
Pelle (Italian)
Title: Pelle
Author of the original story: SimoneFar
Language of the original story: Italian
Questa volta il cliente era particolarmente bello.
Non che Vanya facesse più caso a chi si accomodasse sulla sua sedia, aveva visto ormai un sacco di gente nuda, molta con dei fisici a dir poco improbabili, quindi aveva smesso di considerare quello che vedeva con malizia. Per lei erano poco più che quarti di bue appesi dal macellaio, carne da incidere al giusto prezzo, con mano ferma e concentrazione.
L'uomo che si era seduto questa volta, però, aveva un fisico scolpito da anni di disciplina e allenamento. Madre natura non gli aveva dato molto in altezza, ma lui aveva evidentemente speso anni a modellarsi e ora ogni muscolo risaltava in una forma perfetta, come se avesse raggiunto lo stato ideale del muscolo, quello che era stato progettato in senso assoluto. Al contrario di quello che avveniva di solito, poi, non sembrava provare il minimo imbarazzo per la situazione. Quando lei aveva stabilito che avrebbero dovuto lavorare intorno al suo inguine e gli aveva ingiunto di togliersi anche le mutande, lui lo aveva fatto senza la minima esitazione e si era poi riposizionato rilassato, senza cercare di nascondere il suo sesso né irrigidirsi nell'esporlo. Come se lui stesso si sentisse solo carne, esattamente come lo vedeva lei.
Il suo skinware, però, era tutto un altro discorso, Vanya nel vederlo aveva sentito rizzarsi i peli su tutto il suo corpo e i suoi capezzoli si erano fatti rigidi, sfregando in modo fastidioso contro il suo reggiseno elasticizzato.
Le piste conduttive tracciavano sul petto del ragazzo un complesso arabesco astratto composto unicamente di esagoni. Ad ogni angolo di ogni esagono era piazzato un chip, ognuno esattamente sferoidale, cerchi perfetti che la facevano vergognare delle forme sghembe che impiantava lei. Dalle sue parti, dove la maggior parte dei lavori su pelle erano commissionati da gang o bulletti da quattro soldi, l'inchiostro connettivo veniva organizzato in bizzarri disegni: draghi, cavalli alati, serpenti e pugnali. Ma quello era il modo di realizzare skinware dei bassifondi, dove in realtà chi ce l'aveva addosso non lo usava quasi o si limitava ad appiccicarci qualche terminale dozzinale. Vanya, che aveva studiato anche qualche libro di teoria serio, sapeva invece che le forme geometriche astratte erano la soluzione migliore per organizzare le piste e che proprio l'esagono era la figura più efficiente. Chi aveva inciso il ragazzo aveva cercato di spremere la massima potenza disponibile dal suo lavoro.
- Senti, adesso che ti vedo bene ne sono certa. Io la modifica te la faccio, ma mi sa che te lo rovino.
- Scusa? - fece lui.
- Beh, a costo di perderci io come immagine, la roba che uso qui ha una qualità discreta, io mi impegno, ma a confronto di quello che è stato usato per... beh, per tutto il resto, è merda. Se la accoppio l'unico risultato che otteniamo è abbassare la qualità complessiva del circuito, potrebbe esserci un tale sbalzo tra quello che hai adesso e quello che posso farti io da compromettere tutto.
Lui annuì, non sembrava preoccupato. - Lo abbiamo previsto, procedi.
- Posso, posso prima interfacciarmi un attimo? Per... capire.
Il ragazzo si ritrasse, il primo moto di pudore da quando era entrato. E Vanya lo capiva benissimo perché la sua era una richiesta dettata dalla pura lussuria. Aveva superato il desiderio sessuale da un bel po', tutta quell'attività meccanica con le sue viscere poteva darle sensazioni piacevoli, ma erano scosse semplici da assimilare. L'unica cosa che le desse veramente emozione, l'unica cosa che ormai considerasse orgasmo, erano i flussi di dati, la possibilità di interfacciarsi con fonti importanti, il brivido di rilasciare le sicure del suo circuito e sentire gli impulsi pioverle sui nervi e aprirle il cervello. Quello era ciò che cercava e lo skinware del ragazzo era la cosa più... sexy che avesse mai visto in vita sua.
- Vacci piano. - fece lui, serio.
- Non è la prima volta che mi interfaccio con... con... - Non sapeva definirlo e in qualche modo vantarsi di una cosa del genere la faceva sentire una donnaccia.
Anche Vanya, ovviamente, aveva un circuito disegnato addosso. Si era impiantata quattro morsetti nella mano sinistra, a formare un quadrato, poi aveva tirato piste di inchiostro ad avvitarsi intorno al suo braccio, per poi ridiscendere sul fianco. Lì (era ancora giovane) si era fatta disegnare un puttino alato in cui aveva installato tutti i chip che poteva comprare al tempo. Era un sistema limitato, ma organizzato con più intelligenza della maggior parte di quelli che c'erano in giro e spesso era riuscita a trarne... soddisfazione.
Allungò la mano aperta su ragazzo e gliela poggiò sul petto. Il contatto col suo corpo, pelle contro pelle, fu subito annullato dal flusso di dati che si formò tra loro. Innanzitutto sentì i connettori nella mano vibrare e questo era normale, perché morsetto contro morsetto non è un vero collegamento e spesso il ponte deve assestarsi prima di funzionare. Poi però aveva sentito, centimetro per centimetro, i dati risalire lungo il suo braccio come fossero una mandria di formiche inferocite e quando finalmente l'angioletto aveva cominciato a elaborare lo shock l'aveva quasi piegata. Davanti agli occhi le comparvero macchie di colore, non i colori distorti della visione offuscata, ma vivide tinte digitali rosse, verdi e blu. Sentì tutte le sue viscere aprirsi e poi contrarsi, spasmodiche, si ritrovò a stringere lo stomaco, serrare le ginocchia una contro l'altra e piegarsi in avanti, mentre il suo pugno destro si chiudeva su sé stesso, le unghie ad affondare nella carne.
