Capitolo 29 - Ancora un altro giorno
JAY
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Un raggio di sole, sfuggito al potere oscurante delle veneziane, mi illumina precisamente il volto. Apro prima un occhio e poi entrambi per capire che ore siano e se sia effettivamente il caso di alzarsi o meno.
Non appena riesco a guardarmi intorno con meno confusione, resto sorpreso.
Sono a casa, la mia vera casa.
Sono sdraiato nel mio letto, proprio quello che mi ha visto crescere da bambino. Lo stesso materasso consunto e pieno di solchi su cui è possibile riconoscere perfettamente la mia forma.
L'odore che tento di incamerare nelle narici è quello della felicità, della spensieratezza infantile, ma, al tempo stesso, è anche quello della disperazione e del dolore adolescenziale.
Respiro a pieni polmoni per sentirlo tutto, per inglobare in me ogni sua sfumatura.
Il braccio destro è completamente addormentato e, non appena ci faccio caso, me ne stranisco. Giro il capo verso la sua direzione per capire l'origine del formicolio ed è solo in quel momento che finalmente la vedo.
Credevo che la notte appena trascorsa fosse semplicemente un sogno... e invece no.
Eva ha davvero colmato ogni mio vuoto con la sua presenza, con il suo corpo, con la sua anima. Lei dorme tenendo la testa poggiata sul mio braccio. Ha il volto così tranquillo e rilassato.
Forse anche io nel mio piccolo sono stato capace di regalarle una notte senza incubi, senza scale e cadute. Mi blocco un istante a osservarla in tutta la sua bellezza. Non riesco proprio a trovare le parole adatte a descriverla e questo ancora mi stupisce. Mai nella mia vita mi sono sentito incapace di usarle. Ho scritto racconti, storie brevi, poesie e persino un romanzo – tutto ovviamente riposto nel cassetto del mio comodino – eppure, quando mi trovo davanti a lei, mi sembra di perdere totalmente la facoltà di pensiero.
Decido di lasciarla dormire ancora un po', prendo per distrarmi un po' il cellulare e mi rendo conto che sono le undici, un orario più che accettabile per svegliarsi se non fosse che siamo andati a dormire ben oltre l'alba. Ho un paio di messaggi a cui rispondere: Lexie, Mad, Mora, JJ e persino uno di mio padre. Li ignoro tutti, tranne quest'ultimo.
Jack Cook:
Non sei più un bambino James, non fare i capricci, torna a casa.
Il cieco amore che Jack prova per Rose lo ha sempre portato a schierarsi dalla sua parte. Qualsiasi cosa lei faccia, anche se lui è perfettamente consapevole della gravità delle sue azioni, le viene perdonata. Sempre. Sono stufo dell'accondiscendenza di mio padre e dell'odio cieco di mia madre.
Finché non avrò una mia indipendenza purtroppo dovrò conviverci, continuare a tornare a Malibu per le feste e cercare di passare quei pochi giorni insieme in maniera civile.
Il che, ovviamente, il più delle volte non accade.
Presto però mi creerò una vita mia e non sarò più costretto a sottostare alle loro vessazioni.
Mi scosto lentamente da sotto il corpo di Eva, posizionandole un cuscino tra l'incavo della spalla e la testa reclinata, stando attento a non svegliarla. Si muove un po', parlotta nel sonno, ma poi sembra ricadere totalmente nel suo mondo.
Mi trascino silenziosamente fuori dalla porta, per entrare in camera di JJ e prendere una delle sue vecchie tute da indossare.
Controllo se in cucina ci sia del cibo, ma non riesco a trovare niente che non sia già scaduto; perciò, ordino online gli ingredienti per fare i pancake e, in attesa che il corriere giunga a portarmeli, decido di fare una doccia.
Prima di lavare via i resti della notte con Oph dal mio corpo, ci penso due volte, mi sembra di privarmi così di una delle cose più belle e intense che io abbia mai vissuto in tutta la mia vita.
Mi convinco però, che sia davvero il caso di espormi al getto freddo dell'acqua, visto che ho sudore e fluidi corporei ovunque e non mi sembra il caso di farmi vedere così da lei.
