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Pensa come una di noi

I giorni seguenti si susseguirono frenetici. Le mie giornate erano un alternarsi di studio autonomo in biblioteca, visite in città, conoscenza delle più importanti personalità di Murias e anche qualche lezione di lingua con Labhraidh. Il mio migliore amico si stava impegnando come mai aveva fatto al liceo, e il suo studio stava dando i suoi frutti: in meno di tre settimane era riuscito a sostenere una conversazione basica con me, dando prova di una vera e propria propensione per la lingua.

Mentre lui si allenava nel combattimento e prendeva lezioni di lingua, io mi destreggiavo fra la storia, la geografia, la cultura e le tradizioni del popolo di Murias e mille cose ancora, cercando di assimilare il più possibile in vista della prova con la Veggente. Da quando c'era stato l'assalto alle mura da parte dei Maledetti, infatti, il mio desiderio di diventare cittadina si era notevolmente intensificato: l'idea di ritrovarmi sola al di là della cinta muraria, alla totale mercé di quegli esseri terrificanti, mi teneva sveglia la notte in preda all'angoscia... e popolava i miei incubi.

Man mano che imparavo nozioni su Murias, però, cresceva anche il mio rispetto per la Città e per i suoi Cittadini. Murias era stata la prima città a riconoscere pari ditti a tutte le fate, indipendentemente dalla loro specie, e aveva prosperato per quelli che in anni umani erano millenni, fiorendo anche durante tempi non pacifici.

I Cittadini erano tutti perfettamente addestrati all'arte della guerra, ma il rigore militare non aveva soffocato la vena artistica del popolo: i vetri colorati prodotti a Murias con la sabbia bianca dei fiordi erano famosi anche oltre il Mare Silenzioso, nei regni degli umani, dove venivano venduti a peso d'oro.

Fu proprio studiando questi piccoli e apparentemente insignificanti dettagli che iniziai a... a sentirmi a casa.

Cominciai ad amare il buio della lunghissima notte di Murias perché mi permetteva di ammirare la cristallina luce delle stelle che tappezzavano la volta celeste, brillando con un'intensità sconcertante. Iniziai a danzare con le lucciole nei giardini della fortezza, immersa nel profumo dei bianchi fiori notturni, e cominciai a sentirmi protetta dalla parete granitica che incombeva alle spalle della città.

La paura e l'ansia che mi attanagliavano lo stomaco da quando eravamo arrivati nelle Terre Lontane si fecero via via più sopportabili ed io iniziai a rilassarmi per la prima volta dopo quelli che parevano secoli.

Purtroppo, il mio relax ebbe una brutta interruzione quando, dopo una giornata particolarmente intensa, invece che risvegliarmi con il profumo del pane appena sfornato, mi svegliai con l'inquietante ululare di un gufo nelle orecchie e gli occhi argentei di Lúg che mi guardavano dall'alto in basso, rilucendo sullo sfondo nero del cielo come stelle gemelle.

«Non puoi... che so, telefonarmi?» brontolai, cercando di calmare il rapido battito del cuore contro lo sterno.

«Se ti telefonassi mi perderei quell'espressione scioccata e leggermente impaurita che ti si dipinge sul volto ogni volta che mi vedi... e io non ho intenzione di privarmene» mormorò con voce vellutata, facendomi venire brividi leggeri sulle braccia nude.

Mi passai le mani sulle braccia, fingendo di avere la pelle d'oca a causa del freddo venticello notturno, e mi misi a sedere.

Ignorando Lúg, che ancora troneggiava su di me, mi guardai intorno: ci trovavamo in un'immensa prateria e le spighe di grano mi sfioravano i capelli, ondeggiando debolmente al soffio della brezza. Un intenso odore di erba ed estate mi permeava le narici, mentre un sottile spicchio di luna argentea rischiarava debolmente gli steli.

«Dove siamo?».

«È importante?» ribadì Lúg, sedendosi al mio fianco nell'erba e incrociando le gambe in un modo che lo fece apparire quasi... umano, con i suoi occhi solitamente argentei adombrati dalla notte e i capelli quasi bianchi scompigliati dal vento notturno.

«Che ci fai qui?» gli domandai quindi, stringendo le gambe al petto e posando il mento sulle ginocchia.

Lúg inarcò un biondo sopracciglio: «Sbaglio o avevo promesso di insegnarti l'arte dell'essere una fata?».

