!» continuo a inveire contro me stessa.

Per quanto io ci provi, nessuno sembra sentirmi. 

Non c'è nessuna me pronta ad ascoltare le mie richieste.

Me lo sarei evitata volentieri ma, a questo punto, capisco che è l'unico modo.

Salgo sul parapetto e appoggio il primo piede sulla tanto odiata scala. Quando sto per appoggiare anche l'altro, quello che inevitabilmente mi porterà a cadere, decido improvvisamente che non è così che voglio morire stanotte.

Mi aggrappo nuovamente al marmo freddo, sistemandomi rivolta verso il campanile di Giotto.

«Guarda mamma, ho imparato a volare» urlo a squarciagola, prima di lanciarmi verso l'ignoto.

Prima che io possa atterrare in piazza del Duomo, qualcosa di freddo e bagnato si infrange sul mio viso.

Riapro gli occhi e davanti a me si materializza il volto sfocato di Kate.

«Oddio Ev, grazie... finalmente!» la mia amica mi stringe le spalle in una morsa.

Le rivolgo uno sguardo stranito, mentre un liquido mi bagna tutta la fronte, grondando dai capelli fin dentro la maglietta del pigiama.

«Urlavi e ti muovevi come impazzita, ho provato a svegliarti, ma non ci riuscivo. Stai bene?» riesco a percepire dal suo tono e dal rumore irregolare dei suoi battiti quanto sia preoccupata.

Annuisco, ancora incapace di articolare un pensiero di senso compiuto che possa tradursi in parole.

«Ev dobbiamo fare qualcosa, non sta andando bene... l'altro giorno sei svenuta, oggi non riuscivi neanche più a svegliarti... questa cosa casalinga che fai, non è normale» alza la voce, ormai al limite della sopportazione.

«Ehi, sto bene. Credimi K, è normale... il peggio è passato, fidati di me» le rispondo flebilmente, cercando di mantenere la voce il più possibile ferma. Non è la prima volta che uso questa espressione, ma sono davvero convinta di ciò che le sto dicendo, sono veramente sicura di stare meglio, le mie non sono soltanto menzogne.

Mi asciugo il viso con un lembo delle lenzuola che è stato salvato dalla furia omicida della bottiglietta d'acqua di Kate, stando attenta a non farmi troppo male toccando la parte destra del volto. Tutto lo zigomo e parte dell'occhio sono tumefatti. Se non fosse stato per Steve che era salito a trovare K, chissà dopo quanto tempo, dopo l'uscita di scena di Jay, si sarebbero accorti che ero svenuta.

«Prendi una pillola magica e poi andiamo a fare colazione insieme?» la mia compagna di stanza me lo chiede con un enorme ma al tempo stesso artefatto sorriso sul volto, sta palesemente fingendo di credere alle mie parole.

«Forse è meglio evitare la colazione, la pasticca oggi slitta al pomeriggio... ho promesso ai ragazzi che sarei andata a vederli giocare. Non posso perdermi per nessuna ragione al mondo l'ultima di campionato».

***

«Ma tu hai mai capito le regole di questo gioco?» mi chiede Rick, mentre tra un popcorn e l'altro osserva sbigottito passaggi e placcaggi.

«In realtà no» mi viene spontaneamente da ridere, mentre osservo una Jaimie arrabbiatissima pronta a inveire contro un giocatore della Berkeley.

«Il mio ex ha provato a spiegarmi un po' come funziona, ma a dire la verità, non ci ho mai capito granché. Non dirlo a nessuno... ma preferisco il calcio» gli faccio l'occhiolino.

«Ma mi sembra ovvio! Los Murciélagos en el corazón!» si tocca il cuore con trasporto.

«Los cosa?» chiedo confusa, di solito lo capisco bene lo spagnolo, ma questa volta non ho proprio idea di cosa abbia detto.

«I pipistrelli! È il soprannome della mia squadra, Valencia».

«Ma tu sei pazzo! Animale, ci vediamo dopo la partita! Ma l'educazione a Berkeley non ve la insegnano?» Mora urla come impazzita, facendo roteare un piccolo pugno, che farebbe tutto fuorché spaventare il numero 24 dei Golden Bears.

