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La Benedizione pt.1

Mi svegliai di soprassalto.

Disorientata, sbattei rapidamente le palpebre e mi sfregai gli occhi, cercando di risvegliarmi dal torpore del sonno. Mi guardai distrattamente attorno e mi resi conto che, la sera precedente, mi ero addormentata sdraiata sul letto, al fianco di Lùg... e che era stato il Generale in persona ad infilarmi sotto le coperte senza svegliarmi.

La luce del mattino inondava la stanza e di lui non vi era traccia, così mi rotolai nel letto e premetti la faccia nel cuscino con un grugnito poco signorile.

La mia mente era... confusa. Lùg era un immenso punto interrogativo nella mia vita; non riuscivo a conciliare il ricordo che avevo di lui nei Tumuli con la versione di lui che invece avevo di fronte in quel momento. La sera precedente mi aveva raccontato cose che mettevano in discussione tutto ciò che avevo creduto di sapere su di lui e su Saraid; inoltre, le rivelazioni su Labhraidh erano state a dir poco sconvolgenti e ben presto avrei dovuto scendere a patti con l'idea che, se il Generale non aveva mentito, avrei dovuto sostenere una spiacevole conversazione con il mio migliore amico.

«Ci penserò quando sarà il momento» gracchiai con la voce ancora impastata dal sonno, stiracchiandomi come un gatto nell'immenso letto matrimoniale.

Ciò che mi premeva scoprire di più quel giorno era se... se Lùg fosse davvero in grado di darmi informazioni sui miei poteri.

Tutto il resto avrebbe potuto aspettare.

Per una volta, una soltanto, volevo essere egoista.. volevo pensare a me e a me stessa soltanto.

Scivolai fuori dal letto e mi vestii rapidamente; poi mi lavai la faccia e mi diedi una rassettata ai capelli, rendendomi presentabile, e sgusciai fuori dalla porta, andando a caccia di cibo.

Sfortunatamente fui intercettata da Morven in persona, che mi bloccò appena prima che scomparissi oltre la porta della cucina: «Cercavo proprio te, Mezzosangue» esordì, prendendomi a braccetto in modo amichevole.

«Cosa posso fare per voi?» borbottai, guardandomi intorno nella speranza di vedere qualcuno nei paraggi. Trovarmi da sola con Morven non era nei miei interessi prioritari, soprattutto dopo il modo in cui mi aveva fissata in salone la sera precedente... come se il suo più profondo desiderio fosse scuoiarmi viva.

«Diverse cose, in realtà... ma oggi ci accontenteremo di una soltanto» mormorò, trascinandomi lungo il corridoio deserto.

«Dovrai convincere l'emissario della Principessa Daireen che non ti ho rapita, ma che sei venuta a Gorias di tua spontanea volontà. A quanto pare, i tuoi amici Mezzosangue sono molto preoccupati per la tua incolumità, tanto da indurre Daireen a mandare un uomo per te, il che è una cosa inaudita. Ti consiglio di essere molto convincente, perché questa sciocchezza potrebbe ingigantirsi e assumere le fattezze di una... crisi diplomatica» sbottò, sbuffando scocciato.

«Ah» balbettai, «I-io... non lo sapevo. Avrebbero potuto... mandarmi un messaggio di fuoco».

Il Principe sollevò gli occhi al cielo: «Gorias è protetta da incantesimi millenari, mezzosangue. Nulla entra e nulla esce dalla mia città senza io lo sappia, nemmeno un messaggio di fuoco».

Mi arrestai a metà scalinata e trattenni Morven per la manica del mantello nero che indossava come di consueto: «Gli avete detto di... Lùg? L'emissario sa di lui?» sbottai, con un filo di panico nella voce.

