Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Maledetti pt.1

Il giorno seguente al Sabbath, io e Labhraidh ci trasformammo nelle perfette guide turistiche per Rian e Grania. Nonostante l'isterica scenata della notte precedente, mi sentii in dovere di mettere da parte l'astio nei confronti di Grania e accompagnare i due ragazzi per le vie di Murias, cercando di far capire loro che essere una fata non significava soltanto bere sangue umano e odiare gli umani.

Le parole che Grania mi aveva rivolto la sera precedente, infatti, mi avevano ferita nel profondo, ma, riflettendoci, ero giunta alla conclusione che la sua spropositata reazione (in primis l'avermi chiamata "puttana delle fate") fosse dettata dalla semplice ignoranza: fino a quel momento, lei non aveva visto altro che crudeltà, sangue e morte... non aveva visto Murias.

Grania non conosceva l'ospitalità dei cittadini di Murias, non aveva mai assaggiato il sidro che offrivano agli angoli delle strade ai viaggiatori, né aveva udito le risate delle fate in piazza, né ammirato le botteghe di vetri colorati. La città di Domhnall somigliava a un allegro borgo medioevale, con l'unica differenza che la magia fluiva fra le vie e le case come sangue nelle vene, parte integrante della vita dei cittadini, e questo era esattamente ciò che io volevo mostrare a Grania e Rìan: la vita tranquilla delle fate, simile sotto numerosi aspetti alla vita che conducevamo tutti noi in Irlanda prima che le cose andassero a catafascio per colpa di Finvarra e di Lúg.

«Qui è dove ci alleniamo al combattimento».

Labhraidh indicò la piccola arena appena fuori dalla fortezza, la voce leggermente smorzata a causa del clangore delle spade che saturava l'aria.

Un paio di soldati lo salutarono mentre passavamo loro accanto e il mio migliore amico ricambiò con un cenno della mano, gongolando per essere stato riconosciuto da due delle guardie personali di Domhnall.

«Quando cala il sole quei due diventano feroci. Di giorno sembrano innocui come gattini, ma la notte si trasformano... tutta Murias si trasforma, in realtà» proseguì il mio migliore amico, camminando baldanzoso sul ciottolato della via principale.

Erano da poco passate le due del pomeriggio e, quel giorno, un pallido sole ancora brillava fra le nuvole biancastre sopra di noi, mentre grosse nubi temporalesche si andavano ad ammassare all'orizzonte, verso il mare, gettando un livido colorito giallastro sulla città. In meno di un paio d'ore, però, la notte sarebbe calata rapidamente e il buio avrebbe invaso Murias, trasformandola in un tripudio di luci e fuochi che avevo imparato ad amare con tutta me stessa.

«La notte a Gorias non è molto... sicura» mormorò Grania, guardandosi attorno con i grandi occhi nocciola sgranati in un'espressione perplessa.

«Noi non siamo mai usciti dal castello dopo il tramonto: Morven ci ha esplicitamente fatto sapere che la nostra sicurezza non sarebbe stata garantita al di là delle mura, e che i suoi cittadini non avrebbero apprezzato la nostra presenza nel loro territorio» aggiunse.

Labhraidh storse il naso: «Ci odiano davvero tanto a Gorias, eh?» borbottò, lanciando un sassolino oltre il parapetto del ponte che stavamo attraversando.

«Se non fosse stato per Lúg, gli umani e i mezzosangue avrebbero distrutto la loro città durante l'ultima guerra, quindi credo abbiano le loro ragioni per odiarci» mi intromisi.

«Noi non c'entriamo niente, però. Non siamo stati noi a bombardare la loro città» mi riprese aspramente Rìan ed io assottigliai le labbra, rendendomi conto di avere effettivamente torto.

«Anche tu hai ammazzato tutte le fate che ti capitavano a tiro, senza chiedere loro se avessero colpe oppure no» lo rimbeccai allora, incrociando le braccia al petto.

«Non è la stessa cosa» si limitò a dire lui, distogliendo lo sguardo da me.

«Invece è la stessa identica cosa» sbottai, rendendomi conto di quanto fosse difficile, per me, sostenere una conversazione con Rìan senza che essa si trasformasse in un confronto o in un vero e proprio litigio.

