Verso le Terre Oscure
La parte più difficile di partire per una terra sconosciuta al seguito di un Principe vichingo con le abilità di spezzare i cuori a comando fu convincere i miei genitori a lasciarmi andare.
Alla notizia del mio imminente viaggio, mia madre si era opposta categoricamente, proibendomi in modo perentorio di partire e fissandomi con gli occhi verdi lucidi di lacrime, come se volesse instillarmi un senso di colpa tale da indurmi a darle retta. Mio padre, dal canto suo, si era rivelato molto più comprensivo e, seppur non contento della situazione, aveva cercato di rincuorarmi dicendomi che, dopotutto, non c'era posto più sicuro che al fianco di un Principe.
Quando infine, alle due del pomeriggio, il Principe Domhnall venne a prendermi a bordo di una piccola barca a vela governata da una donna pallida quanto un fantasma, una ventina di streghe era ammassata sul ponte per salutarmi.
Il Principe salì sul ponte e, alla sua vista, il volto di mia madre si fece cereo.
«Non... non possiamo lasciarla andare con... con quello» la sentii sussurrare a Laidhgeann, con una nota di paura nella voce.
«Andrà tutto bene. Staranno bene entrambi» cercò di rassicurarla lui, lanciando un'occhiata preoccupata a Rían, il quale stava attendendo con impazienza l'arrivo di Morven. Anche il Principe di Gorias, infatti, aveva deciso di lasciare Findias quel giorno, portando con sé Rían.
«Proteggerò vostra figlia come se fosse mia» sentii Domhnall dire ai miei genitori, dopodiché lo vidi stringere loro il braccio nel consueto saluto da strega che, a quanto pareva, era radicato anche fra le fate.
«Siete pronta?» mi domandò poi con voce melliflua, porgendomi il braccio in un invito galante.
«Sì, un momento solo...» borbottai, cercando con gli occhi Labhraidh fra la folla.
Avevo già salutato tutti i miei amici, solo lui mancava all'appello... e non me ne sarei andata senza averlo abbracciato un'ultima volta.
«Rowan».
La voce di Rían richiamò la mia attenzione e, voltandomi, lo trovai in piedi di fronte a me, con lo sguardo basso.
«Qualora tu avessi bisogno di... di qualsiasi cosa...» mormorò, apparentemente in imbarazzo, «Mandami un messaggio di fuoco e verrò a prenderti» mi disse, passandosi nervosamente una mano fra i capelli biondi.
«Lo farò» gli assicurai e, senza pensarci due volte, lo strinsi in un abbraccio.
Affondai il volto nel suo petto e inspirai il suo profumo, mentre lui mi carezzava rigidamente la nuca.
«Mi dispiace per come sono andate le cose fra noi» borbottò lui, contrito, la sua voce che rimbombava nella gabbia toracica, facendomi vibrare la guancia.
«Anche a me. Spero... spero tu riesca ad essere felice, Rían, e che le cose tra noi tornino... serene» risposi, sospirando piano e lasciandolo andare.
«Stammi bene, Rowan» mi augurò, allontanandosi verso Morven.
«Anche tu» sussurrai, quand'egli era ormai troppo lontano per sentirmi.
«Allora, si parte?!».
Il tono gioviale di Labhraidh mi fece sussultare.
Il ragazzo si accostò al mio fianco con un paio di jeans strappati, una maglietta dei Nirvana e un borsone gettato maldestramente sulla spalla. Notando il mio sguardo fisso sulla sacca, squassò le spalle: «Vengo con te, è ovvio» rispose alla mia implicita domanda.
I miei occhi pizzicarono di lacrime e una vampata di profondo sollievo mi imporporò le guance: «Non devi...Non ho bisogno che tu venga...» mentii, «Puoi restare qui con gli altri».
Labhraidh mi ignorò completamente e, rivolgendosi a Domhnall, esclamò: «Andiamo, vichingo?».
Lo afferrai per un braccio e cercai di farlo ragionare: «Labhraidh, senti, io... non posso chiederti di venire. Starò bene, davvero» borbottai, combattendo contro una piccola ed egoista parte di me che mi stava strillando di tenere stretta la sua mano e portarmelo dietro fino in capo al mondo.