Gemere sarebbe stato troppo umiliante, provò a trattenersi serrando le labbra. Proprio quando credeva di non poterne più, però, il ragazzo la staccò a forza, andando a sorreggerla con entrambe le braccia quando minacciò di cadere a terra.
- Te l'avevo detto!
Lentamente ritrovò sé stessa. Era stato qualcosa più di un orgasmo, era stato estasi. - Io sto bene... credo... ho dei limitatori, non ti devi... preoccupare...
- Sei quasi svenuta, ti ho visto.
Si impose di non riappoggiare la mano sul petto del ragazzo sebbene il suo cervelletto e tutto quanto c'era di primitivo in lei lo desiderasse. Si allontanò invece un momento per andare a controllare gli strumenti. - Sto bene, ho detto. Sono io l'esperta di tatuaggi, qui.
Con gesti secchi e nervosi si mise a caricare la penna a inchiostro, quando tornò indietro era quasi minacciosa, per il modo in cui la brandiva. - Se metto i nuovi chip troppo vicini a quelli che hai ora le correnti che girano in quella... in quella specie di alveare li bruceranno senza permettergli di interagire. Quindi dobbiamo andare a installarli lontano.
Appoggiò tre dita sull'inguine del ragazzo, nel solco dove la gambe era attaccata al suo addome. - Il meglio direi che è qui.
Il ragazzo divaricò un po' le gambe. - Nessun problema. Ci vorrà molto?
- Per un triangolo? No, ce la caveremo con poco.
Prese il suo sgabello e ci salì sopra. Molti la trovavano buffa mentre lavorava perché di solito teneva i talloni appoggiati al bordo della seduta e le ginocchia spalancate come una specie di gargoyle, piegandosi in avanti. Era una ragazza minuta e molto elastica, posture che ad altri erano impossibili a lei risultavano comode e in quella posizione le sembrava letteralmente di incombere sulla persona sotto di lei, così da poterla trattare per quello che era, una tela su cui disegnare.
Si abbassò il monocolo di Ampere sull'occhio sinistro, quello le avrebbe permesso di rilevare le tensioni tra i vari chip e stabilire se stava facendo un buon lavoro. Come si aspettava, nell'arabesco di esagoni l'informazione scorreva come una linea sottile e luminosissima, un filo d'argento che solo intorno ai microchip centrali si aggrovigliava in una specie di forma a cerchi concentrici. Persino il suo lavoro migliore, in confronto, generava flussi simili pelose code di gatto o sciami d'insetti. Quella visione acuì ancora un volta il suo desiderio di connettersi.
Si concentrò sull'inguine del ragazzo, tracciò lo schizzo del triangolo con una prima passata della penna a inchiostro e poi si impegnò a ricalcare correttamente tutte le linee. La penna era un ago che affondava nella pelle e rilasciava una sostanza connettiva che avrebbe poi permesso ai microchip di comunicare tra loro (oltre che raggiungere il sistema nervoso centrale). In zone sensibili come quella poteva anche essere piuttosto dolorosa, ma il giovane non faceva una piega, nemmeno i muscoli della gamba avevano particolare tensione e il suo sguardo era perso nel vuoto. - Sei abituato al dolore. - gli disse, mentre rifiniva il primo spigolo della figura geometrica.
- Sono abituato a molte cose. - rispose lui. E Vanya si chiese cosa potesse significare avere addosso uno skinware del genere, con quel flusso di dati a formicolarti sulla pelle e probabilmente a punzecchiarti costantemente la corteccia cerebrale. Vista così, come una costante stimolazione che non potevi mai fermare, le sembrò improvvisamente molto meno sexy.
Il triangolo era completo. Un ottimo lavoro, al livello delle sue capacità, una figura nera che sembrava stampata da una macchina più che tracciata da mano umana, con gli angoli taglienti e i lati robusti. Quando la pelle avesse assorbito e fagocitato l'inchiostro in eccesso probabilmente sarebbe apparsa qualche irregolarità, ma quello era inevitabile (gli esagoni, comunque, non ne avevano) e in qualche modo rendeva le piste più umane.
Poggiò la penna sul bancone e prese l'iniettore di chip che, volendo, si poteva considerare una grossa siringa. I chip non erano realmente chip, ma agglomerati di una sostanza computante più densa dell'inchiostro e si allineavano in banchi coerenti tramite l'interazione con le piste connettive e con l'elettricità base del corpo umano. Una volta diventati recettori del flusso il sistema addosso al ragazzo si sarebbe occupato di programmarli e configurarli per farli interagire. Poteva sembrare un'operazione lunga, ma in realtà avveniva in pochi secondi.
Si arrampicò nuovamente sul suo sgabello e si piegò sul corpo del giovane. L'iniettore di chip era un oggetto molto più pesante della penna e, a suo modo, inquietante. Era costretta a impugnarlo saldamente a due mani mentre faceva aderire la sua bocca alla pelle del cliente, controllando mediante un mirino ottico di essere esattamente in corrispondenza di uno dei vertici del triangolo. Doveva agire rapidamente perché non aveva molta forza per tenere in posizione l'aggeggio e se avesse tremato troppo inoculazione sarebbe riuscita sbagliata. Appena la lente le restituì una buona immagine premette il grilletto. La fiocina a spruzzo affondò sottopelle e gonfiò una sfera di sostanza computante, poi si ritrasse mentre piccoli beccucci laterali aspiravano il sangue che era spillato dalla ferita.
Dal ragazzo nuovamente nessuna reazione e stavolta era sul serio la prima volta che vedeva qualcuno così impassibile di fronte all'impianto.
- Uno andato. - disse, per scaricare una tensione che però, evidentemente, sentiva solo lei.
- Come è venuto il morsetto? - chiese lui. - Vorrei usare la nuova zona per agganciarmi col terminale.
Vanya trovava piuttosto scomodo infilarsi un qualsiasi terminale in mezzo alle cosce, a meno che il suo scopo non fosse esplicitamente sessuale e dovesse interagire con i genitali (ce n'erano in giro a bizzeffe di quel genere). Comunque sia svolgeva il suo lavoro sempre abbastanza bene perché il chip presentasse un buon morsetto, ovvero una parte sporgente dalla pelle a cui un qualsiasi dispositivo potesse agganciarsi. Per essere sicura, prima di rispondere, livellò il suo sguardo all'altezza del pube del giovane e controllò. - Non ti preoccupare, questo è a posto. Cercherò di tenere un po' più alti anche gli altri, ma non molto, non è una zona in cui si può giocare granché. - Naturalmente le applicazioni su parti del corpo più carnose erano più facili, lì le sembrava di disegnare su un guscio d'uovo. Il ragazzo era completamente rasato, completamente nel senso da capo a piedi. Era una cosa molto comune, soprattutto tra gli utilizzatori intensivi di skinware, visto che le postazioni più invasive finivano sempre (sempre) con l'impigliarsi coi peli. Questo però faceva apparire la sua pelle quasi traslucida, come quella di un serpente, con le vene azzurre, spinte dai muscoli gonfi, quasi a splendere come un secondo disegno nascosto.
Inoculò anche i chip degli altri due vertici. Come faceva sempre, lasciò intercorrere alcuni minuti tra uno e l'altro, per far riprendere il paziente dalla procedura, sebbene il particolare paziente che aveva sotto mano in quel momento sembrava assolutamente insensibile a qualunque cosa gli facesse.
- il grosso è finito. Se ti serve per qualche... attività in particolare posso anche non collegarlo al resto, sai? C'è abbastanza skinware perché funzioni e così non avremmo tutti quei problemi di interferenze che ho cercato di spiegarti.
Lui si tirò un momento su e osservò il disegno. Sembrava soddisfatto, anche se si limitò a un mezzo sorriso. Dopotutto, pensò Vanya, uno stupido triangolo del genere non poteva impressionarlo, con tutta la roba che aveva già addosso.
- Collegalo. - le ordinò. - Ho bisogno che sia collegato. So delle conseguenze.
Vanya riprese la penna e tracciò un primo tratto dal suo triangolo, su per tutto l'addome del ragazzo, fino a incontrare uno degli esagoni sotto il capezzolo sinistro. Che la linea fosse dritta il più possibile era molto importante così come il fatto che non presentasse angoli bruschi. La fece partire come continuazione di un angolo del triangolo e poi la fece curvare dolcemente, fino a lambire il ventre del giovane, per poi ricongiungersi esattamente con la stessa angolazione di uno dei lati dell'esagono. Nonostante continuava a credere che il suo lavoro impallidisse di fronte a quello che aveva davanti, l'estetica del risultato cominciava a piacerle. Era come se una freccia partisse dal cuore del ragazzo e andasse giù a puntare al suo uccello. Una metafora dell'amore dei maschi, almeno così come l'aveva inteso lei. Anche se quel maschio in particolare sembrava di tutt'altro genere.
Si mise pazientemente a ispessire la linea con la penna, tenendo sempre d'occhio il disegno generale col monocolo di Ampere. Il triangolo stava cominciando a trasmettere, anche se era più che altro come se dell'energia colasse fuori dai suoi lati. Gli esagoni verso cui si stava dirigendo, invece, erano sempre una cittadella di luce fondata sull'ordine e sul rigore.
- Riusciresti a diminuire un po' l'attività, almeno in quest'area? - gli chiese, sorvolando con i morsetti della mano sinistra il capezzolo dove stava per disegnare. Aveva dovuto indicarlo così per cedere almeno in parte al suo desiderio di connettersi ancora. Probabilmente solo per suggestione, quel semplice gesto le aveva fatto rizzare tutti i capelli sulla nuca.
- Non posso diminuirlo di molto.
Passò una seconda volta, sempre gesticolando. Era una specie di gioco erotico tra sé e sé. Questa volta la scossa che sentì nelle viscere fu più netta - Lo dico perché quando arriverò lì con la penna potresti provare delle sensazioni spiacevoli con tutto quel trambusto. Si rischiano persino delle scintille, figurati.
- Posso rallentare un po', forse si. - fece lui. E in effetti subito il monocolo le riportò che gli sciami di luci intorno a quella zona erano più radi, anche se non assenti.
Si chinò nuovamente sul corpo e continuò a disegnare. Tatuare poteva essere considerata un'arte, ma tra un'esplosione di creatività e l'altra c'era un lungo e costante lavoro di pazienza mortalmente noioso. Era questo lavoro, secondo Vanya, a distinguere il buon tatuatore dal cialtrone. Conosceva diversi ragazzi bravi a disegnare, ma che si annoiavano tanto a rifinire il loro lavoro che alla fine facevano immensi pastrocchi, che oltretutto offrivano connessioni scadenti.
La sua linea, invece, stava risalendo sul corpo del giovane centimetro per centimetro, ogni centimetro esattamente della stessa larghezza, aderente al centimetro precedente, con l'inclinazione che desiderava lei. Sotto certi punti di vista trovava più bello un disegno del genere, una linea dritta ed essenziale, perfetta, che certi figurini magari più creativi e infiocchettati, ma che mostravano minore razionalità.
Come aveva previsto, quando arrivò a congiungersi con l'esagono, sentì sotto la punta della penna il tipico formicolio dell'energia in preda al panico. Il suo strumento, con la punta metallica e soprattutto il serbatoio di inchiostro connettivo, era formidabile nel mettere a terra e disperdere il segnale coerente. Non si arrivò mai alle scintille, come aveva temuto, ma a un certo punto dovette lavorare rinunciando a controllare il monocolo, perché ormai gli trasmetteva solo una macchia indistinta di luce spumeggiante.
- Finito! - disse rialzandosi. Erano passati circa quaranta minuti, si sentiva la schiena indolenzita ed era sudata sotto le ascelle. Era molto brava a mantenere la concentrazione anche per lunghe sessioni di lavoro, a volte persino ignorando i dolori del suo corpo. Di solito erano i clienti, rognando e lamentandosi, che la costringevano a interrompersi o a prendersi più pause del necessario, ma naturalmente non era questo il caso. Per quello che ne sapeva il ragazzo poteva anche essere morto quando aveva iniziato a incidere, da quanto si era mosso durante l'operazione.
Il suo annuncio, comunque, ridestò il giovane dalla trance. Con cautela, tenendo le mani ben lontane dal corpo, si tirò seduto e si rimirò il lavoro. Vanya si chiese se ci vedesse anche lui una freccia puntata sul cazzo. - Esattamente quello che volevo. - disse. - Ora potresti fare una cosa per me?
Vanya lo guardò con sospetto, ma anche curiosità. Un altro fatto strano era che, nonostante tutti i suoi muscoli e la sua freddezza, quel tipo gli sembrava assolutamente innocuo, come se non potesse farle del male. - Di cosa hai bisogno?
- Passami... passami la mia borsa.
Il giovane si era presentato con un borsone da ginnastica. Lo teneva così stretto, quando era entrato, che evidentemente conteneva tutto quanto possedesse di prezioso. Non che fosse raro trovare nei bassifondi della gente capace di rinchiudere tutta la propria ricchezza in un bagaglio a mano. Spogliandosi, aveva sistemato tutti i suoi vestiti, piegandoli, proprio sopra il borsone. Vanya li scostò con cura, appoggiandoli sul suo piano di lavoro, e gli portò la sacca. Era pesante e conteneva sicuramente diversi oggetti rigidi. Alcuni spigoli premevano contro la plastica.
Il ragazzo vi frugò dentro qualche secondo e ne tirò fuori uno strano oggetto flaccido, disgustoso a vedersi. Sembrava formato da una specie di pelle sintetica, traslucida e rosa, particolarmente elastica. Una leggera trasparenza rivelava che conteneva un qualche strumento spigoloso, di colore scuro, ma non mostrava nessuna apertura per raggiungerlo. In compenso, la pelle sintetica era percorsa di piste connettive, che però non sembravano opera di un tatuatore, ma lo scarabocchio di un bambino schizofrenico. Dovunque due piste si incontravano, era impiantato un morsetto di forma irregolare, la cui superficie non solo non si avvicinava alla classica forma sferica a testa di chiodo, ma in certi casi appariva proprio aguzza. Vanya stava male a vedere quella specie di obbrobrio, non sapeva se era per la somiglianza disgustosa alla carne o per il modo selvaggio in cui era stato disegnato lo skinware che lo ricopriva.
Il giovane, invece, lo guardava quasi con voluttà, sorridendo. - Vorrei poter aspettare un poco, ma ormai non mi è rimasto molto tempo e questo è il posto più tranquillo dove posso farlo. Ti spiacerebbe lasciarmi... una decina di minuti?
Istintivamente, Vanya arricciò il naso. - Una decina di minuti per fare cosa?
- Per... usare la tua opera. Devo connettermi a questo.
- Quello? Quello è...
- Troppo difficile da spiegare, però ti chiederei di starmi lontana, finché non ha finito.
Vanya era imbarazzata e non sapeva come comportarsi. Aveva sempre saputo che quelli che frequentavano il suo studio facevano cose strane con i lavori che lei gli faceva, a volte persino cose disgustose, ma non le era mai capitato che qualcuno fosse tanto in fregola da non poter aspettare di andarsene. Nonostante l'oggetto che avesse in mano fosse osceno, però, non sembrava che il ragazzo volesse dedicarsi a un qualche tipo di perversione, parlava invece con una certa serietà, che la richiamò al suo senso del dovere.
- Non è una roba che mi metterà nei guai, vero?
- Non ho bisogno di connessioni esterne. Me la vedrò io con lui, basta che tu mi lasci qualche minuto.
Avrebbe potuto scacciarlo. Beh, avrebbe dovuto scacciarlo, ma non pensava lucidamente, non dopo quello che aveva provato connettendosi con lui e non dopo aver instaurato quella bizzarra intimità, quel legame da pelle a pelle che continuava a titillare il suo ipotalamo e quanto presiedeva ai suoi istinti. - Dieci minuti - ammise - non sarà un problema.
- Grazie. - Il giovane non attese oltre, tornò a sdraiarsi sul lettino e appoggiò il blob carnoso esattamente sul triangolo che Vanya aveva disegnato. Per un paio di secondi non accadde nulla poi, per la prima volta, ebbe una reazione violenta, sussultando inarcando la schiena, stringendo i pugni e irrigidendo tutti i suoi muscoli. Dischiuse occhi e bocca, ma dalla bocca non uscì alcun suono e i suoi occhi apparivano completamente bianchi, con le pupille nascoste dalla parte sbagliata del cranio.
Vanya sapeva perfettamente cos'era un white-out pur non essendo mai stata tanto scema da sperimentarlo in prima persona. Certi dispositivi intervenivano in modo tanto violento sul sistema nervoso da saturarne le reazioni. A questo punto sopraggiungeva uno stato di incoscienza molto simile al coma, in cui tutte le funzioni cerebrali si perdevano nel feedback della connessione. Nei casi più sfortunati, quando la gente si metteva proprio a succhiare merda, il white-out poteva durare abbastanza da uccidere, ma solitamente qualche sistema di sicurezza biologico o cibernetico scattava, liberando il soggetto e lasciandolo con un brutto mal di testa e poco più.
Vanya non era particolarmente felice di quello che aveva davanti, di certo il suo cliente stava facendo qualcosa di molto strano e per quanto fosse sicuro di sé non era detto che non stesse rischiando la vita. Se gli fosse morto sul lettino sarebbe stato un bel casino, anche se, probabilmente, se la sarebbe potuta cavare chiedendo aiuto a qualche amico e scaricando cadavere e tutto il resto da qualche parte. Se anche i poliziotti fossero risaliti al suo tatuaggio si sarebbe limitata a dire che aveva fatto quello che il cliente le aveva chiesto e lo aveva visto andar via sulle sue gambe. Era certa che non erano state le sue piste a ridurlo così, ma quel sacchetto di schifo che si era portato con sé e a cui si era connesso.
Poteva aspettare i dieci minuti richiesti, poteva aspettarne anche venti. L'esperienza sembrava così intensa da non poter durare così a lungo senza ammazzare il ragazzo per cui a quel punto avrebbe saputo cosa fare. Nonostante i suoi vent'anni, Vanya aveva sempre dimostrato una notevole maturità, soprattutto quando si era trattato di preservare la sua pelle. Per questa ragione, in condizioni normali, avrebbe fatto esattamente quello che c'era da fare, ovvero rimanere alla larga dal corpo del giovane per il tempo richiesto, e poi avrebbe reagito secondo necessità.
Purtroppo però il suo stato era alterato, era preda di una smania indefinita che non sapeva come gestire e fece l'errore di osservare un'ultima volta cosa stava succedendo con il monocolo Ampere.
Quello che vide era bellissimo.
Improvvisamente i disegni sghembi e disordinati sulla superficie del blob rosa apparivano coerenti, allineati e irregimentati nella griglia di dati che l'oggetto produceva. Non era solo la sua superficie a risplendere, c'erano anche flussi di informazioni che provenivano dal suo interno e ricadevano a pioggia sulla pelle sintetica, prima di scorrere nei morsetti, disegnando poi figure geometriche e frattali in tre dimensioni, simili a un eterno fiocco di neve in mutazione. La trasmissione, poi, si avvitava intorno alla pista che lei aveva disegnato lungo l'addome del ragazzo e risaliva, fino a sciogliersi nel grande diagramma di esagoni. Gli esagoni, ogni volta che ricevevano un flusso, risuonavano come campane, emettendo campi elettrici circolari che si intrecciavano e sovrapponevano, disegnando immagini di luce.
Vanya si convinse a rimanere a guardare quello spettacolo perché mai, in tanti anni, aveva visto niente del genere e perché non c'era nulla di male a guardare. Lentamente, però, l'ipnosi indotta dalla danza di luce cominciò a erodere tutte le sue barriere e a permettere ai suoi istinti più primitivi di affrontare la scalata alla sua razionalità. Improvvisamente si chiese cosa potesse rappresentare connettersi a un mare di luce di quel tipo, cosa potesse essere sentirlo mentre ti attraversava la pelle.
Questo dubbio si tramutò a una specie di vuoto che le si gonfiò nello stomaco, premendo contro il suo bassoventre e spremendo ormoni da tutte le sue viscere. Il monocolo ormai era fuso al suo occhio e non aveva modo di toglierlo, tutto il suo campo visivo era ridotto allo skinware del giovane che risplendeva. Fece un passo avanti, convinse il suo cervello terrorizzato che non c'era nulla di male ad avvicinarsi e poi fece un altro passo. Paura, eccitazione e desiderio giravano nella sua testa come tre pianeti in orbita intorno alla sua coscienza. Ogni volta che la paura era all'afelio eccitazione e desiderio la convincevano a fare un passo in più, ad alzare la mano dotata di morsetti, ad aprirla. Quando resistere cominciò a esserle fisicamente doloroso, calò la mano aperta sul disegno a esagoni.
- Cosa cazzo stai...? - Il ragazzo sussultò, impossibile sapere se il suo tocco lo avesse tratto fuori dal white-out o se, più semplicemente, anche in quella condizione non avesse perso realmente coscienza. Lei intuì soltanto che lui cercava di afferrarle il polso mentre le onde di luce che aveva solo visto attraverso il monocolo penetravano sotto la sua pelle e risalivano lungo il braccio, per passarla da parte a parte, neanche fosse un foglio di carta velina. Ogni cellula del suo corpo ricevette l'informazione relativa a ogni altra sua cellula, assommata alle sensazioni del giovane, assommata a un flusso di altri dati che non poteva discernere, ma che aveva l'impeto dei ricordi di migliaia di vite. Il suo cervello vide, in un istante, sovrapporsi ogni domanda e ogni risposta, ogni azione e ogni reazione, mentre i suoi occhi si riempivano nuovamente di colori elettronici: tutti i colori, tutti assieme, fino a divenire un colore che il suo occhio non aveva mai visto prima.
Poi, mentre la sua corteccia cercava di elaborare una sola risposta per tutte le domande e il suo corpo smetteva di subire il giogo del suo controllo neurologico, raggiunse infinite dimensioni di estasi ortogonali fra loro e cadde a terra senza sentire più nulla.
Non aveva mai guardato veramente il suo soffitto, per cui ci mise un po' a riconoscerlo. E anche quando fu convinta che stava veramente guardando il suo soffitto realizzò di essere sdraiata per terra nel suo studio solo dopo che le sue mani, annaspando, raggiunsero il monocolo Ampere rotto che aveva accanto.
Doveva evidentemente essere svenuta e infatti scoprì rapidamente di provare un forte dolore alla spalla destra, che aveva battuto nella caduta. Le orecchie le fischiavano e una leggera nausea le suggeriva di non muovere troppo gli occhi.
Muovendo le gambe si accorse con disgusto di avere le mutande fradice. Si era pisciata addosso e, a parte lo schifo, fu la vergogna a farla rabbrividire. Solo i flippati marci finivano in connessioni così profonde da perdere il controllo di certe funzioni e a lei non era mai interessato flippare così, anzi, quelli che arrivavano a certi limiti le davano il voltastomaco.
I rumori arrivarono in un secondo tempo. Principalmente, ricominciò ad avvertire i consueti rumori del suo studio, il basso borbottio della strada, incessantemente battuta dalle macchine, il riscaldamento che strisciava nei tubi, il ticchettio dei calcolatori che teneva sempre accesi. Poi prese coscienza della voce, poco sopra di lei, priva di tono particolare, poco più che un sussurro. Non era una cantilena, era evidentemente una voce che rispondeva a un'altra voce, ma nonostante questo era monocorde in modo innaturale.
- L'operazione è andata a buon fine... si è stata una seccatura, ma...
Si aggrappò al piantone del lettino e si tirò in piedi. Il ragazzo, il suo cliente, era di spalle che guardava il banco di lavoro. Si stava aggiustando il colletto di una specie di divisa, un vestito completamente diverso da quello con cui era entrato, probabilmente tirato fuori dal suo misterioso borsone. Nel vedere solo la sua sagoma ebbe una specie di flash, molto differente dal flash della connessione al suo skinware, ma altrettanto improvviso e feroce. - Wil... Wilco. - disse.
Il giovane si girò, non un movimento brusco, ma un movimento rapido, rapido e essenziale, le mani già alte, sulla difensiva. - Tu... sei... stai bene... - mormorò, con un certo stupore. Poi chiuse il terminale in cui stava parlando senza nemmeno salutare la persona dall'altra parte.
- Wilco. - ripeté lei. Dire quel nome serviva a mettere un qualche tassello a posto, nel suo cervello scombussolato. Nel contempo, però, servì a mandare in tilt qualcosa nel giovane, che sbiancò e mostrò finalmente qualcosa di simile alla paura. - Come... mi hai chiamato?
- Tu ti chiami Wilco. - ripeté un'ultima volta, perché sapeva perfettamente che era così.
La mano del ragazzo le prese la spalla, la sentì appena perché il suo sistema nervoso era ancora saturo e le trasmetteva sensazioni in maniera discontinua. La spaventò di più l'espressione con cui lui avvicinò il volto al suo. - Quel nome non esiste. - affermò.
- E' il tuo nome. Sappiamo tutti e due che è vero.
Wilco imprecò, sembrò sul punto di fare qualcosa di terribile, ma poi le tolse le mani di dosso e afferrò invece il bordo del piano di lavoro, come per avere qualcosa da stringere, qualcosa su cui scaricare la tensione. - Come ti è saltato in mente di connetterti mentre l'hackbrain era al lavoro?
Non aveva più idea di cosa fosse realmente successo, ma se sbatteva gli occhi poteva vedere, impresso nella sua retina, il disegno che il monocolo Ampere le aveva rivelato. - Era bellissimo. - ammise.
- Se il tuo skinware non fosse andato in sovraccarico fino a mandarti KO l'hackbrain avrebbe potuto arrivare al tuo sistema nervoso e mangiarti il cervello! Quella roba era fatta per corrodere un protocollo militare multi-strato. Sai cosa può fare se viene sguinzagliato contro un sistema da ragazzina come il tuo?
Lei lo ascoltava imbambolata, quasi senza capire. Mentre lui parlava, sempre più informazioni affioravano dalla sua mente, provenienti da una memoria che non era veramente la sua memoria, un luogo che nella sua mente visualizzava come una foresta di lampi e giochi di luce. - Non è un sistema da ragazzina - provò a giustificarsi, facendo passare un dito sulle linee del suo braccio - lo ho progettato... io...
Wilco controllò l'orologio che aveva al polso, un orologio che appariva costoso e dotato di funzionalità complesse. Probabilmente non ci lesse solo l'ora, ma divenne ancora più nervoso. - Deve esserci stato un trasferimento di memoria, quando hai provato a connetterti. L'hackbrain deve aver estratto informazioni dalla mia coscienza e le ha mandate in broadcast sullo skinware, dove ha trovato te ad accoglierle. Non è un vero trasferimento mentale, però. non funziona veramente. Probabilmente non si è impresso niente nella tua memoria a lungo termine e dopo una notte di sonno ti sarai dimenticata tutto. Ti servirà un po' di fortuna, ma mi sembra tu ne abbia già avuta un bel po'.
Vanya realizzò in quel momento in che posto di merda viveva. Per qualche ragione i suoi standard di esistenza si erano improvvisamente alzati. Confrontava il buco del suo studio con immagini che aveva nella testa, luoghi che non aveva mai visto ma che ricordava nitidamente: ville e palazzi di lusso, arredamento in legno vero, strutture di vetro e cristallo e, naturalmente, fuori dalla finestra, sempre un mucchio di verde e di azzurro.
La nausea crebbe. - Non sono mai stata molto... fortunata.
Non aveva mai avuto granché possibilità di andare via di lì, ma non le era mai importato. Fino a quel momento.
Wilco le rimise le mani sulle spalle, ma questa volta con maggior gentilezza. Lo vedeva enorme davanti a lei, anzi, lo vedeva enorme intorno a lei, come se occupasse tutta la stanza.
- Senti, mi ero preso le mie precauzioni, dal punto di vista delle connessioni esterne, ma non posso essere sicuro che tu fossi schermata. Prima o poi troveranno la traccia dell'hackbrain e arriveranno qui. E' meglio che ti allontani per un po'. Non cercano te, ma non posso garantire che non ti faranno del male.
Lei sapeva di chi lui stava parlando. Aveva in mente una sigla, una sigla che aveva visto anche in giro, qualcosa come GRID o GRIN o CORD. Avrebbe controllato con un terminale, presto, ma prima c'era qualcosa di più urgente. - Portami con te.
Non era per le ville e i palazzi di lusso, non era per i prati e il cielo azzurro. Forse nel futuro di Wilco c'era anche quello, ma gliel'aveva chiesto per tutt'altro motivo.
Il ragazzo sbiancò. - Cosa diavolo stai dicendo?
- Io ti amo. - Voleva andare con lui per quello, anche se persino quel sentimento veniva dalla zona del suo cervello tutto lampi e tuoni. In quel momento, comunque, la provenienza non era importante.
- Tu mi... ami? Non dire stronzate!
Un altro nome stava emergendo. - Io ti amo come Sandra.
Grande e grosso com'era Wilco si ritrasse, si rattrappì quasi, come un polpo che si rifugia dentro una conchiglia. La sua preoccupazione era cambiata, ma, soprattutto, non era solo preoccupazione. - Quanto sei andata... quanto sei andata a fondo.
- Io ti amo come Sandra, ti ho detto.
- Questo non ha senso, perché...
- Perché lei è morta. Ma io ti amo come lei.
Wilco controllò un'altra volta l'orologio poi cominciò a girare intorno al lettino. Mentre prima, quando era nudo, Vanya non aveva provato nulla, adesso vedere il suo corpo muoversi le diede una strana sensazione di calore. Non poteva abbandonarsi a essa solo perché proveniva dal bassoventre, da dentro le sue mutandine zuppe di piscio.
Lui continuò a spiegarle cose di cui non le importava nulla. - E' un'altra informazione che hai estratto. Correlata di sensazioni e input empatici. Tu non mi ami. Sandra mi amava. O forse io ero convinto che lei mi amasse. La tua mente sta solo replicando un mio pensiero... un pensiero... molto importante.
- Un'ossessione. - Le era tanto ovvio.
- No! Non un'ossessione... un... importante.
Lo vide puntare gli occhi sulla porta e capì che voleva andarsene. Cercò di afferrargli il braccio, ma era troppo debole e incapace di coordinarsi. Lo guardò con gli occhi già pieni di lacrime. - Non puoi andartene! Soffrirò! Come avrebbe sofferto lei!
Aveva già recuperato il suo borsone ed era riuscito a mettersi tra lei e la porta. Stava sgattaiolando via come un amante fedifrago, come un seduttore da quattro soldi. - Basterà una notte di sonno per cancellare anche questa sensazione. Sono tutti pensieri che non dovevano entrare nel tuo cervello. Scompariranno nel giro di un giorno.
- No! Non sono... pazza! E' una cosa che sento... nel profondo! - Una cosa che oltretutto non aveva mai sentito, non con quell'intensità e soprattutto non con quella struttura. Certo, si era fatta travolgere dalla passione un paio di volte, quando era più giovane aveva fatto anche dei voli pindarici mica da ridere, una volta con una ragazza, due volte con dei ragazzi, ma mai aveva provato quello che provava in quel momento. Era come avere una specie di grande albero nodoso piantato dentro il petto, comunque si muovesse, qualunque sensazione provasse, rimaneva impigliata nei suoi rami.
- Ti prego - fece lui, come se si sentisse in colpa, quando in realtà aveva fatto di tutto per evitare quella situazione - fai come ti ho detto. Scompari. Vai via da questa città per un po'. Scopriranno che mi hai fatto il tatuaggio, forse, ma è una pista che si raffredderà in fretta. Presto avranno bisogno di un altro modo per rintracciarmi e si disinteresseranno di te. Ma ora no, ora potrebbero essere... pericolosi.
- Ma tu te ne vai...
- Io non ho nessun motivo per rimanere!
Non disse nient'altro, continuò a indietreggiare, aprì la porta alla cieca e corse fuori. Vanya provò a seguirlo, ma quando l'aria fredda penetrò dall'uscio spalancato le sembrò quasi che un branco di gatti le graffiasse la pelle e fu costretta a barcollare attaccata al muro. Quando finalmente, arrancando, riuscì ad affacciarsi sulla strada, di lui non c'era più traccia e lei realizzò che se avesse fatto anche solo ancora un passo avrebbe dovuto vomitare.
Tornò dentro e si accasciò nuovamente sul pavimento dello studio, aggrappata al suo sgabello. Rimase così per un tempo che non riuscì a quantificare, mentre le nebbie dello shock si scioglievano e cominciava a riemergere la sua parte razionale. Anche quando lucidamente riuscì a capire cos'era successo, comunque l'ansia per aver perduto Wilco era ancora lì, nel profondo del suo animo, legata a doppio filo a ricordi che non le appartenevano e a sensazioni che avevano sovrascritto il suo modo di essere. La sua parte razionale dovette lavorare a lungo, per impedirle di cedere al panico, ma alla fine concluse che Wilco non sarebbe mai tornato indietro, anche se lei l'avesse aspettato tutta la vita, perché lei era solo la tatuatrice da cui lui era andato per agevolare un qualche hack del suo sistema di skinware, una sconosciuta di cui non ricordava probabilmente già più il nome. Lei non era Sandra, anche se ormai sapeva perfettamente cosa provasse Sandra, chi fosse e perché lui l'amasse. Anche se era gravata dal dolore per la sua morte e il suo cuore sanguinava per lo schianto di un elicottero che non aveva mai visto, in un paesaggio lontano dove non era mai stata.
La sua parte razionale era anche consapevole che non sarebbe bastata una notte di sonno per cancellare tutto.
Con il ritorno delle sue piene facoltà mentali anche il suo corpo riprese a rispondere meglio. Gli spasmi muscolari alle estremità cessarono, lasciandole solo braccia e gambe indolenzite, e anche il senso di vertigine si attenuò abbastanza da permetterle di tornare in piedi senza paura di crollare al suolo. Prima che il disgusto per sé stessa la sopraffacesse mise il cartello di CHIUSO alla porta del laboratorio e si spogliò, lasciando i vestiti sul lettino operatorio e gettando le mutande fradice sul pavimento. Nuda, raggiunse il miniappartamento collegato al suo studio e scivolò direttamente nel box doccia. Aprì l'acqua e vi si buttò sotto, senza nemmeno aspettare che divenisse calda. L'adrenalina del getto gelido le corse dolorosa nelle vene, ma le permise di riguadagnare sicurezza sulle gambe, così quando finalmente l'acqua si fece calda il piacere di sentirla sulla pelle le permise di lavarsi, lentamente, con cura. Nuovamente, non riuscì a stabilire quanto passò sotto la doccia, il senso del tempo sembrava l'unica cosa che non avesse ancora pienamente riottenuto, i suoi movimento le apparivano lentissimi e altrettanto lenti sentiva passare i secondi.
Quando uscì dalla doccia lo specchio le sbatté addosso l'immagine del suo corpo nudo. Tutta la zona attraversata dal suo skinware era fortemente arrossata, a testimoniare il forte stress che le piste e i chip avevano subito, ma non ci badò. Quello che notò fu invece la sua figura mediocre, la sua bassa statura, le sue tette troppo piccole, i fianchi ossuti, le braccia troppo lunghe con mani grandi, quasi da maschio. Provava disgusto per sé perché confrontava la sua figura con quella di Sandra, che aveva stampato bene in mente e che rappresentava ormai la sua idea di perfezione. La frustrazione per essere chiusa in quel fisico così scadente la indusse a coprirsi, prese in mano l'accappatoio come in un raptus e ci si avvolse strettamente.
Sgattaiolò in camera sua e si mise al suo terminale privato. Appoggiando la mano sinistra su un pomello recettivo attivò un contatto solo audio.
- Aldus? - chiamò, poi si ritrovò a sibilare per il dolore. Lo scorrere dei dati sul suo skinware le provocava ancora sofferenza.
- Vanya? Cosa c'è? Cosa ti sta capitando? Hai la voce strana.
Lei lasciò che i brividi l'attraversassero da capo a piedi un paio di volte, tendendo i muscoli. Poi, finalmente, il sistema parve tornare allineato e la trasmissione dati smise di tormentarle la carne. - Ho bisogno di lasciare la città per un po', dici che me lo trovi un altro buco? Magari dove posso comunque continuare col lavoro?
Aldus non era tipo da chiedere spiegazioni per una richiesta del genere. - Non è difficile piazzare un tatuatore del tuo livello, c'è sempre qualcuno che ne cerca. Deve essere un'altra città? O ti serve una comunità un po' più off-line o roba del genere?
- Quello che trovi andrà bene Aldus, solo cambiare un po' aria.
- Ok, tutto bene, comunque?
Provava profonda vergogna per quasi tutto quello che si agitava nelle sue viscere, parlarne era fuori discussione. - Aldus, senti, ho qui dei dati di accesso, non stare a chiedermi come li ho avuti, solo che non... non ne ho mai visti di questo genere.
Mandò la mente in mezzo alla zona tempestosa che era sorta nel suo subconscio dopo lo shock. Aveva intravisto subito alcune informazioni un po' più particolari delle altre, fece sì che la parte di sé che guidava lo skinware vi si focalizzasse e poi ne trasmettesse gli estremi via terminale.
Aldus fischiò. - Queste sembrano credenziali militari, Vanya, roba piuttosto pericolosa.
- Dici che posso usarle?
- Vanya...
- Le possiedo senza aver fatto niente di male, Aldus, va tutto bene, dici che posso usarle?
Una lunga pausa. Non aveva mai visto Aldus dal vivo, ma da quello che aveva capito era un tipo molto più vecchio di lei. Si diceva ricordasse persino l'epoca precedente ai tatuaggi e ai chip sottopelle. - Insomma, non metterti a usarle in un punto d'accesso free qualsiasi. Proteggiti un poco, non farci niente di troppo sporco. Non è che quelli là possono tenere d'occhio tutto quello che passa, ma tu mettici un po' di intelligenza.
- Bene.
- Posso sapere, a grandi linee, che cosa vuoi farci?
Avvampò. Non solo le guance, ma tutto il suo corpo avvampò all'idea. La parte persa nei lampi e la sua parte razionale sembravano concordare che quello che stava facendo era sbagliato. - Ho bisogno di usarle per trovare delle informazioni. Solo un po' di informazioni su un paio di persone.
- Un paio di persone?
I ricordi, i ricordi di tutti e due cominciarono a premerle sulle meningi. - Si, si chiamano Wilco e Sandra.
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