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Chapter 6

Passarono sei ore da quando Kristen salì sull‘aereo.
Ancora in pensiero per ciò che l'attendeva, continuava a pensare guardando fuori dal finestrino.
Aveva sempre voluto poter guardare Los Angeles dall'alto ed ora poteva dire di riuscirci.
Un altro desiderio realizzato.
Ringraziava il cielo per averle dato quella possibilità per la prima volta in vita sua.
Una voce femminile la distolse dai suoi pensieri, obbligandola a spostare lo sguardo da quel panorama fantastico che si estendeva sotto al suo sguardo curioso.
"Aereo pronto all‘atterraggio a Los Angeles! Allacciarsi le cinture, grazie".
Senza esitare, la ragazza si allacciò stretta la cintura, circondandosi il bacino con quest‘ultima.
Non vedeva l'ora di poter uscire da quel velivolo ormai divenuto l‘ostacolo che la separava dal quella città che lei definiva “angelica”.
In quel momento voleva solo urlare, tanto grande era la gioia che provava.
Ci vollero minuti, prima che l‘aereo approdasse e una volta fermo, Kristen si slacciò velocemente la cintura, pronta ad alzarsi.
"Mi scusi signorina, prima di farla scendere dovremmo accettarci che -".
"Sono Kristen Moore, dovrei essere l'ultima della lista! Con permesso!" - esclamò, afferrando la valigia che si preoccupò di scendere ancor prima di essere interrotta.
Con estrema velocità, la ragazza dai capelli bruni uscì dal velivolo, scendendo i gradini che la condussero sulla terraferma.
Ancora non ci credeva.
E se fosse un sogno?
No, non lo era e lei lo sapeva benissimo.
Si abbassò di poco con il busto, poggiando la valigia per terra per poi guardarsi attorno con espressione allegra.
Tyler.
Mancava solo lui.
Cacciò un urlo di gioia, ricevendo come risposta, sguardi perplessi ma divertiti.
Nonostante ciò però, a Kristen non importava.
Voleva cominciare a visitare la città, lasciando per ultimo la via che l‘avrebbe condotta verso al proprio sogno.
L‘esibizione.
"Bene! Non perdiamo altro tempo!" - esclamò mentre sollevava il manico della valigia.
Seguì la pista verso l‘uscita e una volta fuori, la prima cosa che le venne in mente fu quello di trovare l‘albergo in cui avrebbe poi alloggiato nelle prossime settimane.
Intascò le mani nella tasca posteriore die suoi pantaloni, estraendovi così un foglio piegato in tre.
L‘aprì, leggendo la via che si scrisse prima di partire.
"700 8th Avenue, New York City, NY 10036" – mormorò.
Si morse il labbro inferiore, sospirando infine.
Non conosceva Los Angeles.
Come l'avrebbe trovato?
Si grattò la testa frustata, sbuffando appena, ma proprio in quel momento, non lontano da lei, sostò un taxi.
Pensò quindi di farsi accompagnare dal tassista e ancor prima di realizzare ciò che stava facendo, cominciò a correre in direzione dell'auto.
"Taxi!" - urlava agitando le braccia per aria.
La persona al suo interno, notandola dallo specchietto, abbassò il finestrino alla sua destra.
"Mi scusi! Sa per caso dove si trovi 700 8th Avenue, New York City, NY 10036?” - domandò con l'affanno, appena si affacciò al finestrino.
"Questo è il mio mestiere, signorina! Salga!" - esclamò divertito, incitandola ad entrare.
Senza pensarci due volte, Kristen lo ringraziò e aprì lo sportello posteriore entrando dentro.



"Sta cercando un'albergo, giusto?" - le domandò ad un tratto, guardandola dallo specchietto retrovisore.
Lei annuì, rivolgendogli un sorriso.
"Non mi sbagliavo. Siamo arrivati" - concluse prima di voltare a destra e fermarsi proprio dinanzi alla porta d'entrata.