Io e Rick ci guardiamo, riuscendo a stento a trattenere le risate.

Visto che ormai la squadra di casa è sopra di parecchi punti, inspiegabilmente tra l'altro, essendo questa non proprio la migliore stagione dei Trojans, decido di andare a prendere qualcosa da bere negli ultimi due minuti di gioco. Scelta saggia visto che mi permetterà di evitare di rimanere intasata tra tutta la gente che a momenti si riverserà verso le uscite.

Rick si propone di accompagnarmi, lasciando la pazza urlatrice da sola insieme a Sophie che, a sua volta, è troppo occupata a flirtare con un ragazzo sugli spalti per seguirci.

Il mio accompagnatore si avvicina al bar per prendere una Coca-cola ghiacciata, mentre io resto all'esterno ad aspettarlo.

In lontananza vedo una figura che mi sembra familiare, perciò impegno tutte le diottrie a mia disposizione per capire se sia effettivamente la persona che credo che sia. Ma soprattutto, essendo in compagnia, più che confermare la sua identità, sono interessata a riconoscere chi sia colei che lo accompagna.

Mi nascondo dietro una colonna e, come la peggiore delle stalker, osservo Jay avanzare insieme a una ragazza.

Ridono, scherzano, si spintonano e poi lei gli dà un rapido bacio sulla guancia.

Questa immagine, per quanto mi faccia ribollire di gelosia, non mi avrebbe causato particolare sgomento, se non fosse stato per l'arrivo di una terza e di una quarta persona.

Dal chiosco escono, tenendosi per mano, un ragazzino di circa dieci anni e una bambina, praticamente trascinata dal fratello, che a stento riesce a reggersi in piedi sulle sue gambine.

L'accompagnatrice di Jay prende in braccio quest'ultima, spupazzandosela, mentre lui toglie il cappellino da baseball dei Trojans dalla testa del bambino per metterselo subito dopo lui stesso sul capo.

La donna ha un sorriso meraviglioso. Ha una dentatura perfetta, senza un dente fuori posto e così bianca da accecarmi anche a distanza. Credo che in una sfida tra lei e Julia Roberts, la misteriosa compagna di Jay vincerebbe a mani basse.

Lui afferra la bambina dalle braccia di quella che immagino sia sua madre, e la fa sedere sulle sue spalle, mentre lei a sua volta gli stringe i capelli con le manine paffute.

Ma che cazzo sta succedendo? Adesso trova le ragazze da rimorchiare nei parchi per bambini?

«Sai vero che quello che stai facendo ora è tremendamente inquietante?» Rick e il suo accento spagnoleggiante si materializzano improvvisamente alle mie spalle.

«Non sto facendo nulla» alzo le braccia come sorpresa da un poliziotto a commettere un'infrazione.

«No, ma dai. Adesso si fa anche le milf? Mi viene voglia di andargli a dare il cinque. Hai capito Jay Cook!» si sporge ben oltre il limite della colonna, aggrottando le sopracciglia, sforzandosi per guardare meglio quella scenetta pietosa.

«Ma non è che quella è sua figlia? Guarda come si somigliano» mi fa notare curioso.

«Ma ti pare! No, non ha nessun figlio... cioè, almeno credo» in risposta al mio sgomento, mi rivolge uno sguardo sornione, capendo perfettamente di avermi causato dei dubbi.

Lo spintono giocosamente, prendendo la lattina di coca che stringe tra le mani. L'appoggio sulle tempie in fiamme per provare un po' di sollievo. Che strano avere così caldo agli inizi di dicembre.

«Allora... domanda da un milione di dollari. Ci vuoi andare alla festa oppure no?» mi chiede, distraendosi a osservare la calca di persone che si sta muovendo nella nostra direzione dopo il fischio finale che ha decretato la vittoria della squadra della nostra università.

«Mi sento un po' meglio, possiamo fare un salto se ti va. Ho detto ai ragazzi che sarei passata, almeno per salutarli. Non vedo Matt da una vita!».

«Ogni suo desiderio è un ordine, sua maestà» fa uno sciocco inchino, prendendomi per mano. Ci avviamo scaltri verso l'uscita, prima che il confluire di tutti gli spettatori ci blocchi qui per ore.