«No, Mezzosangue, non lo sa... i segreti di Gorias rimangono a Gorias» mi rassicurò, poi un sorriso ferino gli incurvò le labbra: «Ma io sarei davvero curioso di scoprire perché non vuoi che il tuo popolo venga a sapere del suo ritorno, soprattutto vista questa vostra...» esitò, divertito, «... come la possiamo chiamare? Amicizia? Amicizia con Lùg, il Generale delle fate e Signore di Gorias?» domandò sornione.

Il tono della sua voce era derisorio, ma i suoi occhi gialli erano fissi su di me con evidente interesse.

A disagio, abbassai lo sguardo sulle punte degli stivali che indossavo e borbottai: «Io sono giunta ad una sorta di... tregua con Lùg. Il mio popolo, invece, no. Non credo che... che la mia gente la prenderebbe bene nello scoprire di questa nostra amicizia, come la chiamate voi».

«Sei davvero una manipolatrice doppiogiochista, piccola Mezzosangue» osservò Morven con espressione quasi ammirata.

Feci spallucce: «Ho dovuto imparare a sopravvivere fra Lùg e Finvarra. Se non mi fossi adattata, sarei morta» ammisi candidamente, e il ghigno del Principe si fece ancora più pronunciato.

«Finvarra, eh?» domandò, ed io mi resi conto di avergli rivelato qualcosa di troppo, qualcosa di me che non sapeva.

Mi limitai a fissarlo con un sopracciglio inarcato, fingendo un'espressione annoiata, e cambiai argomento: «Allora, questo emissario?».

Passai le successive ore a dialogare con un rubicondo uomo di Findias pronto a tutto pur di sincerarsi circa la mia incolumità. Gli mostrai la mia stanza e lo invitai a pranzare con me; gli chiesi notizie della mia famiglia e delle Isole Vergini; gli spiegai il motivo della mia improvvisa fuga e gli comunicai che presto sarei tornata a casa... e quando lui si fu finalmente convinto della veridicità delle mie parole, se ne andò. Lo guardai allontanarsi dal palazzo su una barchetta, scortato da due guardie del Principe, quando il sole stava ormai tramontando sulla città di Gorias.

«Mi hanno detto che sei stata un'ottima padrona di casa, Mezzosangue».

La voce di Lùg alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai di scatto e lo vidi poggiato allo stipite della porta di camera mia, intento a guardarmi con le labbra increspate in un mezzo sorriso.

«Dove sei stato? Ti... ti cercavo, questa mattina» sbottai, cercando di mascherare il sollievo che provavo nel rendermi conto che Lùg non mi aveva piantata in asso, come avevo supposto nel non vederlo per tutta la giornata, ma che era rimasto a Gorias.

Il Generale oltrepassò la soglia della mia camera e, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, rispose: «Morven ha spedito anche me a intrattenere relazioni sociali. A quanto pare, i miei concittadini non vedevano l'ora di riavere il loro Signore» borbottò, per nulla entusiasta.

Accennai ad un sorriso e, dopo aver dato un'ultima occhiata alla barchetta che si allontanava veloce fra le ombre della sera trasportando lontano l'uomo che avrebbe potuto riportarmi dalla mia gente, mi voltai completamente verso di Lùg: «Che ci fai qui?» gli domandai a bruciapelo, fissandolo guardinga.

Lui appoggiò la schiena alla porta chiusa e incrociò le braccia al petto: «Sono qui per fare ciò per cui mi hai evocato... O forse hai cambiato idea e non necessiti più i miei servizi?» mormorò con voce morbida.

«No!» sbottai con fin troppa enfasi, facendolo ridere, «Ho bisogno del tuo aiuto... ho bisogno dei miei poteri. Dimmi cosa devo fare e lo farò» mi affrettai a dire, odiando il tono disperato che aveva assunto la mia voce.

Un lento ghigno distese le labbra del Generale: «Oh, non ne sarei così sicuro» commentò, osservandomi con la testa inclinata su un lato. Rabbrividii e borbottai: «Che.. intendi?».

