Capitolo 28 - «Vuoto riempito»
«Ciò che il desiderio vuol essere è un vuoto riempito,
ma che dà la forma a ciò che lo riempie,
come uno stampo dà forma al bronzo che gli cola dentro».
J. P. Sartre, L'essere e il nulla.
🔞
Per la strada sfioro qualcosa come una trentina di incidenti. Non sono abituata a guidare in zone come queste, infatti, da quando sono negli USA, il massimo spostamento che ho fatto in auto è stato quello dai dormitori alla confraternita, non sono mai andata oltre.
Alla fine, piuttosto inaspettatamente, sono giunta sana e salva davanti al Porter.
L'insegna luminosa è mezza fulminata e ciò che si legge è soltanto Poer.
L'auto di Jay è parcheggiata proprio davanti all'ingresso. Sono certa che sia proprio la sua, perché nessun uomo sano di mente porterebbe una Porsche in questo quartiere.
In realtà, mi sorprende che lui abbia scelto come luogo proprio questo, con tutti i soldi che ha potrebbe bere i migliori liquori della California e invece viene qui, in questo posto che, almeno dall'esterno, mi dà l'idea idea che la bevanda più buona che vi si possa trovare sia la Vodka Keglevich alla pesca.
Entro un po' titubante, attirando gli sguardi di tutti i presenti a causa del cigolio fastidioso della porta d'ingresso. Un gruppo di ragazzi intenti a giocare a biliardo si ferma per osservarmi. Menomale che indosso soltanto un vestito semplice a fiori, un cardigan e le converse; non oso immaginare come si sia sentita Beth, con i suoi outfit esagerati, a venire a recuperarlo qui più di una volta.
Mi avvicino al bancone, cercandolo disperatamente con lo sguardo, ma di lui nessuna traccia. Decido a questo punto di chiedere al barista, con la speranza che lui sappia dirmi di più.
«Mi scusi, per caso sa dov'è Jay Cook?» gli domando con voce rauca, cercando di schiarirmela il più possibile per farmi udire meglio, visto il volume della musica.
«Cazzo, chissà perché ogni volta che Jay è qui compare qualche bella signorina che lo cerca» sogghigna, mostrandomi la dentatura ingiallita alla quale manca anche qualche dente.
«Comunque tesoro è nell'altra parte del locale, nell'area fumatori» mi indica una porta rossa e io, senza rifletterci, la oltrepasso immediatamente.
L'aria è pesante, la stanza è completamente piena di fumo e c'è molta meno gente.
Finalmente scorgo Jay a testa china su un tavolino. Mi avvicino a lui lentamente, cercando di pensare a cosa dirgli. In effetti, sono partita così velocemente alla sua ricerca, da non aver neanche riflettuto su cosa gli avrei detto una volta trovato.
Davanti a lui c'è uno shottino ancora pieno fino all'orlo. Tiene entrambe le mani intorno alla testa e il volto schiacciato sulla superficie sporca. Nella mano destra stringe una sigaretta quasi del tutto consumata. Il filtro sta praticamente ancora bruciando tra le sue mani, ma a lui non sembra importare.
«Ehi» mi siedo accanto a lui su uno dei sudici sgabelli del bar.
«Come mi hai trovato?» risponde senza alzare il volto, rimanendo nella stessa posizione.
«Sei tu che mi hai parlato di questo posto, quindi ti sei fregato con le tue stesse mani» constato, cercando di non utilizzare una voce che sembri troppo preoccupata. Non so se ha bevuto, ma credo che la scelta migliore in questo momento sia quella di non attaccarlo.
«Touché» alza la testa e finalmente mi guarda. I suoi occhi color oceano sono arrossati, ha pianto di sicuro, ma non riesco a capire se abbia fatto anche altro.
«Hai bevuto o come nelle commedie romantiche sono arrivata in tempo per salvarti?» ironizzo.
«Sei arrivata in tempo, ma dubito che mi salverai. Ormai questo bicchiere lo berrò, devo solo trovare il coraggio, ma lo farò, ne ho bisogno» sembra stia parlando più con se stesso che con me.