«Siamo tutti delle persone orribili, lo sappiamo ormai. Ci sono loro e ci siamo noi, e va bene così. Loro non devono piacerci, come noi non dobbiamo piacere a loro; l'importante è non ammazzarci a vicenda» sbottò Labhraidh, stufo dei continui battibecchi, «Abbiamo un problema più grosso, ricordate? Finvarra, quel tale che ha giurato di ucciderci... e Lúg, che mi ha già effettivamente ucciso. Loro hanno la priorità, a mio parere».

Le sue parole, dirette e sincere, generarono in me un intenso senso di colpa: lui non aveva idea che Lúg mi venisse a trovare nei sogni, che tutte le brillanti idee che avevo avuto nell'ultimo mese mi erano state suggerite proprio da lui, che addirittura ero stata io a invocarlo per sfuggire ai miei incubi. Labhraidh non ne sapeva nulla e mai avrebbe dovuto sapere.

La verità mi colpì come un pugno al volto: Lúg era il nemico, e io ci stavo... fraternizzando. Nei sogni era facile scordarsene, ma egli aveva ucciso Labhraidh, lo aveva sgozzato come si sgozza un maiale al macello, passandogli la lama sulla gola da parte a parte. Aveva ucciso il mio migliore amico e io ci facevo lunghe chiacchierate notturne, come se... come se avessi dimenticato il sangue di Labhraidh che scorreva inarrestabile fra le mie mani pressate inutilmente sulla sua gola.

Rabbrividii e mi strinsi nel soffice pellicciotto estivo che indossavo, disgustata da me stessa.

Rimasi in silenzio a rimuginare per la successiva mezz'ora, seguendo i miei amici a qualche metro di distanza, con la voce di Labhraidh che forniva un confuso sottofondo ai miei tormentati pensieri, finché una ferrea presa si chiuse sul mio avambraccio.

Mi riscossi dalla confusione della mia mente e, quando misi a fuoco la vista, mi ritrovai di fronte ad una bambinetta di una decina d'anni, appesa al mio braccio con un ampio sorriso sul viso di porcellana.

«Stranieri, venite a bere il mio tè!» esclamò la giovane, mostrando gli acuminati canini mentre parlava.

La ragazzina aveva mossi capelli mori fermati dietro le lunghe orecchie appuntite da fermagli d'argento, e i suoi occhi neri erano fissi con ostinazione su di me.

«Tè alle rose canine solo per voi, signora di Murias, e per i vostri accompagnatori: qui a Murias l'ospitalità è sacra» aggiunse, poi adocchiò Labhraidh e gli rivolse un ampio sorriso: «Ciao, mezzosangue» lo salutò.

Il mio migliore amico ricambiò il sorriso: «Ara, giusto?» le domandò, avvicinandosi a me con passo leggero.

«La conosci?» gli domandai, perplessa.

«L'ho vista girare per la fortezza un paio di volte, mi ha riempito le mani di dolcetti al miele ed è scappata via» sogghignò Labhraidh, squadrando la ragazzina con espressione divertita.

«Ara, sì» confermò la fatina, «Vieni a bere il mio tè».

Annusò l'aria e arricciò il nasino, posando gli occhi su Rìan e Grania: «Puzzate di Gorias» lamentò, «Quello è un brutto posto. Qui si sta molto meglio, le fate sono più gentili».

Iniziò quindi a tirarmi per un braccio e, dopo aver ottenuto un cenno di conferma da Labhraidh, io mi lasciai condurre da lei lungo una contorta viuzza ciottolata che si addentrava fra le case, già illuminata da allegre luci argentee e dorate a causa dell'ombra proiettata dai tetti spioventi.

«Ma dove ci stai portando?» scherzò Labhraidh, e la ragazzina gli rivolse uno sbarazzino sorriso pieno di denti aguzzi: «Siamo arrivati».

Aprì un portone e scomparve oltre la soglia; noi la seguimmo e ci ritrovammo in una sala da pranzo dominata da un immenso camino scoppiettante. Un grande tavolo in legno era posto su un lato, un divano in velluto rosso e una sedia a dondolo sull'altro; le pareti erano adorne di mazzi di erbe secche e le mensole stracolme di libri polverosi.