«Siediti» mi disse però lui, indicando con un cenno la poltrona dietro la quale ero ancora in piedi. Vedendo che non accennavo a muovermi, alzò gli occhi al cielo e dopo aver emesso un lungo sospiro confessò: «Mi serve il tuo sangue».

Raggelai: «Il mio sangue?!» sbottai, indietreggiando di un passo.

Lùg parve quasi compiaciuto del mio shock: «Sono un Segugio di Sangue, Rowan. Credi che io riesca ad... annusare il tuo potere come riesco ad annusare la tua crema per i capelli?» ribatté sarcastico.

«L'altro Segugio che ho interpellato ha fatto proprio così, e ha detto che puzzavo di umano» sbottai, fissandolo quasi con astio, come se fosse colpa sua della mia pessima esperienza con il Segugio di Domhnall.

Il Generale sbuffò sonoramente: «L'altro Segugio non era un Segugio di Sangue. Io non sento solo gli odori, o le emozioni connesse agli odori... io posso sentire cose attraverso il sangue. Malattie, discendenze, poteri... il sangue trasporta questo e molto di più» mormorò. Inclinò la testa su un lato e continuò: «Quindi dimmi, Rowan, vuoi il mio aiuto oppure no?».

I miei occhi si fissarono inconsciamente sulle sue labbra sottili, che sapevo nascondevano i suoi affilati canini, ed io esitai.

«Devi... per forza mordermi?» sussurrai e, nel ripensare allo scempio che Finvarra faceva del mio collo ogni qualvolta beveva da me, nei Tumuli, uno strato di sudore freddo mi velò la fronte.

«Sì» rispose lui, «Ma non dev'essere per forza dal collo... il polso andrebbe benissimo» aggiunse, leggendo sul mio volto il trauma connesso a ciò che il Sovrano delle Fate mi aveva fatto nel regno Sotterraneo e cercando in qualche modo di tranquillizzarmi.

«Sapresti... fermarti?» la mia voce era un alito di vento nella stanza ormai in penombra.

«Sì», Lùg fu coinciso, e la sicurezza nella singola sillaba da lui pronunciata mi calmò un poco.

«Mi farà male?» la mia ultima domanda fu accompagnata da un brivido che mi squassò le spalle, dovuto al ricordo ancora vivido della sensazione della mia pelle che veniva lacerata ancora e ancora per il sadico piacere del Sovrano.

Gli occhi argentei di Lùg trovarono i miei e lui esitò un secondo prima di rispondere: «Posso evitare che lo faccia» mormorò infine, la sua voce più bassa di un ottavo.

Esalai un sospiro tremante e, senza pensarci troppo, mi sedetti sulla poltrona e protesi il braccio verso di lui.

Il Generale non esitò: si inginocchiò ai miei piedi, accomodandosi senza lamentele sul pavimento, e afferrò con entrambe le mani il mio braccio proteso. Avevo già le palpitazioni ma, non appena la sua pelle toccò la mia, iniziai addirittura a tremare.

Ero terrorizzata.

«Respira, Mezzosangue» sussurrò Lùg, ormai talmente vicino che riuscii a percepire l'ispida barba delle sue guance stuzzicarmi la pelle dell'avambraccio mentre lui parlava.

Inspirai un respiro tremante e cercai di rilassarmi contro il morbido schienale in velluto della sedia... ma poi sentii le labbra del Generale chiudersi sul mio polso. I miei occhi scattarono nei suoi, animati da una pericolosa luce argentea, e, quando percepii la sua lingua umettare la mia pelle, il terrore si impadronì di me.

«No, cazzo, no!» guaii e ritrassi l'arto con una rapidità di cui non mi credevo capace. Mi strinsi le mani tremanti al petto e cercai di scomparire nello schienale della poltrona, iperventilando, senza il coraggio di sollevare gli occhi dalle mie ginocchia.