«Sei sicuro che non puoi scoparti la cameriera invece? Non è male, l'ho vista entrando, avrà una sessantina d'anni, però, mi sembra ancora piacente» provo a scherzare e devo ammettere che funziona, perché anche a lui scappa una risata.
«Oph, lo apprezzo, ma non c'è molto che tu possa fare qui... torna a casa, tra poco sarò ubriaco e non posso permettermi che qualcuno ti tocchi, non risponderei delle mie azioni o peggio non sarei in grado di proteggerti» appoggia una mano sulla mia, facendomi poi segno con lo sguardo, indicandomi la porta.
«Quindi hai deciso che berrai? Se è la tua scelta definitiva perché non lo hai ancora fatto?» cerco di provocarlo, sperando di ottenere una reazione positiva.
Allunga il braccio verso il bicchiere, lo afferra, portandoselo alla bocca.
«No cazzo, aspetta. Facciamo un gioco, tu adori i giochi, giusto?» cerco di improvvisare presa dal panico.
«Se è sessuale sì, altrimenti no» il bicchiere resta sulle sue labbra, un po' di liquido gliele bagna.
Prendo dalla borsa il mio flacone di pillole, lo appoggio sul bancone e lui lo guarda con fare interrogativo.
«Ogni shot che bevi, ne prendo una. Solo che... forse dovrei informarti del fatto che ne ho prese già tre e chi me le vende si è sempre raccomandato di prenderne al massimo due al giorno. Che dici, potremmo scoprire insieme cosa accade se arrivo a quattro? Non l'ho mai fatto».
«Tu sei completamente pazza» appoggia nuovamente il bicchiere sulla superficie. Dalla sua espressione mi sembra si stia arrendendo ancor prima di iniziare a giocare...
...ma che peccato, non me lo aspettavo proprio, no-no.
Ah Jay, ti conosco come le mie tasche!
«Allora facciamo così, se proprio non riesci a resistere, ti concedo una mia pillola. Secondo me, non avendone mai presa, una ti stenderà» le agito davanti ai suoi occhi.
«Che roba è?» chiede, osservando il flacone completamente bianco, senza nessuna etichetta.
«Non ne ho la più pallida idea» gli rispondo sinceramente, non lo so davvero cosa siano.
«Cioè tu prendi quantità industriali di queste medicine e non sai nemmeno cosa sono? E se fosse droga?» mi guarda sconvolto.
«Questo farebbe di me una drogata» ridacchio «non lo so, Gabri dice che sono benzodiazepine in quantità che stenderebbero un cavallo, io non le ho mai chiesto niente di più. Le prendo e basta» scrollo le spalle. So benissimo di essere irresponsabile ma, se avessi avuto una qualsiasi altra soluzione per stare meglio, non mi sarei mai ridotta cosi.
«E poi l'incosciente sarei io?» si rivolge a me piuttosto alterato.
«Non ho mai detto di essere una ragazza con la testa sulle spalle, altrimenti non farei questo» prendo il bicchiere da cui lui stava per bere precedentemente e ne ingerisco tutto il liquido. Pizzica nella gola e non ho idea di cosa sia, ma stasera ho improvvisamente voglia di oltrepassare i limiti.
«Cazzo, confermo, sei proprio un'incosciente» mi strappa il bicchierino da mano, infastidito dal mio atteggiamento.
«Allora la vuoi?» gli sventolo ancora una volta il flacone davanti al viso.
«Ma chi sei il diavolo tentatore? No, non posso. Ho già fumato un po' d'erba, non è il caso di esagerare... soprattutto ora che ho una drogata che tra cinque minuti sarà anche ubriaca da portare sana e salva a casa» mi guarda male.
Il mio Iphone comincia a vibrare, perciò lo estraggo immediatamente dalla tasca.
«Mora l'ho trovato! Sano, salvo e sobrio» urlo per farmi sentire, qui la musica è più bassa rispetto all'altra sala ma comunque fin troppo fastidiosa.
«Oddio che bella notizia» fa un sospiro di sollievo «grazie Ev, ti amo» anche lei alza la voce, ma non so se perché ci sia casino anche dov'è lei o semplicemente perché è entusiasta.
«Ti amo anche io» sghignazzo scioccamente «vedo cosa vuole fare il signorino e poi ti faccio sapere se torniamo a Malibu» la congedo rapidamente.
Attacco la chiamata e mi giro a guardarlo.
«Vuoi tornare dai tuoi, alla Usc o non so, dovunque tu voglia andare, ti accompagnerò... stasera ritieniti fortunato, di solito non riuscirei ad accompagnarti nemmeno a cinque minuti da qui, ma per come sto ora potremmo andare anche a New York» mi mordo il labbro inferiore, per poi sorridergli.
«No, tornare da loro non è un'opzione. A quest'ora sarà arrivato anche Jack, due genitori insieme non li reggo per stanotte. So dove andare però, seguimi» allunga la sua mano verso di me, pronto a guidarmi verso una nuova avventura, e io gliel'afferro senza indugiare.
Per questa notte sarei pronta a seguirlo in capo al mondo.
***
Jay ha guidato per circa una mezz'oretta verso una destinazione sconosciuta.
Siamo rimasti in silenzio per tutto il tragitto e, entrambi troppo concentrati sui nostri pensieri, abbiamo finto di ascoltare con interesse la musica trasmessa alla radio.
Abbiamo oltrepassato molti quartieri residenziali, finché non ho scorto un cartello in particolare: Addison St.
Solo in quel momento sono riuscita a capire dove realmente fossimo diretti. Mora ha un tatuaggio sulla spina dorsale che mi ha aiutata a orientarmi; si è fatta incidere sulla pelle a caratteri cubitali questo nome e il numero 16649. Nient'altro che l'indirizzo della casa in cui è cresciuta, l'unico luogo dove, a detta sua, sia mai stata felice.
Jay, quando siamo ormai quasi alla fine dell'isolato, imbocca un vialetto sul lato sinistro e una volta posteggiata l'auto, spegne il motore.
«Siamo arrivati, questa è casa mia» apre lo sportello e si catapulta all'esterno, accendendosi immediatamente una sigaretta.
La casa è molto più piccola rispetto alle altre villette a schiera che si ergono imponenti nel quartiere. Mi ricorda un po' una casa delle bambole, è a un solo piano e il bianco è il colore predominante, lo sono infatti sia le pareti esterne che la porta. C'è un piccolo giardinetto quasi completamente incolto. Non vi è rimasto infatti che terriccio e un unico roseto, i cui fiori sono anch'essi candidi.
Mentre aspetto che Jay finisca di fumare, mi guardo intorno curiosando qua e là, senza che ancora nessuno dei due proferisca parola. Mi ricordo poi di Mora, così le scrivo un messaggio, giusto per farle sapere dove siamo.
Eva:
Siamo a Encino. Non so se torniamo a Malibu più tardi, però è tutto ok, stai tranquilla.
Mora👯♀️:
L'importante è che non abbia fatto cazzate. Grazie Ev.
Ps. usate il preservativo👨👩👦.
Eva:
Fanculo😒
«Entriamo dai, stai tremando» si rivolge a me, cingendomi le spalle infreddolite con il suo braccio caldo e muscoloso.
Devo ammettere di essere un po' confusa per colpa del mix tra le medicine e il whiskey che ho bevuto. Stranamente ancora non mi viene da vomitare, né sono particolarmente ubriaca, come invece mi è successo altre volte, bevendo anche soltanto piccolissimi quantitativi di alcool. Forse le pillole stanno alzando così tanto i miei standard di perdita del controllo che potrei quasi iniziare a tollerare gli alcolici.
Entriamo all'interno dell'edificio e un po' mi emoziona il pensiero di visitare finalmente questo posto: l'unica vera casa dei Cook. C'è un fortissimo profumo di rose e di lavanda. Non me la immaginavo certamente così ordinata e pulita, soprattutto perché è da anni ormai che nessuno vive più qui.
La porta d'ingresso fa accedere a un minuscolo corridoio che porta alla cucina-salotto. Uno spazio di modeste dimensioni con un grande divano in pelle nera, un televisore un po' datato ma con uno schermo enorme e una grande libreria su tutta una parete.
Passandoci accanto noto qualche edizione dei classici della letteratura italiana. Prendo in mano a caso uno di questi tomi, trovandomi davanti alla copertina panna e arancione de il Fu Mattia Pascal. Mi lascio scappare una risata quando mi accorgo di che edizione è: 1997 in omaggio con Famiglia Cristiana. Potrei giurare che a casa mia ci sia lo stesso identico libro acquistato dalla mia carissima e religiosissima nonna.
«Volevi vedere la mia vera camera, ti ho accontentata» Jay mi fa strada in un corridoio stretto e lungo, mostrandomi sulla sinistra rispettivamente le camere dei nonni e di Jaimie e sulla destra la sua e quella di JJ. In fondo, affiancati l'uno all'altro, ci sono due bagni di piccole dimensioni, a detta sua uno per gli uomini e uno per le donne. Al piano interrato mi informa della presenza dello studio del nonno e di una sala giochi, che mi promette mi porterà a vedere più tardi.
Oltrepassando la soglia della sua camera, soltanto grazie all'odore che emana, comincio a percepire una sensazione di familiarità.
Adesso finalmente mi sembra di essere in uno spazio che grida Jay.
La stanza non è molto grande. C'è un letto matrimoniale affiancato sulla destra e sulla sinistra da due comodini, una scrivania e una libreria non molto spaziosa ma piena zeppa di libri incastrati sia in orizzontale che in verticale. Sul letto c'è una mensola su cui sono poggiati alcuni trofei e un paio di altri libri. L'armadio a muro è interamente ricoperto da poster dei giocatori della Usc e da un poster della squadra del liceo. Mi viene da ridere a osservare i volti dei Cook più giovani, di Mad con le treccine lunghe e anche di quella merda di Luke con un taglio di capelli improponibile.
Jay si sdraia sul letto, fa un respiro profondo, e poi si gira sulla pancia premendo il viso contro il cuscino.
«Adesso sì che sono a casa. Finalmente un letto che ha perfettamente la mia forma... quanto mi era mancato» la sua voce viene attutita dal lattice del cuscino, sebbene non la senta perfettamente, riesco comunque a riconoscerla molto più serena.
Tolgo le converse e mi posiziono sull'altro lato del letto.
Mi metto in ginocchio, spingendomi verso l'alto quel tanto che basta per osservare i premi sulla mensola e per guardare le copertine dei libri che vi sono appoggiati. Sembra che questi siano stati accuratamente selezionati per far parte di una sorta di Olimpo.
«Oph hai ancora la voce o sei diventata muta?» mi canzona.
«Scusami... sono un po' sovrappensiero... osservo qua e là» gli rispondo mentre a uno ad uno sfioro i trofei e mi soffermo sulle scritte e sulle date incise. Poi, il mio sguardo indugia su un libro in particolare: La Terra Desolata di T.S. Eliot. Sembra che sia stato letto talmente tante volte da avere la copertina consumata. Lo prendo in mano e apro una pagina a caso, tutta sottolineata e piena di appunti, a penna, matita, finanche con un evidenziatore giallo. Attirata ne leggo il contenuto ad alta voce:
Phlebas il Fenicio, morto da quindici giorni dimenticò il grido dei gabbiani, e il gorgo profondo del mare e il guadagno e la perdita. Una corrente sottomarina spolpò le sue ossa in sussurri. Mentre affiorava e affondava attraversò gli stati della maturità e della gioventù sprofondando nel vortice [...]
Jay si alza di scatto e mi strappa il libro dalle mani. Questo suo gesto improvviso mi fa sussultare per lo spavento e a causa di ciò il cuore prende a battermi all'impazzata.
Per un secondo mi sono rivista tra le braccia di Luke.
«Cazzo scusami, sono un idiota... è tutto ok, non volevo farti del male Oph» mi accarezza lentamente una guancia «è solo che hai preso il punto peggiore di tutto il libro, questa parte mi fa andare fuori di testa».
Mi schiarisco la voce, cercando di prendere un respiro profondo e far diminuire i battiti.
«Tranquillo, anzi scusami tu. Non ti va proprio di parlarne? E non dico soltanto di questo ovviamente, ma anche di quello che è successo con tua madre...» prendo una piccolissima pausa per convincermi a fargli una domanda precisa.
«Chi sono Rebecca e Levi?» è lecito voler sapere chi siano dopo aver assistito al litigio che hanno avuto poco fa lui e Rose, proprio dopo che quest'ultima li aveva nominati.
«Lo so che dovrei parlartene, soprattutto dopo la scenata di prima... ma io davvero, non riesco a raccontarlo a nessuno. Credo sia senza dubbio il trauma più grave che io abbia vissuto in tutta la mia vita. Si tratta di un avvenimento a cui non riesco neppure a pensare. La famiglia Reinhardt è molto importante per Rose, quasi più di quanto non lo sia mai stata la nostra. Rebecca è l'unico affetto del suo passato che le è rimasto, ha tagliato i ponti con tutti in Italia; a stento so chi siano i miei nonni, di mio zio a volte fatico a ricordare il nome... però, Bec c'è sempre stata, le è rimasta accanto in ogni momento importante ed è stato grazie a mia madre se lei e Levi si sono messi insieme. Io ho rischiato di rovinare un'amicizia che dura da tutta la vita e Rose in cuor suo non me lo perdonerà mai. Credo sia per questo che non mi sopporta e che è tanto ostile con me, molto di più di quanto non lo sia mai stata con i miei fratelli. Con JJ ad esempio, da quando si è ritrasferita a LA ha provato a intessere un rapporto, ma con me mai, non ha fatto un tentativo nemmeno dopo l'incidente, sapendo quanto io stessi soffrendo» si asciuga con il dorso della mano una lacrima che gli riga lo zigomo.
«Non voglio forzarti, ma credo ti farebbe bene sfogarti e parlarne con qualcuno... anche se è difficile, dovresti provare a toglierti questo peso».
«Smetto di respirare al solo pensiero di ricordare quello che è accaduto. L'ho seppellito dentro di me per sempre e non sono davvero pronto a tirarlo fuori. Scusami Oph, ma non ci riesco».
«Ok, quando sarai pronto se vorrai, io ci sarò... non è necessario farlo adesso» mi avvicino a lui e lo abbraccio, facendo aderire perfettamente il mio corpo al suo, poggiando la testa nell'incavo della sua spalla. Il suo inconfondibile profumo di fiori misto a fumo mi riempie le narici. Lui allo stesso modo respira a fondo tra i miei capelli. Sento perfettamente il suo cuore cominciare a pompare freneticamente nel petto. Credo che il mio stia facendo la stessa identica cosa, a un ritmo forse ancora più folle del suo.
«Jay, ti ricordi che abbiamo promesso che saremmo stati soltanto amici?».
Asserisce con uno strano suono attutito tra i miei capelli.
«Ehm... forse non è il caso che due semplici amici stiano così vicini in un momento simile» se non ci stacchiamo immediatamente potrei fare qualche mossa azzardata.
Mi prende il volto con una mano e lo porta perfettamente in asse con il suo. Ci guardiamo negli occhi. Sono così vicina a lui da riuscire a sentire il suo respiro irregolare solleticarmi la pelle.
«Sono così distrutto in questo momento che non riesco più a pensare lucidamente... credo sia giusto avvertirti che non sarò capace di controllarmi ancora per molto... tra pochi secondi ti bacerò e se tu non vuoi che lo faccia, ti prego alzati adesso. Lasciami nudo senza le tue braccia e vai a dormire in camera di Mora, lo capirò e domani faremo finta di niente. Ma se anche tu per qualche ragione lo vuoi, resta. Proviamo a curare per una sola notte le nostre anime spezzate insieme. Non cambierà niente tra noi quando usciremo da questa casa, saremo amici come ci siamo promessi, tu mangerai tapas con l'iberico e io continuerò a scoparmi l'intera Usc, ma ora, ti prego Oph, aiutami a non pensare. Potrei impazzire da un momento all'altro e accontentarmi di bere anche il collutorio scaduto di nonno James» gli metto l'incide sulle labbra per farlo tacere.
È bastata la sua supplica a farmi trovare finalmente il coraggio di cui avevo bisogno.
Sarà solo per questa notte e nulla di più.
Regalati un momento di felicità Eva, prenditi per una volta quello che vuoi, senza pensare alle conseguenze...
Avvicino ancor di più il mio viso al suo, facendo sfiorare i nostri nasi.
Continuo a tenere gli occhi aperti e lui fa lo stesso. Mi stringe una mano, intrecciando le nostre dita come in un incastro di pezzi di un puzzle perfetti. E non me la lascia, neanche per un istante. Nemmeno quando comincia a baciarmi partendo dal mento, le guance, la fronte, la punta del naso, prendendosi ogni centimetro della pelle del mio volto. Senza tralasciare nulla, neppure l'angolo dei miei occhi.
Dopo aver assaporato ogni piccola parte, ne resta soltanto una, e io, percorsa da mille brividi diversi, localizzati per lo più all'altezza dell'inguine, asserisco silente. Così, lui si avvicina deciso alle mie labbra, appoggiando su di esse le sue.
Le bacia castamente, seguendone perfettamente i contorni. Successivamente schiude la bocca inumidendosi prima le labbra con la lingua e poi, attraverso di essa, chiedendomi l'accesso con un piccolo movimento.
Quando glielo concedo un forte sapore di fumo si irradia nella mia bocca, mischiandosi al sapore dell'alcool che fino a questo momento aveva padroneggiato sulle mie papille gustative.
Le nostre lingue si intrecciano, l'una sull'altra in un ritmo sempre più cadenzato, fino a giungere a diventare una sola. L'una dentro l'altra. Il respiro si mozza e il cuore comincia a battere freneticamente nel petto. Faccio una leggera pressione tra le gambe per lenire un po' il dolore che sto provando, la voglia di perdermi in lui è tale da provocarmi un desiderio di piacere così forte da trasformarsi in sofferenza.
Lui struscia la sua erezione sulle mie gambe, facendomi desiderare ancora di più di accoglierlo dentro di me. Con la mano libera comincia a palparmi prima il sedere e poi, risalendo lungo la spina dorsale, agguanta uno dei miei seni.
Non ci stacchiamo dal bacio finché le labbra non sono gonfie e doloranti, e la necessità di prendere un respiro profondo non diventa imperante per entrambi. Solo in quel breve istante Jay lascia momentaneamente la mia mano e mi sfila lentamente il vestito.
Anche io, approfittando dell'uso di entrambe le mani, mi libero della sua maglietta, aprendo poi anche la zip dei suoi jeans e cercando con difficoltà di sfilarglieli. Mi aiuta nell'impresa, rimanendo poco dopo soltanto con i boxer.
Le sue mutande sono chiaramente in difficoltà, non riescono più a contenere interamente la sua voglia di avermi. Mi guarda squadrandomi dalla testa ai piedi, volendo registrare ogni millimetro del mio corpo. Si riavvicina strusciandosi nuovamente su di me, questa volta posizionando perfettamente il suo organo coperto dal tessuto sul mio, celato allo stesso modo dal pizzo delle mutandine. Con un movimento rapido, come se fosse abituato a farlo - e mio malgrado è davvero così - slaccia il gancetto del reggiseno, permettendo finalmente al mio seno di guizzare libero davanti ai suoi occhi.
Riporta la sua mano nel suo posto naturale, lì, tra le mie dita. Sembrano plasmate per essere la perfetta metà che si ricompone in un intero solo grazie a questo gesto.
Abbassa il capo per cercare i miei capezzoli e li assaggia, prima uno e poi l'altro. La sua bocca è dapprima gentile, poi sempre più famelica. Li succhia, li morde e li brandisce come fossero il pasto di un affamato. La stessa sorte tocca poi a tutto il mio corpo. Scende lentamente leccandomi il ventre, indugiando sull'ombelico e finalmente concentrandosi sul mio punto più desideroso. Lecca le mie parti intime facendosi spazio tra le pieghe del pizzo. Il tocco arriva alle mie terminazioni nervose come se fosse attutito, ma solo questo, anche se apparentemente poco, basterebbe a farmi esplodere.
Non so da quanto non provo tutto questo, non sento questo fuoco che si impossessa di me. Resto ferma sopraffatta dalle mie emozioni, lasciandomi toccare e lambire come fossi una bambola.
Jay mi stringe la mano ancora più forte, dimostrandomi con questo gesto quanto di dolce ci sia in un atto che appare così lussurioso.
Mi sfila le mutandine con i denti. Se potesse sono certa che me le strapperebbe a morsi. Con i piedi decido di fare lo stesso con i suoi boxer, applicandovi una leggera pressione con le piante, cercando di fare un movimento che sia minimamente sensuale. Riesco, dopo pochissimo, a farli scivolare, permettendo finalmente ai miei occhi di vedere l'oggetto più segreto dei miei desideri. Lo sfioro con le dita, mentre lui risponde al mio gioco con uno sguardo carico di passione.
Si abbassa poi al livello del mio inguine e, dopo aver baciato il monte di venere, indugia scendendo sempre più in basso, fino a incontrare il mio clitoride. Lo lecca prima lentamente e poi pian piano con maggiore voracità. Dandogli dei colpi con la punta della lingua e portandomi con le sue azioni a serrare le gambe per trovare un rimedio alle emozioni forti che sto provando.
«Lasciati andare» sussurra con voce gutturale e con le mani mi allarga le gambe, imponendomi di lasciarle aperte, senza più dover cercare riparo alle mie sensazioni tenendole chiuse.
Gli stringo la mano così forte che mi sembra possibile che gli si frantumino le ossa a causa del mio tocco.
Sospiri misti ad ansimi lasciano la mia bocca incontrollati. La vista comincia ad annebbiarsi. Non sento più le gambe. Raggiungo l'apice in fretta, mentre lui continua imperterrito nelle sue azioni.
Non mi ricordo più chi sono, dove sono o cosa stia accadendo. Provo solo un brivido fortissimo che mi percorre da capo a piedi, facendomi vibrare la spina dorsale.
Abbandono gli arti molli lungo il corpo, affievolendo anche la mia presa sulla mano di Jay. Lui si alza da quella posizione con un ghigno soddisfatto che gli orna la faccia, pulendosi poi un rivolo di saliva, misto a solo Dio sa cosa, che gli scende dalle labbra.
«Non ho preservativi» annuncia con la voce rauca, spezzando il silenzio che precedentemente era smorzato soltanto dal mio respiro pesante.
«Prendo la pillola, non preoccuparti» è l'unica cosa che riesco a dire dopo essermi schiarita la voce, perché subito dopo mi agguanta facendomi perdere nuovamente in lui e nei suoi baci.
Si posiziona tra le mie gambe, facendo aderire perfettamente la punta del suo sesso all'apertura del mio. Spinge lievemente e, senza fatica, entra dentro di me. Mi riempie, ma non come un pene banalmente farebbe con una vagina, no, c'è qualcosa di molto più profondo in questo e quella mano che continua a essere legata indissolubilmente alla mia ne è la testimonianza.
Non è il suo organo a riempire me, ma sono io a dare la forma a ciò che in questo momento mi riempie.
Jay comincia a muoversi ritmicamente dentro di me, affondando sempre di più al mio interno. Ogni colpo siamo sempre più l'uno dentro l'altro. Uniti da qualcosa che, almeno in questo frangente, sembra non potersi spezzare mai.
Il suo respiro diventa sempre più ansante man mano le spinte si fanno più intense. Su e giù, dentro e fuori. Non esistono più il tempo e lo spazio. Ancora una volta siamo catapultati in un luogo solo nostro, in un mondo abitato solo da noi due, dove esistiamo solo noi e la felicità di questo istante.
Le mie terminazioni nervose, al pari di quelle di Jay, non riescono più a trattenersi, così nella sua ultima spinta anche io mi abbandono. I miei liquidi si mischiano ai suoi, in un mix perfetto di emozioni. Lui si appoggia al mio petto appagato, con il cuore che sembra esplodergli a contatto con il mio altrettanto agitato.
Mi resta dentro per qualche altro minuto che passiamo in silenzio a cercare di regolare il respiro e i battiti. La mano resta ancora lì, ancorata alla mia ormai madida di sudore, così come tutto il mio corpo.
I suoi capelli biondi sono completamente zuppi e gli ornano la fronte in maniera disordinata, le pupille sono dilatate e la bocca è inumidita e gonfia.
Fisso questa immagine nella mia mente cosicché possa esistere per sempre in un piccolo spazio segreto dentro di me.
Come farò a fare a meno di questa visione, ad accettare che tutto questo sia esistito solo in questo momento, in quest'isola felice, a Encino, nella sua casa d'infanzia e in nessun altro posto.
Non c'è più il ricordo di mia madre, degli attacchi di panico, dell'impossibilità di fallire e dell'incapacità al tempo stesso di farcela, il mio non essere che si mischia al mio non potere, le pillole come un'oasi nel deserto ricolme di acqua avvelenata... non è esistito altro se non noi...
Ma ora che l'ho provato, che ho sentito come si sta senza, tutto quello che in quegli istanti era stato cancellato si abbatte su di me come un macigno pesante.
Adesso sembra che io sia capace ancora meglio di ricordarmi di tutto quello che mi opprime, e il peso dei miei problemi sembra essere aumentato.
Per tutta la vita un'incudine non ti permette di respirare e ti abitui di conseguenza a farlo in maniera irregolare. Poi tutto d'un tratto, un giorno sei libero, prendi aria, incanali quanto più ossigeno puoi, ma poi eccolo lì, quel macigno ricade... e allora, che fai?
Come sopravvivrai adesso, sapendo com'è respirare davvero?
«Non mi lasciare Oph, resta con me. Non ascoltare le voci nella tua testa, lascia perdere tutto, fallo almeno per questa notte. Siamo liberi dalle nostre catene. Domani sono certo che ci stringeranno più forte, ma almeno per adesso godiamoci tutto questo» mi sussurra con voce roca all'orecchio.
Le sue parole dolci mi aiutano, mi convincono ad approfittarmi ancora per un po' dell'aria che mi riempie i polmoni... finché non sorgerà il sole e un nuovo giorno si affaccerà, continuerò a respirare e non mi importerà di cosa significherà in futuro non farlo più.
Siamo soli; siamo nudi l'uno davanti all'altro, sia all'esterno che all'interno; adesso ci desideriamo e fin quando potremo, avremo l'uno il corpo dell'altro in cui perderci.
Ed è in questo preciso momento che decidiamo, con le mani strette ancora in quell'incastro perfetto, di passare la notte così:
Come due vuoti riempiti.
Spazio autrice:
Ma che caldo che fa... mi sembra proprio di essere a Rio de Janeiro😂
Non ho molto da dire su questo capitolo... spero sarete voi a parlare per me...
E non è finita qua...
Riusciranno a far fede alla loro promessa? Oppure stipuleranno un nuovo patto?
Non vi resta che rimanere connessi e aspettare a lunedì prossimo per sapere cosa accadrà.
2/5.
Aprirò un box domande su Instagram se a qualcuno va di commentare o fare delle osservazioni. Vi ricordo come sempre di seguirmi sui vari social e di rimanere connessi.
Non sapete quanto tutto questo stia contando per me e sapere che siamo sempre più numerosi nella crew di TAOBA mi rende troppo felice,
Non mi abbandonate🥀,
Matilde.
Ps. Chiedo scusa a Sartre ma l'immagine del vuoto riempito che dà la forma a ciò che lo riempie era troppo azzeccata per non usarla😂
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