«Le promesse delle fate non valgono nulla se non sono fatte con il sangue» gli ricordai con voce atona e, per la prima volta, vidi una smorfia sinceramente divertita incurvargli le labbra.

«È forse un sorriso quello che vedo?» esclamai, incredula, sporgendomi verso di lui di qualche centimetro.

Il ghigno non lasciò le sue labbra: «Almeno so che mi ascolti quando parlo» borbottò, sollevando gli occhi al cielo.

«Ho visto i Maledetti» sbottai dopo qualche secondo di silenzio, sbirciandolo di soppiatto senza riuscire a trattenere la curiosità.

I lineamenti di Lúg si irrigidirono: «Hai visto i Maledetti? E sei ancora viva?».

Arrossii e mi mordicchiai un'unghia: «Li ho visti da lontano...arti lunghi, pallidi, schiena deforme. Poi è arrivato un Figlio di Badb e quelle creature sono fuggite impaurite».

«Sei una ragazza estremamente fortunata, Rowan O'Brien, e io di questo ne sono sempre più convinto ogni giorno che passa» fu il secco commento di Lúg, ed io sbuffai irritata: «Me la sarei potuta cavare, sai?» borbottai, incrociando le braccia al petto con un atteggiamento di sfida.

Quella notte mi sentivo battagliera; per di più ero reduce di un paio di settimane di serrato allenamento con le fate di Domhnall e mi sentivo piuttosto sicura delle mie capacità: non credevo di poter uccidere un esercito di Maledetti, ma almeno tramortirne uno... sarebbe stato fattibile.

Lúg allungò le gambe nell'erba e, reggendosi sui gomiti, mi lanciò un'occhiata di sufficienza: «No, non te la saresti cavata» si limitò a rispondere seccamente.

Assottigliai lo sguardo e il formicolare della magia mi solleticò i polpastrelli. Il potere traboccò dal mio corpo e si scagliò contro la fata sdraiata di fronte a me, risvegliando centinaia di rampicanti che intrappolarono Lúg in una maglia di ferro, inchiodandolo a terra.

Il mio incantesimo di immobilizzazione, però, non durò nemmeno cinque secondi: al terzo secondo, una vampata di pura magia vaporizzò i miei rampicanti senza darmi nemmeno il tempo di organizzare una resistenza.

Lúg fu una macchia confusa nella mia visuale, poi una cortina nera calò sui miei occhi.

Incespicai, cieca, e uno sconfortante senso di impotenza mi irrigidì le membra: «Non ci vedo» pigolai, portandomi le mani agli occhi.

«Lo so».

Il sussurro di Lúg fu un alito di vento alle mie spalle, così mi girai di scatto verso di lui e allungai le mani in avanti, afferrando solo l'aria.

«Sai perché mi chiamano Figlio del Sole?» la sua voce melliflua mi carezzò un orecchio, poi scomparve di nuovo.

«N-no» borbottai, cercando di non fargli comprendere quanto quel gioco non mi stesse piacendo.

«Mi chiamano così perché la luce è il mio elemento prediletto» mormorò fra i miei capelli, ed io brancolai nel buio in un vano tentativo di raggiungere la sua voce, ma lui mi sfuggì di nuovo con un risolino impietoso.

«Di norma non uso questo trucchetto da ciarlatano, non ho mai ritenuto onorevole combattere contro un avversario cieco... ma è capitato che lo dovessi usare per necessità. Luce e assenza di luce... ho annientato eserciti interi con questo banale giochino per bambini» la sua voce soffiò nel mio orecchio come il sussurro del vento, ed io rabbrividii nelle spalle.

«Ho ucciso uomini inermi come lo sei tu in questo momento» il suo respiro di infranse contro i miei capelli e una lama fredda si premette contro il mio collo: «Ho squarciato loro la gola senza che nemmeno si rendessero conto di cosa stesse succedendo, passando poi alla vittima successiva ancora prima che il loro cadavere ancora caldo toccasse il suolo».

Rimasi immobile, terrorizzata anche solo all'idea di respirare.

Un'onda oscura si agitò nel mio petto, spronandomi ad agire di fronte alla minaccia che Lúg costituiva, ma le mie membra rimasero rigide e inerti e io rimasi immobile sotto la sua daga, completamente assoggettata al suo volere.

«Eppure...» il freddo della lama contro la mia pelle fu sostituito dal calore delle sue dita, che sfiorarono lentamente l'incavo della mia gola, «Eppure, nonostante tutte le nefandezze che ho compiuto... ho il terrore dei Maledetti».