Quando chiudo il rubinetto, odo indistintamente il suono del mio telefono. La chat con Mora segna un altro messaggio. A questo punto mi rendo conto di quanto io sia stato stronzo a ignorarla, sapendo anche quanto abbia sofferto in passato per i miei comportamenti, perciò decido di risponderle.
Mora:
Tutto ok? Perché non rispondete? Siete morti?
Jay:
No, mio malgrado sono ancora vivo😜.
Tranquilla, Eva dorme ancora... quando si sveglia torniamo.
Mi rivesto in fretta, lasciando però i capelli bagnati. Non voglio rischiare di svegliarla con il rumore del phon. Un'altra notifica del telefono mi informa della consegna della spesa. Esco rapidamente a prendere la busta, lasciata sullo zerbino all'ingresso, e poi comincio a tirare fuori gli ingredienti.
Non ho mai amato particolarmente cucinare, ma farlo, negli anni che hanno preceduto il mio trasferimento alla Usc, era diventato una vera e propria routine. Prima con mia nonna era un'attività quasi di famiglia. Lei obbligava tutti a fare la loro parte, poi, dopo la sua morte, è diventata una necessità. Ognuno di noi ha assunto un ruolo nuovo che potesse colmare la sua assenza e io in particolar modo, finché ho potuto e sono stato in grado di farlo, mi sono assunto la responsabilità dei pasti. Tutto tranne i piatti, quelli li lavava JJ. Toccare il cibo bagnato mi ha sempre fatto senso, avrei rischiato di vomitare a ogni pranzo e a ogni cena.
Pensare a mia nonna mi porta automaticamente a osservare la sua sedia a dondolo. Lasciata in un angolo del salotto con accanto il suo baule con tutti gli strumenti per lavorare all'uncinetto e con sopra, ancora lì appoggiata sul cuscino bombato, la sua coperta fatta a mano dai toni del beige. Sembra quasi che sia rimasta lì ad aspettarla per tutti questi anni.
Non ricordo un pomeriggio in cui io non l'abbia vista seduta in quel punto a lavorare proprio a quella coperta.
Peccato però che nessuno la completerà mai.
Una volta, poco dopo la sua morte, mi sono seduto su quella sedia. Mi sembrava quasi di esserle salito sulle ginocchia. Un po' improbabile vista la mia altezza e la mia stazza. Eppure mi sentivo esattamente così, lei c'era, era con me e non se n'era mai andata.
«Buongiorno», la vocina di Eva spezza i miei pensieri. Timidamente fa il suo ingresso nel mio campo visivo, indossando una delle mie magliette del liceo. Ha i capelli arruffati e i piedi nudi.
«Buongiorno Oph, dormito bene?» chiedo con non poco timore, non so a questo punto come dovremmo comportarci.
Come al solito sul momento mi sono fatto prendere dalle forti emozioni che stavo provando e ora, ovviamente, non so cosa fare e come comportarmi. Non so cosa lei pensi di quello che è successo, ma soprattutto non so se eviterà l'argomento o se vorrà discuterne, se finiremo per litigare, per dire la cosa sbagliata e ferirci.
«Sì, nessun incubo, nessun sogno di ogni genere, solo riposo, ne avevo bisogno» sorride felice e si avvicina al bancone della cucina. Mangiucchia soddisfatta un pezzo dell'unico pancake che ero riuscito a cuocere prima che lei arrivasse.
«Tu stai meglio? Jaimie mi ha scritto una ventina di messaggi... a quanto pare tuo padre si è incazzato».
«Sono stato meglio, ma sì, rispetto a ieri mi è passata. Mio padre per quanto mi riguarda può anche andare a fanculo» getto con stizza nel lavandino la frusta con la quale avevo preparato l'impasto.
Quando mio padre fa così, giuro che mi sale il crimine.
«Io comunque non ci ho capito un cazzo della vostra situazione familiare... ma tua madre è una stronza» porta le mani a coprire la bocca, come se volesse riparare alle sue parole, rispingendole tra le sue labbra.
