Gorias
Precipitai nell'oscurità con le budella in subbuglio e, quando finalmente i miei piedi toccarono terra, barcollai vistosamente, colta da un improvviso moto di vertigini.
Qualcuno mi afferrò prontamente per il retro della camicia ed io mi ritrovai a penzolare direttamente su uno strapiombo.
Sotto di me si apriva una profonda spaccatura nel terreno rossiccio e, un centinaio di metri più sotto, vidi il turbinare delle acque di un torrente e lo spumeggiare delle onde sulle pareti del canyon.
Uno squittio spaventato mi sfuggì dalle labbra e vorticai le braccia nel vano tentativo di recuperare l'equilibrio.
«Chi abbiamo qui?» udii alle mie spalle l'ombrosa voce di Morven sovrastare lo scroscio dell'acqua del fiume e mi sentii strattonare all'indietro.
Deglutendo il nodo di terrore che mi aveva occluso la gola nel fissare il vuoto, mi raddrizzai e, rassettandomi la camicia, balbettai: «S-salve, Principe».
Gli occhi ferini di Morven mi scrutarono incuriositi e un ghigno gli incurvò le labbra carnose: «Che piacevole sorpresa... ciao, Mezzosangue. Hai forse sbagliato Porta?» mi domandò con sarcasmo.
«N-no, ehm, io... ho pensato di accettare la vostra proposta e visitare la città di Gorias, se per voi non è un problema» mi spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchia e, coraggiosamente, ammiccai nella direzione del Principe: «Mi hanno detto che in questa stagione dell'anno è bellissima» dichiarai, ricalcando le medesime parole che egli mi aveva detto quando mi aveva invitata.
Il sorriso sul suo volto si fece più pronunciato, e lui allungò un braccio nella mia direzione, invitandomi ad affiancarlo.
«E posso sapere dove sia il vostro inseparabile compagno?» domandò, prendendomi sottobraccio e scrutando alle mie spalle in cerca di Labhraidh.
Il senso di colpa tornò a farsi sentire prepotentemente ed io mi mordicchiai il labbro: «Non verrà. Non gli ho... non gli ho detto che sarei venuta da voi» mormorai e, notando l'espressione sospettosa sul volto di Morven, aggiunsi: «Dopo quello che è successo con Saraid, voglio solo avere un po' di tempo per me, lontana da... lontana da loro».
Il sogghigno del principe mi diede i brividi: «Non so se Gorias sia il luogo migliore dove fare una vacanza... soprattutto per una come te, Mezzosangue» mi ammonì, con un lampo pericoloso negli occhi gialli.
Mi resi improvvisamente conto di essere talmente disperata e desiderosa di riavere i miei poteri che non solo avevo acconsentito ad evocare un essere deplorevole come Lùg, ma che avevo addirittura accettato di farlo a Gorias, la Città Sacra che più di tutte disprezzava i Mezzosangue. Rìan e Grania mi avevano messa in guardia su quanto fosse pericolosa la vita di uno della nostra specie in quella Città, mi avevano raccontato del rischio che comportava uscire dalle mura del palazzo, eppure... eppure io, acciecata dall'illusione che Lùg potesse aiutarmi a risolvere tutti i miei problemi, non avevo pensato alla mia incolumità.
L'espressione sul mio viso parlò per me, infatti Morven sorrise mestamente: «Sarai sotto la mia protezione e nessuno oserà farti del male, non ti preoccupare» mormorò, iniziando quindi a camminare e trascinandomi con sé.
Leggermente rincuorata dalle sue parole, lo seguii senza opporre resistenza, guardandomi finalmente intorno: la Porta di Gorias era posta in una sporgenza della roccia, all'interno di un canyon a picco su un torrente montano. Guardando i pochi metri che separavano l'arco dal baratro, compresi perché la guardia del Principe mi avesse afferrata per la collottola: se non l'avesse fatto, avrei incespicato fino a cadere oltre il precipizio, andando a fare compagnia ai salmoni nel fiume sottostante.
Distolsi lo sguardo dalle turbolente acque sottostanti solo quando Morven mi condusse in uno squarcio della roccia che proseguiva in una buia e profonda caverna, rischiarata solo dalle rade torce appese alle pareti di roccia.
