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Volere Divino

Buonaseraaaa!
Il capitolo di oggi è lunghissimo ed è un punto di svolta nella storia... SPERO VI PIACCIA!
Buona lettura🥰

***

«Possiamo entrare? Si sta facendo tardi».

Rìan fu il primo a parlare e, facendolo, spezzò l'incantesimo che pareva essere caduto sul Castello Nero e sui suoi visitatori.

Distolsi gli occhi dal cielo infuocato e li feci scivolare su di lui: il ragazzo, avvolto nel nero mantello tipico di Gorias, aveva un'espressione fiacca e l'aspetto sfatto: i suoi capelli erano annodati dal vento e i suoi occhi lucidi di stanchezza ma, nonostante ciò, mi sorrise quando vide che lo stavo guardando.

«Sciocco mezzo umano» sentii dire da Morven, che era stato in grado di capire ciò che aveva detto Rìan poiché il ragazzo aveva usato una stentata ma comprensibile lingua delle fate, «Non rivedrai mai più una cosa del genere... se fossi in te terrei gli occhi incollati al cielo per i prossimi tre giorni».

Rìan fece spallucce e si avviò nella mia direzione, seguito immediatamente da Grania, che, fino a quel momento, era rimasta immobile e in disparte a fissare il cielo, i cui colori parevano incendiare i suoi capelli vermigli.

«Qualcosa mi dice che non sia un caso il fatto che questo bello spettacolino sia iniziato non appena voi siete entrati nel Castello Nero» disse Rìan, studiandomi con apprensione.

«Non lo è. Nulla di tutto ciò è un caso» si intromise Alistair, «Questo è il volere degli dèi, è abbastanza chiaro ormai».

Vidi il viso di Morven incupirsi in una smorfia di disappunto: «È proprio per questo che la cosa non mi piace» borbottò, «Gli dèi non si facevano vedere da millenni, e improvvisamente... tutto questo? Non mi piace».

Lo scetticismo che trasudava dalle sue parole mi fece immediatamente pensare a Lùg: «Voi di Gorias siete stati cresciuti a pane e cinismo sin dalla tenera età, eh?» osservai sarcasticamente.

La mia frecciatina suscitò un ghigno lupesco da parte di Morven: «Solo gli stupidi credono nei miracoli, Rowan, e a me piace pensare di non essere uno stupido».

«Attento a come parli, Principe» ringhiò Alistair, offeso, ma Morven si limitò a sistemarsi la cappa nera e, dirigendosi verso il portone del castello, borbottò: «Andiamo a vedere cosa vogliono questi dèi, allora».

Lo seguimmo tutti alla spicciolata e, prima di infilarmi fra le buie fessure del portone distrutto, lanciai un'ultima volta uno sguardo al cielo infuocato... incredula di fronte a quell'incessante pioggia di meteoriti.

«Allora?» sussurrai una volta all'interno del castello, correndo appresso a Rìan, «Com'è andata la prova di Cittadinanza?».

L'uomo mantenne lo sguardo fisso di fronte a sé: «Bene. L'ho passata».

Attesi che continuasse ma, vedendo che non sembrava intenzionato a proseguire, cercai di spronarlo: «Cos'hai dovuto fare? Era simile alla mia? Si può avere qualche dettaglio in più?».

Rìan si voltò di scatto a fissarmi e sbottò, irritato: «No, Rowan, non si può. È una prova... segreta. Non posso parlarne con il primo che me lo viene a chiedere».

«Ma io...» tentai, bloccandomi però subito dopo: cosa avrei potuto dire, dopotutto? Ma io non ero come gli altri?

«Okay, scusa» mormorai quindi, «Mi dispiace».

Rimasi indietro di un paio di passi e, per l'ennesima volta, mi domandai perché dovessi sempre essere io a scusarmi quando discutevo con Rìan. Avevo fatto una semplice domanda, lui mi aveva risposto male, in modo scocciato, ed io mi ero scusata. Ero stufa di questa dinamica, stufa di sentirmi sempre umiliata per colpa sua. Quante volte ancora avrei dovuto sbattere la testa contro il muro prima di decidere di cambiare direzione?