Nella nostra rapida fuga verso il parcheggio, passiamo accanto alla famigliola felice. 

Uno sguardo tagliente mi buca la schiena, oltrepassando il mio bomber, la felpa e squarciandomi in due la pelle. Non mi giro a guardarlo, sebbene sia perfettamente consapevole del fatto che lui mi sta fissando. Vorrei tanto ricambiare per fargli sapere che ho assistito alla strana scenetta alla Mulino Bianco

Prima di essere troppo lontana, sento la voce smielata di lei chiamarlo con uno strano soprannome e poi lui risponderle qualcosa come «Vi accompagno a casa, Leah».

***

«Dai, ma chi prende un gelato limone e fragola prima di andare a una festa, tra l'altro nel mese più freddo dell'anno» lo canzono, mentre leccando il cono, stretto nella mano destra, Rick cerca di posteggiare l'auto davanti alla confraternita.

«Tu hai mangiato nell'ultima settimana? Tra poco ti perdo nella fessura dei sedili. Perché non hai preso quel pezzo di torta... e non te lo sto dicendo perché avrei voluto assolutamente mangiarne metà» si distrae con l'acquolina in bocca a pensare alla Sacher che ho gentilmente rifiutato di mangiare.

«Gne gne gne» gli faccio la linguaccia, toccandomi, sicura di non essere vista, i polsi ormai ridotti a ossa. In effetti non ha tutti i torti ma, da quando ho iniziato a prendere meno pillole, non riesco più a ingerire cibo senza che questo non venga immediatamente rigettato nella porcellana lucente del water Evans della mia camera.

«Sei sicura che ti vada bene essere qui? Non vorrei che rivedere il tuo ex ti crei problemi» aggiunge, mentre stiamo imboccando il vialetto che conduce alla veranda della Trojans.

Sono qualche passo davanti a lui, così mi giro a guardarlo negli occhi per rispondergli.

«Mi ero pure dimenticata che sarebbe stato qui... promettimi soltanto che se lo vedi avvicinarsi mi porti via all'istante. Poi, per il resto, non importa» se solo sapesse attualmente chi è la vera persona che vorrei evitare come la peste e soprattutto il perché vorrei non essere costretta a incontrarlo, chissà cosa ne penserebbe.

Sì Eva, credici che non vuoi vederlo... peggio del canto delle Sirene con Ulisse. Neanche sei entrata e già ti stai muovendo a grandi passi verso di lui.

«Ma chi è il miglior Wide Riceiver di tutta la California?» sorprendo Matt alle spalle. Mi lancio su di lui, stringendolo più forte che posso. Le sue dita affondano nella mia carne ormai inesistente.

«Vorrei poter dire che è merito del Quarterback, ma è troppo idiota per meritarsi complimenti» Matt alza lo sguardo in direzione del mio viso. In risposta a ciò che vede, aggrotta preoccupato le sopracciglia. Si è accorto senza dubbio dell'immenso livido violaceo che mi copre metà volto.

«Ev, ma che cazzo... che ti è successo?».

«Cristo Oph» Jay mi rivolge inaspettatamente la parola. In effetti da quando abbiamo avuto quell'orribile discussione non ci siamo più incontrati di persona. Ho evitato le lezioni a causa della mia debolezza cronica, visto che non riuscivo praticamente più ad alzarmi dal letto, se non quelle rare volte per fare la doccia ed evitare la decomposizione o le piaghe da decubito.

«Sono svenuta, ma non è niente» li liquido in fretta «tu piuttosto Casanova ti sei dimenticato della tua amica?» gli cingo una guancia con i polpastrelli, dandogli poi un pizzicotto come farebbe una nonna con un nipote.

«Col cazzo babe, mi hanno trattenuto a Phoenix più del previsto e, da quando sono tornato, il coach mi ha messo sotto ad allenamenti».

«Eccoti, mi hai seminato in mezzo secondo» Rick mi si para davanti a braccia conserte e con un evidente fiatone. Si vede che non è abituato a sgomitare tra la gente. Non che io lo sia particolarmente, ma ultimamente mi è capitato di venire a molte più feste di quanto non abbia fatto lo scorso anno.