«Okay, Rowan» mormorò Lùg, e lo sentii alzarsi in piedi, «Tutto okay. Mi sto allontanando, guarda» aggiunse, ed io percepii il rumore dei suoi passi scricchiolare sul parquet mentre lui indietreggiava verso la porta.

«Non... non riesco» esalai fra un respiro e l'altro, «Non posso. Non...».

«Va bene. Ho capito, stai tranquilla».

Mi morsicai l'interno della guancia fino a sentire il metallico sapore del sangue e sbottai: «Voglio sapere, Lùg. Voglio sapere se ho ancora qualche potere, ma l'idea...» rabbrividii, «...l'idea di una fata che mi morde ancora mi dà il voltastomaco. Quel dolore...» lasciai la frase in sospeso, non riuscendo nemmeno ad esprimere a parole quanto fosse stato atroce.

«Quel dolore è sbagliato, Rowan» ringhiò Lùg a denti stretti, «Finvarra...» esitò, «... Finvarra è un sadico, e reclamare il tuo sangue in quel modo è stato il suo modo per sottometterti, per spezzarti».

Sollevai gli occhi su di lui e lo vidi passarsi una mano fra i capelli color della luna: «Normalmente, il morso di una fata non è... doloroso» aggiunse poi.

Inarcai un sopracciglio: «Ah, no?» domandai sarcasticamente.

«No» rispose, serio in volto, «Il morso è... piacere. È beatitudine».

«Ma davvero?» sbottai, e mi compiacqui nel rendermi conto che mi stavo riprendendo piuttosto velocemente dal mio momento di debolezza.

«Sì. È l'effetto del veleno... rende il morso piacevole e così facendo trasforma gli umani in prede docili e inermi» mi spiegò, sedendosi sul bordo del mio letto e incrociando le gambe sotto il corpo.

«Veleno?» ripetei, «Mi stai dicendo che le fate sono... velenose?» la mia domanda era intrisa di scetticismo.

Il sorriso di Lùg fu un bagliore bianco nella camera sempre più buia: «Siamo dei predatori, Rowan... il veleno è solo una delle tante abilità che ci premette di uccidere con tanta facilità» mormorò suadente.

Posò il mento sul palmo di una mano e proseguì: «Sai che ci sono dei serpenti dotati di un veleno paralizzante in grado di bloccare i muscoli? Il veleno blocca le funzioni respiratorie e la vittima muore asfissiata. Noi fate siamo solo più... evolute» la sua voce si trasformò in un mormorio burroso.

«Il nostro veleno funziona come una sorta di... afrodisiaco. Le nostre prede non scappano perché non vogliono scappare; anzi, in realtà non si accorgono nemmeno di essere sul punto di morire, perché troppo stordite dalla beatitudine del morso» mi spiegò, appoggiandosi con i gomiti sul materasso.

«Mh, molto... molto rassicurante. Hai proprio trovato la cosa perfetta da dirmi per tranquillizzarmi» borbottai, cercando di non pensare a quanto fossi stata vicina al ritrovarmi i canini di Lùg piantati nella carne.

La bassa risata del Generale mi diede i brividi: «Se avessi voluto tranquillizzarti mi sarebbe bastato morderti, mezzosangue. Ora mi staresti implorando fra le lacrime per un altro round» aggiunse, strappandomi un singulto dal petto con il suo commento. Misi un freno alla mia immaginazione prima che potesse partire al galoppo, ma non fui sufficientemente rapida perché sentii le guance bruciarmi di imbarazzo.

«Non credo proprio» ringhiai, schiarendomi la gola.

«Come dici tu, mezzosangue» rispose con accondiscendenza ed io seppi istintivamente che sul suo volto si era appena dipinto un ghigno derisorio, che mi fece fremere di rabbia.