Il mio migliore amico sbuffò: «Tu mi hai ridato la vita, Row, letteralmente, quindi non ho intenzione di lasciarti andare da nessuna parte, non da sola. Io sento di doverti restare vicino, capisci? Lo sento dentro» mi confidò, fissandomi con i suoi occhi castani così sinceri da farmi quasi piangere.
«Grazie» fu tutto quello che riuscii a mormorare, mentre il sollievo mi invadeva ogni centimetro del corpo facendomi riscaldare la pelle e fremere gli arti.
Fu così che io, Labhraidh e il Principe Domhnall partimmo alla volta delle buie terre del Nord.
Navigammo verso Ovest per circa un'ora, con il sole negli occhi e la brezza salmastra fra i capelli. Sentii Domhnall sussurrare qualcosa all'orecchio della donna dietro al timone, ma non sentii mai la risposta di lei, che pareva davvero un fantasma così muta e pallida in volto.
Rimanemmo sotto costa, osservando la vegetazione marittima che brillava di un tripudio di verdi, con alti cactus dai fiori colorati, agavi dalle ampie foglie carnose e pini marittimi dalla punta arrotondata; finché la barchetta non iniziò a virare fino ad avvicinarsi ad un'insenatura sabbiosa, dove riuscii a scorgere un piccolo molo.
«Siamo già arrivati?» domandai perplessa, volgendo il viso verso Domhnall. La donna fantasma si lasciò andare in uno sbuffo divertito e il Principe sorrise mestamente, rispondendomi con un misterioso: «Sì e no».
Strinsi gli occhi e sul molo distinsi due soldati armati di lunghe e affilate picche, e per qualche secondo temetti per la mia incolumità. Labhraidh, quasi riconoscendo il mio timore, mi strinse la mano ed io espirai piano, cercando di non lasciarmi prendere dal panico.
La barchetta attraccò e noi quattro ci issammo sulle assi consunte del molo, intaccate da lunghe alghe verdognole e minuscole patelle, e ci avviammo verso i due soldati, che ci fissavano immobili come statue.
«Bentornato, Principe. Il suo soggiorno nelle terre di Findias è stato piacevole?» fece uno dei due, spostandosi sulla sinistra e lasciando passare Domhnall.
«Un po' troppo caldo per i miei gusti, ma sì, è stato... illuminante» rispose lui, facendoci poi cenno di seguirlo.
Io e Labhraidh avanzammo timorosi, ma i due soldati si limitarono a scrutarci con sguardi incuriositi al di sotto dei lucidi elmi che mascheravano loro il volto.
Domhnall si avviò con sicurezza lungo un impervio sentierino che si allontanava dal molo, inerpicandosi su per una bassa collinetta gialla di arbusti e irta di sterpi, avvolta nel frinire delle cicale e il trillare dei grilli.
«Le Terre del Nord in realtà sono in campagna, il suo palazzo è un fienile e il suo destriero è una mucca» borbottò Labhraidh con il fiatone, faticando a stare dietro all'ampia falcata del Principe.
Io non gli risposi, troppo intenta a cercare di immettere abbastanza ossigeno nei polmoni per non collassare svenuta al suolo.
Il sole mi cuoceva la fronte e il sudore mi scendeva a rivoli lungo la schiena ed io, con gli occhi fissi sulla nuca di Domhnall, imprecai silenziosi e turpi insulti contro la sua folta treccia nera.
Quando infine giungemmo sulla sommità della collinetta io mi piegai sulle ginocchia, annaspando con i polmoni in fiamme, e sollevai lo sguardo solo dopo aver udito le esclamazioni meravigliate di Labhraidh.
Il suo volto perplesso era fisso ad Occidente così, incuriosita, mi misi in piedi e mi accostai a lui per vedere cosa avesse scatenato cotanta meraviglia... e imprecai.