A quell'ammissione, sollevai la testa di scatto, come se potessi fissarlo negli occhi nonostante la cecità.

«Io, il Figlio del Sole, Sterminatore di Eserciti e Assassino di Re, ho paura dei Maledetti... una paura folle di loro, dei loro occhi vacui e dei loro denti aguzzi. Ho paura di diventare come loro».

Lúg esitò, poi sentii i suoi polpastrelli sfiorarmi le palpebre e i colori tornarono a danzare tutt'intorno a me.

Gli occhi argentei di Lúg occuparono la mia intera visuale e lui mormorò: «Quindi dimmi, giovane mezzosangue, credi davvero di poter sopravvivere ad uno di essi?».

Le sue dita, lunghe e agili come zampe di un enorme ragno, erano ancora strette alla mia gola in una delicata ma ferma presa, come per ricordarmi con quanta facilità egli fosse stato in grado di assoggettarmi a sé.

Tutta l'autostima che mi ero costruita attorno come una corazza nelle ultime due settimane si sgretolò: io non ero nulla, nulla al cospetto di Lúg. Avrei anche potuto essere brava nei combattimenti con le fate di Domhnall, ma loro mi stavano allenando come allenavano i mezzosangue... e Lúg era un semidio, il Generale in comando del Sovrano delle fate e, nonostante tutti questi vanti, era comunque terrorizzato dai Maledetti.

Ero un'illusa e una sciocca, ecco cos'ero.

«N-no» pigolai quindi, sentendomi annegare nelle sue iridi argentee.

Lúg mi rivolse un debole sorriso: «E se mai ne vedessi di nuovo uno, cosa dovresti fare?».

Deglutii a fatica e balbettai: «Scappare?».

«Brava, mezzosangue» approvò lui carezzandomi piano il collo, poi aggiunse: «E non farti mordere, mai».

Uno sbuffo scocciato mi sfuggì dalle labbra: «Su questo non ci sono dubbi. Nessuno affonderà mai più i suoi schifosi canini nella mia gola» sibilai, digrignando i denti al ricordo di ciò che Finvarra mi faceva nel Regno Sotterraneo.

«Non tutti morsi sono uguali, mezzosangue» commentò Lúg con un'intonazione oscura nella voce, e, dopo un secondo di esitazione, continuò: «Il morso di un Maledetto ti trasforma in uno di loro, quindi sta' il più lontana possibile dai loro denti».

«Che cosa?!» sbottai, «Domhnall non me l'ha detto! Mi ha detto solo che... oh» mi bloccai non appena realizzai cosa avesse inteso il principe di Murias.

«Che...?» mi spronò a proseguire Lúg.

«...Che i Maledetti si riproducono più in fretta di quanto le fate li riescano ad uccidere. Ma loro non si riproducono, vero?» domandai, fissando il Generale con la paura negli occhi: «Loro...loro contagiano gli altri. È per questo che tu sei terrorizzato da loro».

Lúg mi lasciò andare la gola e distolse lo sguardo da me: «Esattamente» fu la sua secca risposta, e nel suo tono freddo percepii tutta la sua paura.

Restammo in silenzio qualche minuto, ed io meditai sulle informazioni appena scoperte, rendendomi conto di quanto fosse tremendamente pericoloso il mondo delle fate e di quanto fosse importante per me ottenere la cittadinanza.

Lúg parve leggermi nella mente: «Come va lo studio per la prova di Cittadinanza?» mi domandò infatti, spezzando il silenzio che era calato fra di noi.

Feci spallucce: «Non so» commentai, «Io sto cercando di fare il possibile... ma nessuno mi dice niente, nemmeno un indizio. Non so cosa aspettarmi» borbottai.

Un sorriso sincero e luminoso comparve sul volto del Generale: «Vedrai, te la caverai» mi incoraggiò, divertito.

«Ma se io... se io non dovessi superare la prova della Veggente, cosa mi succederebbe?» domandai in un soffio, dando finalmente voce alle paure che mi avevano impedito sonni tranquilli nei giorni passati.

Lúg inclinò la testa e i suoi biondi capelli gli ricaddero su una metà del viso, nascondendone i lineamenti: «Finalmente inizi a porre le domande giuste» commentò, sedendosi di nuovo nell'erba alta.