«Parole sante Oph, parole sante» scoppio a ridere mentre prendo un altro po' di impasto e comincio a cuocerlo nella padella.
«Sono curiosa di conoscere anche lui, Mora ne parla sempre in un modo particolare, non con lo stesso odio che prova nei confronti di Rose».
«Mio padre adora Jaimie, per lei farebbe di tutto. Solo che Rose è ossessionata da lui, credo che abbia una paura così forte che anche lui l'abbandoni da aver monopolizzato tutto il suo affetto. Per questo tra lei e Jaimie la situazione è a tratti anche più tesa che tra me e lei. Mora rappresenta l'unico pericolo. Non a caso, all'inizio della sua adolescenza, mia sorella ha iniziato a tingersi i capelli di biondo, odiava non essere identica in tutto e per tutto a noi, non le sembrava di appartenere davvero alla famiglia. Poi, quando ha capito meglio quanto in realtà assomigliare ai nostri genitori non fosse così piacevole, ha iniziato a colorarli di qualsiasi altro colore, ma mai biondo, o meglio, anche le rare volte che lo ha fatto, ha sempre aggiunto almeno una ciocca diversa. Questo la dice lunga. So che ti sembrerà sicura di sé ma non lo è affatto... forse sono stato fin troppo egoista a sottrarti a lei ieri» straparlo a raffica, forse raccontandole anche troppo, ma ne ho bisogno, sento la necessità di liberarmi e di sentirmi più leggero dal peso dei miei problemi familiari.
Per quanto riguarda questa sfaccettatura della mia vita non credo che lei possa capirmi fino in fondo, so che ama suo padre e che l'amore non le è mai mancato, ma almeno una cosa ci accomuna: lei sa perfettamente cosa vuol dire crescere senza l'affetto diretto di una madre.
Mia madre è morta esattamente quel maledetto giorno in cui è stata costretta a lasciare l'Italia, da quel momento in poi non è stata più la stessa.
Non ho mai avuto il piacere di conoscere la vera Rosa.
«Forse è meglio che faccio una doccia, così magari poi puoi riaccompagnarmi alla villa, se a te non va di tornare, lo capisco» pigola con una vocina infantile, sbattendo le ciglia lunghe.
«Devo per forza... mio padre, quando è in città, ci tiene a mantenere le apparenze e a portare avanti la nostra recita di famiglia perfetta» alzo le spalle, cercando di dissimulare il fastidio che provo a dover tornare alla corte di quei due tiranni.
Lei mi rivolge uno sguardo carico di compassione, prima di avviarsi in silenzio verso il bagno. Non appena sento il rumore dell'acqua e l'inconfondibile cigolio del box doccia, il suo telefono inizia a squillare.
Mi sporgo leggermente per vedere chi la stia chiamando.
Non posso nascondere che leggere quel nome mi lasci un po' stranito: Rick.
Eva resta nel bagno un bel po', mentre io continuo a preparare la colazione e a guarnire ogni pancake in maniera diversa, quasi come se stessi partecipando a un cooking show.
Nel tempo in cui lei è rimasta lontana, si sono susseguite altre tre chiamate da parte di quell'imbecille.
Sto veramente mettendo in pratica tutte gli insegnamenti del mio maestro di yoga per non essere io a rispondere.
Oph rientra in cucina, indossando una mia camicia, stretta in vita da una vecchia cintura di Jaimie. Non so come diavolo faccia, ma anche un sacco dell'immondizia diventerebbe un abito Chanel addosso a lei.
Siede al bancone e spazzola via in silenzio tutto il cibo che le avevo messo nel piatto.
«Ehi, non guardarmi così. Ho consumato parecchie calorie ieri sera e praticamente a cena non avevo mangiato un cazzo; quindi, me li merito» parla tra un boccone e l'altro. É così buffa in questo momento.
Il suo cellulare riprende a suonare e io non riesco a trattenere uno sbuffo di disapprovazione.