Un arco in pietra grigia alto quattro o cinque metri si erigeva in mezzo ad un campo di papaveri, svettando verso il cielo blu in modo quasi minaccioso. Due soldati vi facevano la guardia, fermi ognuno su un lato e, nel vederci comparire sulla sommità della collina, estrassero rapidamente le armi.
Domhnall avanzò con noncuranza, ignorando le lame puntate verso di lui, ed io e Labhraidh ci scambiammo uno sguardo confuso.
Gli andammo dietro come due fedeli cagnolini – io quasi correndo per stare al suo passo – finché non ci fermammo nei pressi dell'arco. Ammirai in silenzio le antiche pietre di un intenso grigio ardesia, erose dalle intemperie, sulle quali erano stati scolpiti strani simboli spiraliformi che non riuscii a riconoscere, e mi domandai da quanti millenni potesse essere stata eretta quella costruzione.
«Benvenuti all'Arco di Falias» mormorò in tono mellifluo Domhnall, sfiorando con le dita il sasso dell'arco. Vi fu un momento di calma piatta, come se per qualche istante fossimo stati avvolti da una bolla, poi un vento soffiò impetuoso dalla porta, scompigliandomi i capelli e portando con sé un odore di pioggia e di terra bagnata.
«È un... un portale?» domandò Labhraidh, impressionato.
«Esatto» assentì il Principe, «Ve ne sono quattro nel nostro continente, e ci consentono di raggiungere comodamente ciascuna delle quattro Città-stato».
Domhnall allungò quindi la mano verso l'arco, come se la volesse far passare attraverso, ma vi fu un'increspatura nell'aria e, in un battito di ciglia, il campo di papaveri alle spalle dell'Arco era scomparso. Al suo posto, mi ritrovai a fissare un fitto bosco flagellato dalla pioggia, immerso in una plumbea luce crepuscolare che nulla aveva a che vedere con i raggi dorati che ancora illuminavano il cielo blu nelle terre di Findias.
«A casa è quasi buio» spiegò Domhnall, ed io provai una fitta allo stomaco nell'udire il modo in cui egli pronunciò la parola "casa".
«Nelle terre del Nord il buio regna sovrano per diciotto ore al giorno, quindi preparatevi all'oscurità» aggiunse con un sorriso quasi tenero, probabilmente senza rendersi conto di quanto le sue parole suonassero minacciose e preoccupanti alle mie orecchie.
Si voltò qualche secondo verso di noi e, lanciandoci un'occhiata ammonitrice, sbottò: «Vedete di non vomitare» e camminò all'interno dell'Arco.
Il suo corpo si fece sfocato come se lo stessi guardando attraverso l'acqua, poi il Principe scomparve dalla mia vista... per riapparire nella foresta, avvolto dalle ombre della notte incombente.
Sbattei le palpebre un paio di volte, rimanendo muta e immobile come una statua, non riuscendo a credere ai miei occhi.
«Muovetevi» borbottò in quel momento uno dei due soldati alle mie spalle, nel tono minaccioso di chi non ammetteva repliche.
«Non ci penso nemmeno!» pigolò Labhraidh, facendo un passo indietro e nascondendosi dietro di me, come se l'arco gli avesse instillato una paura del diavolo.
La punta di una picca mi pungolò in mezzo alle scapole e io mi irrigidii: «Non c'è bisogno di...» ma, prima ancora di terminare la frase, lo strillo di Labhraidh mi perforò i timpani e mi sentii spingere in avanti.
Senza che potessi fare nulla per impedirlo, caddi oltre l'Arco.
Il freddo mi aggredì in una morsa e uno strattone all'ombelico mi fece rivoltare lo stomaco, tanto che mi dovetti portare le mani alla bocca per non rimettere.
Le mie ginocchia affondarono nel terriccio bagnato e la pioggia mi si riversò addosso gelata, inzuppandomi fino alle ossa. Rabbrividii carponi nell'erba, con le gocce che mi scivolavano lungo la colonna vertebrale in un gelido rivolo, ma non osai alzarmi in piedi finché i conati di vomito non mi ebbero abbandonata.
Quando infine il mio stomaco si acquietò, sollevai lo sguardo dal brullo terreno e mi guardai intorno con espressione spaesata.