Allungò le gambe davanti a sé e, fissandomi dal basso in alto, proseguì: «Domhnall dev'essere molto sicuro che passerai la prova a pieni voti, altrimenti non ti avrebbe mai proposto di affrontarla... quindi fossi in te non mi preoccuperei troppo».

«Lúg» lo interruppi, per nulla intenzionata a lasciarmi abbindolare dalle sue chiacchiere, «Cosa mi succederebbe?».

Il Generale sorrise in modo gelido: «Saresti esiliata per un ciclo lunare al di fuori delle mura. Non essendo stata ritenuta degna dalla Veggente, saresti tenuta a pentirti oltre la cinta della città, per poi poterci tornare purificata con la luna nuova» commentò, con una smorfia disgustata che mi faceva chiaramente intendere quanto poco credesse nei concetti di penitenza e purificazione.

«Domhnall non me lo ha detto» sussurrai di nuovo, come un disco rotto, afflosciandomi a terra.

«Domhnall non ti ha detto molte cose» asserì Lúg, scrutandomi con quello che pareva compatimento negli occhi argentei.

«Io mi sono... fidata. Credevo volesse aiutarmi» balbettai, rendendomi conto, per l'ennesima volta, di quanto fossi stata sciocca.

Lúg si portò una ciocca di chiari capelli dietro l'occhio: «Oh, ma io sono pienamente convinto che Domhnall ti voglia aiutare. Credo tu gli serva, quindi ritengo egli sia la persona di cui più tu ti possa fidare in questo mondo. Ha omesso di riferirti alcuni particolari della Prova, ma puoi forse biasimarlo? Ti sottoporresti alla prova sapendo di poter essere esiliata per un mese?».

«No, infatti non mi presenterò mai davanti alla Veggente. Ho tutta l'intenzione di svegliarmi e tornarmene a casa... cioè, dalla mia famiglia, a Falias» ringhiai, furente.

«Quindi butteresti via la chance di diventare cittadina e di avere una completa protezione entro le mura... solo perché hai paura di fallire?» indagò Lúg, incuriosito.

Mi soffiai una ciocca di capelli lontana dal viso e sbottai: «Non mi piace giocare d'azzardo, soprattutto non quando c'è così tanto da perdere».

Lúg rimase in silenzio per alcuni minuti, minuti nei quali io mi sdraiai sulla schiena per ammirare le stelle che rilucevano silenziose nell'oscura volta celeste. I grilli notturni e un lontano gufo furono le uniche fonti di suono per qualche tempo, poi il Generale si sedette al mio fianco e torreggiò su di me: «Ci sarebbe un modo per... per darti più sicurezze».

Mi misi a gambe incrociate e inarcai un sopracciglio, invitandolo a proseguire.

«Superare la prova con la Veggente non è l'unico modo per diventare una Cittadina. Tante fate hanno acquisito il diritto alla cittadinanza tramite il... matrimonio».

Una risata di gola mi squassò il petto: «Stai scherzando?» risi, «Le fate si... si sposano? E cosa vorresti fare, darmi in moglie a qualcuno?».

Lúg sbuffò, irritato: «Il nostro matrimonio non ha nulla a che vedere con il vostro matrimonio, mezzosangue; e io non ti darei in sposa proprio a nessuno: sta a te e a te soltanto proporre l'accordo a Domhnall».

«Vuoi che mi sposi con Domhnall?!» sbottai, sempre più incredula di fronte alla piega che aveva preso la conversazione.

«Io non voglio un bel niente, mezzosangue; sei tu che hai bisogno di tutte queste reti di salvataggio perché temi di non passare la prova» mi riprese Lúg secco, facendomi arrossire per la vergogna e mettendomi a tacere.

«In ogni caso» ricominciò dopo essersi sincerato che non lo avrei interrotto di nuovo, «Proporrai a Domhnall il matrimonio come clausola: tu incontrerai la Veggente solo e soltanto se lui accetterà di sposarti nel caso in cui tu non dovessi passare la prova; in questo modo, tu diventerai cittadina in ogni caso».

«E perché mai lui dovrebbe accettare?» indagai, aggrottando le sopracciglia nel tentativo di seguire passo passo il contorto ragionamento di Lúg.

«Accetterà perché sa che passerai la prova, o forse accetterà perché desidera troppo averti nella sua Città... in ogni caso, fidati: accetterà. Non ti avrebbe portata fino a Murias se non ti avesse voluta al suo fianco» sentenziò, e la sicurezza nella sua voce mi infuse un'incredibile senso di tranquillità.