Rabbrividii a causa dell'umidità del luogo e mi strinsi nel leggero pellicciotto estivo che indossavo, desiderando aver avuto la prontezza di portare con me almeno un cambio di vestiti.
Mentre i nostri passi rimbombavano nella grotta, accompagnati dallo sgocciolio dell'acqua lungo le pareti, noi camminammo fra le stalagmiti alte quasi quanto me, seguendo uno sdrucciolevole sentiero che si arrampicava fra le rocce, snodandosi verso l'alto.
Quando infine sbucammo in superficie, mi ritrovai sulla sommità di una collina. Dietro di me, la bocca nera della grotta dalla quale eravamo emersi spiccava a contrasto con le rocce di un grigio antracite; davanti a me, invece, si estendeva una foresta buia e nebbiosa, debolmente rischiarata dai radi bracieri posti per illuminare il sentiero.
Qualche chilometro più in basso, le luminose luci di una città bucavano la nebbia, trasmettendo un bagliore aranciato alla bruma e alle nubi basse che gravavano sulla terra.
«Da qui, Gorias sembra quasi... calma. Romantica» commentò Morven con un ghigno denigratorio, poi, afferrando la mia mano nella sua, imboccò il sentiero e insieme iniziammo la discesa verso la città.
Quando infine giungemmo alla base della collina, trovammo una carrozza nera ad attenderci. Il Principe mi invitò a salire e, quando fummo entrambi accomodati sui morbidi cuscini rossi, il calesse iniziò a muoversi lungo la strada ciottolata che conduceva all'interno della città, fra i nitriti e gli sbuffi degli stalloni e il rumore dei loro zoccoli sulle pietre del selciato.
Quando giungemmo in prossimità della porta della città, un brivido di sincera paura mi scivolò lungo la spina dorsale: le mura che circondavano Gorias erano quasi più imponenti di quelle di Murias, irte di picche e sormontate da quello che sembrava filo spinato, che luccicava sinistramente alla luce delle torce.
Notai con la coda dell'occhio un movimento vicino ad una torretta e, affilando lo sguardo, non riuscii a trattenere un'imprecazione: un cadavere ondeggiava al vento, tristemente appeso tramite una corda ad un merletto delle mura.
«A Gorias i traditori hanno vita breve» sogghignò Morven, ed io fui pervasa dal desiderio di poter scappare da quella carrozza e tornarmene a casa di corsa.
«È orribile» mormorai, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal corpo penzolante, nudo e pallido, privato della vita ma anche della sua dignità.
«Qui sono i cittadini a fare giustizia, Rowan. La punizione per i traditori viene decisa da un'assemblea cittadina, nella quale io non posso – e non voglio – intervenire: lascio ai membri il compito di decidere la punizione e anche la possibilità di eseguire la sentenza» mi spiegò Morven, poi sogghignò: «Ammetto che sanno essere molto più... creativi di quanto saprei essere io stesso».
Quando finalmente le porte della Città vennero spalancate e la nostra carrozza oltrepassò le mura, mi incollai al finestrino per poter vedere finalmente la famigerata città di Gorias... e rimasi sorpresa.
Vista la pessima fama della Città, nella mia mente avevo creato centinaia di immagini terrificanti di Gorias: case decadenti, ladri e assassini che si aggiravano guardinghi per le strade nascosti da mantelli e cappucci, sporcizia ovunque e bambini malnutriti a chiedere l'elemosina ad ogni angolo... ma tutto ciò era lontano anni luce dalla realtà.
Gorias appariva come una cittadina medievale in pieno sviluppo, un fiorente centro urbano di case signorili in pietra e vivaci negozi e attività commerciali che sorgeva su quello che alla luce dei lampioni sembrava un... un piccolo arcipelago. Un intricato sistema di ponti metteva in comunicazione tutte le zone della città, e piccole barche solcavano veloci i canali sciabordanti di acqua scura.
Il mio sguardo sorpreso divertì il Principe Morven: «Non ti aspettavi tutto ciò, vero?» domandò, poi indicò un punto al di là del finestrino: «La città sorge sulle rive di un immenso lago punteggiato di isole, e il mio castello si erige proprio nell'isola centrale. Siamo sulla penisola più ad Ovest del Continente Settentrionale, dal quale ci separa un'impervia catena montuosa, e un fiume ci consente di raggiungere il Mare Silenzioso in mezza giornata di navigazione. La Città è posta in un punto strategico in modo che nessun esercito ci possa accerchiare, così che vi sia sempre una via di fuga per i cittadini... non che ve ne sia bisogno, visto che le mura sono inviolate da tempo immemore».