"La ringrazio!".
“Di nulla! Ha bisogno di una mano con la valigia?" - chiese cortese.
La ragazza sorrise dolcemente, scuotendo la testa.
"Non si preoccupi, riesco a fare da sola! Ancora grazie!".
Dopo averlo pagato ed avergli augurato una buona giornata, scese, chiudendosi lo sportello alle spalle.
Sollevò lo sguardo, ritrovandosi dinanzi un grande e alto edificio.
Row NYC Hotel.
Temette di essere nel posto sbagliato, poichè si vedeva che era un hotel di lusso, così per accettarsi che fosse nel luogo giusto, domandò a una passante se la via fosse quella.
Si avvicinò ad una donna sui trent’anni, intenta ad aggiustarsi la borsa sulle spalle. “Scusi, potrebbe dirmi se l’indirizzo è l’esatto?” - domandò.
Quella, voltatosi verso di lui, allungò di poco il collo per poter leggere sul pezzo di carta che Kristen si affrettò a mostrarle.
“Sì. È proprio questo il posto” - replicò.
La ragazza la ringraziò con un cenno del capo per poi guardarsi attorno prima di prendere su il bagaglio e fare il suo ingresso nell'hotel.
Varcò la soglia cui portone era in parte in legno e in parte in vetro e, una volta dentro all‘edificio, spalancò meravigliata gli occhi: davanti a lei si estendeva un lungo e largo ingresso colmi di luci e quadri di pittori famosi e non solo.
Un'aria fresca riempiva l'edificio gremita di persone, tutti ben vestiti e attrezzati, e fu lì che il dubbio riprese il suo soppravvento.
E se non fosse nel posto giusto?
Dopotutto pagò la permanenza ad un costo davvero basso.
Solo allora un uomo, sui trent‘anni, si avvicinò alla sua figura.
"Mi scusi signorina, ha bisogno di aiuto?"
Kristen si voltò, scontrando il suo viso dalle iridi chiare.
"Sì, la ringrazio. Ho prenotato una camera con letto matrimoniale per 2 settimane" - rispose mostrandogli il biglietto.
Dopo averlo letto, il ragazzo sorrise, prendendolo dolcemente dalle sue mani per poi farle cenno di seguirlo.
Percorsero un lungo corridoio cui pareti erano tapezzati di immagini, fino ad entrare dentro ad un ascensore.
Il suo sorriso le faceva ricordare tanto quello di suo fratello.
"E' di questa parti?" - le domandò.
"Scusi?".
"Le ho chiesto se è di queste parti" - disse senza smettere di sorridere.
"No. Vengo da New York" – rispose.
Cominciò a sentirsi in imbarazzo, poichè nell‘ascensore erano presenti solo loro.
"New York, bel posto! Cosa l'ha spinta a venire qui?".
Perché così tante domande?
"Sono venuta per partecipare a un'audizione di ballo" – rispose.
"Sul serio? Vorrebbe andare alla MJJ Studios?" - esclamò quello.
"S-sì...?".
"Frequenta qualche corso di danza?".
L'ascensore si aprì e una volta fuori, cominciarono a camminare lentamente.
"No. Ho imparato a ballare per strada".
"Per strada?".
"Sì".
Solo allora egli sospirò appena.
Si fermarono dinanzi alla porta e Kristen, tanto presa dalla conversazione, non se ne accorse.
"Preparati signorina, lì non troverai gente di strada" - parlò intento ad estrarre un paio di chiavi dalla tasca dei pantaloni opachi.
"Il direttore della MJJ Studios è molto serio con il lavoro, quindi cerca di soddisfarlo, con l‘esibizione. Ma non ti preoccupare, mi sembri una ragazza in gamba" – continuò poi.
"La ringrazio" – mormorò.
L‘uomo infilò la chiave nella serratura e dopo averla roteata, aprì la porta lasciandola passare per prima.
"Spero le possa piacere".