«Se è facile come dici tu... perché le fate non si sposano più spesso? Non ho mai sentito parlare di matrimonio, e sono qui da un bel po' di giorni» osservai.

Lúg parve quasi arrossire sotto il mio sguardo, e la cosa mi insospettì. Mi feci più vicina e, puntandogli lo sguardo addosso, sbottai: «Lúg. In cosa consiste il vostro matrimonio? Cosa dovrei fare con...» esitai, poi buttai fuori le parole a fatica: «... con Domhnall?».

«Non è nulla di sessuale» spiegò, poi fece un passo indietro: «Cioè, può essere anche sessuale, ma non è una prerogativa fondamentale: nella nostra tradizione non si sposano solo gli amanti, si possono sposare anche gli amici, i parenti, i mentori... il nostro matrimonio è più una sorta di contratto a vita inscindibile. Le due fate coinvolte giurano di proteggersi a vicenda per il resto della loro esistenza, e da quel momento i loro corpi e le loro anime diventano... uniti. Alcune fate sposate hanno strappato il coniuge alla morte, in un modo pericolosamente simile a ciò che tu e la tua antenata siete in grado di fare».

«E io dovrei legarmi a Domhnall? Proprio a Domhnall?» mormorai, rabbrividendo all'idea di trovarmi troppo a lungo sola in compagnia di quel terrificante vichingo.

Lúg annuì: «Domhnall è forte abbastanza da non mandare tutto a puttane».

«E questo cosa dovrebbe significare?».

«Significa che egli sarà in grado di impedire che tu muoia quando sostituirà il tuo cuore con il suo».

Le sue parole furono talmente improvvise e sconcertanti che mi lasciarono a boccheggiare come uno stupido pesce fra gli steli d'erba, avvolta solo dal soffio leggero del vento e dal frinire dei grilli.

«Scusa?» sbottai, con le sopracciglia inarcate fino all'attaccatura dei capelli.

«Mi stai dicendo che per sposarmi devo farmi strappare il cuore da qualcuno?» ringhiai, incredula e disgustata.

Lúg sbuffò: «Sei sempre così melodrammatica?» mi domandò leggermente irritato, poi proseguì: «Comunque sì, la procedura è quella. Quasi nessuno se la sente di correre il rischio, quindi i matrimoni sono molto rari... ma nel tuo caso è un rischio che, se fossi in te, correrei: Domhnall è uno Spezzacuori, il che lo rende la persona più adatta al mondo a compiere questo rito».

Mi passai una mano sul viso, sospirando piano fra le dita e domandandomi come fosse possibile che mi trovassi sempre in situazioni del genere.

«Ci penserò» borbottai quindi, arrotolandomi nervosamente una ciocca di capelli sull'indice.

Lúg rimase ad osservarmi con la testa inclinata di lato e i capelli brillanti della luce delle stelle riversi su una spalla e, nel notare il suo sguardo mite, mi arrischiai a chiedere: «Tu ti sei mai sposato? Con... con Saraid?».

«No» rispose prontamente, «Me lo aveva chiesto prima di morire, ma poi... è morta, appunto».

I suoi lineamenti si irrigidirono e i suoi occhi fattisi freddi corsero lontano, in cerca di qualcosa fra le stelle del firmamento.

«Mi dispiace» fu l'unica cosa che mi sfuggì dalle labbra, mentre la mia mente cercava inutilmente di immaginare un mondo in cui Saraid non era morta e Lúg non era diventato la fata crudele e senz'anima che avevo imparato a conoscere.

Il Generale rimase in silenzio per svariati minuti, immerso nei suoi pensieri, con il viso adombrato dalla notte e il corpo rigido steso fra le spighe di grano che ondeggiavano dolcemente. Quando infine parlò, fu per dire: «Sto per svegliarmi. Ricorda tutto ciò che ci siamo detti questa sera, Rowan... e impara a pensare come una di noi. Ci vediamo presto».

Prima ancora che potessi salutarlo, Lúg se n'era andato. La prateria notturna si fece sbiadita, il frinire dei grilli si affievolì e il profumo di erba scomparve... ed io mi risvegliai nel mio letto, avviluppata nel lenzuolo come un baco da seta.

***

Bentorntatiiii
Cosa ne pensate di questo capitolo? E di Lúg e delle sue... Strampalate idee?
I prossimi capitoli, comunque, saranno un po' movimentati (Finalmente!) e torneranno vecchi personaggi...
Alla prossima!🥰

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