Ascoltai in silenzio e cercai di immaginarmi la geografia del luogo, facendo però molta fatica a causa del buio della notte che mi impediva di vedere tutto ciò che non fosse direttamente illuminato dalla calda luce dei lampioni sul bordo delle strade o sulla sommità dei ponti.
«Domani mattina ti mostrerò le meraviglie del mio regno, Mezzosangue» aggiunse Morven, sorridendo in modo sincero per la prima volta che l'avevo conosciuto.
«Perché siete gentile con me?» mi sentii domandare, «Perché trattarmi come se fossi un ospite desiderato, quando avete relegato Rìan e Grania entro le mura del vostro castello?».
Gli occhi gialli del Principe studiarono il mio viso per qualche secondo: «Perché tu sei diversa. C'è... c'è qualcosa in te che mi suggerisce che tu sia più come noi che come loro; anche adesso che hai perso i tuoi poteri, anche adesso che non sei nulla più che una sporca umana, c'è qualcosa di antico in te» mormorò in tono serio, poi la sua espressione si rasserenerò e lui aggiunse: «Inoltre, noi ti piacciamo. Forse non te ne rendi nemmeno conto o forse vuoi ignorare la cosa, ma io so che le fate ti attraggono, giovane Mezzosangue, e la cosa mi diverte assai».
Gli lanciai un'occhiataccia: «Mi piacete solo perché ci avete offerto il vostro aiuto, non vi montate la testa» sbottai, irritata nel riconoscere un briciolo di verità nelle parole del Principe.
«Certo, certo» commentò lui con accondiscendenza, e io lasciai cadere il discorso per non dover ammettere che, effettivamente, le fate stavano iniziando a... piacermi. Mi ero trovata bene a Murias, quasi come se avessi trovato una nuova casa, e lasciarla così all'improvviso mi aveva fatto quasi male, ma questo non lo avrei mai e poi mai ammesso a nessuno.
La carrozza procedette sobbalzando, attraversando ponticelli di pietra e percorrendo strade ciottolate, finché alla fine non giungemmo ad un imponente cancello di ferro posto sulle rive del lago. L'unico suono udibile era il leggero sciabordio delle onde sul bagnasciuga, ed io osservai in silenzio le acque nere del lago che, calme e silenziose, si estendevano a perdita d'occhio luccicando della luce di un minuscolo spicchio di luna che stava sorgendo oltre le cime innevate a est.
L'unico spiraglio di luce in tutto quel nero era offerto da una costruzione che si erigeva nel centro del lago, una fortificazione illuminata che brillava come una fiammella lontana.
«Quello è il mio palazzo, mezzosangue» mormorò Morven, sporgendosi sulla mia spalla e facendomi trasalire.
«È lontano» osservai stupidamente, osservando le calme acque scure che ci dividevano dal castello al centro del lago.
«Ora sì, lo è, ma con la bassa marea emerge una striscia di terra che connette il castello alla terraferma. Per la maggior parte della giornata la strada è sommersa, è per questo che noi saliremo su una barca» il suo dito puntò qualcosa oltre il finestrino della carrozza e, affilando lo sguardo, riuscii a individuare una decina di piccola barchette ormeggiate oltre il cancello di ferro che ci separava dal molo.
«Carino» mormorai, poi seguii Morven giù dalla carrozza: all'esterno, un odore di bosco e di umido mi stuzzicò il naso ed io rabbrividii nel pellicciotto estivo, sorpresa da una folata di vento gelido che mi arrossì le guance.
Guardie silenziose e avvolte in mantelli neri come la notte spalancarono per noi il cancello e una di esse ci precedette sul molo. Slegò la barca e Morven saltò a bordo con un balzò felino, poi mi porse la mano in un gesto galante. Accettai il suo aiuto e, non appena mi sedetti al fianco del Principe, la barchetta parve prendere vita e iniziò a solcare lentamente le placide onde del lago.
Navigammo in silenzio per un tempo interminabile, ed io tenni lo sguardo fisso sulla costruzione al centro del lago, che appariva più minacciosa e luminosa man mano che noi ci avvicinavamo.