Sbattendo i piedi a terra con rabbia, iniziai a scendere i gradini della lunghissima scalinata che ci avrebbe portato nella caverna sotterranea, sentendo la furia montare dentro di me come un'onda e rendendomi conto di essere veramente vicina al punto di rottura con Rìan.

«Sembri pronta ad uccidere qualcuno» commentò Labhraidh, affiancandomi durante la discesa.

«Oh, non sai quanto» ribadii, fissando con espressione truce la bionda chioma di Rìan che riluceva nella pallida luce emessa dalla mano di Daireen.

Quando infine raggiungemmo la caverna sotterranea, Alistair si diresse senza troppe cerimonie verso il buio cunicolo che scompariva nel terreno laddove, fino a mezz'ora prima, c'erano stati migliaia di metri cubi d'acqua.

Lo seguimmo tutti, ma sia i Principi che i loro soldati rallentarono notevolmente l'andatura non appena iniziarono a riaffiorare i primi cadaveri.

Da lontano avevo visto solo il baluginio di vecchie armature e l'ombra dei corpi ma, man mano che camminavo su quello che era stato il fondale della caverna sottomarina, iniziai a distinguere dettagli che avrei preferito non notare: il numero impressionante di cadaveri, il bianco avorio delle ossa, i lucidi crani ancora incastrati sotto gli elmi... rabbrividii vistosamente.

«Per quanti anni è rimasto sommerso questo posto?» domandò Grania in un sussurro, comprensibilmente spaventata dall'oscurità del luogo.

«Non ne abbiamo idea» le rispose Alistair, «Non eravamo nemmeno a conoscenza di questa grotta fino a poche settimane fa».

«Dobbiamo proprio scendere lì sotto?» si lamentò Labhraidh non appena raggiungemmo la stretta scala scavata nella roccia, che scompariva nel buio in una discesa ripidissima.

«Muoviti, mortale. Tu starai dietro di me» si limitò a ordinargli Alistair, iniziando a scendere fra le ombre.

Seguii il mio migliore amico e quasi imprecai quando mi resi conto che i gradini in pietra erano umidi e scivolosi a causa di uno strato di disgustosa mucillagine marroncina, oltre che ad essere estremamente alti, tanto che in breve iniziarono a farmi male le ginocchia.

L'odore di muffa e di chiuso mi saturò le narici e il gelo mi entrò nelle ossa, facendomi battere i denti.

Quando infine la discesa terminò, ci ritrovammo di fronte ad un piccolo portone in ferro battuto, ossidato dal tempo ma ancora perfettamente chiuso.

Alistair cercò prima di scassinare il lucchetto, poi, rendendosi conto che i suoi tentativi erano vani, tentò di spezzarlo con pura forza bruta... ma il catenaccio non cigolò nemmeno, rimanendo stoicamente immobile.

«Mortale» mi richiamò Alistair, «Serve il tuo sangue» mi ordinò, smanioso di attraversare la porta.

Fulminai il Principe con lo sguardo, ma egli nemmeno se ne accorse dal tanto che era concentrato sul maledetto lucchetto, così sbuffai e mi punsi per l'ennesima volta il polpastrello con la lama del coltello.

Non appena il mio sangue sgocciolò sul ferro, vi fu uno sfrigolio e, con un secco suono metallico, lucchetto e catena caddero a terra e il portone si aprì con un sinistro cigolio.

«Hanno un bel sistema di difesa» mormorò Labhraidh, ed io sentii un brivido corrermi lungo la schiena... non mi piaceva per nulla quel posto.

Oltrepassammo la soglia e ci trovammo in una piccola saletta, solo debolmente rischiarata dalla luce emessa dai palmi luminosi di Daireen e Alistair.

Mi guardai intorno con circospezione e vidi solo lisce e spoglie pareti nere, scavate nella pietra e levigate dall'acqua ma, dopo qualche secondo di muta contemplazione, Rìan mormorò: «C'è un trono».

La mia testa scattò verso il fondo della sala ed io mi resi conto che, effettivamente, vi era una sorta di scranno sopraelevato, scavato nella pietra nera... e che vi era una statua seduta al suo interno.

Alistair fu il primo ad avvicinarsi ed io riuscii a sentire distintamente il suo respiro spezzarsi appena prima che egli dicesse: «Per gli Dèi».