Lei guarda lo schermo e, non appena legge quel nome, i suoi occhi cambiano. Percepisco immediatamente la sua indecisione sul da farsi. Alla fine, però, qualcosa la convince e perciò sceglie di rispondere.
«Ciao Rick» finge una voce assonnata, mentre con l'indice destro mi fa segno di rimanere in silenzio.
«Oggi pomeriggio? Mmm...» comincia a tamburellare le dita sulla superficie in marmo davanti a lei.
«No, è che credo abbiano bisogno di me...» cerca quasi di parlare in codice per non farmi capire cosa stiano dicendo.
Mi avvicino sempre di più a lei con la speranza di ascoltare qualcosa, magari da più vicino riuscirò a sentire anche lui parlare.
Proprio come immaginavo riesco a ricostruire qualche frammento della conversazione. «Appuntamento... Malibu... treno... penso costantemente a te ed è solo un giorno che sei via» mi irrigidisco all'istante all'udire quelle parole. Non mi aspettavo che fossero già così avanti nel loro rapporto.
Lei continua semplicemente ad asserire, ma non sembra entusiasta di questo possibile incontro.
«Ok, mi arrendo... sarà per la prossima! Che stai facendo?» chiede la voce metallica di quell'iberico del cazzo.
Avanzo ancora di più verso di lei, posizionandomi tra le sue gambe. Si era infatti seduta sull'isola dandomi le spalle, perciò, dopo aver circumnavigato il bancone, riesco a farmi spazio perfettamente tra le sue cosce, avvicinandomi talmente tanto da sentire il suo cuore battere in maniera irregolare.
Non so perché lo faccio, ma mi viene spontaneo appoggiare l'indice sul primo bottone della camicia e con un piccolissimo movimento aprirlo.
Lei mi guarda sgranando gli occhi.
«Mi sono appena svegliata» risponde titubante.
Oh Eva, non sei capace di mentire.
«Sei da sola, Ophelia?» chiede lui sarcastico.
Quando gli sento pronunciare quel nome serro la mascella, mentre tutte le vene del corpo cominciano a pulsare dolorosamente. In risposta a questa sensazione, slaccio nervosamente un altro bottone, fissandola minacciosamente.
Quanto vorrei parlare ad alta voce e far sapere a questo bamboccio che sono qui.
Un flebile sì fuoriesce dalla sua bocca.
Un altro bottone viene sganciato, un'altra punizione per l'ennesima bugia.
«Ora devo andare, il mio coordinatore mi sta tampinando di messaggi per l'organizzazione del Ringraziamento overseas di domani».
Un altro bottone. Il profilo dei suoi seni mi appare sempre più nitido.
«Ciao, ci sentiamo» deglutisce rumorosamente.
Senza guardare lo schermo prova più volte a premere il rosso, non riuscendo comunque a farlo.
Le strappo il cellulare dalle mani e provvedo io, mentre ancora sento la voce dell'altro che la saluta.
«Sei da sola, Ophelia?» ripeto imitandolo, aprendo tutti i bottoni in successione, lasciando il suo petto nudo davanti ai miei occhi.
Mi stai facendo impazzire Eva, porca puttana.
«Ch-che fai Jay?» balbetta, ma dal modo in cui mi guarda so che non si sta tirando indietro, anzi.
«Niente» sussurro al suo orecchio.
«Avevamo d-detto una notte» continua a biascicare qualcosa, invece che lasciarsi semplicemente andare.
«Ho cambiato idea... voglio farti una proposta» le sfilo la camicia dalle spalle, lasciandola con addosso soltanto le mutandine.
Annuisce.
«Puoi essere mia ancora per un altro giorno? Una volta tornati all'università sarai di nuovo libera di fare tutto quello che vorrai. Se vuoi uscire con lo spagnolo non mi metterò in mezzo e non farò parola con nessuno di ciò che è stato tra noi. A patto che ovviamente lui smetta di chiamarti Ophelia, perché posso tollerare tutto, ma non quello. Ho un fottuto bisogno di te Eva. Senza te accanto non ho nessuna speranza di superare indenne questo Ringraziamento... perciò, pensi di poterti sacrificare per il mio bene?» l'ultima parte del mio discorso la pronuncio mentre le sfilo l'ultimo capo che indossa. Senza esitazione lei allarga le gambe per permettermi di toglierle definitivamente l'intimo.
«Mi chiedi di fare un sacrificio troppo grande, ma penso di poter sopravvivere» prende entrambe le mie mani e le posiziona a coppa sul suo seno invitandomi a stuzzicarglielo con le dita.
«Dimmi che lo vuoi... che sarai mia finché non torneremo alla Usc, ti prego» le sussurro all'orecchio mordicchiandole lentamente il lobo.
«Sono tua» inarca la schiena all'indietro, offrendomi ancora di più le sue nudità.
Inizio a baciarle tutto il corpo partendo dal basso. La ricopro interamente di baci, soffermandomi a lungo sulla rosa appassita tatuata sul suo avambraccio. Quanto vorrei avere il potere di farla rinvigorire, salvare quel fiore dalla morte dandogli nuovamente la vita. Se solo i miei baci potessero essere curativi, in questo momento lenirei tutti i suoi dolori, farei rimarginare ogni sua ferita.
Eva morde il labbro inferiore guardandomi con gli occhi del desiderio. I suoi meravigliosi smeraldi si trasformano nelle fiamme dell'inferno. Non credo di poter tenere a lungo le mie iridi nelle sue, non reggo a vederla così. Sapere quanto lei mi desidera in questo momento sta mettendo a dura prova le mie doti sessuali. Mi sento regredito ai miei quindici anni.
Faccio scivolare l'indice lungo il suo busto fino a raggiungere il suo monte di Venere. Le stuzzico il clitoride lentamente. Più la tocco piano e più i suoi ansimi crescono.
Il mio cazzo rischia di bucare la tuta, o peggio, rischio di venire nelle mutande solo a guardarla succube dei miei tocchi. Eva mi capisce al volo e con entrambe le mani mi abbassa i pantaloni, liberandomi da quella stretta infernale. Guarda il mio sesso con lussuria, un'espressione che non credevo fino a ieri di poter vedere sul suo volto d'angioletto. Faccio scivolare il mio indice dentro di lei. Dentro e poi fuori, dentro e di nuovo fuori. Quando la vedo portare gli occhi all'indietro e inarcare sempre più la schiena come fosse indiavolata, mi fermo. Lecco il dito, assaporando ogni sfumatura di lei. Il suo busto si alza e abbassa freneticamente.
Poi però succede qualcosa, è un lampo breve, ma lo percepisco.
Qualcosa sul suo volto cambia. Respirare per lei sembra essere più difficile di quanto non lo sia mai stato prima d'ora. Porta una mano sul cuore e l'altra sul volto. Sta andando in iperventilazione e non ne capisco il motivo.
Ho fatto qualcosa di sbagliato?
«Eva tutto bene?».
Annuisce con finta convinzione, ma io vedo come i suoi occhi si stiano riempiendo di lacrime.
«Oph è solo sesso, te lo giuro... se non vuoi più farlo va bene. Se hai paura che qualcosa tra noi cambi, ti ho dato la mia parola, alla Usc sarà tutto come prima» cerco di infonderle coraggio e di rassicurarla. Se ho capito qualcosa di lei è che il suo più grande demone è lei stessa. È prigioniera della sua mente e a quanto pare non riesce a rilassarsi neanche durante il sesso. Posso solo immaginare quanti pensieri le si stiano accavallando nella testa.
Siamo diversi in questo, io nel sesso ho trovato la mia oasi felice, il mondo cessa di esistere quando lo faccio, lei invece neanche in un momento simile riesce a trovare una via di scampo da se stessa.
«Vado un attimo in bagno, aspettami» annuncia con voce improvvisamente sicura, forse anche un po' fredda. È come se si fosse risvegliata soltanto adesso, ma non fosse più la stessa.
Scende dal bancone e completamente nuda corre verso la porta del bagno.
Io nel frattempo mi sono liberato dei pantaloni e dei boxer che mi stringevano le caviglie, rimanendo completamente svestito. Ho il timore però che quando lei uscirà non avrà più intenzione di continuare.
Resta lì dentro per cinque minuti circa ma, quando rientra in cucina, è molto più tranquilla.
Adesso la situazione si è ribaltata e sono io quello seduto sul marmo freddo dell'isola.
«Tutto bene?» le chiedo preoccupato. I suoi repentini cambiamenti d'umore un po' mi spaventano. Non capisco cosa le stia passando esattamente per la mente.
«Sì, adesso possiamo fare sesso» pronuncia con apatia, mentre si aggrappa al mio corpo per salire anche lei sul piano d'appoggio dove siedo io.
Apre le gambe e si sistema perfettamente sopra il mio pene.
Lo prende in mano e lo posiziona tra le sue pieghe. Si abbassa lentamente fino a farlo entrare tutto dentro di lei.
È da questo momento in poi che non la riconosco più. Non è la stessa Eva con la quale sono stato a letto ieri.
Ora è lei a possedere me, nel vero senso della parola.
Si alza e si abbassa su di me così velocemente che a stento riesco a reggerne il ritmo, è un uragano di forza. Un gemito sommesso abbandona la mia bocca, mentre lei continua a dominare totalmente la situazione.
«Oph se continui così» reprimo un ansimo «verrò in quattro secondi» provo a prenderle la mano per stringerla come avevo fatto ieri notte per tutta la durata del nostro rapporto. Un gesto semplice, ma al tempo stesso pregno di significato. Lei però la rifiuta, continuando a farsi forza con le gambe per proseguire con il suo ritmo sfrenato.
«Shh» mette l'indice sulla mia bocca «sto per venire» sussurra con voce gutturale, mentre non sembra disposta a rallentare. Comincia a fare dei piccoli cerchi con il bacino per riuscire a darsi più piacere.
Geme senza ritegno sopra di me. La sento tremare. Il mio sesso si bagna sempre più dei suoi umori, segno che ha appena collezionato un altro orgasmo. Quando la vedo così non resisto più e, se fino a questo momento mi ero trattenuto, decido finalmente di liberarmi.
Ancora una volta lo faccio dentro di lei.
Non sono abituato a farmi scopare, di solito sono io a farlo, ma devo ammettere che il risultato è egualmente appagante. Anche se sono certo che con lei qualsiasi modo sia sublime.
Ci sdraiamo sul divano, entrambi sazi.
Mi volto verso di lei, sfiorandole il naso con il mio. Le do un bacio che però lei ricambia in modo rapido, concedendomi soltanto di sfiorare a stampo le sue labbra. Si volta sulla schiena portando insieme a lei nella rotazione il mio braccio destro, che le fa praticamente da coperta.
Ci riaddormentiamo così, abbracciati e completamente nudi.
***
Eva, da quando ci siamo svegliati, non ha più detto una parola. Mi ha aiutato in silenzio a mettere in ordine la cucina e a lavare i piatti. Ha rindossato la mia camicia raccogliendola dal pavimento e si è data una sistemata guardandosi nel metallo luccicante del frigorifero.
Le ho chiesto più volte se fosse tutto ok durante il tragitto per tornare a Malibu e lei ha sempre annuito sorridendo.
Arrivati davanti al cancello della villa, mi è venuto da vomitare a guardare la Aston Martin di mio padre parcheggiata nel vialetto.
Non solo perché mi ero scordato della sua presenza, ma anche perché mi sono ricordato in quel momento di aver abbandonato la BMW di mia madre davanti al Porter.
Non ho proprio voglia di sentirmi fare una predica... Spero vivamente ci abbiano pensato i miei fratelli a recuperarla, perché altrimenti non credo che la ritroveremo mai più, visto il quartiere in cui l'ho lasciata per tutta la notte.
Posso tirare un sospiro di sollievo solo quando, sceso dalla mia auto, riesco a intravedere la carrozzeria di quella di mia madre nel garage semi aperto.
Almeno questa ramanzina inutile dovrei essermela risparmiata, chissà quante altre me ne aspettano però.