«Uccidiamo a vista chiunque si avvicini senza autorizzazione. Questo lago è un cimitero di barche, e non solo» esordì improvvisamente Morven, probabilmente tentando di rassicurarmi ma riuscendo solo a farmi temere ulteriormente la sua Città e i suoi sudditi.
Abbassai lo sguardo e lo fissai fra le acque nere, immaginando di scorgere una carcassa di scafo o una vela ancora attaccata ad un albero, ma non riuscii a vedere nulla oltre l'oscurità impenetrabile del lago.
Quando infine la barchetta attraccò al molo del castello, io rimasi incantata con la testa reclinata all'indietro e gli occhi fissi sull'enorme castello che si erigeva imponente davanti a me: mura di pietre lisce svettavano verso l'alto, a picco sulle acque del lago, e rade luci illuminavano alcune stanze ai piani superiori.
Seguii Morven lungo un'ampia scala che terminava in un cortile in pietra di fronte al portone principale del castello, che si aprì silenziosamente di fronte a noi.
«Siete tornato, mio Principe» mormorò una voce spettrale e una figura emerse dalle ombre, assumendo le fattezze della donna più bella che io avessi mai visto.
La fata era avvolta da un abito rosso vino, il cui ampio strascico seguiva i suoi passi ad ogni movimento, e i suoi capelli biondo grano scivolavano in morbidi ricci fino alla sua vita, intrecciati con perle trasparenti e fili d'oro. I suoi lineamenti da bambola avevano un ché di fanciullesco, nonostante il suo sguardo fosse affilato quanto quello di un predatore e, non appena i suoi occhi verdi – della sfumatura più chiara che avessi mai visto – si posarono su di me, la fata scoprì i denti e mi mostrò i canini, sorridendo in un modo che mi diede i brividi.
«Saraid... sapevo che prima o poi avresti trovato il modo di sfuggire anche alla morte» mormorò con voce melodiosa, avvicinandomisi rapidamente.
Indietreggiai di fronte alla sua sicurezza e ciò la fece insospettire: la donna si bloccò, annusò l'aria e i suoi occhi si spalancarono in un'espressione fra il perplesso e il disgustato.
«Perché puzzi come un'umana?» sbottò, sollevando una ciocca dei miei capelli e osservandola con le labbra arricciate.
«Perché lo sono» riuscii a borbottare nonostante la paura, «Mi chiamo Rowan, non sono Saraid».
«Incredibile, non è vero, Val? Sembrano due gocce d'acqua» si intromise Morven, accarezzandomi una spalla.
Rabbrividii sotto il suo tocco e non distolsi lo sguardo dalla donna – Val – che mi stava fissando con un sorrisetto divertito in volto: «Dovremmo regalarla a Lùg, se mai tornerà dalle sue scorribande con Finvarra... potrebbe trovarla divertente».
Mi riappropriai della ciocca di capelli che Val ancora stringeva fra le dita e sbottai: «Non pensarci nemmeno» ringhiai, improvvisamente nervosa nel rendermi conto di trovarmi nella città della quale Lùg era Signore.
«Il nostro Generale avrà altro a tenerlo occupato quando tornerà dal Mondo degli Umani» si intromise Morven, ammiccando nella mia direzione, poi mi liquidò dicendo: «La servitù ti scorterà in quella che sarà la tua stanza durante il tuo soggiorno a Gorias, mezzosangue».
Due cameriere si materializzarono al mio fianco e, mentre io mi allontanavo insieme a loro, udii il Principe mormorare: «Fai bei sogni, Rowan».
Mi voltai un'ultima volta e lo vidi confabulare con la donna bionda, Val, mentre insieme camminavano oltre una porta del castello immersa nell'ombra, poi i due scomparvero dalla mia vista.
Quando infine raggiunsi la mia camera, cercai di scacciare la preoccupazione con un lungo bagno caldo, poi indossai la camicia da notte rosa pastello che le cameriere avevano lasciato per me e mi infilai sotto le soffici coperte del mio letto a baldacchino, sperando di riuscire a dormire nonostante l'ansia che mi attanagliava le viscere nell'accorgermi di trovarmi in un luogo sconosciuto, ostile, da sola... senza nemmeno una faccia amica al mio fianco.
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