Daireen lo affiancò: «Quello è... un sarcofago?» domandò in un sussurro, fissando quella che io, da lontano, avevo creduto essere la pedana del trono.

«Non mi piace» esclamò Labhraidh, «Non mi piace per nulla».

Mi avvicinai impercettibilmente a lui ed egli afferrò nel buio la mia mano, gelata e inumidita da un velo di sudore freddo.

«Apritelo» disse però Rìan con voce ferma, avvicinandosi senza paura al sepolcro incavato nella roccia.

Domhnall e Alistair non se lo fecero ripetere due volte e, insieme, cercarono di spostare l'immenso coperchio di pietra nera, ma quello non si mosse nemmeno di un millimetro.

«Aspettate» li richiamò Daireen, e i suoi occhi d'oro corsero su di me: «Hai il Calderone di Dagda con te, Rowan?».

Mi portai istintivamente le mani al petto e, al di sotto di strati e strati di vestiti, tastai alla cieca finché non sentii il rigonfiamento bitorzoluto dell'anello, che in quel momento era diventato gelido come il ghiaccio a contatto con la pelle del mio sterno.

Feci una decina di passi incerti verso Daireen, poi mi fermai e mi sfilai il ciondolo dal collo e rimasi a fissarlo con occhio critico: l'anello era d'argento, spesso e pesante, e al centro della fascia vi era impressa una stella a cinque punte, simbolo del dio Dagda in persona.

Sollevai lo sguardo sulla statua incavata nel muro e non mi stupii nel riconoscere i nobili lineamenti e i lunghi capelli neri che erano stati modellati nella pietra: la scultura rappresentava proprio Dagda, identico a come mi era apparso nel Regno sotterraneo... giovane e austero, con il naso importante e la mascella squadrata.

«Non credete che... che vi sia lui qui dentro, vero?» pigolai, a disagio.

«Non ci resta che scoprirlo» mi sollecitò Alistair, invitandomi ad avvicinarmi al sepolcro.

Percorsi i pochi metri che mi separavano dalla tomba e mi ritrovai ad osservare un'immensa lastra di pietra nera, perfettamente levigata se non per una minuscola, quasi impercettibile dentellatura nel centro, la cui forma replicava perfettamente la stella a cinque punte che protrudeva dal mio anello.

Strinsi con forza il monile fra le dita e, con un moto di coraggio, lo allineai con i solchi scavati nella tomba... e premetti.

Vi fu un sibilo che mi fece sussultare e, vedendo un denso fumo nero iniziare a fuoriuscire dal sepolcro di pietra, io mi allontanai quasi di corsa.

«Che succede?» domandò Grania, ma non ottenne risposta in quanto Domhnall, Alistair e Rìan erano troppo intenti a spingere il coperchio di pietra per degnarla di una risposta.

«Ma che cazzo!» strillò improvvisamente Rìan retrocedendo di un passo con le mani nei capelli ed io, vedendo la sua espressione scioccata, non riuscii a resistere alla curiosità e mi fiondai verso il sepolcro per vedere cosa avesse suscitato tale reazione.

«Non è possibile...» sentii dire anche da Domhnall, così mi infilai sotto il braccio di Alistair e diedi un'occhiata... scoprendo che il cadavere nella bara era il mio.

I capelli lunghi e scuri erano i miei, le labbra sottili erano le mie, la fronte spaziosa e gli zigomi alti erano i miei, eppure non ero io: la donna distesa in quel sepolcro aveva il naso più dritto, la pelle più uniforme e aveva un neo che io non avevo sopra il labbro... ed io sapevo benissimo chi lei fosse.

«Saraid» mormorò Domhnall con voce incredula, «La Risvegliatrice» esitò, poi aggiunse: «La mia Signora».

«Non è possibile» blaterò Alistair, «Non è... possibile» ripeté, scuotendo la testa come se potesse togliersi l'immagine dalla mente.

Eppure, Saraid era lì di fronte ai suoi occhi, con il volto cinereo e un abito blu notte che le lasciava scoperti solo il collo e le mani, intrecciate sul petto e strette attorno ad un pugnale.