Decido di affrontare di petto il problema, perciò invece che salire dalle scale esterne che porterebbero direttamente all'ingresso del piano superiore, faccio segno a Eva di entrare dal basso, lì dove sicuramente troveremo Jack a bere il suo drink pomeridiano.
Le mie previsioni sono esatte, neanche oltrepassiamo la soglia che ci troviamo davanti a un disgustoso quadretto. Tutti e quattro lì, seduti sul divano. Ognuno con un cocktail in mano, ma tutti immersi in un silenzio tombale che può solo significare una cosa: incapacità di relazionarsi.
La prima a vederci è Rose, ma nessuna ruga le solca il viso.
Preoccupazione? Nessuna. Stupore? Nessuno. Ansia? Nessuna. Pentimento? Nessuno.
Chissà come fa a non provare mai nulla.
Accanto a lei Mora. Appena si accorge di me balza in piedi, correndomi incontro per poi abbracciarmi. Stringe così forte da provocarmi dolore ai muscoli. È piccola di statura, ma quando vuole, sa essere molto più forte di me, sia fisicamente ma soprattutto mentalmente.
JJ la segue a ruota dandomi una pacca sulla spalla, altrettanto dolorosa della stretta di Jaimie. Gliela ricambio subito cercando di fargli - se è possibile - più male di quanto ne abbia fatto a me.
Mio padre, sorpreso, ruota il capo nella nostra direzione.
Almeno lui prova qualcosa, è già un inizio.
«Ciao James» gli esce come un soffio appena percettibile dalle labbra.
«Ciao papà» gli rispondo, guardando Rose negli occhi.
Lei sbatte le palpebre lentamente, mettendosi successivamente in riga. Schiena dritta, petto in fuori, testa alta. Non la scalfisce nulla. Magari fossi in grado di farle almeno un po' del male che lei ha fatto a me negli anni.
«Salve signor Cook» dalle mie spalle la vocina di Eva giunge imbarazzata alle orecchie di mio padre. Lui si piega leggermente per poterla guardare oltre le mie spalle.
«Ciao, tu devi essere Eva. Grazie per avercelo riportato sano e salvo, non ci avrei scommesso un dollaro e invece...» ecco quella puntina di sarcasmo che subito mi fa pentire di averlo chiamato papà. Ah Jack, io ci provo, ma tu non mi rendi le cose semplici. Tua moglie ti ha istruito fin troppo bene.
«Eva, vuoi qualcosa da bere?» mia madre le rivolge un'occhiata di disprezzo. E questo mi fa essere tremendamente felice, se lei non le piace, diventa automaticamente la ragazza perfetta per me.
«No, non bevo... la ringrazio» fa un passo avanti e si posiziona al mio fianco. Mi guarda per la prima volta dopo il sesso con lo stesso sguardo della sera prima. Avvicina la sua mano alla mia e con il mignolo me la sfiora leggermente, come a volermi infondere un po' di sicurezza.
Mi rilasso immediatamente, se lei è con me, ce la posso fare... o almeno spero.
«James possiamo parlare un attimo?» Jack si alza e si avvia verso il suo studio, senza aspettare una mia risposta affermativa. È un ordine e io purtroppo non sono nella posizione di contravvenire a ciò che mi chiede.
Lo seguo in silenzio.
Prendo posto sulla sedia di fronte alla sua scrivania, sentendomi quasi come il candidato con poca esperienza presentatosi ad un colloquio di lavoro.
«Lo so che tua madre è stata dura, Jaimie mi ha detto quello che è successo ieri e perché te ne sei andato, ma vorrei ricordarti che nessuno ti ha mai realmente incolpato per ciò che è successo. Non scorre buon sangue tra voi due, e neanche tra noi a dir la verità ma, vista l'ostilità che percepisco in questo frangente, ti chiedo di essere indulgente almeno fino a domani. Ho invitato-».
«Jack mi stai chiedendo di fare il bravo per non metterti in imbarazzo davanti agli ospiti? Dillo chiaramente se è così, evito volentieri la parte in cui fingi di volermi bene, veniamo al sodo».