«Scusami, ho intercettato Matt e mi sono lanciata a salutarlo... Hall, lui è Rick, un mio» esito «un mio amico e lui è uno dei giocatori più promettenti dei Trojans, Matthew Hall» quest'ultimo guarda lo spagnolo dalla testa ai piedi e, con un ghigno non troppo felice, gli porge la mano. L'altro ricambia educatamente facendo lo stesso.

«Mi sono perso qualcosa?» domanda JJ, mentre fa capolino improvvisamente tra le spalle del suo gemello e quelle di Matt.

«Non direi... solo che mi è mancata la tua faccia di cazzo negli ultimi giorni» mi sporgo per abbracciarlo e nel farlo inavvertitamente sfioro l'avambraccio di Jay. Lui si ritrae come se gli avessi appena spento un sigaretta sulla pelle.

«E questo è il famoso iberico? Ma è alto un metro e un tappo... e poi sembra quell'odioso Samuel di Elitè» commenta sarcastico in italiano, come se lo spagnolo fosse tutt'altra lingua rispetto alla nostra e lui non potesse almeno intuire cosa stia dicendo.

«Stai zitto JJ, presentati e fai il bravo... contieniti!» lo minaccio con lo sguardo e non solo con quello.

Gli stringe la mano quasi stritolandogliela, ma almeno non aggiunge niente in nessuna lingua che lui possa comprendere.

Io e Rick ci congediamo dopo pochi minuti, avvicinandoci il più in fretta possibile al bancone degli alcolici. Nessuno dei due ha intenzione di bere stasera, ma ad entrambi è sembrata l'unica soluzione nell'istante in cui ci siamo accorti dell'improvviso avvicinamento della stella dei Trojans e della sua nuova fidanzata.

Già essere costretta a respirare la sua stessa aria mi sembra sufficiente, se dovessi anche incontrarlo sarebbe veramente troppo.

***

Senza alcun pronostico favorevole, sono riuscita a reggere per più di un'ora senza impazzire.

Rick ed io abbiamo chiacchierato con il palestratocome JJ ha soprannominato Steve, e con alcuni suoi amici della facoltà di Medicina. Ho persino avuto qualche minuto per ballare con Kate sulle note della sua canzone preferita e per fumare una sigaretta con Jaimie e un suo compagno di corso. Quest'ultimo, particolarmente esperto di oroscopo, ci ha tenuto a ricordarmi quanto questa sia chiaramente la peggiore settimana della storia per i leone.

Seduti in un angolo buio del salotto io e lo spagnolo abbiamo iniziato a discutere animatamente di arte. Non posso accettare di buon grado il fatto che il suo movimento artistico preferito sia la Pop-art, per me una scelta simile non può che risultare totalmente aberrante. 

Mentre siamo impegnati a battibeccare tra noi, anche in maniera piuttosto accesa, dall'altro lato della stanza intercetto due occhi azzurri abbaglianti come fari. Solo questo è sufficiente per far sì che mi si mozzi il fiato. Quanto vorrei in questo istante ingoiare un'intera boccetta di pillole o scolarmi la prima bottiglia di liquore scadente rinvenuta in chissà quale anfratto della confraternita. Mi mangio le mani se penso a quello che ci siamo detti. L'epilogo l'avevamo concordato insieme a Encino, ma mai avrei creduto sarebbe stato così disastroso.

Continuiamo a guardarci, mentre tutte le persone che si interpongono tra noi scompaiono. Improvvisamente non c'è nessun altro che ci separi. Solo io e lui e... una chitarra che qualcuno gli passa.

Come up to meet you, tell you I'm sorry

You don't know how lovely you are

Canta divinamente e io non ne avevo la minima idea. In realtà non sapevo nemmeno sapesse suonare... quante cose non so di te Jay... e quante ancora dovrò scoprirne.

I had to find you, tell you I need you

Sorride palesemente verso di me.

Tell you I set you apart

Tell me your secrets and ask me your questions

Oh, let's go back to the start

Sembra quasi lo stia chiedendo proprio a me.

Running in circles, coming up tails

Essere prigionieri della coazione a ripetere è proprio da noi, mio caro.

Heads on a science apart

Nobody said it was easy

It's such a shame for us to part

Nobody said it was easy

No one ever said it would be this hard

La parola difficile sembra scivolargli con più difficoltà delle altre dalle labbra.

È difficile, chi meglio di noi incarna queste parole.

Qualche idiota lo interrompe, dandogli uno schiaffo dietro la nuca e pregandolo di suonare qualcosa di allegro per non intristire l'intera festa.

Continuiamo a guardarci, finché Lexie non si frappone tra noi.

Lui di conseguenza interrompe il contatto creatosi per sistemarle un ciuffo di capelli che le ricade sul volto e lei con tutta la naturalezza del mondo gli soffia sulle labbra prima di stampargli un fugace bacio a stampo.

In quell'istante preciso, non so neanche cosa esattamente, ma qualcosa dentro di me si spezza.

Faccio appena in tempo ad avvertire Rick - che fortunatamente non ha assistito a questa scenetta pietosa, perché impegnato in un'improvvisa conversazione con un compagno di laboratorio di Nick - dicendogli che ho bisogno d'aria e che lo aspetterò all'esterno.

Mi faccio strada, sgomitando tra la gente. Riesco a raggiungere uno spazio in cui finalmente posso essere sola. Un luogo appartato collocato poco più avanti rispetto alla soglia d'ingresso della Trojans. Non appena sono lontana da occhi indiscreti, mi piego su me stessa, cominciando a vomitare. Fortunatamente il mio stomaco non contiene nient'altro che Coca-cola, perciò espellerla non mi dà nessuna difficoltà.

Mi accascio sull'ultimo gradino, stringendomi la testa tra le mani.

Pensavo di averla vinta, di aver domato questa sensazione, che una pillola sarebbe bastata a farmi passare una serata normale. Non avevo fatto i conti con quello che provo, con un sentimento che inevitabilmente avrebbe potuto portarmi a questa condizione. In questo momento andare via è necessario, bisogna che lo faccia ora, finché riesco ancora a camminare con le mie gambe, respirare in maniera quasi normale e soprattutto ad avere ancora un cervello parzialmente funzionante, seppur stia già implorando pietà.

«Tutto bene?» l'ultima voce che avrei voluto sentire si fa spazio tra il caos della festa. Tutto si congela nuovamente e resta solo lui

L'ultimo uomo sulla Terra, con l'ultima donna del Pianeta.

«Tu che dici?» indico sarcastica con il viso la pozza di vomito al mio fianco.

«Possiamo sotterrare l'ascia di guerra per un istante? Ti accompagno a casa, non hai una bella cera» mette le mani in tasca e avvicina la parte inferiore del suo corpo alla mia testa. Rimane in piedi giusto davanti a me, come se stesse aspettando solo il mio assenso per portarmi via.

«Secondo te: sto così male perché sono una tossica o perché le tue scenette romantiche mi hanno fatto venire il mal di stomaco?» chiedo retoricamente.

«Ah, perché vederti con Antonio Banderas a me fa piacere invece?!».

«Eva, stai bene?» Rick toglie improvvisamente il mantello dell'invisibilità e si palesa alle nostre spalle.

Ma esattamente quante altre volte dovrà comparire all'improvviso così? Ma soprattutto quanto sono silenziosi i suoi passi... potrebbe fare carriera come ladro.

«Credo di stare ancora male... mi sono presa il peggior virus della storia» mi gratto la nuca consapevole di quanto le mie scuse appaiano ridicole. Non so come faccia ancora a credere a una sola delle mie parole.

«Dai su, torniamo al dormitorio» allunga una mano accanto al corpo di Jay. Quest'ultimo non si muove di un millimetro, continuando praticamente a farmi da scudo con la sua stazza.

Afferro la mano dell'altro e, facendomi forza su di essa, mi alzo. Nel farlo, ancora una volta, sfioro inavvertitamente una delle braccia di Jay.

«Buonanotte Jay» sussurro rimanendogli accanto, rivolta però verso Rick.

«Buonanotte Ophelia e buonanotte anche a te Zorro».