Mi dovetti trattenere per non rispondergli per le rime e, quando finalmente fui sicura che se avessi aperto bocca non lo avrei insultato, borbottai: «Quindi qualora decidessi di...» digrignai i denti, disgustata, «... farmi mordere, tu mi assicuri che non mi faresti del male? Me lo garantisci al cento per cento?».

Lo vidi annuire nel buio: «Te lo giuro, Rowan. So essere molto...» indugiò, «...generoso».

«Non mi importa della tua generosità» sbottai, decidendo di non indagare in cosa consistesse la sua "generosità", «Mi importano solo i miei maledetti poteri».

Il Generale ridacchiò piano: «Capisco. Pensaci su, allora... e, se cambi idea, vienimi a cercare. Se invece non te la senti, se decidi che è... troppo, per te, allora cercheremo un altro modo per saperne di più circa i tuoi poteri».

«Davvero? Mi... aiuteresti lo stesso? Anche se decidessi di non darti il mio sangue?».

Lùg rimase in silenzio a lungo, poi emise un lento sospiro e rispose: «Non ti racconterò stronzate, mezzosangue, quindi ascoltami bene. Vuoi sapere se il sangue mi piace? Da morire, almeno quanto mi piace scopare. Vuoi sapere se voglio bere il tuo, di sangue? Cazzo, no» proruppe, le parole che scivolavano come un fiume in piena dalle sue labbra.

«Tu sei lei, e lei è stata tante cose... cose orribili e cose magnifiche. Lei era un essere immondo, ma il suo sangue... il suo sangue era qualcosa di divino» inspirò, poi suoi occhi argentei trovarono i miei: «Ti morderei perché te l'ho promesso, perché te lo devo, non sicuramente per... piacere personale. Per quello ho altre... fonti» si schiarì la voce, poi proseguì: «Quindi non ti preoccupare, Mezzosangue: la cosa non piace a me nella stessa misura in cui non piace a te. Se mi chiedi di morderti lo farò perché è la cosa più semplice per ottenere le risposte che cerchi, ma se decidi non volerlo... io non mi opporrò».

«Grazie» mormorai dopo aver assimilato le sue parole, «Grazie per avermelo detto. Mi fa piacere sapere che sei schifato quanto lo sono io» aggiunsi, strappandogli un sorriso.

«Non avrei usato proprio quell'aggettivo, ma rende l'idea anche così» bofonchiò lui.

Vi furono alcuni istanti di silenzio, nei quali si udì solo l'ululare del vento fischiare fra le persiane delle finestre, poi Lùg si alzò in piedi con rinnovata giovialità e cambiò discorso: «Con la Luna Nera ci sarà la Benedizione della Città... mi farebbe piacere se tu vi partecipassi».

La proposta, così in contrasto con le parole grondanti di disprezzo che mi aveva rivolto poco prima, giunse come un fulmine a ciel sereno.

«Oh, ehm, volentieri» balbettai, mordicchiandomi il labbro, «Non mancherò» aggiunsi, leggermente a disagio.

«Bene. Domani sarò fuori tutto il giorno, ma verrò a trovarti al calar del sole... ti consiglio di non gironzolare troppo da sola. Gorias è meravigliosa, ma può essere una trappola mortale per quelli come te» il suo suggerimento apparentemente sincero fu l'ultima cosa che mi disse prima di sgusciare fuori dalla porta, silenzioso come vi era entrato.

La sua improvvisa ritirata mi lasciò perplessa, ma una parte di me sapeva benissimo che la conversazione sostenuta poco prima aveva riaperto ferite mai completamente rimarginate e che, molto probabilmente, Lùg aveva provato un bisogno quasi fisico di allontanarsi da me il più possibile.

Esalai un flebile respiro e mi passai una mano sul volto, massaggiandomi gli occhi con i polpastrelli. Acciambellata come un gatto sulla poltrona, rimuginai per diversi minuti e infine, parlando fra me e me, sbottai: «Che diavolo è la Benedizione della Città?!».

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