Scuote la testa con rammarico.
«Se non ti volessi bene non avrei fatto tutto quello che ho fatto per te, e lo sai. Mi sono umiliato con il rettore per salvare il tuo posto alla Usc, in cambio ti chiedo soltanto di trattarci in maniera rispettosa e di non fare scenate! Per quanto riguarda la cena del Ringraziamento ho invitato Smith con la sua famiglia e il generale, Maurine, Katrina ed Elizabeth, volevo soltanto avvisarti prima, visti i trascorsi tra te e gli Allen. Solo questo figliolo, nient'altro».
«Perché l'hai fatto? Suo padre mi odia e poi sai che tra noi non è finita bene... sarà un cazzo di incubo».
«Dobbiamo siglare un accordo per l'ingresso di Katrina nella società. James sono affari, un giorno quello che ho costruito sarà anche tuo e i capitali degli Allen sono troppo importanti se vogliamo espanderci in Europa, non posso pensare di mandare all'aria una cosa così importante per la tua ex fidanzatina del liceo. Sorridi sempre e non rispondere alle sue provocazioni» si alza dalla poltrona in pelle e mi raggiunge dandomi una pacca sulla spalla. Esce dallo studio lasciandomi da solo.
Se prima pensavo che con Eva al mio fianco non avrei commesso errori, adesso le possibilità che io faccia qualche cazzata si sono alzate drasticamente.
Mio padre mi ha dato così tanto sui nervi che, per digerire tutto questo, sono costretto a prendere il cellulare e digitare un numero a memoria. Neanche la mia Ophelia in queste situazioni sembra essere abbastanza.
Tre squilli e poi...
«Ciao, mi chiedevo quando mi avresti chiamata. Sei scomparso!» il suo accento irlandese è ancora più marcato al telefono.
«Ciao Virginia, ti va di andare a un incontro insieme o non so, di vederci?».
«Thomas non posso, lo sai. Ti metto in vivavoce mentre riempio il tacchino e mi racconti tutto quello che ti preoccupa... ma muovermi da qui adesso mi è impossibile» la sento armeggiare tra diversi utensili.
«Spero sia molto grande questo tacchino allora, credo di averne combinate un po' troppe».
Sospira.
«Fai da sponsor a questo povero ragazzo, diceva Martin, è così tranquillo, sarà una passeggiata...» imita la voce del nostro supervisore, tappandosi il naso.
«Ammetti che in fondo mi vuoi bene!» pronuncio con tono offeso.
«Un pochino... ma smettila di perdere tempo, vai al dunque» mi sgrida come solo lei sa fare.
«Ho litigato con mia madre perché mi ha chiesto di non essere presente all'arrivo di Rebecca e Levi-».
«Oh cazzo... loro sono?» mi interrompe. Lo sa perfettamente cosa è accaduto tra noi, anzi è solo grazie a lei se ho trovato il coraggio di confessarlo durante una delle riunioni degli AA.
«Sì, sono loro. Ma questo non è tutto. Il meglio deve ancora venire, io e Ophelia...»
Spazio autrice:
Questa conversazione si interrompe per voi,
non vogliamo scoprire tutto ascoltando i segreti che Jay racconta al suo sponsor...
Sarebbe troppo semplice così, aspettiamo che sia lui ad aprirsi con noi.
3/5
Ci sono teorie riguardo il passato di Jay? Box domande su Instagram in arrivo.
Approfitto come sempre di questo spazio per ringraziarvi. In particolare il mio pensiero oggi va a una ragazza che mi ha scritto in privato qualche giorno fa. Spero tu mi stia leggendo, non sai quanta gioia mi hai regalato con quel messaggio. Ricordatevi che non siete soli e che io per voi ci sarò sempre.
Non dimenticatevi di mettere in alto a destra (o in basso, dipende da quale dispositivo state usando) una stellina per sostenere me e TAOBA.
Grazie perché siete ancora qui,
Non mi abbandonate🥀,
Matilde.
Ps. seguitemi sui vari social, credo che spoilererò un po' di cose su Tik Tok😂
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