In viaggio pt.1
Ero immersa in una vasca da bagno con gli occhi chiusi e le membra rilassate e Rìan, alle mie spalle, mi stava intrecciando i capelli con devozione, massaggiandomi di tanto in tanto il cuoio capelluto.
Un tremito mi scosse le membra ed io rabbrividii nell'acqua tiepida, rendendomi conto di essere rimasta a mollo per molto più tempo di quanto credevo.
«Ho freddo» dissi con voce secca, «Portatene un altro».
Le mani di Rìan si fermarono fra i miei capelli: «Sarebbe meglio che tu uscissi, è tardi» mi riprese con voce incolore, ed io sentii l'irritazione montarmi nel petto: «Ho detto che ne voglio un altro. Vammene a prendere un altro, subito» ordinai con voce imperiosa.
Lui non disse niente ma lo percepii allontanarsi da me, rapido e silenzioso com'era sempre stato.
Rabbrividii di nuovo e feci per richiamarlo una seconda volta, ma la sua voce roca mormorò: «Ecco qui».
Aprii gli occhi e lo vidi di fronte a me, bellissimo nella sua veste bianca, mentre teneva per i capelli un umano sudaticcio e grassottello.
«Non hai trovato di meglio?» sbottai, inarcando un sopracciglio con stizza.
«Questo è ciò che ho trovato» replicò lui, senza sorridere.
Sbuffai, scocciata: «Me lo farò andare bene... ma, per il futuro, ricorda che li preferisco più giovani».
Lui annuì seccamente e il lampo argentato di una lama brillò sotto la luce del fuoco che ardeva nel camino: in un battito d'occhi, il coltello aveva trafitto la gola dell'umano e denso sangue rosso stava sprizzando tutt'intorno.
Rìan spinse l'uomo in avanti, mantenendo sempre una ferrea presa sui suoi capelli, e il sangue iniziò a fluire lento nella vasca da bagno... e fu solo in quel momento che io notai il colore dell'acqua nella quale ero immersa.
Rosso.
Rosso cremisi.
Dentro di me, iniziai ad urlare.
Urlai e urlai, cercando disperatamente di uscire dalla vasca da bagno, ma mi trovavo intrappolata nel corpo della me del sogno e non riuscivo a scindermi da lei... anzi, iniziavo a percepire un tiepido calore diffondersi attorno a me, segno inequivocabile che il sangue caldo dell'umano stava riscaldando la mia pelle.
Serrai le palpebre e, per un paio di secondi, il nome di Lùg fu sulla punta della mia lingua. Lui avrebbe potuto tirarmi fuori dall'incubo, esattamente come aveva già fatto in passato, ma mi trattenni dal pronunciare il suo nome: ora che sapevo di essere dentro un altro maledetto incubo, avrei potuto sopportarlo. Avrei solo dovuto urlare fino a svegliarmi.
«Rowan, ehi!» mi sentii scuotere violentemente per le spalle e, a fatica, aprii gli occhi.
«Maledizione» esalai con voce rauca, rabbrividendo nella sottile camicia da notte che indossavo.
Prima ancora che potessi realizzare di avere freddo, il mio migliore amico mi posò una coperta sulle spalle e, scrutandomi in viso, mi domandò: «Tutto bene? Stavi urlando e... e sembravi davvero terrorizzata».
«Ho fatto un incubo orrendo» mormorai e, vedendo che Labhraidh rimaneva in silenzio, in attesa, mi costrinsi a rivangare l'orrendo sogno: «C'era Rìan... c'è sempre Rìan, e io sono sempre... terribile. Questa notte facevo il bagno nel sangue degli umani».
«Cazzo, Row, potresti scriverci un racconto del terrore» commentò lui; poi mi carezzò la gamba da sopra la coperta e aggiunse: «Sei solo preoccupata per lui, è normale che lo sogni così spesso... e diciamo che a stare così a contatto con le fate è quasi normale che tu faccia sogni di sangue, soprattutto visto che hai dovuto bere quello di Domhnall per diventare cittadina».
Feci un profondo respiro e borbottai: «Lo so, lo so... ma è stato terrificante».
«Beh, ora è passato» mi rincuorò Labhraidh, poi si alzò in piedi e afferrò la maglietta che aveva malamente gettato su una sedia la sera precedente, aggiungendo: «Ed è anche mattina; quindi, alzati da quel letto che ci attende una giornataccia».
Sbuffai e mi rannicchiai ulteriormente sotto la coltre di ruvide coperte sotto la quale ero sepolta, emettendo un mugugno di protesta mentre lui indossava la maglietta con gesti veloci.
«Forza!» mi richiamò di nuovo, togliendomi di dosso la coperta con una mossa fulminea e facendomi imprecare per l'improvviso freddo.
Sbuffando, obbedii ai suoi ordini e mi vestii e, quindici minuti dopo, eravamo entrambi al piano di sotto, dove i Principi stavano già sbocconcellando qualcosa per colazione.
Mangiammo pane imburrato con lo zucchero e bevemmo quello che si rivelò essere il tè nero più amaro che avessi mai assaggiato; poi preparammo le vettovaglie per il viaggio, prendendo abbastanza cibo per sfamarci per i successivi dieci giorni anche se, in realtà, il Castello Nero si trovava a soli tre giorni di cavallo dal villaggio.
Quando infine uscimmo dall'osteria, trovammo le guardie ad attenderci in strada con i cavalli già nutriti e sellati.
I Principi salirono in groppa ai loro cavalli e lanciarono occhiate interrogative a me e Labhraidh, che eravamo rimasti inchiodati ai ciottoli della via, dondolandoci sui talloni come due sciocchi.
«Cosa state aspettando?» ci riprese Domhnall, ed io fui costretta ad ammettere: «Noi non... non sappiamo cavalcare un cavallo».
Le espressioni sconcertate degli astanti mi fecero arrossire violentemente: «Voi non sapete... cavalcare?» domandò incredula la Principessa Daireen, «Se non avete cavalli nel vostro mondo, come vi muovete sulle lunghe distanze?».
«Noi abbiamo cavalli» si intromise Labhraidh, «Solo che non li cavalchiamo... cioè, alcuni lo sanno fare, ma l'equitazione è uno sport costoso. Noi per muoverci usiamo... altri mezzi» borbottò, senza nemmeno rendersi conto di aver parlato di "sport" con delle fate che sicuramente non avevano la minima idea di cosa fosse uno sport.
La Principessa scosse la testa, incredula, e i suoi capelli bianchi rilucerono sotto la luce del sole: «Cavalca con me, Mezzosangue» disse infine a Labhraidh, porgendogli una mano.
Il mio migliore amico rimase immobile per qualche secondo, gli occhi castani fissi sulla mano scura di Daireen e in volto l'espressione perplessa di chi non credeva possibile l'idea di poter cavalcare insieme ad una vera Principessa, poi si riscosse dall'intontimento e afferrò la sua mano protesa.
La donna lo strattonò senza tante cerimonie e lo issò senza sforzo sul cavallo, facendolo sedere davanti a sé sulla sella.
«Reggiti a questo perno e segui l'andatura del cavallo. Non fare movimenti bruschi e goditi la cavalcata» la sentii dire al mio migliore amico, e potei giurare di vedere le guance di Labhraidh imporporarsi.
«Tu vieni con me, ragazza» mi richiamò in quel momento Domhnall, porgendomi la sua mano guantata.
Mi sentii sollevare come se fossi leggera quanto una piuma e, in men che non si dica, mi ritrovai pressata contro l'ampio petto del Principe, con le sue braccia attorno ai miei fianchi e le sue mani che stringevano le redini all'altezza del mio grembo.
Domhnall diede una sferzata alle redini e il suo cavallo – una mostruosità di muscoli e lucido pelo nero – sbuffò e si mise in movimento.
«Siete più minuscola di quanto mi aspettassi» sussurrò la sua voce fra i miei capelli, ed io rabbrividii nel sentire il suo respiro freddo così vicino al mio collo.
«Almeno il cavallo potrà correre più veloce nel caso incontrassimo i Maledetti» blaterai, non sapendo che altro rispondere.
Una risatina roca squassò il corpo del Principe ed io percepii la vibrazione trasmettersi dal suo petto alla mia schiena.
«Fidatevi di me, quando vi dico che nemmeno un cavallo con le ali al posto degli zoccoli potrebbe sfuggire ad un Maledetto».
«E allora cosa dovremmo fare, se venissimo attaccati?».
«Voi non vi dovete preoccupare... state cavalcando con me, e questo è per voi il posto più sicuro dell'intero continente» mormorò il Principe ma, anziché rassicuranti, le sue parole suonarono alle mie orecchie sinistre come una velata minaccia.
Cavalcammo verso sud-est sull'unica strada esistente in quell'angolo di mondo, allontanandoci sempre di più dal villaggio.
Questa volta, non incontrammo nemmeno un viaggiatore, né a piedi, né a cavallo. Eravamo gli unici viandanti a proseguire in quella direzione e il fatto che quella strada non fosse affatto frequentata era evidente anche dallo stato in cui versava: i ciottoli erano sconnessi e dissestati, e radici e steli d'erba crescevano incontrollati dentro il perimetro della via, rivendicando il terreno come proprio.
Ci fermammo a pranzare verso mezzogiorno, poi riprendemmo a cavalcare alla volta di alcune colline che si stagliavano all'orizzonte, di un verde lussureggiante in netto contrasto con il cielo blu cobalto di quella afosa giornata estiva.
«Il sole non è ancora tramontato» osservai ad un certo punto, perplessa, notando attraverso le brillanti foglie dei faggi e delle querce che il sole creava ancora un ampio angolo con l'orizzonte.
«Qui non siamo più nelle Terre Oscure» mi rispose Domhnall, «Velias sorgeva nell'unico punto del regno a metà fra i due continenti, a metà fra Dorchadas ed Éadrom: qui le notti e i giorni si equivalgono, durando entrambi dodici ore. Il tramonto ci sarà fra tre ore e mezza».
