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Capitolo 11- La prima di campionato


"You shout it out,

But I can't hear a word you say

I'm talking loud not saying much

I'm criticized but all your bullets ricochet

You shot me down, but I get up

I'm bulletproof, nothing to lose

Fire away, fire away

Ricochet, you take your aim

Fire away, fire away

You shot me down but I won't fall

I am titanium

You shot me down but I won't fall

I am titanium"

🥀

Le parole di Luke hanno continuato a risuonare nella mia testa per tutta la notte.

Non ho chiuso occhio, girandomi e rigirandomi tra le coperte.

Eva tu non sei niente senza quelle pillole ha pronunciato senza alcun tipo di rimorso, e io questa notte ho cominciato a credere che avesse ragione.

Un paio di anni fa, la mia ansia mi aveva talmente tanto sopraffatta da non riuscire nemmeno più ad uscire per fare un semplice giro in centro con i miei amici.

Nessun medico ha mai creduto che la mia situazione fosse abbastanza grave da prescrivermi delle medicine. Il dottor Cattaneo, ad esempio, mi aveva liquidata dicendomi che ero troppo giovane e che era normale, dopo un evento traumatico come quello che avevo vissuto da bambina, avere qualche problema, in più mi aveva rassicurata dicendomi che tante mie coetanee soffrivano allo stesso modo e andavano da lui preoccupate per le interrogazioni o perché avevano difficoltà a integrarsi a scuola. Tutto normale, continuava a ripetere.

A causa dell'insonnia, i pensieri mi si sono accavallati nella testa. Ho cominciato a ripensare ad alcuni momenti della mia infanzia, arrivando poi a concentrarmi su un ricordo specifico: un incontro totalmente casuale, ma cruciale per la mia adolescenza.

«Dai Eva ti prego, un giro veloce al parco e poi torniamo a casa...te lo prometto» Francesco si inginocchia, unendo entrambe le mani in un gesto di preghiera. A vederlo così non posso che accettare a malincuore la sua richiesta.

«Ok, ma se mi viene voglia di correre subito a casa, in men che non si dica saremo di ritorno, va bene?» mi rivolgo a lui con un sorriso appena abbozzato.

«Sì, signor capitano!» porta la mano accanto alla fronte riproducendo un saluto militare.

Dopo un chilometro a piedi, siamo finalmente arrivati in un parchetto. Il suo paese è molto più grande di quello in cui vivo io, per questo scegliamo di incontrarci più spesso qui che da me. Anche perché qui c'è almeno la possibilità di farsi consegnare il cibo d'asporto mediante app, da me queste grandi innovazioni sono ancora come chimere.

Francesco armeggia nelle tasche del suo pesante cappotto The North Face mentre raccoglie tutto il necessario per fumare: tabacco, cartine e filtri. In poco tempo ha già preparato due drummini. Uno me lo porge, «Lo so che vuoi fumare, è inutile che mi dici di no per paura che la sigaretta ti agiti, se così fosse corriamo a casa» appoggia dolcemente la mano sul mio ginocchio.

Non so come farei senza di lui. Ci conosciamo dalla prima elementare e da allora non ci siamo mai separati. È il fratello che non ho mai avuto.

Porto la sigaretta alla bocca, sbuffando, come se lui mi stesse costringendo a farlo, quando, al contrario, sono io che smaniavo dalla voglia di assumere un po' di nicotina.

All'improvviso una palla mi colpisce la mano con la quale sto reggendo la sigaretta, ovviamente nella colluttazione la perdo e, lasciandola cadere, un po' di cenere mi finisce sul braccio, bruciandomi leggermente.

«Ma che cazzo!» urlo innervosita.

Una ragazza mi si avvicina dispiaciuta, accompagnata da un ragazzo molto alto, con i capelli lunghi e un grande tatuaggio sul collo - ha tutta l'aria di essere un tipo poco raccomandabile.

«Hey scusami non volevo colpirti, mi sono fatta prendere dalla foga» si porta una mano dietro la testa in segno colpevole.

«Tranquilla» pronuncio un po' troppo stizzita.

«Dai Gabri, fatti perdonare, dalle qualcosa» a parlare è il ragazzo che l'accompagna e non capisco a cosa si stia riferendo.

«Erba o fumo?» mi chiede lei con un sorriso smagliante.

«Erba, decisamente» risponde Francesco.

«Vendi solo questo?» le domando curiosa.

«Dipende, chi me lo chiede?» ribatte lei, facendosi prendere improvvisamente dai sospetti.

«Tu mi hai offerto una canna per scusarti di avermi colpita con una pallonata e poi ti fai dei problemi se ti faccio qualche domanda? Se non ti ho arrestata prima, direi che puoi essere sicura che non sono uno sbirro» mi viene da ridere alla vista della faccia un po' spaventata dei due.

«Hai ragione» sorride di nuovo «vendo di tutto, hai bisogno di qualcosa in particolare?»

«Hai qualcosa che possa andare bene per l'ansia?» aggiungo rapida, abbassando un po' lo sguardo davanti agli occhi inquisitori del mio migliore amico.

«Sei fortunata, queste le vendo a poco, non le compra mai nessuno» infila una mano nel pesante borsone che il suo accompagnatore tiene appoggiato su una spalla.

Prende un flaconcino e me lo sventola davanti agli occhi.

«Stai attenta però, queste sono davvero forti»

***

«Ev» Kate mi scosta leggermente le spalle «sono le cinque di pomeriggio, è proprio arrivata l'ora di alzarsi... non hai mangiato niente, non hai nemmeno fatto la pipì» mi sgrida, esattamente come farebbe una mamma preoccupata.

Un lamento esce lento dalla mia bocca.

«Io e Jaimie stiamo per andare alla partita, non vuoi venire?»

«La prima di campionato?! Me ne ero dimenticata» pronuncio, mentre mi stropiccio gli occhi tra uno sbadiglio e un altro.

«Esatto... quindi, che fai?»

«Andate, vi raggiungo tra poco» le dico con la voce ancora impastata dal sonno, mentre le rivolgo un sorriso sbilenco.

***

Dopo la doccia, ancora con i capelli che grondano, mi avvio verso la mia camera. Mi avvicino all'armadio e, dopo aver aperto entrambe le ante, cerco all'interno il mio cappotto invernale. Una volta trovato, inserisco una mano nella tasca interna e ne estraggo un flacone. È ancora completamente chiuso, imballato, con la plastica attorno.

«Grazie Gabri, dovrei tornare in Italia più spesso» sussurro, agitandone il contenuto.

Una volta scartato, però, decido di non esagerare e di prenderne soltanto una.

La ingoio, senza il bisogno dell'acqua.

«Si va in scena» dico al mio riflesso nello specchio.

***

Una mezz'ora più tardi mi sono truccata nel migliore dei modi.

Ho messo l'eyeliner che, senza alcun dubbio, ho allungato troppo, creando anche una forte disparità di spessore tra un occhio e un altro.

Per cercare di distrarre dal casino creato sulle palpebre, ho pensato di rimediare attraverso infinite passate di mascara e, se non fosse abbastanza, per distogliere l'attenzione dagli occhi, ho applicato uno strato di rossetto rosso molto intenso sulle labbra.

Ho scelto di acconciare i capelli in una mezza coda, lasciando il resto della chioma libera sulle spalle con qualche boccolo.

Ho deciso poi di indossare una gonna corta a pieghe nera, un paio di sandali alla schiava e una maglietta dei Trojans.

Mentre mi osservo allo specchio mi rendo conto, però, della presenza di un dettaglio non da poco che mi disturba.

Non riesco a tollerare la scritta Jefferson che campeggia sulle mie spalle.

Decido, per questa ragione, di sfilare la maglietta che avevo precedentemente indossato per cercarne un'altra tra le cose di Kate.

Tra le tante t-shirt della squadra, presenti nel suo armadio, me ne salta subito all'occhio una. Si tratta di un crop-top con una scollatura profonda sul seno. Ovviamente non l'ha acquistata già così, è stata la mia amica a trasformarla in questo modo, partendo da una semplice maglietta standard dei Trojans.

La indosso guardandomi allo specchio, mi sembra perfetta per la serata che ho intenzione di passare. Senonché, ancora una volta, mentre sto per voltarmi, mi rendo conto che sul retro c'è una scritta: Cook 1.

Una risata nervosa riempie la stanza.

Lo vuoi fare davvero Eva? Vuoi essere un kamikaze stasera?

Non sei niente senza quelle pillole.

Risuona ancora troppo forte nella mia testa.

Così, convinta, scelgo di fare la prima grande cazzata della serata.

Senza guardami indietro, esco dalla stanza, sbattendo la porta alle mie spalle.

***

Arrivo correndo sugli spalti, sono in ritardo di almeno cinque minuti. La partita, infatti, è già iniziata. Resto impalata almeno un po' di tempo a osservare tra la folla, sono alla disperata ricerca delle mie amiche. Siedono sempre nello stesso settore, ma non è comunque semplice individuarle. Quando finalmente le vedo, le raggiungo rapidamente, occupando il posto che gentilmente mi avevano preso accanto a loro. Fortunatamente, sono troppo impegnate a guardare il match per rendersi conto di cosa indosso e, soprattutto, ancora nessuna delle due si è accorta realmente di cosa ho fatto stasera. Non c'è bisogno che io glielo dica, so che non appena mi guarderanno meglio, sarà per loro fin troppo facile capirlo. Infatti, la differenza tra la me di sempre e quella sotto l'effetto dei farmaci è chiaramente riconoscibile.

«Come va la partita?» domando curiosa.

«Stiamo perdendo» Jaimie ha un tono che tradisce il suo nervosismo.

Tuttavia, pochissimo tempo dopo il mio arrivo, i Trojans stanno rimontando e le ragazze, convinte che io sia un portafortuna, cominciano a toccarmi dappertutto .

Mentre ridiamo e scherziamo tra noi, alle mie spalle, percepisco una presenza farsi sempre più vicina. «Che bella maglia» un sussurro inconfondibile arriva alle mie orecchie.

Jay pronuncia quelle parole con le labbra che quasi mi sfiorano il lobo.

Il suo respiro improvviso sulla pelle mi fa leggermente sobbalzare.

«Sì, molto meglio di quelle che indosso di solito» replico, senza voltarmi nella sua direzione.

«Ti ucciderà, lo sai?» il suo fiato caldo sull'orecchio mi provoca una strana sensazione di piacere.

«Sono pronta a morire» volto leggermente il capo a destra, le sue labbra, che prima erano solo vicine, ora sono direttamente impresse sulla mia pelle.

Lo guardo negli occhi e gli rivolgo un sorrido malizioso.

Ricambia il mio sguardo con un'occhiata stranita e ancora sussurrando mi dice «sei diversa stasera Oph»

«Jay la smetti di blaterare, c'è qualcuno che qui è venuto per vedere la partita non per importunare le ragazze» Jaimie lo sgrida infastidita.

Lui porta le mani verso l'alto, come a imitare un gesto di resa «mi perdoni generale, taccio che è meglio».

***

Dopo un'ora intensa di partita, il fischio dell'arbitro regala la prima vittoria di campionato ai Trojans. La folla è in festa, urla e schiamazzi si propagano per tutto lo stadio. Tutti gli studenti si riversano in campo per andare ad abbracciare i giocatori. Jaimie parte a razzo, senza neanche rivolgerci uno sguardo per capire quali siano le nostre intenzioni. Io e Kate rimaniamo entrambe sedute, da ciò deduco che non c'è stata nessuna riappacificazione tra lei e JJ.

Sono proprio un'amica di merda, ieri era un giorno importante per lei e io non ho saputo fare altro che rovinarglielo, tra l'altro senza preoccuparmi neanche di chiederle com'era andata tra loro.

«Lo sai che quella è la prima maglietta che ho indossato dopo il tradimento di JJ» volta leggermente il capo verso di me, accompagnando il gesto con uno sguardo velato di tristezza.

«Scusami se l'ho presa senza chiedere, non mi andava proprio di indossarne una di Luke» le rispondo utilizzando un tono un po' troppo pietoso.

«Per me è un po' come il revenge dress di Lady Diana» quel velo di dispiacere le scompare dal volto per fare spazio a uno sguardo molto più sicuro e a tratti quasi divertito «ho passato una serata incredibile con quella addosso, quel giorno ho scopato con un tipo pazzesco alla confraternita» ride sguaiata «se ci penso in effetti...potrei non averla mai lavata».

Le tiro un pugno sulla spalla, mentre mi aggiungo anch'io alle sue risate.

Mi guardo la maglietta e, in effetti, noto una strana macchia sul petto.

Mi sa che è vero che non l'ha mai lavata.

***

Arrivate alla confraternita, mi viene spontaneo cercare Luke con lo sguardo. Ancora non abbiamo avuto modo di incontrarci, e forse è per questo che io sono ancora in vita.

Come a ogni festa alla quale ho partecipato, Jaimie, appena varcata la soglia, corre in cucina a riempire i bicchieri. Questa volta però a differenza della prima in cui sono stata qui, ne porta soltanto due, uno per sé e uno ovviamente per Kate.

«Il tuo ragazzo è nella mia parte preferita della casa» indica verso la cucina, mentre porta il bicchiere verso il naso e si lascia inebriare dall'odore forte dell'alcool.

«Dite che è meglio farlo incazzare già adesso o aspetto un altro poco?» chiedo loro, accompagnando le mie parole con un ghigno a metà tra il divertito e il preoccupato.

«Io direi che un po' se lo merita, quindi andiamo» Kate prende per mano sia me che Jaimie e tutte e tre ci avviamo verso il bancone.

Mi siedo sull'isola, guardandomi intorno... di Luke non c'è più alcuna traccia.

Dopo un po' che siamo accanto agli alcolici, lo vedo entrare dalla porta che dà sul retro, accompagnato da un altro ragazzo della squadra, di cui però fatico a ricordare il nome.

Quando alza lo sguardo su di me, sembra sorpreso di vedermi, non è infastidito dalla mia presenza ma neppure sembra fare i salti di gioia. Si avvicina lentamente nella mia direzione e io più lo guardo avanzare e più comincio a pentirmi dell'affronto che gli sto facendo, portando stampati a grandi lettere quel cognome e quel numero sulle spalle.

Salto giù velocemente dal bancone e gli do le spalle per perdermi tra la folla.

La mia folle idea è quella di cercare momentaneo riparo all'esterno.

Finalmente riesco a prendere nuovamente aria.

Devo capire qual è la prossima mossa del mio fallimentare piano. Comincio a sentire il rimorso fin troppo forte. Tento di nascondermi, prendendo tempo, prima della sua inevitabile sfuriata.

Trovo posto tra un gruppetto di ragazzi che non sembrano fare caso alla mia presenza.

Dalla mia postazione di spionaggio vedo uscire Luke dalla stessa porta-finestra dalla quale ero sgattaiolata io. Ha la mascella contratta, talmente tanto che potrei quasi giurare che gli si stiano per spaccare i denti.

Scende i gradini guardandosi intorno. So che sta cercando me.

Mentre è intento a scrutare tra la gente, Beth gli arriva alle spalle e lo cinge da dietro. Lui continua però a essere girato nella mia direzione, senza vedermi, mentre lei gli parla all'orecchio. Il suo volto non sembra cambiare minimante alle sue parole. Lei gli gira attorno piazzandosi davanti a lui e così facendo impedendomi di seguire bene la scena.

«Ciao straniera» una voce profonda interrompe la mia missione segreta.

«Ehm, ciao» mi volto improvvisamente verso il ragazzo seduto accanto a me.

Ma questa è la Usc o sono da Abercrombie?

Sei una statua greca? Chi sei? Il Doriforo di Policleto? Penso tra me e me mentre lo osservo, indugiando sulle sue braccia forti e muscolose.

«Ci sei?» mi fa schioccare due dita davanti agli occhi.

«Eh» sobbalzo «scusa, a volte mi perdo nei miei pensieri».

«Ho detto che sono Adam» mi porge la mano.

«Io sono Eva» gliela stringo.

«Ragazzi ho rubato un'intera bottiglia di rum dal bancone e un succo alla pera dal frigo» un altro ragazzo si avvicina al gruppo, facendo ondeggiare entrambe le mani e mostrando i due trofei.

«Questi idioti ce lo devono» sghignazza un altro.

Una ragazza, dai lunghi capelli scuri e con un piercing sul labbro inferiore, comincia a distribuire i bicchierini da shot, porgendone due anche a me.

«Ragazzi, lei è Eva» Adam mi introduce al gruppo come se mi conoscesse da una vita e non praticamente da un minuto.

«Piacere di conoscerti Eva, io sono Sam, lei è Amanda, lui Devon e quel coglione lì è Mark» il ragazzo con le bottiglie in mano me li indica uno ad uno.

Ognuno di loro mi fa un cenno di saluto accompagnato da un sorriso.

«Vuoi solo rum o anche pera?» mi chiede Amanda.

«In realtà...nessuno dei due» pronuncio poco convinta. Forse non è una cattiva idea bere soltanto un cicchetto, al massimo tra un paio d'ore vomiterò l'anima e forse ancora domani sarò attaccata al water, ma almeno, potrei riuscire a superare in modo più tranquillo questa serata.

«Dai, uno solo» Adam versa un po' di rum nel bicchierino che ho in mano.

Mark fa lo stesso nell'altro con il succo.

«Eva, Eva, Eva» cominciano a gridare tutti e cinque i ragazzi.

In quel momento guardo verso Luke che era ancora lì impegnato in chissà quale conversazione con Beth. Noto con piacere che almeno ora non sono più da soli e che a loro si sono aggiunti Matt e Carl. Le grida del mio nuovo gruppo di amici sono così forti che giungono fino a lì e loro, sentendo pronunciare a gran voce il mio nome, si girano contemporaneamente tutti e quattro nella mia direzione.

Oggi, sto firmando la mia condanna.

Senza perdere il contatto visivo con Luke, decido di buttare giù il contenuto di entrambi i bicchieri.

«Ti va di ballare?» Adam appoggia una mano sulla mia schiena mentre me lo chiede.

«Ehm, non so se sia una buona idea» mi blocco, continuando a guardare Luke, mentre lui ricambia il mio sguardo furente «lo vedi quel tipo lì, è il mio ragazzo» glielo indico con un gesto del capo.

Adam scatta, togliendomi subito la mano dalla schiena.

«Hai intenzione di farmi uccidere» ride nervosamente «a casa sua, nel giorno della prima vittoria, con tutti i suoi compagni di squadra in giro, una mano sulla schiena della sua ragazza...potrebbe costarmi la vita» mi guarda sgranando gli occhi e allontanandosi immediatamente da me.

«Sì scusa, in realtà ero venuta qui per nascondermi» pronuncio a bassa voce, quasi come se Luke da quella distanza potesse sentirmi.

Amanda si inserisce nella conversazione, senza avere la minima idea di cosa io abbia appena detto. «Eva vuoi giocare a beer pong con me? Voglio fare il culo a due idioti della squadra di football» ha un tono di voce troppo alto per cercare di sovrastare la musica. Rischia quasi di perforarmi un timpano con le sue urla.

«Non so se è una buona idea, comincio a sentirmi leggera già solo con quel cicchetto, non bevevo da tempo ormai...e soprattutto, forse dovrei andare a cercare le mie amiche, le ho perse di vista da un po'» mi scappa una risata, ma non è voluta. Nel mio corpo anche una quantità minima di alcool ha un potere fortissimo, potrei essere già completamente ubriaca.

Amanda mi prende la mano e senza dire nulla mi trascina verso un tavolo posizionato alla fine del giardino. Accanto a esso siedono su un paio di divanetti JJ, Kate, Jaimie, Mad e la ragazza dai capelli scuri che lo aveva accompagnato alla cena.

«Eccoti, cazzo, ti ho chiamata mille volte, dove eri finita?» Jaimie si alza in piedi, venendomi incontro visibilmente infuriata.

«Tranquilla mamma, era al sicuro» ribatte Amanda con fare canzonatorio.

«E tu chi saresti?» si inserisce Kate.

«Le tue amiche mordono?» si rivolge a me, alzando un sopracciglio, per poi scoppiare in una fragorosa risata.

«Il più delle volte sì» mi scappa da ridere ancora una volta senza controllo, non credo di essere io a volerlo, eppure non riesco più a fermarmi.

«Ragazze ero fuggita per non farmi vedere da Luke e ho incontrato Amanda e i suoi amici» incespico un po', ma riesco a esprimermi abbastanza bene.

«Hai bevuto?» mi domanda sorpreso Mad.

«Un cicchetto» faccio uno con il dito, ma vedo due.

«Allora Johnson ti va ancora di sfidarmi? Non ho mai perso a beer pong!» Amanda si avvicina a lui gonfiando il petto.

«Confermo» la bruna accompagnatrice di Mad si interpone tra lui e Amanda. Si accosta sempre più a lei, per poi stamparle un bacio sulla guancia «da che la conosco non ha mai perso nessun tipo di sfida» aggiunge convinta.

«Andiamo su, è ora di rovinare il tuo ranking» JJ si alza per mettersi in posizione.

«Ma con chi giochi?» le chiede Mad, guardandosi intorno alla ricerca del suo compagno.

«Eva sarà la mia spalla e...io sarò la sua, quando tra cinque secondi starà vomitando nel prato» mi colpisce due volte con il gomito, sogghignando.

«Non se ne parla Ev...Credo tu stia esagerando» Kate mi si para davanti a braccia conserte.

«Solo una sera...ti prego... voglio essere una normale ventenne sconsiderata» le sussurro all'orecchio, accompagnando il tutto con il mio tipico sguardo da occhioni dolci.

«Ok, ma se vomiti se ne occupa Amanda. Vero?» le lancia un paio di occhiatacce.

Una ventina di minuti dopo e non so quanti bicchieri di birra, ovviamente come promesso, io e Amanda abbiamo stracciato i ragazzi. Ormai vedo quadruplo e non credo di avere ancora molto tempo prima che il mio stomaco decida di ribellarsi. Era dal mio diciottesimo compleanno che non toccavo più alcool. L'ultima volta, dopo due pillole e tanti drink, mi ero svegliata il giorno dopo abbracciata al water, a casa di Francesco, coperta completamente dal mio vomito e senza avere nessun ricordo della serata.

All'improvviso, mentre sono mezza svenuta su un divanetto, sento risuonare le note di Titanium di David Guetta ft. Sia.

«È la mia canzone» biascico rivolgendomi a uno dei doppioni delle mie amiche.

Mi alzo lentamente, mentre tutto intorno a me gira, avviandomi da sola verso la pista. Kate e Jaimie mi seguono come fossero la mia ombra. Ottima idea, devo ammettere, quella di non lasciarmi andare da sola.

Comincio a ballare, tenendo gli occhi chiusi e urlando a squarciagola «I am titaniuuuummmm»

Dall'interno sento qualcosa salire. Un conato e subito dopo un altro.

Cazzo non adesso ti prego, voglio finire la canzone.

Lo stomaco non aspetta.

Velocemente raggiungo dei cespugli e comincio a vomitare davanti agli occhi sbigottiti di tre ragazze che erano sedute proprio su dei divanetti lì accanto.

«Beth togliti dal cazzo, non hai mai vomitato?» Kate sbotta contro una delle ragazze.

Beth? Quella Beth? Ora mi sente.

Provo a girarmi e a rivolgermi a lei «sei una str-» conato numero mille.

Ci riprovo «str-» conato numero mille e uno.

Mi arrendo.

Mi sento un idrante dei pompieri, il contenuto del mio stomaco, non finisce mai.

«Luke se ti stavi chiedendo dove fosse la tua fidanzata, è qui» Beth mi indica tronfia, mentre sogghigna spalleggiata dalle sue amichette.

Sono ormai inginocchiata davanti a una pozzanghera di vomito, quando alle mie spalle sento passi pesanti.

«Eva ma che cazzo ti è preso stasera» Luke sta urlando più del dovuto.

«Puoi non urlare, mi fa male la testa» chiedo pietà per il mio cervello.

«Io non ho parole, ma che cazzo hai fatto? Hai bevuto con quei ragazzi fino a stare così male?»

«No, in realtà ha giocato a beer pong... e ha pure vinto» aggiunge Jaimie, anche lei stupidamente divertita dalla questione, a causa dell'alcool.

«Tu cosa?!» alza ancora di più la voce.

«Così ti piaccio eh Luke? O sono ancora niente?!» adesso cerco di urlare anche io, purtroppo però la cosa non mi riesce benissimo, visto lo sforzo immane che ho appena dovuto fare per espellere litri di vomito.

Mi prende per mano e mi fa alzare in piedi.

Sono io che sto girando o è il giardino a non smettere di ruotare su se stesso?

Un po' cerco di protestare per i suoi modi, ma alla fine decido di seguirlo all'interno della confraternita. Almeno una cosa buona l'ha fatta evitando che io continuassi a parlare della nostra discussione davanti a tutti, soprattutto Beth.

«Ti sei messa questa ridicola maglia e hai fatto tutto questo per quello che ti ho detto ieri?» mi fa sedere sul marmo della cucina, divaricandomi le gambe e posizionandosi al centro.

«E perché altrimenti Luke?» tengo lo sguardo basso.

«Non lo so, non so più nulla quando si tratta di te» prosegue sempre più mesto «sono un po' ubriaco anche io e...non solo in realtà...quindi non so cosa dico...ma...io pensavo che indossare questa maglia fosse una specie di dichiarazione di interesse per lui» la voce gli si abbassa man mano, fino a diventare quasi un sussurro impercettibile.

«Sei più pazzo di me a volte. L'ho scelta tra quelle più provocanti di Kate e caso ha voluto fosse una vecchia maglietta dell'anno da capitano di Jay. Quando mi sono accorta del nome sulle spalle, ho pensato di tenerla comunque per poterti ferire, come tu hai fatto con me ieri»

«E mi hai ferito» porta entrambe le mani ad accarezzarmi il volto.

«Siamo un disastro» blocco le sue mani sulle mie guance.

«Non ne parliamo ora, non siamo nelle condizioni» si avvicina a me tanto da far sfiorare i nostri nasi.

«Ti va se andiamo di sopra?» improvvisamente, complice l'alcool ancora in circolo, ho una gran voglia di liberarmi di tutta questa rabbia e conosco un modo per far pace e calmare i nervi che è piuttosto creativo.

«Aspettami in camera mia, do due raccomandazioni ai ragazzi, tranquillizzo Kate e Jaimie e sono da te» la sua voce è improvvisamente diventata più sensuale.

Mi alzo a fatica e mi avvio ancora un po' barcollante verso le scale per raggiungere la camera di Luke. Sulla rampa, ovviamente, mi imbatto nell'unica persona che stranamente ancora non avevo visto questa sera. È impegnato a fare un tampone faringeo con la lingua a una biondina.

«Bleah, pendetevi una camera» pronuncio stizzita, continuando ad avanzare a fatica.

Jay si ferma e, staccandosi dalla ragazza, mi osserva.

«Hai bevuto Oph?» vedendomi in quelle condizioni, si rivolge a me in modo molto preoccupato. 

In effetti non ho la minima idea di come io appaia in questo momento, non mi sono guardata allo specchio, ma più o meno posso immaginare che faccia spaventosa io abbia.

Annuisco, sorridendogli più del dovuto.

Ho vomitato un qualcosa come quattrocento volte e ancora questa sensazione di ubriachezza non mi abbandona.

«Vuoi che ti accompagni di sopra?» il suo tono diventa ancora più timoroso.

«Tranquillo Cook, io penso a Eva, tu pensa a lei» Luke mi cinge le spalle mentre fa segno a Jay di occuparsi della sua conquista.

Lui risponde con un cenno della testa, prendendo immediatamente per mano la ragazza.

Loro scendono, mentre noi saliamo.

«Ah e Jay, se hai tempo e non ti scoccia potresti restituire questa a Kate» mentre lo dice, mi sfila la maglietta, lasciandomi soltanto in reggiseno.

La appallottola e la lancia in direzione di Jay e, senza aspettare una risposta, mi prende in braccio e mi porta verso la sua camera.

Spazio autrice:

Ve l'avevo detto che Luke è duro a morire ahah

L'inizio del capitolo 12 (il prossimo) si è rivelato più difficile del previsto da scrivere 😂😂

D'ora in poi credo aggiornerò una volta alla settimana. 

Quindi, la prossima settimana è in arrivo: Capitolo 12 - Danza Macabra.

Restate connessi,

non mi abbandonate 🥀

La vostra Matilde.

Ps. se vi va aggiungete una stellina per supportare me e TAOBA.

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