«Lùg bruciò il suo cadavere su una pira» sussurrò Daireen, «Mia madre andò al funerale. Come può il suo corpo essere... qui? Adesso?».

Sollevai lo sguardo sulla statua che vegliava la tomba da millenni e risposi sottovoce: «Dagda».

«E cosa ce ne dovremmo fare noi di un cadavere?» sbottò Morven; poi camminò fino a sotto la statua e, fissando i suoi occhi gialli sul dio di pietra, esclamò: «Dimmi un po', vecchio mio. Cosa ce ne dovremmo fare della salma di tua figlia? La dobbiamo bruciare di nuovo? Oppure preferiresti che la seppellissimo, eh? Che dici?».

«La dobbiamo resuscitare».

A parlare fu Domhnall e ciò che disse mi ghiacciò il sangue nelle vene.

Tenni lo sguardo sul cadavere della mia antenata, non osando sollevarlo sul volto del Principe per paura di ciò che egli avrebbe potuto leggere nel mio sguardo, e mi rilassai un poco solo quando udii Morven scoppiare in una risata estremamente divertita: «Ti piace l'idea di Domhnall, dio Dagda?» sbeffeggiò la statua in tono canzonatorio, «Resuscitiamo i morti, perché no!» aggiunse con uno sbuffo.

«Sono serio, Morven» mormorò però Domhnall, «Dobbiamo resuscitarla».

I suoi occhi neri come la morte si fissarono nei miei e il Principe mormorò: «Dovete resuscitarla».

Con il cuore in gola, mi allontanai di un passo dal sarcofago, indietreggiando alla cieca: «Che state dicendo?» pigolai fingendomi stupita, ma la mia tattica non ebbe l'effetto sperato; infatti, Domhnall assottigliò lo sguardo e sibilò: «Non fingete, non con me. So benissimo cosa avete fatto».

I suoi occhi saettarono su Labhraidh, poi tornarono su di me: «Durante la notte del Sabbath, ho scambiato quattro chiacchiere con la vostra amica, la quale ha accennato alla vostra... strabiliante abilità» aggiunse, rivolgendo quindi un mesto sorriso in direzione di Grania.

Voltai di scatto la testa e vidi l'esatto momento in cui la donna realizzò l'errore da lei compiuto: il colore abbandonò il suo viso e le efelidi spiccarono sulla sua pelle cinerea come chiazze di sangue.

«I-io non...» balbettò la rossa, «I-io ho semplicemente detto che...».

«...che dove va Rowan va Labhraidh, e viceversa» la interruppe Domhnall, osservandola con divertita condiscendenza, «E poi avete aggiunto una frase particolare: "Anche nella morte". Avete usato un'espressione che chiunque altro avrebbe sicuramente interpretato come una metafora, ma io non sono chiunque altro: io sono uno Spezzacuori, e la vostra frase mi ha fatto comprendere il perché di una stranezza che avevo notato sin dall'inizio...» il suo sguardo scivolò da me a Labhraidh: «I vostri due cuori battono all'unisono, come se fossero uno solo. In tutti i miei anni di vita non ho mai visto una cosa del genere, e non me la sapevo spiegare... finché non ho capito».

«Di cosa stai parlando, Domhnall?» domandò Alistair, confuso.

«Sto parlando del fatto che lui è morto» mormorò il Principe, accennando a Labhraidh, «E che lei l'ha resuscitato» aggiunse, fissandomi.

Domhnall rimase in silenzio qualche secondo, poi concluse: «Quindi tu, adesso, resusciterai Saraid per me».

«Questa è follia, Domhnall» sentenziò Morven.

«No» ringhiò l'interpellato, «Questo è il volere degli dei. Perché credi che la mezzosangue sia giunta fino a noi? Può ridarci Saraid, e con lei... il suo esercito».

Deglutii il nodo che mi stringeva la gola e, cercando di calmare il rapido battito del mio cuore con un profondo respiro, dissi: «Non lo farò».

«Se non lo farete voi, lo farò io al posto vostro» Domhnall torreggiò su di me e la sua voce si abbassò di un'ottava e si fece minacciosa: «Se non lo farete, userò il vostro corpo come se fosse il mio e comanderò ogni vostro singolo movimento finché non otterrò ciò che vorrò» mormorò e con le nocche mi sfiorò il profilo del viso.

«Non osate» ringhiai, scostandomi rapidamente da lui e trucidandolo con lo sguardo.

Un indolente sorriso si allargò sul volto del Principe: «Non mettetemi alla prova» mormorò.

«Dagda ci ha sempre aiutati, Rowan» si intromise in quel momento Rìan. Voltai la testa verso di lui e lo vidi di fronte al sarcofago aperto con espressione meditabonda: «Forse è giusto che, per una volta, siamo noi a seguire il suo volere» aggiunse, lanciando un'occhiata alla statua del dio che incombeva su tutti noi.

Mi passai una mano sulla fronte sudata e scossi lentamente la testa: «Non posso farlo» mormorai e, per far capire loro la mia reticenza, iniziai a parlare di logistica: «Quando è morto Labhraidh, io l'ho riportato indietro subito, e nel farlo ho prosciugato un incantesimo millenario lanciato da Dagda stesso» spiegai, poi spostai lo sguardo su Domhnall e dissi con sincerità: «Io da sola non ho abbastanza potere per resuscitare qualcuno, figuriamoci una fata morta da tempo immemore».

Il Principe mi porse una mano pulsante di potere, che illuminava d'azzurro le vene sotto la sua pelle chiara: «Se il problema è solo questo, potete attingere da me».

Mi sentii in trappola.

Domhnall voleva resuscitare Saraid e nulla avrebbe potuto fargli cambiare idea. Gli altri tre Principi, per quanto scioccati dalla possibilità di riportare in vita i morti, non erano affatto intenzionati a intervenire a mio favore, anzi, dallo sguardo di Alistair compresi che egli sarebbe stato il primo a riacciuffarmi se avessi tentato di fuggire. Rìan stesso era sembrava pensarla come Domhnall, e la sua opinione era la più destabilizzante di tutti.

L'unico a nutrire i miei stessi sospetti era Labhraidh, ma ciò significava che eravamo solo noi due contro i quattro Principi e le loro guardie... e quello non era uno scontro che avremmo potuto affrontare, nemmeno nei miei sogni più rosei.

Mi arresi all'evidenza: Domhnall mi aveva in pugno. Anche senza dover usare il suo potere su di me, il Principe avrebbe ottenuto ciò che voleva... perché se la scelta era fra resuscitare Saraid personalmente oppure farlo con Domhnall che guidava ogni mia mossa, respiro e battito del cuore, avrei sicuramente scelto la prima opzione.

Il mio Principe lesse la resa sul mio viso e un sorriso compiaciuto gli incurvò le labbra... generando in me una rabbia cieca.

«Sei un bastardo» ringhiai, abbandonando ogni formalità.

Lui si limitò a indicarmi in modo teatrale il sarcofago, invitandomi a procedere, ed io gli diedi una violenta spallata nell'avvicinarmi al cadavere della mia antenata che riposava immutato nel tempo.

«Vedila così...» mi sussurrò Morven all'orecchio, facendomi sussultare, «...il Fuoco Celeste è per te, Rowan O'Brien. Se sei veramente in grado di riportare Saraid alla vita, allora il tuo nome entrerà nella storia e questa nuova Era porterà il tuo marchio».

«Come se me ne importasse qualcosa» sibilai senza guardarlo.

Osservai quindi la pelle cinerea del volto di Saraid, le sue labbra chiuse in una linea pallida e sottile, le sue guance scavate... e rabbrividii nel posare una mano sulla sua, gelida e secca come quella di una mummia.

Chiusi gli occhi e cercai di ignorare il brusio di voci alle mie spalle e la sensazione di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Percepii il mio potere sfrigolare irrequieto sotto la pelle e, quando strinsi con più forza la mano della mia antenata morta, iniziai a sentire il calore bruciare nelle mie vene. Il fuoco divampò nella mia mente ed io temetti di essere sul punto di liquefarmi, ma affondai le unghie nella mano di Saraid e inspirai una boccata di aria bollente.

Il mio occhio da strega di spalancò ed io strillai spaventata nel ritrovarmi di fronte ad un drago d'oro... il mio drago d'oro, lo stesso che avevo tatuato sulla schiena e lo stesso che avevo visto quando avevo riportato indietro Labhraidh.

Le fiamme proruppero dalle sue fauci spalancate e, fra le lingue di fuoco, apparve un viso femminile dai lineamenti indistinti.

No, crepitò il fuoco, ammonendomi con una vampata incandescente. Sopportai il calore, tanto intenso da essere doloroso, ma fui costretta a retrocedere di un passo.

«Domhnall!» chiamai alla cieca, stringendo i denti per non arretrare ancora.

Percepii nel mio corpo mortale le mani del Principe posarsi sulle mie spalle, e un'onda di ghiaccio derivante dal suo potere mi invase la mente.

Il fuoco si fece più tiepido e io riuscii a riprendere posizione. Avanzai fra le fiamme d'oro e il ruggito del drago mi riverberò fin nelle ossa... poi ci fu l'oscurità.

Mi ritrovai semidistesa sul terreno polveroso e roccioso del deserto delle anime. Il puzzo di zolfo mi invase le narici e fui costretta a coprirmi gli occhi a causa dell'accecante luce bianca che permeava quel luogo.

Quando i miei occhi si furono abituati all'improvvisa luce, riuscii finalmente a guardarmi intorno, scoprendo che quel luogo era esattamente identico a come quando l'avevo visitato per cercare l'anima di Labhraidh: una landa desolata di polvere e pietre sovrastata da un infinito cielo latteo, talmente vasto da darmi la nausea. A qualche centinaio di metri da me vi era l'enorme spaccatura nel terreno verso la quale confluivano le anime, che volteggiavano nell'aria come meduse gelatinose.

«Saraid?» chiamai, determinata a trovare la sua anima al più presto per potermene andare da quel luogo inquietante il più in fretta possibile.

Purtroppo, mi rispose solo il silenzio.

Mi avviai quindi verso la spaccatura nel terreno, la terra secca che scricchiolava sotto le suole dei miei stivali. Il caldo era insopportabile al punto tale che, quando raggiunsi la spaccatura, avevo la camicia incollata dal corpo ed ero disgustosamente sudata.

«Saraid, muoviti!» esclamai, «Il taxi per il regno dei vivi non può aspettarti in eterno!» aggiunsi, cercando di fare dell'umorismo per sentirmi un po' più a mio agio in quel luogo alieno.

Un brusio provenne dalle anime sopra di me, simile al ronzare delle api in un alveare, ma nessuna medusa iniziò a pulsare con luminescenza come aveva fatto quella di Labhraidh.

Mi sporsi oltre il bordo della spaccatura e seguii con lo sguardo i banchi di meduse che lentamente scendevano verso il basso, muovendosi in ampie spirali.

«Non vorrai scherzare» sbottai nel rendermi conto che, lungo le pareti del baratro, correva un minuscolo sentierino che pareva inabissarsi verso la nera oscurità.

Chiamai il nome della mia antenata un altro paio di volte ma, non ricevendo alcuna risposta, mi vidi costretta a imboccare il sentiero sdrucciolevole, grande quanto un fazzoletto.

«Giuro sugli dèi che se muoio ti vengo a prendere a sberle» ringhiai a nessuno in particolare, acquattandomi con la pancia aderente alla parete per oltrepassare un passaggio particolarmente stretto.

Camminai e camminai di spirale in spirale, scendendo sempre più in basso. Era come essere un immenso imbuto nel quale venivano versate le anime... solo che non avevo la minima idea di cosa ci fosse in basso, nell'oscurità.

La curiosità mi spronava a gettare un'occhiata verso il fondo ogni dieci metri, ma lo scenario rimaneva immutato: un'insondabile tenebra nella quale si immergevano minuscole anime luminose, la cui luce si spegneva inghiottita dal buio più assoluto.

«Saraid, per gli dèi!» strillai dopo quella che mi parve un'eternità, stanca di scendere verso quello che sembrava il vero e proprio inferno e impaurita dalla luce sempre più flebile, che mi stava rendendo difficoltoso continuare la discesa.

«Io non scendo più giù di così, hai capito?» gridai nel silenzio mortale di quel luogo ma, non ottenendo risposta alcuna, ritentai: «Parlo anche con te, Dagda! Se vuoi che riporti tua figlia in vita devi darmi una mano, perché lei non sembra molto interessata a farsi trovare!».

Mi sedetti a gambe incrociate fra gli aguzzi sassolini e la polvere rossastra, ma non dovetti attendere molto: dopo una manciata di minuti, vidi un'anima brillare a intermittenza, risalendo dalle profondità più oscure del baratro.

«Saraid?» domandai.

La medusa si fermò a qualche metrò da me, poi, in un lampo di luce, la mia antenata apparve di fronte a me.

Vidi i suoi occhi – che dopotutto erano i mei occhi – scrutarmi con incredulità e la sua boccuccia sottile si aprì in una "O" di stupore. La vidi quindi muovere il braccio, come per assicurarsi di non essere di fronte al proprio riflesso, e vidi lo stupore trasformarsi in qualcosa di simile alla paura quando si accorse che io non ero lei, che non ero il suo riflesso.

«Che cosa sei?» la sua voce pareva carta vetrata e il suo accento era antico come il mondo.

«Senti, ora non ho tempo per spiegartelo. Questo posto mi ha inquietato abbastanza, per oggi» aggiunsi e, con uno scatto felino, afferrai il suo polso.

Ignorai il fatto che toccarla fosse come affondare le mani nel fumo e ignorai anche il suo aspetto da fantasma, con la pelle translucida e l'espressione vacua di chi aveva passato l'ultimo millennio senza sapere chi – o cosa – fosse; mi limitai a stringere il suo polso e a richiudere gli occhi, cercando di tornare al mondo dei vivi... peccato che non avevo la minima idea di come fare.

Quando avevo resuscitato Labhraidh era stata la voce di Rìan – o di Lùg, non ero riuscita a capire a chi dei due fosse appartenuta – a riportarmi al presente, ma in quel momento nessuno stava chiamando il mio nome.

Cercai di visualizzare la sala nella quale era il mio corpo, il volto di chi mi era attorno, ma continuai a sentire lo sdrucciolevole terreno sotto i piedi e la puzza di zolfo nelle narici.

«Merda» sibilai, sentendo il panico – che fino a quel momento avevo tenuto sotto controllo –montare rapido nel mio petto.

«Salta verso l'alto e aggrappati al tuo corpo» mormorò con voce rauca Saraid e, sbirciando fra le palpebre socchiuse, vidi un bagliore di consapevolezza illuminarle lo sguardo.

«Più facile a dirsi che a farsi» borbottai ma, in assenza di un'alternativa migliore, feci come lei aveva suggerito: saltai, ma tre secondi dopo mi ritrovai di nuovo fra la polvere.

Il brusio delle anime si fece più intenso, e Saraid mi strattonò la camicia: «Fa' in fretta, ragazza» la sua voce era gonfia di paura, «Le anime stanno venendo per noi» aggiunse, ed indicò un banco di meduse che si faceva via via più vicino.

Ricordai il terrore che aveva pervaso Labhraidh quando anche lui si era accorto delle anime che ci stavano inseguendo, e l'adrenalina mi fece prudere i palmi delle mani.

Con gli occhi fissi sul banco di meduse in avvicinamento, strinsi in una morsa d'acciaio il polso della mia antenata e saltai con quanta energia avevo in corpo... ritrovandomi nuovamente fra le fiamme.

Il calore mi avvolse come un tornado e l'aria mi fu strappata dai polmoni.

Grida lontane mi riempirono le orecchie e il fuoco si fece mostruoso, violento e senza controllo.

Un sussurrato ruggito riverberò nel mio petto opponendosi a tutta quella furia e percepii artigli affilati come rasoi affondare nel mio petto e ancorarsi al mio essere.

Fermati Rowan, fermati! Lasciala andare!, tuonò l'isterica voce di Labhraidh nella mia testa, ed io percepii il suo urlo di dolore qualche istante prima di sentire uno squarcio aprirsi nel mio petto.

Le grida di agonia del mio migliore amico mi invasero le orecchie, sovrastando ogni cosa, poi tutto si fece nero.

***

Ve lo aspettavate??? Aaaaaah non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo!!!
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto😘😘

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