Per l'ennesima volta, cercai di raccapezzarmi circa l'impossibile geografia astronomica di quel mondo, ma non feci altro che farmi venire un fastidioso mal di testa.
Quando infine il cielo iniziò a tingersi d'arancione, noi eravamo quasi in cima alla collina ed io avevo un tremendo dolore alle gambe, non essendo abituata a stare per così tante ore immobile sulla sella di un cavallo.
«Ed ecco a voi la Foresta Rossa» sentii dire dalla burbera voce di Sven, qualche decina di metri avanti a me.
Il nostro cavallo emerse dagli alberi e si affiancò a quello della guardia, immobile sulla sommità della collina, e il paesaggio che si parò di fronte ai miei occhi mi lasciò sbalordita.
Sotto di me, ai piedi della collina, si estendeva a perdita d'occhio una foresta di alberi rossi. Non solo le foglie erano rosse come se fossimo in pieno autunno anziché in estate, ma erano rossi anche i tronchi, i rami, le radici... tutto era rosso. La luce aranciata del tramonto, inoltre, pareva quasi incendiare la foresta, facendola brillare di sangue nelle prime ombre della sera.
«Per gli dèi» sbottai in un sussurro incredulo, non riuscendo a distogliere gli occhi dagli alberi vermigli che si estendevano a perdita d'occhio, espandendosi a macchia d'olio come una malattia.
«Se gli dèi ci fossero stati al tempo della guerra non avrebbero permesso uno scempio simile» commentò Domhnall con voce fredda.
Quella notte dormimmo accampati sulla sommità della collina e la mattina seguente, alle prime luci dell'alba, ci inoltrammo nella Foresta Rossa.
La prima cosa che notai non appena raggiungemmo le pendici della collina fu che i cavalli non parevano per nulla intenzionati ad addentrarsi fra gli alberi: furono necessarie diverse sferzate di redini e anche qualche tallonata nei fianchi delle bestie per obbligarli ad oltrepassare la linea che separava gli alberi verdi da quelli cremisi, e anche quando obbedirono lo fecero assolutamente contro voglia, sbuffando e nitrendo stizziti.
La seconda cosa che notai fu l'improvviso e drastico calo della temperatura che percepii non appena iniziammo a cavalcare sotto le vermiglie fronde degli alberi: nonostante il sole fosse alto nel cielo e bollente d'estate, il clima all'interno della Foresta Rossa pareva non seguire le normali leggi della natura e ben presto mi ritrovai a battere i denti, tanto che Domhnall mi accolse cavallerescamente sotto il suo mantello di pelliccia nero.
Tremando dal freddo, mi strinsi contro il suo marmoreo corpo e cercai di scomparire fra le pieghe del suo mantello, lasciando fuori solo il volto e stupendomi nel constatare che il mio respiro si condensava in nuvolette di vapore.
La terza cosa di cui mi resi conto fu la totale assenza di suoni. Non si udivano uccelli cantare né insetti ronzare, non vi erano piccoli roditori nel sottobosco né scoiattoli sugli alberi; nulla di vivo abitava quella foresta... solo il vento ululava di tanto in tanto, frusciando fra le foglie vermiglie che incombevano sulle nostre teste come gocce di sangue.
«È...» mormorai piano, quasi come se fossi spaventata di fare troppo rumore, «... è tremendamente inquietante».
«Lo è» concordò il Principe e, quasi inconsapevolmente, mi strinse con più forza fra le sue braccia.
I cavalli trottarono per tutta la mattina e tutto il pomeriggio e, quando infine calò il tramonto, ci fermammo per la notte.
Le guardie accesero un fuoco e ci disponemmo tutti all'intorno, stringendoci nei mantelli pesanti e consumando in silenzio la cena, che consisteva di avanzi di stufato, pane con semi e carne essiccata; poi preparammo alla bell'e meglio un giaciglio di coperte e mantelli per la notte.
Prima di dormire osservai il modo in cui i bagliori aranciati del fuoco si riflettevano sulle foglie vermiglie, facendole brillare come pietre preziose e, per qualche secondo, scorsi la meravigliosa bellezza di quel paesaggio alieno e crudele; poi mi coricai al fianco di Labhraidh e cercai di ignorare i fruscii notturni del vento fra le frasche, che nelle ombre della notte somigliavano a sibili inquietanti e minacciosi.
Un ululato lontano mi fece schizzare a sedere con il cuore in gola e mi guardai intorno spasmodicamente, i miei occhi ciechi nel buio della notte. Il fuoco era spento e nessuna torcia rischiarava la foresta, che incombeva su di me come un incubo.
«Era tanto che non venivo a trovarti, mezzosangue».
Lùg era tornato nei miei sogni.
***
Salveeeee!
Capitolo spezzato in due, a breve il nuovo aggiornamento 😘
Vi avviso che d'ora in poi la storia si farà mooolto movimentata... E alcuni nodi verranno al pettine (eheh non vedo l'ora).
A prestissimo!!
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