Lei, varcata la soglia, si guardò attorno, sorridendo.
La camera era grande e luminosa grazie alle finestre che lasciavano penetrare la luce del sole estivo.
Al centro vi era il letto, le cui fodere rosse e bianche, gli regalavano un tocco romantico.
Appena sotto ai piedi del letto, invece, un tappeto rosso persiano occupava gran parte del pavimento.
Bellissimo.
"Allora, cosa ne pensa?".
Solo allora Kristen si voltò verso di lui e senza mai smettere di sorridere, rispose: "Perfetta".






Los Angeles.
La dolce Los Angeles gremita di persone, taxi, negozi, musei e gallerie d'arte, per non parlare delle sue attrazioni.
La ragazza ormai da ore sulle strade di quell‘immensa città, si guardava attorno leggermente confusa.
Ora che aveva trovato l'albergo, si chiedeva come avrebbe trovato la MJJ Studios.
"Allora, vediamo qui. Devo girare a destra. O forse a sinistra. No credo che a sinistra sia meglio” - mormorò senza staccare gli occhi dalla piccola mappa cittadina che teneva in mano.
Sbuffò frustata, sospirando subito dopo.
"Ah! Fratellone, perché non sei con me in questo momento?" - esclamò.
All’improvviso il pensiero di suo fratello si fece spazio nella sua mente.
E se aveva bisogno di lei?
Era la prima volta che si allontanava da lui e lasciarlo da solo la faceva stare in sovrappensiero.
Dopotutto lui per lei c‘era sempre stata.
Scosse piano la testa, prendendo infine un bel respiro.
Riprese a camminare, senza però sapere dove stesse andando.
Decise di fare un veloce e piccolo giro, magari con la speranza di imbattersi in ciò che stava cercando.
Continuò a vagare ovunque, entrando nei negozi per farsi spiegare la via, o almeno provare a farselo spiegare.
Così, seguendo le istruzioni datole, la ragazza si incamminò lungo la strada, notando che poi così gremita non era.
Fino a quando sollevò lo sguardo.
Sgranò gli occhi non appena notò un grande edificio dalle pareti color castagno, estendersi sotto al suo sguardo.
Trattenne un piccolo urlo che sfogò, portando entrambe le mani davanti alla bocca e senza esitare, camminò veloce verso l‘entrata, varcando la soglia.
Una volta dentro, Kristen si guardò attorno meravigliata, osservando ogni particolare di quel posto.
Un grande e lungo corridoio si estendeva dinanzi alla sua figura, accompagnato da varie porte, macchinette da caffè e piccoli armadietti, tra cui alcuni spalancati.
Ma non vi era nessuno.
“C’è qualcuno?” - domandò ad alta voce.
Avanzò, sentendo il rumore del legno scricchiolare appena sotto ai suoi passi quasi incerti.
Pensò non ci fosse nessuno, di essere arrivata nell‘orario di chiusura, ma una voce alle sue spalle la fece sussultare.
"Ha bisogno di qualcosa signorina?".
Si voltò, notando una signora alta e magra. La capigliatura grigia le metteva in risalto gli occhi azzurri contornati da alcune rughe che sembravano volersi nascondere sotto al leggero trucco che indossava.
"Buongiorno, sono la signorina Moore" – si presentò.
"Cosa posso fare per lei?" - le domandò ella.
L‘espressione seria sul suo volto la fece leggermente intimidire.
"Sono venuta per iscrivermi all'audizione che si terrà la prossima settimana" - rispose accennandole un mezzo sorriso.
"L'audizione? Sicura di volersi esibire?"
"Sì".
"Perché?" - si azzardò a chiederle.
"Voglio mettermi alla prova. Vedere cosa sono in grado di fare. Voglio poter realizzare il mio sogno” - replicò.
La donna la scrutò da capo a piedi, rendendola visibilmente a disagio.
"Non frequenti nessuna scuola di ballo?".
"No, ma-".
"E pensi che possa iscriverti? Non credo che il signor Jackson ne sarà contento" - parlò mentre avanzava verso ad una pila di libri.
La ragazza aggrottò leggermente la fronte.
Jackson?
"Il signor Jackson?".
"Sì, il direttore dello studio. Uno tosto, oserei dire. Fermo alle regole e agli ordini" – rispose.
"Ho imparato a ballare per strada" - si affrettò a dire.
La signora, che fino a poco era intenta a leggere alcuni titoli di libri, spostò la sua attenzione sulla ragazza poco lontano da lei.
"Per strada?"
"Sì."
"Beh, un motivo in più per non iscriversi" – tagliò corto.
"Ma perché? Voglio dire, credo di essere abbastanza brava da tentare. In questi anni non ho fatto altro se non allenarmi e questo mi ha portata qui.”
"Manderesti Jackson su tutte le furie. Lui vuole vedere ballerini perfetti, non scarsi".
Scarsi?
Lei non era scarsa.
O sì?
"E se ci provassi?" - chiese.
"Vuoi davvero giocare con il fuoco?".
"Sì, perché so che non mi scotterò" - rispose secca.
La signora la scrutò dalla testa ai piedi, prese un bel respiro e poi annuì.
"Se è questo quello che vuoi. Seguimi".
La donna prese a camminare, seguita da Kristen che cercava di mantenere il suo passo, intenta a guardarsi attorno.
In un batter d'occhio si ritrovarono in un lungo corridoio buio, causa della poca luce che filtrava dalle finestre semiaperte.
il rumore del legno che fino a poco fa scricchiolava, lasciò spazio al suono dei passi frettolosi della signora che si stava dirigendo verso ad una porta più larga rispetto alle altre.
Si fermò ed infilò la mano nella tasca della gonna estraendo delle chiavi, ne scelse uno, quello più grande e lo infilò nella fessura, roteandola infine.
"Avanti".
Spalancò la porta ed incitò la ragazza ad entrare, invitandola poi a sedersi su una poltrona posta di fronte ad una scrivania colma di fogli e libri.
Si posizionò dall’altra parte, inchinandosi di poco in avanti con il busto per estrarre dal cassetto un paio di fogli.
Poggiò quest’ultimi sulla superficie in legno dello scrittoio, guardando Kristen.
"Dovresti compilare questi moduli, inserendo il tuo nome, la tua via, il tuo numero di cellullare e la tua data di nascita, infine puoi firmare lì infondo".
La ragazza la ringraziò, poi prese una biro che era poggiata sulla scrivania e cominciò a compilare inserendo tutti i dati richiesti, compresa la firma.
"Non male la calligrafia" – mormorò la signora.
Prese i fogli compilati che Kristen le porse, sistemandoli per poi bloccarli con una graffetta.
La ragazza non rispose, anzi, stette in silenzio a fissare ogni movimento della signora di cui non conosceva ancora il nome.
Agiva velocemente e dal suo sguardo severo ella si domandava cosa si sarebbe aspettata.
"Bene. L'audizione, come sai, si terrà qui alle otto in punto di mattina, quindi cerca di essere puntuale, se non vuoi essere espulsa prima di esibirti" – disse.
"Sono una ragazza puntuale. Odio i ritardi" – replicò.
La donna annuì, rivolgendole infine un cenno col capo.
"Puoi andare".
Kristen la ringraziò con un leggero inchino e, alzatosi dalla sedia, uscì dalla stanza.
Ripercorse tutto il corridoio, le strade di nuovo gremita di persone e la gelateria all‘angolo dell‘accademia.
Non riusciva a smettere di pensare a quel cognome: Jackson.
Di lui sapeva solo che era il direttore dello studio.
E se fosse veramente così tanto severo?
Se stesse realmente giocando con il fuoco?
Non lo sapeva. Non ancora. Non fino al giorno dell‘esibizione.

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