«Di nuovo, Ara? Devi smetterla di portare a casa sconosciuti!» sbottò un'adirata voce femminile, e una vecchietta si materializzò sulla soglia di una delle tante porte che si aprivano sulla sala da pranzo.

Le sue orecchie non erano a punta come quelle di Ara, ma erano arrotondate, e i suoi lineamenti non avevano la bellezza eterea delle fate né quella particolare dei mezzosangue: la vecchia era un'umana.

«Loro non sono sconosciuti... sono gli ospiti del Principe, quindi sono anche ospiti nostri» mormorò Ara con una sicurezza insolita per una ragazzina della sua età. La osservai nuovamente e mi stupii di come lei fosse una delle poche fate bambine che avessi visto fino a quel momento: i giovani erano piuttosto rari a Murias, probabilmente visto che le fate vivevano migliaia di anni, e vedere il suo volto fanciullesco così serio e adorno dagli affilati canini mi trasmise un notevole disagio.

«Sedete al nostro tavolo, Mezzosangue» ci esortò Ara e un sorriso sincero comparve sul suo visetto paffuto quando guardò Labhraidh.

Quando ci fummo accomodati, l'umana ricomparve dal retro portando un vassoio che diffuse nell'aria un delizioso profumo di mele e cannella, ed io posai lo sguardo con bramosia sui dolcetti a forma di fagotto che la donna aveva appena posato al centro del tavolo.

Ara arrivò poco dopo con una teiera in porcellana azzurra e versò un fumante liquido rosato nelle tazzine, fischiettando un'allegra melodia.

La ragazzina si accostò a Labhraidh e iniziò a porgli domande a raffica circa la vita di palazzo, con il petulante entusiasmo tipico dei bambini. Incapace di reggere la sua curiosità, mi accasciai contro lo schienale della sedia e iniziai a sorseggiare il tè con lo sguardo incatenato alle aranciate fiamme che ardevano nel camino e la mente che correva lontana.

Avrei dovuto bloccare ogni comunicazione con Lúg. Era la cosa giusta da fare, ero conscia di ciò, eppure...eppure la parte cinica e razionale di me mi diceva che egli non poteva farmi del male, non fintanto che i nostri incontri si limitavano ad avvenire nei sogni; inoltre, la sua conoscenza del mondo fatato, del passato delle fate, era stata straordinariamente utile. Da un punto di vista puramente strategico era stupido, forse addirittura suicida, privarmi di tale fonte di informazioni: Lúg aveva già dimostrato di essere una fonte attendibile e, nel mese passato, non aveva mai dato prova di volermi fregare... però rimaneva sempre un bastardo sanguinario, colui che aveva ammazzato il mio migliore amico sotto i miei stessi occhi.

Mi portai una mano alla fronte e sospirai pesantemente, incapace di prendere una decisione.

Indipendentemente dalla scelta che avessi fatto, sapevo che, prima o poi, me ne sarei pentita.

Stavo ancora rimuginando sul da farsi quando un grido lancinante squarciò la calma della città, facendomi sobbalzare sulla sedia.

«Che diavolo è stato?» domandai ma, prima che qualcuno mi potesse rispondere, un secondo grido – questa volta femminile, più umano - rimbombò fuori dalle vetrate che si affacciavano sulla stretta via.

Scattammo tutti in piedi, allarmati, e Ara corse a nascondersi fra le gambe dell'anziana donna con un'espressione terrorizzata sul viso paffuto.

«Sono qui» sussurrò atterrita, «Sono venuti a prenderci».

«Chi?» domandò Grania, estraendo la spada dal fodero che aveva legato alla cintola.

L'agghiacciante urlo si ripeté di nuovo, disumano e simile al latrato di una belva feroce, ed io mi sentii invadere da una gelida paura: «I Maledetti» mormorai con la gola stretta in una morsa d'acciaio, «I Maledetti sono entrati in città».

«Ma non è possibile!» strepitò Labhraidh, «Le mura...».