«Beh, Zorro non era proprio spagnolo, ma accetto il riferimento... meglio che essere chiamato Antonio Banderas» gli sorride, esattamente come farebbe qualcuno consapevole di aver appena soffiato all'altro il miglior premio messo in palio per la serata.

***

Rick si è offerto di accompagnarmi fin dentro la mia camera, per essere certo che sarei arrivata sana e salva nel mio letto, senza svenire o vomitare sulle scale del C20.

Mi sono svogliatamente privata dei miei indumenti, davanti ai suoi occhi piuttosto sbigottiti. Ormai da quando vivo in California, ho imparato a non dare più lo stesso peso alla nudità. Non so se sia più per il fatto che queste pillole mi hanno donato una piccola percentuale di autostima, o se è perché, pesando a stento quindici chili da bagnata, non ci sia più molto da mostrare a sguardi indiscreti.

Indossato il caldo pigiama di pile che mi ha gentilmente regalato Jaimie, dopo una delle sue ultime incursioni al centro commerciale, ho aggiunto all'outfit anche dei calzini gialli del re Leone con tanto di orecchie incorporate.

«Posso chiederti un favore? Ma non prenderlo come un invito strano... ti andrebbe di rimanere a dormire?» gli chiedo a un tratto, mossa da evidente egoismo. Voglio che resti qui, non perché abbia intenzioni particolari, ma semplicemente perché ho freddo sin dentro le ossa e non credo riuscirei a riposare senza un corpo caldo accanto.

«Di solito aspetto almeno il terzo appuntamento per consumare... ma se insisti» ribatte con un tono finto-serio, prima di scoppiare a ridere e liberarsi anche lui dei suoi vestiti per mettersi a letto.

Lui è decisamente molto più svestito di me e anche più sexy se proprio devo ammetterlo. Se avessi un briciolo di forza, forse, e dico forse, ci proverei anche a concludere qualcosa... ma non sarebbe giusto per entrambi, soprattutto se io facessi una cosa del genere avendo nella mente un'altra persona.

Ci sistemiamo sotto un pesante strato di coperte, assumendo una posizione a cucchiaio. Lo facciamo lo stesso, malgrado il fatto che lui sia in mutande ci metta in una situazione un po' imbarazzante. 

Mi sporgo per spegnere la luce e, in un rapido lampo, osservando lo specchio dell'armadio lasciato aperto, mi ricordo del mio sogno.

«Hai mai la sensazione di rincorrere te stesso come se fossi davanti a una fila infinita di specchi? Provi a raggiungere il tuo riflesso ma non ci riesci mai. Poi, a un tratto, ti rendi conto che quello che stai cercando di afferrare non sei nemmeno più tu. È soltanto un'ombra, il fantasma di quello che è stato un altro, quello che tu avresti sempre voluto essere e che non sarai mai... ma in realtà, forse, sotto sotto, non hai mai desiderato essere davvero?».

«Sinceramente no» risponde stranito a seguito delle mie improvvise esternazioni.

«Beato te Rick, che non sai cosa significa vivere costantemente cercando di evitare le fughe del pavimento, potendo calpestare soltanto le mattonelle».

È così che mi sento da tutta la vita.

Una bambina intrappolata in un gioco infantile.

Un riflesso del nulla mischiato al suo tutto.

Spazio autrice:

Sto attraversando un periodo un po' particolare per quanto riguarda la scrittura. Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, ultimamente non mi sento mai felice di ciò che scrivo.

Il sogno di Eva e l'ultima frase che lei dice a Rick sono fondamentali per capire attualmente la sua psicologia. Mi rendo conto non sia semplice, soprattutto perché nasce tutto dalle Teorie di René Girard... ma sono certa che anche senza conoscerle voi possiate apprezzare ciò che lei sta iniziando a pensare in merito a se stessa e al rapporto con sua madre.

In ogni caso, sentitevi pure libere di fare tutti i commenti che volete. Anzi, come vi ho detto un milione di volte, adoro potermi confrontare con voi.

Come ogni settimana vi lascio il box domande su Instagram e in ogni caso per qualsiasi cosa potete scrivermi in direct.

Grazie perché siete ancora qui con me,

Non mi abbandonate🥀,

Matilde.

Ps. se vi va cliccate sulla stellina per sostenere me e TAOBA.

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