Alle mie spalle vi era un arco in pietra nera, che in quel momento pareva solo... un banalissimo arco antico in mezzo al bosco: il portale si era chiuso e nemmeno una traccia di cielo blu cobalto di Findias si poteva individuare fra le campate, solo bosco e pioggia.
Mi passai una mano sugli occhi, cercando di liberare le ciglia dalle gocce che mi annebbiavano la visuale, e studiai l'ambiente: mi trovavo in una piccola radura nella foresta, circondata da altissimi pini che svettavano nel cielo cupo e gravido di pioggia. Una nebbiolina bassa strisciava fra i tronchi e la notte incombeva sulle cime degli alberi gettando ombre nel sottobosco e conferendo un che di spettrale al paesaggio. L'unica luce presente proveniva da un antico lampione in ferro avvolto dall'edera rampicante, il quale creava un piccolo cono di un luminoso giallo-arancio sull'erba. La fiammella che ardeva nel lampione era debole ma viva, e riuscii quasi a percepirne il calore nonostante i metri che ci separavano.
«Per gli dei, che freddo dannato» soffiai fra i denti, abbracciandomi il corpo nel vano tentativo di racimolare un po' di calore.
«Venite, Rowan. Una carrozza ci attende» mi invitò il Principe Domhnall, torreggiando su di me e porgendomi una mano con galanteria.
Sollevai lo sguardo su di lui, guardandolo dal basso in alto, e rimasi senza fiato: nella città di Falias il Principe appariva minaccioso e potente, ma lì, nelle terre del Nord, nelle sue terre... sembrava una divinità. Il trucco nero che gli copriva sempre le orbite oculari sembrava vivo, come se le ombre avvolgessero il suo viso, e il candore della sua pelle gli conferiva un'espressione spettrale, eterea. Si muoveva in silenzio fra i rami e gli arbusti, come se fosse un essere incorporeo, e i suoi occhi neri parevano essere in grado di trapassare la cortina di tenebre e nebbia che avvolgeva la radura.
«Una carrozza?» gracchio Labhradidh, comparendo fra i cespugli dietro i quali si era probabilmente nascosto non appena aveva compreso di non poter combattere contro la violenta nausea che seguiva sempre un viaggio attraverso un portale.
«Proprio così» rispose Domhnall, afferrandomi la mano e mettendomi in piedi senza alcuno sforzo.
Il Principe si avviò verso il bosco e noi gli corremmo dietro, con i vestiti gelati al corpo e gli occhi spalancati che si guardavano intorno timorosi.
«Bentornato, mio Signore» soffiò una voce morbida, e una figura si mosse fra gli alberi scuri.
Il cuore mi affondò nel petto e l'adrenalina mi fece tremare le mani, ma Domhnall non si scompose minimamente: «Lucien, mi chiedevo dove fossi» commentò in tono vagamente divertito.
«Ho avvertito gli altri del vostro arrivo, mio Signore. Stanno portando la carrozza il più vicino possibile» rispose in modo ossequioso quel tale, Lucien, rimanendo nascosto fra le ombre degli alberi.
«Ottimo, grazie» rispose Domhnall, addentrandosi poi nel fitto del bosco.
Battendo i denti per il freddo gli andai dietro, affondando i piedi nell'erba bagnata del sottobosco e tenendo d'occhio la sagoma oscura di Lucien.
La luce continuò a calare drasticamente, tanto che iniziai a faticare nel distinguere le radici bitorzolute dagli avvallamenti del terreno: tutta la mia concentrazione fu quindi dirottata in un unico scopo, ovvero cercare di rimanere in piedi per non perdere di vista il Principe.
Camminammo in silenzio per una manciata di minuti, poi gli alberi di diradarono e un po' di ombre si dissiparono, permettendomi di osservare una strada ciottolata a una decina di metri da noi.
Ad attenderci a bordo strada c'era un'imponente carrozza nera lucida di gocce di pioggia, trainata da bestie grosse quanto cavalli... ma con le ali. Affilai lo sguardo e, per qualche secondo, il mio cervello non volle credere a ciò che i miei occhi stavano vedendo: il corpo delle creature era snello e i muscoli coperti da un fulvo pelo nero; le zampe erano grosse quanto quelle di un orso e munite di artigli lunghi una decina di centimetri e la testa... la testa era quella di un corvo imperiale, con un acuminato becco nero e due vispi e intelligenti occhi scuri. La coda delle bestie, lunga e color pece, si muoveva a scatti come quella di un felino, e le ali piumate parevano fremere sotto l'intenso scrosciare della pioggia.
«Che diavolo sono?» borbottò Labhraidh al mio orecchio, scrutando le due creature con la stessa espressione sconcertata che sapevo essere dipinta sul mio volo.
«Credo...» esitai, cercando di fare mente locale, «Credo che possano essere simili ai grifoni della nostra mitologia, solo che quelli erano metà leoni e metà aquila, mentre questi... questi sembrano più un incrocio fra un corvo e una pantera» mormorai, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quegli animali.
Uno dei due, quasi percependo il mio sguardo su di sé, volto la testa verso di me e mi fissò con i suoi minuscoli e lucidi occhi neri, poi socchiuse il becco e lanciò un gracchio acuto.
«Sì, sono amici, Mariel» disse Domhnall, e l'idea che lui potesse veramente dialogare con quei due... cosi, era ancora più incredibile della loro stessa esistenza.
«Venite, forza. La carrozza ci porterà dritti al palazzo, ma ci vorrà un po'» ci invitò il Principe, aprendo la porta e facendoci cenno di entrare.
Mi arrampicai sull'alto gradino della carrozza e mi ritrovai in uno spazio intimo e ristretto: due panche coperte da soffici cuscini in velluto nero si fronteggiavano, e un'ampia vetrata coperta da uno spesso tessuto nero era posta sul lato opposto rispetto alla porta. Una lampada ad olio illuminava l'interno, permettendomi di vedere gli elaborati intarsi intagliati nel legno e dipinti d'argento e di rosso.
Mi sedetti impacciata su una delle due panche e Labhraidh si accomodò al mio fianco, standomi molto più vicino di quanto fosse solito fare; Domhnall chiuse la portiera con un secco colpo e si posizionò di fronte a noi, con le braccia incrociate sul petto.
«Reggetevi» ci ordinò non appena la carrozza iniziò a muoversi, ed io e Labhraidh ci aggrappammo alle panche come se ne dipendesse la nostra vita.
La carrozza scivolò un po' traballante sul selciato, facendoci sobbalzare sui morbidi cuscini, prendendo velocità sempre più rapidamente.
Quando le ruote si staccarono dal suolo e la carrozza iniziò a salire nel cielo nero, lo stomaco mi affondò nella pancia come quando succedeva nei primi minuti di decollo di un aereo. La carrozza oscillò qualche istante, ma poi si stabilizzò perfettamente e io lasciai andare la panca alla quale mi ero aggrappata.
Labhraidh scostò la spessa tenda di velluto nero che oscurava la finestra e i miei occhi si persero nel piovoso crepuscolo delle terre del Nord.
Le basse e plumbee nubi oscuravano il cielo ma in lontananza, verso ovest, un infuocato tramonto rosso filtrava fra i nembi, colorando il mondo con gli ultimi raggi aranciati. Un'immensa foresta scura si estendeva sotto di noi, spezzata solo da ampie strade ciottolate che si intersecavano fra di loro, brillanti di pioggia, e un fiume dalle anse sinuose luccicava d'argento nelle ultime luci del giorno.
Entrammo in una nuvola e la carrozza fu avvolta dalla nebbia, tanto che il mondo sotto di noi scomparve oscurato da dense e bianche volute di foschia.
Posai la testa sul cuscino della carrozza e, cullata dal suo rilassante ondeggiare, scivolai nel sonno.
L'ultima cosa che vidi prima di scivolare fra le braccia di Morfeo furono i luminosi e affilati canini di Domhnall, completamente esposti mentre egli sorrideva con lo sguardo perso oltre la vetrata della carrozza.
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