«Le mura non li hanno tenuti fuori! Non senti quanto sono vicine le grida?!» sbottai, accostandomi rapidamente alla finestra e scostando una tendina in pizzo per sbirciare fuori.

La via era deserta e innaturalmente silenziosa. Tutto era immobile, come cristallizzato nel tempo e nello spazio, e un senso di profonda inquietudine mi strinse le viscere.

Era da poco passato il tramonto ma il buio era già fitto, aggravato dagli immensi nuvoloni neri che si erano addensati sopra Murias nel corso del pomeriggio e che in quel momento gettavano una cupa luce violacea sulla città.

Assottigliai lo sguardo e scrutai la via, con il cuore che palpitava furioso nel petto.

«Domhnall verrà a prenderci, non vi preoccupate» sentii Labhraidh dire a Grania e Rìan, «Rowan è sotto stretta sorveglianza da quando è stato deciso che diventerà sua moglie» blaterò rapidamente, con un tremore nervoso nella voce.

Ignorando le sue rassicurazioni, sentii Rìan estrarre con un sibilo la lancia dal fodero e, in una manciata di secondi, percepii il calore del suo corpo alle mie spalle.

«Vedi qualcosa?» domandò, il suo respiro che si infrangeva contro la mia nuca.

«Tutto tranquillo... forse troppo» osservai, perplessa dalla totale assenza di uccelli sulle grondaie o sui tetti.

«Che cosa facciamo?» mi domandò di nuovo, facendosi tanto vicino a me che sentii il gelo della lama della lancia trapassare il leggero tessuto dei miei calzoni.

Vi fu un lampo lontano e il rombo cupo di un tuono fece vibrare i vetri della finestra.

«Nulla; aspettiamo che se ne vadano e che qualche guardia ci venga a prendere» mormorai con cieca sicurezza.

«Ci... nascondiamo?» si intromise Grania con una voce fin troppo alta per i miei gusti.

Lanciai un'occhiata oltre la mia spalla e la vidi in piedi, con la spada sguainata e una luce combattiva a illuminarle il viso, bellissima e letale.

«Esattamente» asserii, «Non pensate nemmeno lontanamente di fare gli eroi e uscire a combattere: i Maledetti non sono come le fate che avete ucciso finora. Se vi mordono vi trasformano, quindi l'unica cosa che noi possiamo fare è nasconderci e, nel caso peggiore, scappare» sibilai, mentre gli ordini impartitimi da Lúg mi rimbombavano nella testa come un mantra.

«Okay, okay» borbottò Grania, sollevando le mani in alto e alzando gli occhi al cielo, irritata.

L'ennesimo grido straziante riverberò fra le mura delle case, ma giunse da più lontano, come se l'immondo essere si stesse allontanando dalla nostra posizione.

Mi lasciai sfuggire un leggero sospiro, ma rimasi immobile come una statua con gli occhi fissi fuori dalla finestra. Lo spesso vetro non era liscio e trasparente come quello a cui ero abituata, ma leggermente bitorzoluto e opaco, tanto da deformare leggermente il mondo esterno, rendendo facile confondere il tremolio di una torcia per una minaccia.

Rimasi allerta, con l'assordante rimbombare del mio cuore nelle orecchie, confortata solo dalla silenziosa presenza di Rìan alle mie spalle.

Un lampo improvviso squarciò il buio della notte e mi ferì le pupille, acciecandomi momentaneamente.

Quando mi sfregai gli occhi, la via riapparve oscura e immobile al di là del vetro ma, mentre un tuono scuoteva la casa fin nelle fondamenta, la finestra davanti alla quale mi trovavo esplose.

Rìan mi gettò a terra e coprì il mio corpo con il suo, mentre il ringhio animalesco di un Maledetto latrava trionfante a pochi metri di distanza.

«Correte!» urlai, divincolandomi per sottrarmi alla ferrea presa di Rìan.

Ci avevano trovati... i Maledetti ci avevano trovati.

***

Ho dovuto dividere il capitolo in 2 parti, altrimenti era troooppo lungo... Ma prometto che sta sera (nel caso peggiore, domani) pubblicherò anche il resto!
Stay tuned😏

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro