Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Conseguenze

Bentrovatiiiii
Scusate il ritardo ma ultimamente non ho avuto molto tempo libero, mi farò perdonare con aggiornamenti più rapidi!
Questo capitolo inizia col botto (e una scena un po' cruda) e finalmeeente scopriremo delle cose che ci serviranno più avanti (semicit.).
A presto 😘

***

Fluttuavo nel buio.

Il silenzio era assordante e l'oscurità assoluta, ma il mio corpo era rilassato e un diffuso calore mi riempiva da dentro, facendomi sentire al sicuro.

Era tutto così tranquillo, così calmo e accogliente... era come svegliarsi nel cuore della notte e rendersi conto di avere ancora ore di sonno a disposizione, accoccolarsi sotto il piumino e aspettare di riprendere sonno.

Meravigliosamente pacifico.

Fluttuai e fluttuai, con la mente lontana, persa fra il sogno e la realtà...finché non si accese una luce in lontananza.

Iniziai a cadere a velocità folle.

Strillai e dibattei le braccia, ma non riuscii a frenare la mia inarrestabile caduta verso il bagliore. La luce si fece via via più intensa, finché non occupò per intero la mia visuale e tutto ciò che potei vedere fu bianco.

Caddi sulle ginocchia e mi ritrovai per terra.

«Ti amo» sentii urlare da una voce femminile.

Confusa, strizzai le palpebre per adattarmi al cambiamento di luminosità e mi guardai intorno.

Tutto era avvolto nell'oscurità tranne un camino acceso, le cui fiamme gettavano lampi aranciati che venivano inghiottiti dal buio, e un letto... sul quale c'erano due amanti.

I bagliori del fuoco scivolavano sul corpo nudo di un uomo, evidenziandone i muscoli guizzanti sotto la pelle chiara mentre lui affondava dentro la donna sotto di lui, la quale era in ombra, oscurata dalla sua ampia schiena.

Sentii la donna gemere di piacere e la vidi allacciare le affusolate dita attorno alla nuca del compagno, nascondendo poi il viso nella piega del collo di lui.

Un basso ringhio proruppe dal petto dell'uomo.

Il viso di lei fece capolino dalla spalla del suo amante e, non appena le lingue di fuoco illuminarono i suoi lineamenti, io mi sentii ghiacciare il sangue nelle vene... perché la donna che in quel momento stava godendo, con gli occhi chiusi e le labbra sporche di sangue, ero io.

«Non di nuovo» sibilai, guardandomi intorno spasmodicamente senza però trovare una via d'uscita all'incubo in cui sapevo di trovarmi.

«Dimmi che mi ami» mormorò la donna – io – all'orecchio dell'uomo... che sapevo essere Rìan.

«No» ringhiò lui, affondando di nuovo dentro di lei – dentro di me – con ferocia.

Io risi, un suono basso e di gola, e gli morsi un orecchio: «Avanti...» sussurrai pianissimo.

Rìan mi sbatté sul materasso con violenza ed io rimbalzai fra i cuscini rosso sangue. Rapido come un predatore, lui afferrò i miei polsi con una mano e li inchiodò sopra alla mia testa, immobilizzandomi sotto di lui.

Una risatina compiaciuta sgorgò dalle mie labbra ed io vidi il modo in cui la mia alter ego spalancò di più le gambe, per accogliere meglio Rìan.

L'uomo scivolò nuovamente dentro di lei, ancora e ancora, e lei, gridando, rovesciò la testa all'indietro spargendo una cascata di capelli scuri sui cuscini.

«Dimmelo» ansimò la altra me, tremando ormai vicina all'orgasmo, «Dimmi che mi ami» insistette con la voce rotta dal piacere.

Rìan tremò sopra di lei e lo vidi stringere con veemenza la mano nella quale tratteneva i suoi polsi, tanto che le sue nocche divennero bianche.

«Ti...» la sua voce si ruppe e lui esitò; poi i suoi muscoli si irrigidirono e lui sibilò fra i denti: «Ti odio come non ho mai odiato nessun altro nella mia vita immortale, maledetta stronza».

E, mentre la sua mano destra ancora stringeva i polsi della donna, la sua mano sinistra guizzò sotto un cuscino e ne estrasse un pugnale.

La lama d'argento brillò in modo sinistro quando fu colpita dalla luce aranciata delle fiamme, ma durò solo un secondo: l'uomo calò il pugnale e lo affondò nel petto nudo dell'altra me, proprio all'altezza del cuore.

Gli occhi di lei si spalancarono in due enormi pozze scure e, mentre il sangue vermiglio iniziava a impregnare le lenzuola, l'ultimo respiro abbandonò le sue labbra in un rantolo spezzato.

Incredula e scioccata, non riuscii a distogliere lo sguardo dall'uomo: egli rimase qualche istante immobile, intento a guardare il cadavere di lei, poi espirò e si allontanò, mettendosi in ginocchio sul materasso con il volto rivolto verso il fuoco.

Fu solo allora, quando la luce delle fiamme illuminò il suo torace, che vidi l'impronta nera di una mano impressa sulla sua pelle altrimenti immacolata.

Sussultai e un gemito di sorpresa mi sfuggì dalle labbra... e, incredibilmente, la testa dell'uomo scattò nella mia direzione.

I suoi occhi d'argento – non grigi come quelli di Rìan, ma d'argento – si posarono sulla mia figura e la confusione pervase il suo volto: il suo sguardo corse al cadavere ancora riverso fra le lenzuola e poi tornò su di me, mi scrutò profondamente e, infine, egli capì.

«Ciao, Mezzosangue» mormorò Lùg con voce rauca, accennando ad un sorriso stanco.

Sconvolta, osservai il suo corpo nudo inginocchiato nel letto, la sua testa china, il suo volto cinereo, le sue mani chiazzate di sangue... e compresi la verità, quella verità che egli mi aveva nascosto, quella verità che aveva nascosto al mondo intero: Lùg aveva ucciso Saraid.

Fui rigettata violentemente nel mio corpo.

La nausea mi assalì tanto violentemente che non feci nemmeno in tempo a capire dove mi trovassi che vomitai. Il mio esofago bruciò e mi lacrimarono gli occhi, ma i conati di vomito non si acquietarono.

«È tutto okay, Row, va tutto bene!» la voce rotta di Labhraidh fu come miele per le mie orecchie, «Lo sapevo che saresti tornata».

Le sue calde mani mi carezzarono la schiena con movimenti lenti e circolari e, pian piano, il mio stomaco si acquietò.

Inspirai a pieni polmoni, con la bocca secca e la gola in fiamme, e mi passai una mano tremante sul volto. La mia pelle era bagnata di sudore freddo e violenti brividi mi scuotevano il corpo, tanto che dovetti stringere i pugni per limitare il tremore delle mie mani.

A fatica sollevai le palpebre, che parevano essersi incollate ai miei occhi, e le dovetti sbattere un paio di volte per rendere nitida la visione.

Misi a fuoco il contorno del viso di Labhraidh e quasi trasalii: il ragazzo era pallido e smunto, profonde occhiaie gli solcavano il volto e aveva la barba lunga, che gli conferiva un aspetto trasandato.

«Come stai?» mi domandò con apprensione, posandomi sulle spalle quella che poteva essere una vestaglia così come una coperta.

Deglutii con forza e scossi la testa, cercando di schiarirmi le idee. La testa mi pulsava come se mi avessero picchiata con una spranga, tutti i muscoli mi dolevano e bruciavano come il fuoco e... un grido d'orrore mi sfuggì dalle labbra, rauco e spezzato.

C'era un immenso vuoto nel mio petto, un vuoto gelido e silenzioso che mi faceva sentire indifesa come un cucciolo smarrito.

«Dov'è?» ansimai in un sussurro, artigliandomi lo stomaco con le unghie, «Dov'è finita?!» ripetei, con il terrore che rendeva la mia voce uno stridulo suono aspro.

La mia magia.

La mia magia... non c'era più.

Era scomparsa, e non nel modo in cui era successo quando le mie energie erano state lentamente assorbite dal potere della Fenice, perché allora la sentivo ancora, flebile ma presente.

In quel momento, mentre ero ancora semidistesa su un letto di paglia e fissavo Labhraidh negli occhi, in quel momento non sentivo nulla.

Ero un guscio vuoto, un contenitore, un giocattolo rotto.

Una parte di me era sparita, e il mio istinto mi stava gridando che era sparita per sempre.

Un gemito stridulo mi infiammò la gola e io sentii il mio animo andare in pezzi.

Labhraidh mi agguantò per le spalle e mi strinse prontamente in un abbraccio, ed io mi ritrovai pressata contro il suo ampio petto, mentre lui mi circondava con le braccia come se volesse proteggermi dal mondo. Sentii il suo mento posarsi sulla mia testa e, mentre lui mi stringeva a sé per impedirmi di andare in pezzi, lo sentii sussurrare fra i miei capelli: «Lo so, Rowan, lo so».

Tremai contro il suo torace e calde lacrime di shock inzupparono la sua maglietta.

«L'ho sentito» continuò a mormorare, «Ho sentito il momento esatto in cui la magia ti veniva strappata via... è stata la cosa più orrenda che io abbia mai provato in vita mia, peggiore di quando Lùg mi ha tagliato la gola».

Lo sentii rabbrividire sotto di me: «Ho cercato di avvertirti, ma era troppo tardi» mormorò, «Quando Domhnall ha iniziato a urlare e ha mollato la presa su di te... ho capito cosa stava per succedere, ma non sono riuscito ad impedirlo, Rowan».

«Ho cercato di avvertirti, ho urlato affinché tu ti fermassi, ma poi ho sentito il mio petto squarciarsi come se qualcuno mi avesse affondato un coltello arroventato nel torace. Ho urlato... ho pianto» ammise in un sussurro, ed io rabbrividii violentemente: Labhraidh non piangeva mai, non lo aveva fatto nemmeno quando era morta Suanach, né quando Lùg lo aveva ucciso... ma in quel contesto lo aveva fatto.

«Non...» la mia voce uscì dalle mie labbra secche come uno stridulo spezzato, «Non c'è più, vero?».

Mi strinse con più forza, e il suo cuore rimbombò nelle mie orecchie a un ritmo superiore al normale quando mormorò: «No, Row. Non... non c'è più. Ho sentito il vuoto che hai dentro, ed è... orribile. Anormale. Irrimediabile».

Un acuto lamento mi squarciò la gola ed io scoppiai in un pianto disperato.

Una parte di me, la parte migliore di me, quella che mi rendeva... unica, non esisteva più.

Ero una bambola rotta.

Ero un giocattolo da buttare nella spazzatura.

Ero...ero un'umana.

«Non voglio essere un'umana!» piansi più forte, «Non posso esserlo!».

Labhraidh si limitò a carezzarmi la schiena lentamente, cercando di darmi conforto, ma io sentivo solo un sordo dolore occupare il vuoto che avevo nel petto... e una cieca furia bruciarmi dentro.

«Domhnall» ansimai, «Quel maledetto bastardo, figlio di puttana, lurido e meschino essere».

Mi liberai dall'abbraccio di Labhraidh e rotolai giù dal letto.

Incespicai, con le gambe deboli, ma quando Labhraidh allungò una mano per sostenermi, lo fulminai con lo sguardo: «Lasciami andare» lo ammonii, e lui si limitò ad annuire.

Con i muscoli che gridavano pietà ad ogni passo, uscii dalla stanza. Mi ritrovai in un corridoio di legno malmesso e sentii minuscole schegge punzecchiarmi la pianta nuda dei piedi, ma non ci badai e proseguii arrancando: «Domhnall» ringhiai.

«Dove sei? Dove cazzo sei?!» strepitai con le corde vocali in fiamme.

Feci intrusione in una stanza, ma Domhnall non era lì.

«Rowan, per gli dèi, sei sveglia!» mi sentii richiamare da Rìan, ma ignorai la sua voce e tornai in corridoio. La sua mano si strinse al mio polso e lo sentii blaterare qualcosa circa il mio essere già fuori dal letto, ma strattonai il mio braccio finché egli non lasciò la presa e continuai la mia ricerca.

Spalancai altre due porte, ma fu la terza che mi diede ciò che stavo cercando: Domhnall era nella terza stanza, steso in un immenso letto, con ciocche nere di capelli a coprirgli il viso.

«Maledetto bastardo!» strillai, e gli saltai addosso.

Strinsi le gambe attorno ai suoi fianchi e gli tirai un pugno in faccia.

Le mie nocche scricchiolarono e dolsero, ma vedere il sangue macchiare il suo viso pallido fu una soddisfazione inebriante.

Colpii e colpii, senza sosta e senza sentire dolore né fatica, finché qualcuno non mi sollevò per le spalle e mi strattonò via dal corpo del Principe.

«Fermati, Rowan, per gli dèi! Lo stai ammazzando!» ringhiò la voce di Morven.

Mi voltai rapida come una vipera e sibilai: «Ah, ora sono io che lo sto ammazzando?! Lui mi ha tolto ciò che sono, e io dovrei... fermarmi?!».

«Guardalo» mi esortò il Principe ed io, riluttante, seguii i suoi occhi gialli e fissai Domhnall: egli giaceva immobile nel letto e solo un debole sollevarsi del torace mi suggeriva che non fosse morto. Il suo corpo era rigido e, sotto lo strato fresco di sangue, il suo volto era pallido in modo innaturale, le sue guance erano scavate. Non aveva nemmeno tentato di difendersi dal mio assalto, come se... come se non ci fosse, non davvero.

Il Principe di Murias, l'invincibile Principe Spezzacuori, pareva... fragile. Debole. Rotto.

Rotto come ero rotta io.

Un sorriso sghembo mi illuminò il volto: «L'ha persa anche lui, vero? La magia... non ce l'ha più, nemmeno lui».

Vidi Morven annuire lentamente e mi sorpresi di leggere quella che sembrava... pena, o forse addirittura paura, sul suo bel volto.

Mi chinai sul letto e, accostando le labbra all'orecchio di Domhnall, sibilai: «Goditi la vita da umano, mio Principe» lo sbeffeggiai, poi diedi una spallata a Morven e me ne andai da quella stanza.

«Voglio ubriacarmi» sentenziai non appena incrociai lo sguardo di Labhraidh, in corridoio.

«Voglio bere fino a dimenticare tutto questo» precisai, «Anche a costo di svenire nel processo».

«Devi mangiare qualcosa, Row... sei rimasta svenuta per cinque giorni» obiettò il mio migliore amico ma, dopo aver visto l'occhiata che gli stavo rivolgendo, si limitò a prendermi sottobraccio e scortarmi al piano di sotto; scoprii quindi che eravamo nella medesima taverna nella quale ci eravamo fermati prima di proseguire verso la Foresta Rossa.

Mi appollaiai su uno sgabello del bancone e, dopo aver ordinato la bevanda più alcolica che offriva la casa, mi misi a giocherellare con le dita... cercando di accendere un fuoco ma trovando solo silenzio laddove sapevo avrebbe dovuto esserci la scintilla del mio potere.

Quando la fata dietro il bancone mi mise di fronte un bicchiere colmo di liquido dorato io lo tracannai in un sorso solo, ignorando il sapore disgustoso e il bruciore infernale alla gola; poi sollevai lo sguardo su Labhraidh e, cercando una distrazione, gli domandai: «Spiegami quella cosa... spiegami come hai fatto a sentire che il potere mi veniva strappato dal petto».

Labhraidh sorseggiò lentamente il suo boccale di sidro e mormorò: «Da quando... da quando mi hai riportato indietro, è cambiato qualcosa, Rowan. Io... ti sento».

Vedendo che non lo interrompevo, continuò: «All'inizio non capivo cosa stesse succedendo, ma sapevo sempre dove tu fossi, sapevo dove cercarti, come se ci fosse un filo invisibile che mi portava sempre a te; sapevo quando avevi sonno o freddo, sapevo cosa volevi mangiare. Credevo fosse solo dovuto al fatto che... che passando così tanto tempo insieme fossimo diventati un po' simbiotici» una risatina sciocca – e finta – gli squassò il petto.

«Poi ho iniziato a svegliarmi terrorizzato nel cuore della notte, senza sapere da dove provenisse tutta quella paura... allora non lo sapevo, ma ora so che a svegliarmi erano i tuoi incubi».

I suoi occhi si persero nel liquido ambrato nel bicchiere, poi proseguì: «Ho capito cosa stesse succedendo solo quando ti sei ubriacata dopo il Rito per diventare Cittadina: quella sera ho... ho sentito il tuo desiderio bruciare come se fosse il mio, Rowan. Non riuscivo a... non riuscivo a pensare, dal tanto che volevo...» Labhraidh arrossì e un ghigno scaltro gli incurvò le labbra.

Ricambiai il sorrisetto e osservai: «Sei tornato nella tua stanza con non una, ma ben due fate, se non sbaglio».

Il suo ghigno si fece più pronunciato e lui gonfiò il petto in un chiaro segno di orgoglio maschile, poi commentò: «Non so come tu abbia fatto ad addormentarti sul tavolino del pub, sinceramente».

Toccò a me arrossire: «La roba che mi hanno dato da bere era drogata con un allucinogeno, e io ho... ho sognato...».

«So benissimo cosa hai sognato» ammiccò.

Abbassai gli occhi nel bicchiere nuovamente pieno e, a disagio, domandai: «Hai visto... qualcosa?».

Temevo che Labhraidh avesse visto Lùg nei miei sogni, perché se ciò fosse successo sarebbe stata una catastrofe: Labhraidh non me lo avrebbe mai perdonato.

Il mio migliore amico, però, sorrise divertito: «No, non ti preoccupare. Ricevo solo... sensazioni. Non le ricevo sempre, è come... come una radio che a volte si sintonizza su di te e altre volte rimane in silenzio».

Esalai un sospiro di sollievo.

«Si è sintonizzata quando sei entrata nel Deserto delle Anime» mormorò poi Labhraidh, perdendo l'aria spensierata che gli aveva rasserenato il volto, «Ho sentito il silenzio, e il caldo. Poi... andavi a fuoco, e Domhnall ha iniziato ad urlare. Si è staccato da te, e a quel punto ho sentito lo squarcio nel tuo petto... il vuoto. Il nulla».

Rimase in silenzio qualche secondo, ed io ingollai un altro sorso di alcol.

«Credo che, se Domhnall non si fosse staccato da te, sarebbe morto... ma forse tu avresti ancora i tuoi poteri» osservò.

Esalai un sospiro tremante e mormorai: «Avrei dovuto pensarci. Avrei dovuto essere più scaltra. La magia chiede sempre un prezzo... ma io sono stata stupida al punto tale da non pensarci».

Labhraidh posò una mano sulla mia e la strinse debolmente: «Non è colpa tua, Row... hai sentito anche tu Domhnall, quando ha detto che se non avessi agito di tua spontanea volontà sarebbe stato lui ad agire tramite te».

«Figlio di puttana» mormorai, finendo l'ennesimo drink.

Ne ordinai un altro e osservai distrattamente il liquido ambrato scivolare nel bicchiere, grata del calore che mi stava riscaldando lo stomaco e del ronzio nelle orecchie che iniziava a farmi sentire meno vuota.

«Ha ottenuto ciò che voleva, comunque» disse Labhraidh e, con il viso seminascosto nel boccale di sidro, fece un cenno impercettibile verso destra.

Mi voltai con nonchalance e, seguendo il suo sguardo, la vidi.

Saraid.

Era appena entrata nella taverna e indossava un pellicciotto estivo, bianco e leggero, posato delicatamente su un vestito lungo di un intenso blu notte. I suoi capelli bruni erano più scuri dei miei, leggermente più lunghi e più spessi; il suo incarnato era dorato e la sua pelle perfetta. I suoi occhi castani erano incorniciati da folte ciglia e un elegante neo sopra il labbro superiore le conferiva un che di regale. Aveva gli zigomi alti e la fronte spaziosa, come me, però lei aveva il nasino minuscolo e carino che io non avevo ma che avevo sempre desiderato.

Rimasi a fissarla, e fu come guardare me stessa attraverso un filtro di bellezza: «È la versione photoshoppata di me» mormorai, incredula.

La vidi sorridere alla volta di Alistair e provai un improvviso disagio: quel sorriso mi riportò alla memoria il sogno della notte precedente, ed io mi irrigidii sulla sedia stringendo il bicchiere di vetro con talmente tanta forza che temetti si potesse rompere fra le mie dita. Ricordai il sorriso accattivante che aveva arricciato quelle labbra vermiglie, ricordai il modo in cui quelle iridi scure si erano sgranate mentre il pugnale affondava nel suo petto nudo, ricordai gli occhi di Lùg fissarsi su di me e riconoscermi... e solo in quel momento mi resi conto che, forse, tutti i sogni orrendi che avevo fatto negli ultimi mesi non erano sogni miei.

Rabbrividii vistosamente senza distogliere lo sguardo da Saraid – la quale si stava muovendo con grazia fra i clienti dell'osteria, oltrepassandoli con l'eleganza di una ballerina – e tracannai l'ennesimo drink.

La mia mente ormai annebbiata dall'alcol si riempì delle immagini degli incubi che avevano popolato le mie notti nell'ultimo periodo: il bagno nel sangue, le frustate tanto brutali da scorticare la pelle, la violenza carnale... e inorridii quando mi resi conto che, forse, tutto ciò non era frutto della mia mente malata, ma proveniva da Lùg.

Se ciò si fosse rivelato vero, avrebbe significato che io avevo creduto per mesi di vedere me stessa e Rìan nei miei sogni, quando invece si era sempre trattato di Lùg e Saraid.

Nel sogno, o ricordo che fosse, avevo visto il Generale ammazzare Saraid.

Lùg aveva ucciso la donna che a tutti diceva di aver amato, l'aveva massacrata affondandole un pugnale nel cuore mentre era ancora nudo e dentro di lei.

Mi venne la nausea.

Saraid mi vide e si diresse verso di me, muovendosi con leggiadria nel suo vaporoso vestito blu.

Mi rivolse un sorriso dolce, quasi affettuoso, ma tutto ciò che io vidi fu la sua bocca sporca di sangue.

Le sue unghie affondate nella schiena di Lùg.

Il suo corpo immerso nella vasca riempita con sangue umano.

I suoi occhi vitrei fissi sul soffitto e il suo sangue sulle mani del Generale.

«Finalmente ci conosciamo, Rowan O'Brien» mi salutò con voce cristallina la mia antenata, ma tutto ciò che udii fu un "La prossima volta ricordati che mi piacciono più giovani".

Mi piegai in due e le vomitai sugli stivaletti di pelle.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro