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Capitolo 0.2 - La festa

Il viaggio è stato molto silenzioso. Non nego che, per i dieci minuti di strada che separano il dormitorio dalla casa, non ho fatto altro che pensare di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. So che in realtà non è colpa mia, ma non posso smettere di arrovellarmi il cervello.

Quando scendiamo dall'auto ciò che mi si palesa davanti agli occhi non può che farmi tremare le gambe: file infinite di automobili parcheggiate sia alla destra che alla sinistra del vialetto. Una musica assordante proviene da una delle ville in fondo alla strada e più ci avviciniamo a essa e più sento la gola seccarsi.

Che mi è venuto in mente, non sarei dovuta venire. Perché tendo costantemente a mettere in discussione quelle che per me ormai sono verità inconfutabili?

Sento che l'effetto di quello che ho ingerito stamattina sta diminuendo istante dopo istante, la paura e l'ansia mi divorano un centimetro alla volta.

«Ecco a voi la Trojans» Kate ci presenta la casa con un gesto colmo di entusiasmo, sembra che stia letteralmente facendo un gioco di prestigio.

«Stupida, ci vivono i miei fratelli, ci sono stata già dieci volte» Jaimie scuote la testa, nascondendosi con una mano il volto divertito.

«Eva, sei mai stata a una festa di una confraternita?» Kate si volta verso di me, comprendendo che la sua amica non le darà alcuna soddisfazione.

«Mmm, ovviamente no» scrollo le spalle.

«Allora, cazzo, almeno tu sii un po' entusiasta!» mi guarda di sottecchi sogghignando in attesa che io agisca eseguendo quanto auspicato.

Faccio un balletto stupido per renderle l'idea di quanto io sia felice.

Ovviamente, questo fa parte di una delle mie innumerevoli interpretazioni di attrice. Il mio spettacolo va avanti da anni ormai; infatti, sarei sicuramente più contenta seppellita tra le coperte del mio letto, piuttosto che qui. Eppure non riesco a smettere di assecondare la necessità, almeno per oggi, di far credere alle ragazze il contrario. Se ne sono convinte loro, forse, finirò per esserlo anch'io.

Ci avviciniamo sempre di più alla porta di ingresso e mi sembra già di dover lottare per entrare all'interno.

Respiro a fatica.

Appena varcata la soglia, Jaimie si fionda sugli alcolici al bancone.

È una casa veramente molto grande. Infatti, oltrepassato l'ingresso, noto la grande rampa di scale sulla destra, mentre alla sinistra si apre un open space enorme, con almeno quattro divani, una televisione da circa settantacinque pollici e tutte le consolle possibili e immaginabili dall'Xbox alla Playstation. Sulla sinistra, in fondo, c'è la cucina, con un'isola enorme e un frigorifero a due ante. Chissà quanti ragazzi ci vivono, dovranno essere come minimo una squadra... Ah sì, in effetti è proprio il dormitorio dei giocatori di football.

Seguo le altre verso l'isola della cucina. Non sono io a scegliere di muovermi, i passi si susseguono come fossi un robot telecomandato da altri.

Jaimie prende tre bicchieri e li riempie di quella che immagino sia vodka. Ne porge uno a me e uno a Kate.

«No, grazie sono astemia», urlo per farmi sentire. La musica è davvero troppo alta.

Mi rivolge uno sguardo di disapprovazione, mentre ne approfitta per bere da entrambi i bicchieri, il suo e quello che avrebbe dovuto essere mio, per poi scoppiare a ridere.

«Venite sul retro», anche Kate è costretta ad alzare la voce.

Usciamo da una veranda che collega direttamente la villa a un'enorme piscina, anch'essa piena di gente. Bottiglie di alcool sono sparse su tutto il prato, mentre una nuvola di fumo denso si alza sopra un gruppo di ragazzi.

A un certo punto sento qualcuno ripetere una parola strana, qualcosa come «Mora!».

Sobbalzo, voltandomi di scatto verso quella voce.

Davanti a me compare un ragazzo, alto come minimo trenta centimetri più di me. La prima cosa sulla quale mi concentro è il suo petto stretto in una maglietta nera super aderente. Il mio sguardo scende sui suoi pantaloncini grigi, ma il tutto dura davvero un secondo, perché mi rendo conto di quanto sia sconveniente.

Eva, non mi pare il caso di farti scambiare per una maniaca già il primo giorno.

Solo alla fine, dopo aver studiato ogni centimetro del suo corpo, guardo il suo volto. Biondo, bello da mozzare il fiato. Indugio sui suoi occhi, sono di un azzurro inconfondibile; è solo grazie a essi, infatti, se deduco che, quello che ho davanti, debba essere per forza uno dei due fratelli di Jaimie.

«Ti prego, andiamo, ti supplico» Kate sussurra al mio orecchio, sebbene stia praticamente urlando a causa del baccano.

Prima che io possa anche soltanto pensare di risponderle, mi prende per il braccio e mi trascina a qualche metro di distanza.

«Scusami, di solito non sono così irruenta, o forse sì» ridacchia «Beh, in ogni caso, lui è il mio ex. Preferirei amputare la mano destra che parlargli, perciò non potevo non scappare» mi informa, ingurgitando rapidamente mezzo bicchiere del liquido nero che Jaimie le aveva versato poco fa.

«Tranquilla, avevo intuito ci fosse qualcosa che non andava. È il fratello di Jaimie?»

«Sì. Jake 'sono una merda' Cook» prova a imitare la sua voce, rendendola ovviamente piuttosto ridicola.

«È lui quello che sta passando un brutto periodo?» domando senza pensare, ma ormai, c'è un tale alone di mistero sulla vicenda, che voglio assolutamente saperne di più.

«No, quello è l'altro, lui si chiama James, ma noi lo chiamiamo tutti, Jay» si guarda intorno come a cercare qualcuno.

«Ah ok, scusami se ho chiesto» alzo le mani, come a voler cancellare ciò che ho appena detto.

«No, hai ragione. In auto si è creata una strana situazione. Solo che Jaimie ci soffre tantissimo per questa cosa, quindi ormai cerco di nominarlo il meno possibile. Beh, in effetti fa male anche a me vedere come si è ridotto, er-è il mio migliore amico» tira su con il naso, come se stesse cercando di trattenere le lacrime.

«Andiamo a ballare?» la interrompo, capendo chiaramente quanto non sia giusto continuare a costringerla a parlare di un argomento che la fa soffrire.

Ci buttiamo in pista senza aggiungere altro. Sembra quasi che Kate abbia atteso un anno intero questa serata, come un bambino che aspetta il Natale.

C'è una folla pazzesca, a cui tento di non fare caso, proprio perché ci tengo davvero a rimediare. Non sarebbe giusto, infatti, abbandonarla in mezzo a tutta questa gente solo perché non mi sento pienamente a mio agio. È colpa mia se è diventata triste... Kate è un vulcano, non posso permettermi il primo giorno che la conosco di spegnerlo.

Eva, tu spegni le persone.

Una voce risuona nella mia testa.

Sono io a parlare, sebbene il tono cambi ogni volta, è qualcosa che viene da dentro di me e non riesco a farne a meno.

Con la mano cerco di scacciarla via come se fosse una mosca, continuando a ballare.

Muovo i fianchi a ritmo di musica con tutta la foga che il mio corpo esile mi permette. Ballare mi ha sempre aiutata a scaricare la tensione. Per la maggior parte del tempo, infatti, tengo gli occhi chiusi, perché è solo così che il mondo che mi circonda sparisce e che posso essere me stessa senza dover odiare ed essere insoddisfatta di quella che sono. Quando ballo, ballo sempre e solo per me stessa, mai per attirare qualcuno.

Dopo un po' che siamo in pista, decidiamo di andarci a sedere su due grandi poltrone accanto alla veranda. Kate estrae una sigaretta dal pacchetto e me ne offre una.

La prendo, stringendola titubante tra le mani. Mi convinco ad accenderla, iniziando ad aspirare.

Era da un po' che non fumavo e perciò il fumo brucia leggermente nella trachea.

Decido teatralmente di ricacciarlo, facendo dei cerchietti con la bocca, attirando l'attenzione della mia amica.

Kate mi guarda, scoppiando a ridere come se stesse guardando la cosa più divertente del mondo.

«Non ti facevo tipa da sigarette» dice, accompagnando le sue parole con una smorfia divertita.

«Ci sono tante cose che non sai di me» mi fingo misteriosa.

Con la coda dell'occhio, noto due ragazzi avvicinarsi.

«Ragazze tutte sole?» chiede uno dei due, alto, ben piazzato e con un ciuffo riccio che gli ricade sul volto.

Prima che possa rispondere, Kate mi anticipa. «Sì, purtroppo» arriccia la bocca in una strana espressione da dolce donzella smarrita.

«Possiamo prendervi qualcosa da bere?» domanda l'altro, più basso del primo, con capelli lunghi che sfiorano le spalle e due occhi di un verde intenso, quasi ipnotico.

«Direi di no, potete andare, a loro ci penso io» si inserisce nella conversazione qualcun altro.

«JJ cazzo, hai rotto le palle» Kate sbotta furente.

Dalle mie spalle a passo lento, avanza il fratello di Jaimie, anche lui aspira lentamente dalla sua sigaretta.

I ragazzi appena lo vedono, quasi scappano via.

«K, non voglio litigare, ma non credo che quei due decerebrati della squadra di nuoto facciano per voi» asserisce, quasi in tono assente.

«Stranamente, nessuno fa mai per me» lei alza gli occhi al cielo.

«Ciao, scusami se prima non mi sono presentato. Io sono JJ» si rivolge a me.

«Eva» rispondo in un sussurro, sorridendo.

«Dov'è tua sorella?» chiede la bionda accanto a me. Sembra sempre più sul punto di esplodere. Serra le mani in due pugni, mentre si tormenta il labbro.

«Jay si è ubriacato e ha spaccato un paio di bottiglie in camera sua. Mora è andata a pulire e a metterlo a letto» risponde con un sorriso amaro.

Ma che sono tutte queste J? Non capisco più niente. Questo è Jake ma si è presentato come JJ, il fratello è James ma lo chiamano Jay, la sorella si chiama Jaimie ma lui la chiama Mora. Ma dove sono finita? Finirò per farmi chiamare anche io con qualche strano soprannome.

«Dici che devo salire ad aiutarla?» Kate, cambia tono diventando molto più affabile di quanto non fosse mai stata da quando lui si è avvicinato a noi. Come se da leonessa arrabbiata fosse stata improvvisamente trasformata in un cucciolo.

JJ fa spallucce, butta la sigaretta e va via, senza aggiungere altro.

«Vuoi che la raggiungiamo?» le chiedo un po' titubante, non vorrei farla intristire di nuovo.

Mi sento tremendamente a disagio.

«Sì, scusami... solo due minuti» si alza e mi fa cenno di seguirla.

Entriamo nuovamente all'interno, dirigendoci, senza guardarci intorno, verso le scale. Davanti ai miei occhi compare lentamente un corridoio lunghissimo, che sembra replicare a grandi linee quello del nostro dormitorio. Su ogni porta c'è un numero e un cognome. Oltrepassiamo Cook 8 e ci fermiamo davanti a Cook 1.

Kate esita un secondo prima di bussare.

«Chi è?», sentiamo in lontananza la voce di Jaimie.

«Io e Eva» ci annuncia Kate.

La porta si apre.

Ci sono vetri sparsi su tutto il pavimento.

Jaimie è già nuovamente china a terra e continua a raccogliere con le mani i frammenti più grandi, gettandoli poi in un secchio.

«Dov'è?» azzarda Kate.

Che belle queste conversazioni a monosillabi, penso, mentre le mani cominciano a sudare. Dovevo rimanere a casa, mi ripeto.

«In bagno con Mad, sta vomitando l'anima» si volta verso di me «mi dispiace aver rovinato la tua prima festa, dovevamo ubriacarci e ballare fino a consumarci le gambe» si rivolge a me, ritrovando per qualche secondo il sorriso che aveva sfoderato per tutto il pomeriggio.

«Odio le feste», sorrido come se fosse una battuta.

Non lo è, le odio per davvero, ma loro ancora una volta non possono saperlo.

Dopo pochi minuti di lavoro, la camera è come nuova. Mentre Jaimie cercava di eliminare tutti i vetri e Kate tentava di scattare delle foto provocanti per il suo feed di Instagram, io mi sono guardata un po' in giro. Ovunque sono sparsi libri: dai classici della letteratura ai libri più moderni. Ho notato che ci sono testi un po' in tutte le lingue, ovviamente tra queste predomina l'italiano. Ciò non mi sorprende, considerando le sue origini, ma sono le scelte atipiche dei volumi a impressionarmi.

«Ora possiamo andare!» Jaimie è soddisfatta delle pulizie e ci invita a lasciare la camera.

Scendiamo nuovamente al piano di sotto. Un po' riesco a tranquillizzarmi. quando noto come ci sia già molta meno gente rispetto a prima.

Guardo il display del telefono e mi accorgo di come siano già praticamente le due di notte.

Il tempo vola quando non ti diverti, scherzo con me stessa.

Sul bancone, dove prima erano posizionate ogni sorta di bottiglie di alcolici, adesso è seduto un ragazzo. Ha lo sguardo perso nel vuoto. Il corpo è lì, ma la sua mente è altrove.

Ancora una volta lo riconosco dagli occhi. Deve essere Jay.

Assomiglia tantissimo a JJ – beh, in effetti da quel che ho capito sono gemelli – lui, però, ha qualcosa che lo rende più affascinante dell'altro.

Per un millesimo di secondo guarda nella mia direzione, i nostri occhi si agganciano come due calamite. Mi sembra di leggergli dentro una sofferenza che assomiglia molto alla mia.

Quel secondo, che per me è durato molto di più, viene spezzato da una mano che mi tocca la spalla. Mi volto nelle direzione di questa persona, aggrottando le sopracciglia. Davanti a me scorgo uno dei ragazzi più belli che abbia mai visto. Capelli castani, un lungo ciuffo che gli ricade sulla fronte, bocca carnosa, occhi scuri magnetici, le spalle e il petto estremamente muscolosi e un grande tatuaggio sull'avambraccio.

«Scusami se ti disturbo, ma stavo parlando con i miei amici» me li indica «e ho detto loro che non avevo mai visto una ragazza più bella di te, così mi hanno obbligato a venirti a parlare», mi mostra la sua dentatura perfetta, sorridendo come mai avevo visto fare a un uomo prima d'ora.

Osservo nella direzione degli altri ragazzi.

Tutti e due sono altrettanto possenti di quello che ho davanti e sono entrambi impegnati a sghignazzare nell'angolo della stanza, facendo strani gesti e smorfie verso l'amico.

«Oh ok, credo di doverti ringraziare per il complimento» gli dico, arrossendo leggermente. Spero soltanto leggermente, spesso infatti mi capita, quando sono imbarazzata, di assumere lo stesso colorito dei miei capelli.

«Comunque, io sono Eva» annuncio con un'espressione fin troppo artefatta, perdendomi a fissarlo troppo a lungo.

«Lucas, ma gli amici mi chiamano Luke. Spero tu possa diventare una di loro» si morde il labbro inferiore, ricambiando a sua volta il mio sguardo.

«Sei una matricola?» aggiunge, continuando a scrutarmi da capo a piedi.

«Sì, sono arrivata oggi in realtà»

«Con chi sei venuta alla Trojans?» si guarda intorno, cercando i miei accompagnatori.

Indico le mie due amiche, intente ancora una volta a riempire i bicchieri in cucina, proprio nel punto in cui prima era seduto Jay.

«Avrei dovuto saperlo, non potevi essere perfetta, dovevi essere per forza amica delle Cook» ride rumorosamente, alzando gli occhi al cielo.

«Kate Evans sarebbe una Cook?», non capisco cosa intenda.

«La peggiore. Almeno gli altri quel cognome lo portano» sposta il ciuffo che gli è ricaduto sugli occhi. Adesso riesco a vedere ancora meglio le sue iridi scure.

Continuo a non capire e lui sembra percepirlo dal mio sopracciglio alzato.

Decisamente l'espressione che più mi tradisce, anche quando voglio fingere che vada tutto bene, diventa semplice per chiunque leggermi.

Non mi va che qualcuno parli male delle mie amiche. Ok, che le conosco praticamente da cinque minuti, ma non mi sembra comunque un bel modo di iniziare una conversazione.

Le sento arrivare alle mie spalle, mentre parlottano a voce alta, mi volto a guardarle, cercando in loro un aiuto.

Come ci si comporta in questi casi? Sono totalmente arrugginita.

Jaimie alza lo sguardo e lo rivolge a Luke.

«Jefferson» pronuncia quello che immagino essere il suo cognome senza grande entusiasmo.

«Mora» le dà un bacio sulla guancia.

«Ti ho detto mille volte che non mi puoi chiamare così» protesta, visibilmente piccata.

«Sei aspra ma deliziosa, hanno ragione i tuoi fratelli...almeno una volta ogni tanto» ride.

«Kate, sei bellissima stasera» aggiunge con voce melliflua, spostando l'attenzione su di lei.

Lei gli sorride titubante e lo abbraccia.

«Posso fare un giro con la vostra amica o ve la prendete?» chiede a loro e non a me.

Cominciamo male.

Entrambe alzano le mani come a voler indicare che non sono affari loro e proseguono nel loro gesto sogghignando.

«Ok, facciamo pure un giro, ma la prossima volta ti conviene chiederlo a me il permesso, piuttosto che a loro» faccio l'occhiolino, fingendomi più infastidita di quello che sono in realtà.

Oggi ho deciso di giocarmi il tutto per tutto. Dopo questa serata credo non avrò il coraggio di uscire per un mese.

Lui mi prende la mano, e io resto un po' stranita da questo gesto così tanto intimo.

«Ti porto in un posto, ti piacerà» annuncia sicuro, prima di trascinarmi verso una direzione a me sconosciuta.

Continua...

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